Politica

Perché Berlusconi non vuole più sapere se i suoi diritti sono stati violati? Ma accetta la sentenza per frode fiscale e la Corte di Strasburgo chiude il ricorso sulla legge Severino senza sentenza.

Epilogo inatteso, dopo la decadenza da Senatore per effetto della condanna subita per frode fiscale, e tutto connesso vittimismo per il presunto torto subito. Ora prima del traguardo ha ritirato il ricorso che presentò alla Corte di Giustizia europea. Evita l’ex Cav di subire una tegola mortale, quella di un eventuale sentenza avversa che avrebbe certificato la correttezza delle sanzioni assegnate, ivi compresa la decadenza dal seggio senatoriale. E forse tutto questo costoso teatro messo in piedi dai suoi legali aveva solo un unico obiettivo creare fumo, delegittimare la condanna subita per frode fiscale e tentare una riabilitazione popolare che non si è concretizzata. Oggi assistiamo all’autocondanna, differita, di quella infamante accusa, provata dalla giustizia. Non c’è riabilitazione davanti a un popolo sofferente, per l’applicazione del neoliberismo reale e della conseguente austerity, da parte della famiglia dei Popolari europei, di cui Berlusconi orgogliosamente ne è parte, nei confronti di chi di è macchiato del reato più deplorevolmente, ovvero la frode fiscale, eh in altri termini corrisponde all’azione di sottrarsi agli obblighi fiscali, non per impedire il fallimento, per impedire licenziamenti, ma per il proprio personale tornaconto.

L’ex premier si era rivolto alla Corte europea dei diritti dell’Uomo perché la normativa gli aveva impedito di candidarsi alle politiche. Poi ha fatto marcia indietro.

Il caso è chiuso, senza sentenza. La corte di Strasburgo ha accolto la richiesta di Silvio Berlusconi di non emettere il giudizio, chiudendo in questo modo il ricorso contro l’applicazione della legge Severino che era costata all’ex premier l’impossibilità di candidarsi alle elezioni politiche. Non si saprà mai, dunque, se se obbligando Silvio Berlusconi a lasciare il suo seggio in Senato nel 2013 e impedendogli di candidarsi alle elezioni l’Italia abbia violato o no i suoi diritti.

La Corte ha stabilito che tenendo conto della riabilitazione dell’ex presidente del Consiglio, avvenuta l’11 maggio del 2018 e a seguito della decisione del “richiedente di ritirare la sua denuncia, circostanze particolari relative al rispetto dei diritti umani non richiedono la prosecuzione dell’esame del caso”.

L’ex presidente del Consiglio, infatti, a settembre aveva deciso di ritirare il suo ricorso.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

Austerity, Europa vs Stati

L’Unione Europea minaccia il diritto al cibo dei greci

La Grecia doveva essere l’esempio del successo del programma di “aiuti” dell’Unione Europea per salvare un Paese dalla bancarotta con l’austerità sociale. I risultati sono stati devastanti e perfino l’ex capo dell’Eurogruppo Dijsselbloem ha ammesso lo scorso settembre che il programma è fallito, per via delle condizioni troppo dure imposte.

Un centro di studi non-profit, “Dianeosis”, ha pubblicato un rapporto che dimostra che il reddito disponibile medio delle famiglie greche è crollato del 42%, ovvero di € 513,00, tra il 2009 e il 2014. I lavoratori salariati hanno perso il 38,6% del reddito, gli autonomi il 40,3% e i pensionati il 32,5%. I più colpiti sono i giovani tra i 18 e i 29 anni, con un crollo del reddito del 44,8%. I laureati hanno perso il 45,1% del reddito medio, il che spiega per quale motivo molti greci istruiti lascino il Paese e cerchino impiego altrove.

Stando a una dichiarazione della Federazione Ellenica dei Lavoratori degli Ospedali Pubblici, v’è stato un aumento del 30% della domanda di cure, mentre il 60% delle attrezzature mediche deve essere sostituito e gli specifici fondi non sono aumentati.

Gli effetti dell’austerità sulla popolazione in termini di sicu- rezza alimentare sono stati studiati dal Transnational Institute (TNI) di Amsterdam, che ha pubblicato un rapporto dal titolo La democrazia non è in vendita: la battaglia per la sicurezza alimentare nell’era dell’austerità in Grecia. Il rapporto rivela che nel 2017 nelle aree rurali quasi il 38,9% degli abitanti era a rischio di povertà, mentre la disoccupazione è salita dal 7% del 2008 al 25% del 2013 e il reddito pro capitale è crollato del 23,5% negli anni della crisi (2008-2013). Il numero di famiglie con bambini che non possono permettersi un pasto a base di proteine tutti i giorni è raddoppiato, passando dal 4.7% del 2009 all’8.9% del 2014.

Il rapporto accusa: “Le misure di austerità non solo hanno aumentato la povertà e l’insicurezza alimentare, ma hanno con- solidato un regime di business agro-alimentare che perpetua disuguaglianze nell’accesso al cibo”. Infatti le riforme strutturali hanno favorito i grossi distributori di cibo e i commercianti, a scapito dei piccoli produttori. Questo ha contribuito a far au- mentare i prezzi dei generi alimentari più velocemente che nel resto dell’Eurozona, nonostante il crollo del costo del lavoro.

Olivier de Schutter, ex rapporteur speciale dell’ONU sul diritto al cibo (2008-2014) e membro della Commissione dell’ONU sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, ha dichiarato al quotidia- no greco Kathimerini che l’Unione Europea potrebbe essere in violazione del diritto al cibo dei greci. In questo caso, le vittime potrebbero portare l’UE in tribunale. L’Articolo 340 del Tratta- to sul Funzionamento dell’UE “dichiara molto chiaramente che il danno causato dagli errori delle istituzioni europee dovrebbe essere risarcito. So che alcuni stanno pensando di usarlo e mi è stato chiesto di dare consigli su questa possibilità” ha detto.

Fonte: http://www.eir.de – Anno 27 n. 48, 29 Novembre 2018 edizione italiana

Immigrazione, Politica, Sicurezza

Decreto sicurezza, cosa prevede: dalla stretta sui permessi per motivi umanitari alle limitazioni ai “negozietti etnici”

I punti principali della nuova legge, detta “decreto Salvini”, approvata alla Camera. Introdotti anche nuovi reati, come quello di “esercizio molesto dell’accattonaggio”.

Il “decreto Salvini“, approvato col voto di fiducia alla Camera con 336 sì e 249 no, diventa legge. Introduce una serie di novità in tema di immigrazione e sicurezza. Diversi i temi affrontati, dalla stretta sui permessi di soggiorno alla sperimentazione del taser per i vigili urbani. Ecco i punti principali del provvedimento.

Stretta sui permessi – È abolito il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Questo viene sostituito da dei ‘permessi speciali’ temporanei. Sei le tipologie previste: motivi di salute di particolare gravità, calamità nel paese d’origine, atti di valore civile, vittime di tratta, violenza domestica, grave sfruttamento.

Più tempo nei Cpr – Gli stranieri potranno essere trattenuti nei Centri di permanenza per il rimpatrio fino a 180 giorni, e non più solo tre mesi come previsto in precedenza. In mancanza di posto nei centri, è introdotta la possibilità trattenere i migranti in attesa di espulsione in altre strutture per la Pubblica sicurezza. Inoltre sarà possibile tenere i richiedenti asilo negli hotspot.

Diritto d’asilo revocato con più reati – Si amplia il numero di reati che comportano la negazione o la revoca della protezione internazionale. Questi sono violenza sessuale, lesioni gravi, rapina, violenza a pubblico ufficiale, mutilazioni sessuali, furto aggravato e traffico di droga. Al Senato si era aggiunto il reato di furto in abitazione, anche non aggravato.

Via la cittadinanza per terrorismo –La cittadinanza italiana viene revocata ai condannati per reati di terrorismo.

Stop al diritto di asilo dopo la decisione della Commissione – La domanda di protezione internazionale per i richiedenti che hanno in corso un procedimento penale per un reato sarà sottoposta ad un esameimmediato. In caso di condanna definitiva la protezione sarebbe negata. L’esame scatta per chi ha già una condanna anche non definitiva. In caso di negazione del diritto, il richiedente deve lasciare l’Italia.

Sistema dello Sprar – Solo i titolari di protezione internazionale e minori non accompagnati potranno accedere al sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Chi è già nel sistema vi rimarrà fino alla conclusione dei progetti.

Attesa fino a 4 anni per la cittadinanza – Si ampliano i termini (da 2 a 4 anni) per l’istruttoria della domanda di concessione della cittadinanza, che verrà data solo se si conosce l’italiano.

Lista dei ‘Paesi sicuri’ – Per chi proviene da paesi inseriti nella lista di sicurezza è previsto un esame accelerato delle domande di protezione.

Braccialetto elettronico per gli stalker – Gli imputati per maltrattamenti in famiglia e stalking saranno controllati con un braccialetto elettronico.

Contratti di noleggio auto-camion in mano alla polizia – La norma è stata voluta dall’antiterrorismo per prevenire attentati con auto e camion contro la folla e prevede che i dati di chi stipula contratti di noleggio debbano essere preventivamente comunicati alle forze dell’ordine.

Taser in mano ai Vigili urbani – In via sperimentale la pistola a impulsi elettrici sarà data anche ai corpi di polizia municipale di tutti i capoluoghi di provincia.

Daspo urbano – Agli indiziati di terrorismo si estende il Daspo per le manifestazioni sportive. Il Daspo urbano potrà essere applicato anche nei presidi sanitari e in aree destinate a mercati, fiere e spettacoli pubblici.

Stretta sugli sgomberi – Sono introdotte sanzioni più severe (da 2 a 4 anni) per chi promuove o organizza l’occupazione di immobili. Esteso anche l’uso delle intercettazioni nelle indagini nei confronti degli occupanti.

Accattonaggio molesto e parcheggiatori abusivi – Viene introdotto il reato di ‘esercizio molesto dell’accattonaggio‘ (punibile fino a 6 mesi aumentati a 3 anni nel caso si impieghino minori). Previste anche sanzioni più aspre per i parcheggiatori abusivi. In caso di utilizzo di minori o di recidiva scatta l’arresto e si rischia fino a un anno di carcere.

Sindaci decidono sui ‘negozietti etnici’ – Previste limitazioni agli orari di vendita degli esercizi commerciali interessati da “fenomeni di aggregazione notturna” anche in zone non centrali, ma solo su richiesta del primo cittadino che potrà utilizzarle fino a 30 giorni.

Dalle squadre più soldi per la sicurezza negli stadi – Le società sportive dovranno versare più soldi per garantire la sicurezza negli stadi. La percentuale della vendita dei biglietti che dovrà essere destinata a questo scopo passa dall’1-3% al 5-10%.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)

Montichiari

Montichiari: armi da guerra in casa, arrestato pensionato bresciano.

Pensionato in manette: in casa venti pistole e mitra, in giardino un cannone anticarro. Arrestato un pensionato bresciano di 69 anni: nella sua casa di Montichiari deteneva illecitamente una vasta gamma di armi da guerra, persino un cannone anticarro.

Increduli anche i carabinieri, quando si sono trovati di fronte all’evidenza: pensionato bresciano nascondeva in casa un vero e proprio arsenale da guerra, composto da almeno una ventina di pistole, due mitragliatrici, oltre 5000 munizioni, perfino un cannone anticarro “parcheggiato” in giardino. Tutto è stato sequestrato, e l’uomo arrestato.

Si tratta di un 69enne di Montichiari, che un paio di notti fa ha ricevuto la “visita” dei militari. Il blitz dei carabineri rientra nell’indagine a più ampio raggio che poco meno di due mesi fa aveva permesso di smascherare un fiorente mercato nero di armi da guerra, a quanto pare coordinato da un pensionato di Novara ma per cui sono stati arrestati anche due bresciani residenti in Valcamonica.

Il pensionato di Montichiari dunque si aggiunge all’elenco: è già stato trasferito in carcere, nelle prossime ore dovrà rispondere davanti al giudice per l’interrogatorio di convalida. Ai militari intervenuti avrebbe già raccontato di essere un semplice collezionista.

Circostanza non considerata veritiera dagli inquirenti, che appunto hanno proceduto all’arresto. A margine dell’inchiesta anche bresciana sulle armi da guerra, i carabinieri hanno già sequestrato – oltre alla “merce” di Montichiari – anche due mitragliatrici pesanti, due fucili mitragliatori, moschetti e baionetti, fucili tedeschi e cecoslovacchi, pistole semiautomatiche e a tamburo, migliaia di cartucce e munizioni, perfino un lanciarazzi.

Fonte: bresciatoday.it (qui)

Lutto

È morto monsignor Antonio Fappani, aveva 95 anni.

Storico indiscusso, archivista ecclesiastico, era stato ricoverato in Poliambulanza dopo una caduta nel suo appartamento. Ieri il decesso. Alle 7,15, è morto mons. Antonio Appani. Nato a Ferragosto del 1923, aveva compiuto i 95 anni. Da una settimana era ricoverato in Poliambulanza. Al capezzale del sacerdote la sorella Lucia ed il fratello Mario. Fatale a monsignore è stata una caduta. Dal suo appartamento in via Tosio voleva scendere in cappella per celebrar messa. Da quel momento sono sorte le complicazioni dovute all’età. Ultimamente respirava a fatica. È entrato in agonia ieri sera verso le 19.

Scompare con monsignore una illustre figura della città. Storico indiscusso, archivista ecclesiastico, (sue le prime ricerche nell’archivio Montini relativa mente al pontefice ed ai suoi genitori) autore di decine di libri di storia e direttore de La Voce del popolo per diversi anni. Sua la realizzazione di una monumentale enciclopedia bresciana oggi on line. Creatore ella Fondazione civiltà bresciana e del fondo Giulio Aleni si è anche occupato dell’istituto del prete raccogliendo 50 mila volumi che parlino dei sacerdoti bresciani. Da sempre dinamico, in gioventù ha guidato gli scout, ha ideato la Faber.

Oggi, alle ore 11 la salma arriverà nella parrocchia San Lorenzo in via Moretto 55 a Brescia. Alle ore 20, sempre in San Lorenzo, messa e veglia funebre. Domani, mercoledì 28 novembre, alle ore 9.30 saranno celebrati i funerali nel Duomo Nuovo. Alle 14.30, Santa Messa in parrocchia a Quinzano d’Oglio e a seguire la tumulazione della salma nel cimitero del paese.

Fonte: Corriere.it

Economia, Politica, Sovranità monetaria

Per salvarci da quest’Europa serve una moneta parallela e poi… addio euro (di Becchi e Zibordi)

Una famiglia o un’impresa per procurarsi più denaro deve lavorare o fatturare di più. Se un privato ha scarsità di soldi deve convincere un altro privato o un ente pubblico a spendere di più. Considerando l’insieme delle famiglie e delle imprese di un Paese, quando qualcuno incassa di più qualcun altro si ritroverà con meno soldi e quando qualcuno taglia le spese qualcun altro incassa di meno. Come si fa allora a far circolare più denaro nell’economia?

L’unico modo è che lo Stato, tramite la Banca Centrale e le banche ordinarie, metta in circolo denaro fresco. Le Banche Centrali possono crearlo dal niente senza debito, quelle ordinarie lo creano anche loro, ma sottoforma di debito da restituire. La prova che sia così è il denaro nei conti correnti che aumenta sempre, oggi è di circa 2 mila miliardi in Italia e una generazione fa era intorno a 500 miliardi per cui evidentemente qualcuno lo ha creato.

Se lo Stato però non crea denaro, perché tassa di più di quello che spende e allo stesso tempo le banche tagliano drasticamente il credito, allora l’economia frana. Questo è proprio quello che è successo in Italia: le tasse sono aumentate, soprattutto grazie a Monti, di circa 40 miliardi e il credito è stato tagliato di circa 180 miliardi. Sono venuti a mancare circa 200 miliardi e la produzione industriale è crollata e ancora oggi è del 20% inferiore ai livelli del 2007. Tagliando il credito alle imprese le banche hanno aggravato la situazione.

FISCAL COMPACT

Sottostare alle regole del Fiscal Compact, come l’Italia sinora ha fatto, è una strada senza uscita, che aggrava il suo declino. Lo Stato italiano deve invece tornare ad emettere moneta come fanno gli altri Stati indipendenti e se non può farlo tramite Bankitalia (la propria Banca Centrale) deve farlo emettendo una moneta parallela, visto che ritornare alla lira al momento è escluso dalle forze politiche al governo.

Quando si parla di una seconda moneta parallela all’euro – che siano gli accenni alle “Am Lire” di Berlusconi, la moneta fiscale di cui parlavano un tempo alcuni economisti vicini a Grillo o i “miniBot” della Lega, i quali sono persino nel contratto di governo, anche se nessuno più ne parla – si incontra subito l’obiezione che il problema vero in Italia non è la moneta ma l’inefficienza, lo spreco, la produttività, la corruzione e l’evasione fiscale. La spiegazione più diffusa è che siamo diventati meno produttivi ed è per questo che non ci possiamo permettere deficit maggiori, come ad esempio i francesi.

In Francia hanno tenuto deficit pubblici più alti dei nostri e le banche hanno continuato a creare credito mentre in Italia da dieci anni lo hanno ridotto. Il debito di famiglie e imprese in Francia è però il 233% del Pil e in Italia il 169%, molto più basso. Anche se si considera il debito pubblico, la Francia ha il 100% del Pil e noi il 133% per cui sommando debito pubblico e privato la Francia è più indebitata di noi. Inoltre l’Italia continua ad esportare bene ed ha un surplus estero del 2% del Pil, mentre la Francia ha un deficit estero del 2%. E la produzione industriale italiana resta anche oggi maggiore di quella francese. Non sembra quindi che siamo diventati di colpo meno “produttivi” dei francesi.

LE IMPRESE DEL NORD

Il fatto che in Italia ci sia spreco di denaro pubblico e tanti settori della Pa siano inefficienti non impedisce, oggi come venti anni fa, alle Pmi del Nord di esportare e produrre. Quello che le ammazza non è la corruzione ma sono le troppe tasse e il taglio del credito. L’Italia è penalizzata in Europa perché l’unico debito che conta è quello pubblico, e non quello privato. Questa regola è stata promossa da Paesi che hanno molto più debito privato, come appunto la Francia. Questa situazione, a noi svantaggiosa, giustifica che si cerchi una soluzione senza aspettare il consenso dell’Ue e l’unica soluzione praticabile è quella di creare in Italia una moneta parallela all’euro. L’idea è essenzialmente quella di emettere agevolazioni fiscali, simili a quelli per le ristrutturazioni edilizie, ma trasferibili e non vincolati ad una attività come rifare una casa. Lo Stato potrebbe emettere una certa quantità di denaro e usarla per ridurre le tasse. L’ufficio studi di Mediobanca nel 2016 in un suo studio aveva sponsorizzato l’idea parlando di emettere crediti o agevolazioni fiscali per 40 miliardi. Ogni lavoratore e impresa riceverebbe su una carta di credito ad hoc alcune migliaia di euro di agevolazioni fiscali, utilizzabili con un ritardo di uno o due anni e nel frattempo la gente le userebbe come una sorta di denaro. L’effetto sarebbe quello di introdurre denaro fresco nell’economia. Nel “contratto” tra Lega e M5S c’è la proposta dei “miniBot” che va in questa direzione. Si tratta di emettere Bot che vengono accettati per pagare le tasse con cui saldare i debiti accumulati dalla pubblica amministrazione verso le imprese.

Questa idee, qui solo abbozzate, vanno certo spiegate nel dettaglio. Venerdì 23 novembre a Roma presso l’Aula dei gruppi parlamentari si è svolto un incontro con diversi esperti che ha avuto un grande successo di pubblico. Segno che c’è la volontà di trovare soluzioni che possano aiutare l’Italia a difendersi dagli attacchi provenienti da Bruxelles.

Fonte: Blog di Paolo Becchi (qui) – Articolo di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi su Libero, 24/11/2018

Crescita, Economia, Politica

Manovra, serve shock fiscale. Artom: “Deficit su al 3,4%, flat tax e cuneo da 17 miliardi”

La proposta rivoluzionaria di Arturo Artom, imprenditore considerato vicino a Casaleggio e tra i fondatori di Confapri.Ecco come affrontare la querelle con l’Ue.

“E’ una provocazione ma molto concreta. Non si può affrontare un 2019 con una procedura d’infrazione aperta, una spada di Damocle mentre il governo è soggetto a uno stillicidio continuo di notizie negative, anche riguardo ai rapporti fra governo e Commissione europea. Quindi o si chiude l’argomento prima dell’Ecofin del 22 gennaio, cedendo qualche cosa a Bruxelles dal punto di vista della manovra ed evitando la procedura oppure, a infrazione ormai avviata, il governo potrebbe mettere in cantiere un punto aggiuntivo di deficit/Pil (dal 2,4 al 3,4%, ndr) da impiegare per far partire subito, oltre al reddito di cittadinanza e il superamento della riforma Fornero, anche la flat tax alle imprese. E non soltato quella alle partite Iva”.

Lo spiega  Arturo Artom, imprenditore considerato vicino a Davide Casaleggio e tra i fondatori di Confapri (Confederazione delle attività produttive), intervistato da Affaritaliani.it per entrare nel dettaglio della sua proposta rivoluzionaria su come affrontare il delicato momento dello scontro fra l’Italia e Bruxelles. Una querelle che non sta aiutando l’economia italiana in “pesante rallentamento” (“il dato sul Pil del quarto trimestre sarà negativo“, dice) e che rischia di far peggiorare ulteriormente la situazione. “Anticipare gli interventi del programma di governo sulle imprese, come anche l’abbattimento del cuneo fiscale, interventi che la Lega voleva invece spalmare – aggiunge l’imprenditore grillino – consentirebbe al Paese di far ripartire subito anche gli investimenti privati“.

Un punto aggiuntivo di deficit/Pil, che arriverebbe così al 3,4%, rispetto al 2,4 fissato dall’esecutivo, sono circa 17-18 miliardi…
“Sì, dote da ripartire così: 7-8 miliardi per aumentare notevolmente la platea delle Pmi coinvolta nella flat tax e altri 9 per abbassare le altre componenti del cuneo fiscale e dell’Irap. Misure che darebbero un segnale di fiducia alle imprese che, spaventate per l’incertezza che regna attorno al Paese, stanno bloccando e ritardando gli investimenti. Oltretutto, l’Italia andrebbe a vincere la sfida sui mercati. Si tratta infatti di misure che gli investitori vogliono veder introdurre”.

Quindi, secondo lei, poi lo spread Btp-Bund si abbasserebbe?
“Sì, i mercati adorano gli shock fiscali espansivi: il differenziale fra i nostri titoli di Stato decenali e quelli tedeschi si è ridotto l’altro giorno subito dopo che la Commissione europea ha annunciato la bocciatura definitiva del documento programmatico di bilancio italiano, aprendo la strada alla procedura d’infrazione nei confronti del nostro Paese. Ciò significa che la vera sfida dell’Italia è con i mercati. A questo punto, è sbagliato andare ad ingaggiare una trattativa con Bruxelles, elemosinando ammontare e i tempi, da allungare, della comminazione delle sanzioni a procedura aperta a fronte di una rimodulazione delle misure economiche. E’ una strategia fallimentare. Un’autentica follia”.

Perché?
“Mantiene il clima d’incertezza sul fronte dei conti pubblici e nell’economia del nostro Paese. Se procedura d’infrazione sarà, è meglio anticipare alcune misure economiche del programma di governo facendo più deficit, scelta di politica economica espansiva, come il taglio delle tasse e maggiori investimenti. Misure che verrebbero apprezzate dai mercati e che consentirebbero all’Italia di vincere la sfida con l’Europa, neutralizzando dal punto di vista dello spread la procedura d’infrazione. La politica punitiva di Bruxelles verrebbe così depotenziata e l’Italia riuscirebbe a rilanciare fortemente la crescita in un clima di grande entusiasmo e di positività. L’alternativa è cedere qualcosa all’Ue, ma senza far scattare formalmente il 22 gennaio la procedura comunitaria”.

La sua proposta parte dal fatto che il clima economico del Paese si sta deteriorando…
“Sì, i dati che ho a disposizione sono molto brutti: nel comparto di produzione delle viti, settore che è a monte di ogni filiera, il calo si aggira nell’ordine del 15-20%, il retail fa -10% rispetto al novembre scorso e le richieste di mutui e prestiti sono sotto di una percentuale compresa fra il -5 e il -10. Nel quarto trimestre andremo incontro a una crescita negativa. Quindi, avremo un segno meno davanti al Pil, dopo la crescita zero del terzo trimestre. Annacquare politiche giuste come il reddito di cittadinanza – misure che, facendo emergere il lavoro nero, funzionano solo se c’è la crescita nel Paese – da giocare come merce di scambio per un annacquamento della procedura d’infrazione, fa sì che l’Italia alla fine rimanga cornuta e mazziata. Il motivo? Alla fine non cresce e, in più, si ritrova sul capo sanzioni contabili”.

Di chi è la colpa di questo deterioramento del clima di fiducia attorno all’Italia?
“La colpa principale ce l’ha la Commissione europea che ha deciso di far politica su di noi, andando contro quello che dovrebbe essere lo spirito dell’Ue. Si sta effettuando una battaglia, alzando la tensione, per uno 0,5% di deficit/Pil in più. Se fossimo rimasti all’1,9% non sarebbe successo niente. Ricordo che dal 2012 fino 2015, in soli tre anni, il rapporto debito/Pil è salito dal 116% al 132%, per rimanere poi stabile fino ad ora. E’ stato l’effetto di politiche di austerità imposte dall’Ue. Ora, Bruxelles si sta comportando come se avessimo portato il rapporto deficit/Pil al 5%, mentre lo abbiamo aumentato soltanto di uno 0,5%”.

Come laboratorio politico governativo, rappresentiamo un’assoluta novità in Europa. Per certi versi com’è stata la Grecia di Alexis Tsipras del 2012, in cui la sinistra radicale anti-establishment di Syriza rappresentava, al governo, un’autentica minaccia all’ordoliberismo tedesco e all’austerity comunitaria. Sappiamo com’è andata a finire. Può essere che ora Bruxelles abbia voluto prendere una posizione forte nei confronti di una nuova minaccia, quella del sovranismo nascente?
“Sì, l’Italia e la compagine governativa sono un laboratorio politico che in termini storici ha già cambiato l’Unione europea, facendo scattare, a breve, la procedura d’infrazione. Stiamo entrando in un campo inesplorato anche per la Commissione che sta cercando di usare i mercati come martello per bastonare le forze che adottano un approccio sovranista nei confronti di Bruxelles. Ma lo spread resta stabile a quota 300. Significa che l’esecutivo comunitario non ha assolutamente vinto”.

In tutto questo, il M5S denuncia anche un fuoco di fila mediatico…
“E’ indubbio che il governo Conte non ha avuto l’appoggio dei media, che amplificano il newsflow negativo. Ma non si tratta di un fattore determinante nel deterioramento del clima di fiducia generale. A questo punto, la chiave è da ricercare fuori dall’Italia. Lo scontro del Paese con l’Ue dev’essere risolto o in un modo o nell’altro”.

Assieme a Gianroberto Casaleggio, lei è stato uno degli ideatori della necessità d’istituire il reddito di cittadinanza. Negli ultimi giorni sono emerse delle perplessità sull’attuazione della misura anche fra alcuni esponenti del governo. Conferma la road-map per marzo?
“Ne sono convinto. La chiave, soprattutto al Sud, sarà quella della riforma dei centri per l’impiego che al momento bruciano 500 milioni con 8 mila addetti che sono allo sbando. Poi sarà necessario aprire un tavolo fra le Regioni per far sì che i sistemi informativi si parlino e per creare un reale coordinamento, spostare poi l’intermediazione dei centri per l’impiego dal 3% delle offerte al 10% e far ritornare del cricolo virtuoso del lavoro in bianco”.

Ma le offerte di lavoro arriveranno? Alla fine, il reddito di cittadinanza, che punta a formare i dicoccupati, si basa su questo…
“Tutto funziona se c’è la crescita economica. Ecco perché c’è bisogno di rimetterla in moto”.

Fonte: affariitaliani.it (qui)
Sulla riva del fiume

La nuova vita “normale” di Formigoni. Senza vitalizi e con i mezzi pubblici.

Scaricato dai suoi, condannato in appello per corruzione, ecco la nuova vita dell’ex Presidente della Regione Lombardia. Certamente non mi impietosisce, soprattutto se penso che tante persone oneste si trovano tutti i giorni a misurarsi con difficoltà personali ed economiche, ma con grande dignità vanno avanti. Ma tornare alla vita “normale”, per un ex politico, come ogni comune mortale non dovrebbe essere una notizia. Invece lo è, perchè sono ancora troppo pochi i politici che abbandonando l’impegno politico e tornando alla loro vita “normale” ritornato ad essere quelli di prima, senza collocazioni di favore, o in qualche consiglio di amministrazione di società pubbliche grazie al “partito”. Facile lasciare la politica con la pensione d’oro, magari senza aver mai lavorato un giorno.

Roberto Formigoni è stato presidente della Regione Lombardia per 18 anni, dominus assoluto di una delle regioni più importanti d’Europa. A settembre è stato condannato in appello per corruzione a 7 anni e mezzo nel processo San Raffaele-Maugeri, per aver favorito, secondo l’accusa, i due enti attraverso delibere di giunta. In cambio avrebbe avuto utilità per più di sei milioni di euro, attaverso l’uso di barche e vacanze pagate. Per Formigoni l’unica colpa sarebbe stata quella di accettare gli inviti in barca dal un suo amico storico. A maggio gli è stata invece sequestrata l’intera pensione. Oggi vive facendo consulenza per alcune società, prende i mezzi pubblici e continua a fare sport. Fanpage è andata a casa sua per incontrare l’ex presidente della Regione Lombardia e farsi raccontare questa nuova fase della sua vita, lontana dal 30mo piano del palazzo della Regione, simbolo degli anni d’oro del formigonismo.

Fonte: fanpage.it (qui)

Immigrazione

Global Compact sulle Migrazioni: Israele dice no, insieme a molti altri

Benjamin Netanyahu ha annunciato il no di Tel Aviv, si aggiunge a Austria, Repubblica Ceca, Polonia, Croazia, Slovenia, Bulgaria, Ungheria, Svizzera e forse Italia.

Per il ‘Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration’, ovvero il Global Compat sulle migrazioni proposto dall’ONU, che dovrebbe essere firmato nella riunione prossimo 10 e 11 dicembre a Marrakech,  prima di essere formalmente approvato con una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu, si annunciano giorni duri. Oggi  Israele si è unito agli Stati Uniti ed al gruppo di Paesi europei che non intendono aderire al patto patto sulle migrazioni.  “Siamo impegnati a difendere i nostri confini contro i migranti illegali questo è quello che abbiamo fatto e continueremo a fare“, ha detto il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu.
Il patto sta creando divisioni in seno all’Unione Europea: l’Austria, la Repubblica Ceca, la Polonia, la Croazia, la Slovenia, la Bulgaria, l’Ungheria e la Svizzera che hanno già indicato che non intendono firmare l’accordo.

Una conferma della stretta che Tel Aviv sta dando all’immigrazione di un Paese sempre più marcatamente ebraico. Oggi, per altro, centinaia di ebrei etiopi sono scesi in piazza ad Addis Abeba per protestare contro la recente decisione del governo israeliano di ammetterne come migranti solo mille: decisione che divide le famiglie di chi è già migrato nello Stato ebraico e contraddice l’impegno israeliano del 2015 di accoglierli. Si stima che in Etiopia siano rimasti circa 8.000 ebrei Falascia. I dirigenti della comunità hanno oggi rivolto un appello agli ebrei etiopi che vivono in Israele a non votare per il Likud, promotore della stretta. “Faccio appello agli ebrei etiopi a pensarci due volte prima di votare il Likud, perché il premier espresso dal partito, Benyamin Netanyahu non sta tenendo fede alla parola data di aiutarci a emigrare in Israele”, ha detto all’agenzia ‘Associated PressNeggousa Zemene Alemu, coordinatore della comunità ebraica per Addis Abeba e Gondar. Gli ebrei in Etiopia lamentano di vivere in povertà, di essere marginalizzati, mentre “Israele la tira per le lunghe invece di venire in nostro soccorso”.

Tornando al Global Compact sulle Migrazioni, anche in Italia, nei giorni scorsi, si è iniziato affrontare il tema con vari pronunciamenti da parte di leader della Lega e di Fratelli d’Italia contro il documento, appelli perché il Governo decida per il no. E considerando la politica che il Governo giallo-verde ha messo in campo in materia di migranti non pare vi siano dubbi sul fatto che l’Italia non arrivi al tavolo della firma in Marocco.

Il Global Compact è patto per la migrazione sicura, ordinata e regolare, come recita il documento stesso, si sottolinea da parte dei sostenitori del documento, che non limita la sovranità di nessun Stato. Altresì, il documento riguarda solo i migranti e non i rifugiati:

I rifugiati sono oggetto di un altro Compact, adottato con un processo diverso. Il Compact on Migration si basa sul principio di distinzione tra migranti e rifugiati. I rifugiati hanno una protezione specifica, prevista dalla Convenzione di Ginevra del 1951, a causa della persecuzione politica a cui sono sottoposti. I migranti, la maggior parte dei quali motivati ​​da motivi economici, non hanno diritto a questa protezione.

Il Patto prevede che gli Stati gestiscano i loro confini in modorispettoso della sovranità e degli obblighi nazionali secondo il diritto internazionale” e “impediscano l’immigrazione irregolare“. Prevista una cooperazione rafforzata per combattere il traffico di migranti e la tratta di esseri umani e per smantellare le reti di contrabbandieri, a beneficio degli Stati e dei migranti.

In nessun modo il Patto crea un diritto alla migrazione’: l’ammissione di cittadini stranieri è prerogativa degli Stati che sono liberi di decidere chi consentire sul loro territorio.

Il Global Compact è un contributo al miglioramento della gestione dei flussi migratori a livello internazionale che coinvolgono i Paesi di origine, transito e destinazione. Basandosi sul principio che nessuno Stato può gestire da solo la sfida della migrazione, mira a incoraggiare una cooperazione rafforzata sulla migrazione, al fine di garantire che non sia gestita in modo disorganizzato. Si basa sul principio della responsabilità condivisa tra paesi di origine, transito e destinazione nella governance dei flussi migratori. I punti chiave del Patto comprendono la cooperazione per evitare morti sulle rotte migratorie e salvare vite umane in mare e altrove, rafforzare la lotta contro il traffico di migranti e traffico di esseri umani e combattere la migrazione irregolare, priorità, queste ultime in particolare, per la politica italiana del nuovo Governo.

Il Global Compact non crea nuovi obblighi. Il principio di sovranità nazionale è esplicitamente enunciato nel testo, è addirittura dato lo status di ‘principio guida’. Inoltre, il Compact non è legalmente vincolante. È quindi impossibile utilizzare il Compact per mettere in discussione la politica migratoria di uno Stato.

Il documento, altresì, è una raccolta di buone pratiche, ‘strumenti politici’, che gli Stati sono incoraggiati ad attuare nell’attuazione della loro politica migratoria.

Al centro del documento, la lotta contro la migrazione pericolosa, disorganizzata e irregolare. Prevede che gli Stati si organizzino per lavorare insieme contro il traffico di migranti e per smantellare le reti di trafficanti. I Paesi sono chiamati a rafforzare i loro arsenali legali per perseguire i contrabbandieri. Le misure previste dal Patto comprendono lo scambio di dati, in particolare tra servizi di intelligence, per combattere meglio i contrabbandieri.

Il Patto stabilisce inoltre il diritto per gli Stati di distinguere tra lo status di migrante regolare e irregolare nell’attuazione della loro politica migratoria. Il documento stabilisce poi l’impegno dei Paesi di origine a cooperare per consentire ai migranti con status irregolare di rientrare e reintegrarsi nel loro Paese: i paesi di origine si impegnano a fornire i documenti necessari per identificare i migranti e ad effettuare il viaggio di ritorno, considerando che spesso è l’assenza di questi documenti che ostacola il loro effettivo ritorno.

I Paesi di origine sono chiamati a monte a garantire un controllo efficace delle loro frontiere e a valle a facilitare il ritorno e il reinserimento dei migranti irregolari. Il testo invita, inoltre, i Paesi di origine a rafforzare i loro sforzi per affrontare le cause profonde della migrazione e lavorare alla repressione delle reti di contrabbandieri.

Fonte: lindro.it (qui)

Economia, Legge di Bilancio, Politica

Salvini rifletti: l’economia sta entrando in recessione e c’è il rischio che la manovra si riveli inadeguata. (di Becchi e Zibordi)

Ogni giorno che passa – bisogna pur dirlo – diminuisce la fiducia di imprenditori e dirigenti, operatori finanziari, artigiani, professionisti e investitori nel M5S. I sondaggi continuano a essere favorevoli più per la Lega che per il M5S, ma comunque – anche questo va detto – danno a entrambi sempre più del 60% del consenso, un consenso di cui pochi governi negli ultimi decenni hanno mai goduto.

Esiste però un altro tipo di consenso, quello del mondo economico, finanziario e imprenditoriale: questo è sempre più debole. Lo si vede dalla frana della Borsa e dei Btp (complessivamente da inizio anno chi avesse avuto 100milain Btp e azioni italiane avrebbe perso 17mila euro), dagli indici di fiducia delle imprese, in caduta brusca.

Dal punto di vista macroeconomico il dato drammatico è il taglio del credito, il bollettino di Bankitalia mostra che il «credito a residenti» (cioè imprese e famiglie) si è ridotto di 80 miliardi, da 2.400 a 2.320 miliardi da marzo. Le stime sulla crescita del Pil nel 2019 vengono riviste in basso quasi ogni settimana e mentre il governo parla di crescita intorno al 1,5% questa settimana la più importante banca americana, JP Morgan, ha drasticamente rivisto la previsione per l’Italia da 1,50% a 0,5%. Possono ovviamente sbagliare

Passando a dati più qualitativi, anche la manifestazione di Torino pro-Tav è il sintomo dell’opposizione crescente dei ceti professionali e imprenditoriali al M5S. Molta di questa gente al Nord votala nuova Lega di Salvini, ma ogni settimana che passa è sempre più sfiduciata riguardo la gestione della nostra economia. In termini economici in sei mesi il governo ha fatto pochino. La riduzione di tasse, «flat» o meno, è in pratica limitata alle «partite Iva» e le pensioni a 62 anni (revisione della “Fornero”) e il reddito di cittadinanza sono tuttora avvolte nel mistero su come e quando arriveranno.

Il deficit previsto dalla manovra è in realtà modesto, un 2,4% del Pil esattamente come accadeva sotto Renzi, ma nelle mani di Di Maio, Salvini, Conte e Tria è diventato un casus belli con la Ue e ha mosso i mercati (in basso). Le gaffe nei discorsi e dichiarazioni sono irrilevanti, se si guarda alle decisioni prese però non si può non constatare il caos della gestione del crollo del Ponte Morandi a Genova, il tentativo di cancellare la prescrizione, che Salvini ha cercato intelligentemente di parare, una finanziaria del 2,4% di deficit, rivolto però in prevalenza a pensioni e reddito per chi non lavora. Tutte cose che sono importanti, ma di poco aiuto per imprenditori, artigiani, professionisti.

Da parte degli avversari del governo, l’opinione che comincia a farsi strada è che conviene lasciare cucinare il governo nel suo brodo: l’economia andrà in recessione e il 60% e rotti di consenso di cui gode svanirà sotto il peso di una nuova crisi economica. Questo rischio è concreto perché, come abbiamo scritto su questo giornale, la congiuntura globale sta rallentando bruscamente, la Bce finisce (salvo ripensamenti) da dicembre di stampare moneta per comprare debito e i sintomi di recessione in Italia aumentano di giorno in giorno, anche a causa del calo della fiducia delle imprese.

Salvini dovrebbe riflettere sul fatto che il problema non è il deficit in sé, ma lo diventa se viene usato solo per pensionare dipendenti pubblici, pagare redditi a chi non lavora, lasciando poi cheilM5S renda più complicatala vita alle imprese e faccia, grazie a Toninelli, un gran casino nei lavori pubblici. Se la congiuntura economica fosse ancora favorevole Salvini potrebbe aspettare aumentando ancora i consensi per la Lega. Ma stiamo andando in recessione e gli italiani che fanno buste paga, producono fatturati e investono sono sempre più pessimisti. La Lega dovrebbe allora differenziarsi proponendo per il futuro qualcosa che vada oltre la legge di bilancio e che inverta il trend del pessimismo dei ceti produttivi. Che cosa si può fare lo scriveremo nel prossimo articolo.

Fonte: liberoquotidiano.it (qui) – Articolo di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi

Decadenza, Territorio bresciano

Brescia Ovest. Installato nel 1964, crolla parte del monumento dell’autostrada A4.

Centomila veicoli che passano ogni giorno in quel tratto, eppure nessuno si era ancora accorto del pericolo incombente: una delle guglie del monumento ai caduti dell’autostrada A4, che svetta all’altezza del casello di Brescia Ovest, direzione Venezia, si è spezzata. Ora è lì penzolante e andrebbe rimossa al più presto: la struttura, alta 36 metri, è ricoperta da lastre di ferro e necessita a questo punto di una verifica generale delle condizioni di stabilità. Vederla così, a pochi metri dall’autostrada è poco rassicurante.

Impossibile stabilire quando sia avvenuto il crollo parziale, ma non è da escludere che sia legato al vento e alle piogge che lunedì 29 ottobre hanno sferzato il nord Italia, Brescia compresa.

Il monumento venne eretto nel 1964 in ricordo delle 6 persone morte durante la realizzazione dell’autostrada A4: Angelo Colombo (contitolare dell’impresa costruttrice di un tratto della autostrada), Bettino Cava, Giacomo Licini, Luigi Minotti, Abramo Motta e Giuseppe Motta. L’altezza, trentasei metri, corrisponde al numero degli anni di Colombo quando venne investito e ucciso da un’auto il 24 dicembre 1962. Con le sue sei punte bene evidenti, da cinquant’anni costituisce uno dei riferimenti visivi per chi viaggia. E ormai ci si è fatta l’abitudine, tanto da non notare il danno evidente.

Fonte: giornaledibrescia.it (qui)

Europa vs Stati, Politica

“Mercanti di tappeti”, “Non siamo accattoni”. È scontro tra Moscovici e Salvini. E poi “spegne” il dialogo: “Bruxelles ha rotto le scatole”

Conte prova a mediare ma il Commissario Ue insite: “Non sono Babbo Natale”. Il ministro: “Basta insulti: pazienza finita”.

Continua lo scontro a distanza tra Pierre Moscovici e Matteo Salvini. Uno scontro fatto di accuse e dichiarazioni al vetriolo, con la manovra italiana sullo sfondo.

E se Conte, Tria e Di Maio sembrano essere pronti ad aprire una finestra di dialogo con l’Europa dopo la bocciatura della manovra, il ministro dell’Interno pare continuare a tenere alto lo scontro.

Da Uno Mattina il segretario del Carroccio aveva già replicato a Moscovici, mantenendo tuttavia toni abbastanza pacati. “Mi dicono dall’Europa che non posso smontare la Fornero? Io porto rispetto ma viene prima il diritto al lavoro e alla pensione degli italiani – aveva spiegato – L’unica cosa che l’Europa non può chiedermi è di lasciare immutata la legge Fornero, ho visto quanta sofferenza ha causato agli italiani”. Davanti alle telecamere il ministro dell’Interno aveva assicurato di non voler “litigare con nessuno”, ma se deve scegliere “tra Bruxelles e gli italiani la scelta è facile”. “Chiedo rispetto per il popolo italiano, che dà ogni anno 5 miliardi a Bruxelles – aveva chiosato il leghista – Sulle manovre del passato non hanno avuto nulla da eccepire e il debito è aumentato di 300 miliardi”.

Ma i toni tutto sommato “pacati” della mattina si sono trasformati in scontro a viso aperto nel primo pomeriggio. A far scattare la reazione del ministro dell’Interno è la frase pronunciata da Moscovici e riportata dal Corriere della Sera. Mentre Conte continuava a ripetere che “siamo responsabili” e che non c’è alcuna “ribellione” dell’Italia a Bruxelles, da Moscovici (che però continua a parlare di “dialogo”) arrivava una netta chiusura a “trattative” con Roma: “Con l’Italia possiamo avere un accordo sulle regole, avvicinarci a queste regole, ma non può esserci una trattativa da mercanti di tappeti”, ha affermato al Parlamento francese. “Ho evocato il rischio italiano come un rischio per la crescita, per la coesione della zona euro, per il paese stesso. Con una volontà politica assoluta della Commissione, a partire da me stesso, di non provocare, di non accettare una crisi tra Roma e Bruxelles. Abbiamo bisogno dell’Italia per quello che è, un paese fondatore della comunità europea e cuore della zona euro”.

Dura la replica di Salvini: “Il popolo italiano non è un popolo di mercanti di tappeti o di accattoni. Moscovici continua a insultare l’Italia, ma il suo stipendio è pagato anche dagli italiani. Ora basta: la pazienza è finita”.

Fonte: ilgiornale.it (qui)

Affari, Giustizia, Politica, Stampa

Chiusa l’indagine su Roberto Napoletano, ex direttore del Sole 24 ore: “Alterò il prezzo del titolo in Borsa”

Indagati anche l’ex a.d. Treu e l’ex presidente del cda Benedini. Nel mirino le notizie che riguardavano: “Andamento del dato diffusionale del quotidiano e i ricavi”.

Roberto Napolitano, ex direttore de Il Sole 24 ore, è indagato per false comunicazioni sociali nell’ambito dell’inchiesta sui conti del gruppo editoriale. La procura di Milano gli ha notificato un avviso di chiusura delle indagini. Oltre all’ex direttore sono indagati per lo stesso reato l’ex amministratore delegato del gruppo Donatella Treu e l’ex presidente del cda Benito Benedini. Contro tutti e tre anche l’accusa di manipolazione del mercato.

Per i pm i tre indagati diffondevano notizie false sulla situazione economica e finanziaria del ‘Sole 24 Ore spa’ idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo del titolo, quotato alla Borsa Italiana”. Queste notizie, si legge nell’avviso di chiusura delle indagini, avevano come oggetto “in particolare l’andamento del dato diffusionale del quotidiano e i correlativi ricavi”.

Stralciata la posizione di altri sette indagati accusati di appropriazione indebita. Per loro si profila una richiesta di archiviazione.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

Europa vs Stati, Politica

Brexit, Farage: “L’Unione Europea si comporta come la Mafia con la Gran Bretagna”.

Era il 5 Aprile 2017. Al Parlamento Europeo si discute di Brexit e il leader dell’Ukip Nigel Farage attacca l’Unione Europea: “Con il Regno Unito si sta comportando come la mafia”, ha detto prima di essere interrotto dalle proteste di altri deputati presenti in Aula. A intervenire per riportare la calma il Presidente del Parlamento UE Antonio Tajani, che rivolgendosi a Farage ha detto: “Le sto garantendo di parlare liberamente, ma non posso accettare che si paragoni l’Unione Europea alla mafia“. Pronta la replica del leader Ukip: “Presidente, so che quando si parla di criminali ci sono sensibilità particolari”.

Europa vs Stati, Politica

Manovra, Conte: “Raccomandazioni Ue sono incompatibili con la crescita”

“Non abbiamo accolto le raccomandazioni” della Commissione europea” perché “non compatibili con il nostro disegno di politica economica, più orientato alla crescita che non all’austerità“. Così il premier Giuseppe Conte, alla Camera, ha spiegato le ragioni dello scontro tra Roma e Bruxelles, riferendo sulla manovra e sulla replica del governo italiano all’Ue. L’esecutivo gialloverde potrà inviare all’Europa le sue “controdeduzioni” e trasmetterà “una replica ben articolata ed esaustiva allo scopo di illustrare i programmi e le decisioni”, ha promesso il presidente del Consiglio in Aula. “Puntualizzeremo gli effetti della manovra sulla crescita”, ha spiegato.

“L’Eurogruppo di luglio aveva chiesto all’Italia” di “contenere la crescita primaria entro lo 0,1%. Secondo l’opinione della commissione il documento mandato dall’Italia prevede un deterioramento dello 0,9%allontanando il Paese dal conseguimento nel medio termine che garantisce l’equilibrio di bilancio”, afferma Conte nel corso dell’informativa alla Camera. Quindi, nella risposta all’Ue l’Italia ribadirà e puntualizzerà che “ci sarà un’accelerazione degli investimenti e una rimodulazione in Parlamento di alcuni interventi, se possono accrescere gli effetti positivi sulla crescita senza alterare ratio e contenuti”.

La manovra, ribadisce Conte, non cambia. E il premier rafforza anche il concetto che le politiche economiche e le riforme che il governo italiano sta mettendo in campo sono “perfettamente in linea con le raccomandazioni” giunte dall’Ecofin. Lo ha puntualizzato il premier, Giuseppe Conte, riferendo alla Camera sulla manovra. Conte ha citato le dismissioni immobiliari, le semplificazioni, la riforma dell’insolvenza e “lo stretto monitoraggio della spesa allo scopo garantire rispetto assoluto rapporto deficit-Pil”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)

Brexit, Politica

Brexit, Farage: “Il peggio accordo della storia”. E sulla May: “non solo la peggiore premier mai vista ma forse anche la piu’ disonesta”.

Dopo una riunione fiume durata quasi sei ore, stasera la premier britannica May ha strappato un sì dei suoi ministri sulla bozza tecnica di accordo con l’Europa sulla Brexit. Le discussioni sono state molto complicate: i ministri euroscettici a un certo punto avrebbero iniziato a organizzare un voto di sfiducia per May.

Intanto lo scoglio al passaggio dell’accordo è in Parlamento, che dovrà ratificare o meno, quanto mai diviso. Su tutto grava l’onere stratosferico di 40 miliardi di sterline da versare all’Unione europea.

Secondo il Daily Mail i pro-Brexit hanno avvertito la premier che ha “i giorni contati”, mentre per il Telegraph May dovrà affrontare un duro contraccolpo nella riunione di oggi. May farà presente che l’accordo ormai è un “prendere o lasciare” e spiegherà di aver evitato “l’annessione dell’Irlanda del Nord all’Ue”, quindi che si tratta di “un buon accordo”. Secondo il Daily Mail, però, a Downing Street ci si prepara anche per l’opzione peggiore, le dimissioni di May.

L’ex leader dell’Ukip, Nigel farage, ha attaccato la bozza di accordo raggiunto dalla premier britannica Theresa May con Bruxelles per l’uscita di Londra dall’Ue, definendolo “il peggiore nella storia”. “Stiamo dando via 40 miliardi di sterline in cambio di nulla. Ancora intrappolati nelle regole dell’Unione Europea, resta la libera circolazione delle persone, resta un tribunale straniero che ha voce in capitolo sul nostro Paese. Nulla e’ stato realizzato se non regalare un’enorme somma di denaro”, ha commentato con il programma ‘Good Morning Britain’ dell’emittente Itv. Farage, tra i piu’ accesi sostenitori della Brexit, non ha risparmiato attacchi alla May, “non solo la peggiore premier mai vista ma forse anche la piu’ disonesta”. Da qui, il suo appello a “sbarazzarsi di lei, mettere qualcun altro”. Quanto al futuro, Farage e’ convinto che “il gabinetto collassera’, come il Parlamento”.

Fonte: Ansa, HuffingtonPost

Economia, Good News

Melegatti, 35 dipendenti a lavoro da oggi: marchio e pandori “salvi”

L’azienda è ufficialmente di proprietà della famiglia vicentina Spezzapria, che ha rilevato e vuole ora rilanciare lo storico marchio dolciario italiano, che rischiava di scomparire definitivamente: 13,5 milioni di euro il costo d’acquisto.

Ha riaperto oggi la Melegatti, storica azienda veronese, il cui fondatore 124 anni fa inventò il pandoro. Da ieri, dopo la conclusione delle operazioni di cessione, la Melegatti è ufficialmente di proprietà della famiglia vicentina Spezzapria, che ha rilevato e vuole ora rilanciare lo storico marchio dolciario italiano, che rischiava di scomparire definitivamente: 13,5 milioni di euro il costo d’acquisto dell’azienda veronese.

La riapertura dello stabilimento veronese ha visto l’ingresso dai cancelli questa mattina di 35 dipendenti a tempo indeterminato, per lo più ex lavoratori dello storico marchio, ai quali seguiranno nei prossimi mesi ulteriori assunzioni, per assicurare la produzione del famoso pandoro (e del panettone), già per il prossimo Natale e della colomba Melegatti per la Pasqua 2019.

La società “Sominor srl” si è trasformata in “Melegatti 1894 Spa” e sono stati formalizzati gli incarichi all’interno del consiglio di amministrazione. Giacomo Spezzapria è il presidente della Melegatti e Denis Moro è l’amministratore delegato. La Melegatti d’ora in poi fa parte di un gruppo alimentare assieme a tre società di packaging, la vicentina “Eriplast”, la trentina “Fucine Film” e la modenese “Albertazzi G.”.

L’integrazione verticale della filiera alimentare consentirà economie di scala e ampliamento di competenze. “Terminate le procedure di acquisto da oggi saremo ancor più concentrati sul ritorno del tradizionale pandoro e panettone Melegatti sulle tavole degli italiani. Abbiamo puntato molto sullo sviluppo del territorio e sulla valorizzazione delle sue competenze. Ora la nostra presenza a Natale sarà importante perché dimostra la concreta volontà di ripartire con la tradizione, la qualità e il prestigio di un marchio dolciario unico in Italia e nel mondo” aveva dichiarato ieri Giacomo Spezzapria.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)

Economia, Mafie

Mafia e ‘ndrangheta si spartivano il mercato del gioco online: 68 arresti e sequestri per un miliardo di euro

Le mafie si sono spartite e controllano il mercato della raccolta illecita delle scommesse on line. È quanto emerso al termine di tre diverse indagini delle procure di Bari, Reggio Calabria e Catania, coordinate dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo che hanno portato all’arresto di 68 persone e al sequestro di beni in Italia e all’estero per oltre un miliardo. Il volume delle giocate, riguardanti eventi sportivi e non, scoperto dagli investigatori di Guardia di Finanza, Polizia e Carabinieri, è superiore ai 4,5 miliardi.

I destinatari dei provvedimenti cautelari sono tutti importanti esponenti della criminalità organizzata pugliese, reggina e catanese, oltre a diversi imprenditori e prestanome. Guardia di Finanza, Polizia, Carabinieri e personale della Dia stanno inoltre eseguendo una ottantina di perquisizioni in diverse città.

I reati contestati, a vario titolo, vanno dall’associazione mafiosa al trasferimento fraudolento di valori, dal riciclaggio all’autoricilaggio, dall’illecita raccolta di scommesse on line alla fraudolenta sottrazione ai prelievi fiscali dei relativi guadagni.

Dalle indagini è emerso che i gruppi criminali si erano spartiti e controllavano, con modalità mafiose, il mercato delle scommesse clandestine on line attraverso diverse piattaforme gestite dalle stesse organizzazioni. Il denaro accumulato illegalmente, il cui percorso è stato monitorato dalla Guardia di Finanza, veniva poi reinvestito in patrimoni immobiliari e posizioni finanziarie all’estero intestati a persone, fondazioni e società, tutte ovviamente schermate grazie alla complicità di diversi prestanome. E proprio per rintracciare il patrimonio accumulato ed effettuare i sequestri è stata fondamentale la collaborazione di Eurojust e delle autorità giudiziarie di Austria, Svizzera, Regno Unito, Isola di Man, Paesi Bassi, Curacao, Serbia, Albania, Spagna e Malta.

Le nuove mafie hanno bisogno di “quelli che cliccano, che movimentano” i soldi facendoli transitare da un Paese all’altro senza lasciar traccia delle transazioni online, non di quelli che fanno “bam bam”, cioè di quelli che sparano.

A confermare il cambio di mentalità delle organizzazioni criminali è uno degli indagati nell’indagine di tre procure che ha portato all’arresto di 68 persone appartenenti a gruppi mafiosi che si erano spartiti il mercato online delle scommesse clandestine, intercettato dalla Guardia di Finanza mentre spiega quale sia la strategia giusta da attuare. “Io cerco i nuovi adepti nelle migliori università mondiali – lo sentono dire i finanzieri – e tu vai ancora alla ricerca di quattro scemi in mezzo alla strada vanno a fare così: ‘bam bam!'” “Io invece – aggiunge l’uomo – cerco quelli che fanno così: ‘Pin pin!!’. che cliccano, quelli che cliccano e movimentano. È tutta una questione di indice, capito?”.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

Mafia, Politica

‘Ndrangheta, 24 arresti a Lamezia Terme. L’ex sottosegretario Giuseppe Galati ai domiciliari.

Dodici indagati sono finiti in carcere e altri dodici agli arresti domiciliari. Nell’inchiesta, coordinata dal procuratore Nicola Gratteri e dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla, sono coinvolti anche funzionari pubblici legati al mondo della sanità. Sequestrati dieci milioni di euro. I clan conoscevano in anticipo quali pazienti stavano per morire e imponevano i loro servizi di onoranze funebri.

“Oh! Grande compare mio, ma poi sei andato a Catanzaro? Non mi hai fatto sapere niente”. “No, io poi ti avevo chiamato ed ero andato a Catanzaro… si sono andato, ci ho parlato”. “Tutto a posto, si!”. “Diciamo di si”. A parlare sono l’ex deputato di centrodestraGiuseppe “Pino” Galati e il consigliere comunale di Lamezia Terme, Luigi Muraca. La guardia di finanza li ha intercettati entrambi. Galati e Muraca, infatti, sono due delle 24 persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro.

Nelle carte dell’operazione “Quinta Bolgia” vengono definiti gli intermediari grazie ai quali le aziende legate alle cosche avevano il monopolio di molti servizi all’interno dell’ospedale di Lamezia Terme. A partire da quello delle ambulanze sostitutive al servizio pubblico, ma anche delle imprese che si occupavano delle onoranze funebri, della fornitura di materiale sanitario e del trasporto sangue.

Dentro l’ospedale di Lamezia potevano lavorare solo aziende legate alla cosca Iannazzo-Daponte-Cannizzaro, riconducibili alla famiglia mafiosa Giampà, che tramite i due politici erano riusciti ad ottenere l’appalto delle ambulanze nel 2010. Un appalto per un anno che, però, senza alcun bando pubblico, è stato prorogato fino al 2017.

Tutto grazie al politico locale Luigi Muraca, consigliere comunale fino allo scioglimento per mafia avvenuto l’anno scorso, e all’ex deputato Pino Galati, parlamentare dal 1996 al 2018: candidato con la lista Noi con l’Italia al Senato, alle ultime politiche non è stato rieletto. Nella sua carriera, Galati ha ricoperto anche incarichi di governo: è stato, infatti, più volte sottosegretario quando a Palazzo Chigi sedeva Silvio Berlusconi e segretario dell’ufficio di presidente della Camera dei Deputati. Nel 2010, inoltre, è stato vicepresidente della Commissione per le questioni economiche e dello sviluppo del Consiglio d’Europa oltre che sottosegretarioall’Istruzione.

Condotta dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza di Catanzaro e dallo Scico di Roma, l’indagine ha dimostrato come l’ospedale di Lamezia era di fatto occupato militarmente dalla ‘ndrangheta attraverso i gruppi Putrino e Rocca, veri e propri mattatori di appalti. Per l’accusa agivano sotto l’egida di Vincenzo Torcasio, boss dei Giampà, che in un’intercettazione conferma tutti i sospetti della procura: “Compà – dice inconsapevole di essere intercettato – Pugliese, il direttore amministrativo di Catanzaro, lo abbiamo messo noi”. Con lui c’era il consigliere Luigi Muraca e l’imprenditore Pietro Putrino che ribatte: “Ce l’ha messo Galati”. “E non lo so?” Se ce l’ha messo Pino?” “Ci chiami e gli dici che vado io domani”. “Gli dico: ‘deve andare lo zio Pietro là che deve parlare con Pugliese”. Secca la risposta del boss: “E si deve risolvere questo problema”.

Il problema alla fine è stato risolto. Come scrive la guardia di finanza: “Il gruppo Putrino ha continuato ad operare all’interno dell’ospedale di Lamezia Terme in assenza di una gara formale”. Nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip scrive che “i due personaggi ‘politici’ sono il necessario trait d’union tra i Putrino e gli esponenti apicali dell’Asp di Catanzaro, senza il cui interessamento non sarebbe stato possibile ottenere gli illeciti vantaggi”.

Ai domiciliari sono finiti anche l’ex direttore generale del’Asp Giuseppe Perri, l’ex direttore amministrativo Giuseppe Pugliese e il responsabile del Suem 118 Elieseo Ciccone. Tutti sono accusati di numerosi episodi di abuso d’ufficio. L’intreccio tra ‘ndranghetae sanità pubblica ha danneggiato soprattutto gli utenti dell’ospedale di Lamezia Terme dove venivano utilizzate ambulanze fatiscenti che non avevano nemmeno i requisiti tecnici per circolare. Alcuni mezzi, infatti, erano senza freni e con i motori danneggiati. Per non parlare dell’ossigeno scaduto che veniva somministrato ai malati soccorsi da personale non autorizzato e senza alcuna preparazione medica.

Grazie ad accordi corruttivi con i tre dirigenti dell’Asp catanzarese, il sodalizio criminale aveva ottenuto le certificazioni di qualità richieste per l’affidamento del servizio autoambulanze sulla base di una semplice verifica documentale, senza le necessarie operazioni di riscontro fisico dello stato dei mezzi, delle dotazioni e delle strutture aziendali. I due gruppi imprenditoriali avevano instaurato un regime di sottomissione del personale medico e paramedico. Basta pensare che le chiavi di alcuni reparti erano custodite dalle ditte mafiose e non dai medici che dovevano lavorare in quei reparti.

Per esempio, le ditte Putrino e Rocca avevano libero accesso al deposito farmaci dedicato alle urgenze del pronto soccorso, situazione questa ben nota alla dirigenza dell’azienda sanitaria. Le imprese della ‘ndrangheta, inoltre, avevano le password per accedere ai dati sensibili dei pazienti e verificare le loro condizioni di salute. Questo serviva alle imprese del clan di conoscere in anticipo quali pazienti stavano per morire in modo da poter imporre i loro servizi di onoranze funebri.

Nel corso della conferenza stampa, il procuratore Nicola Gratteriha spiegato il coinvolgimento dell’ex parlamentare Pino Galati: “Durante le indagini abbiano ricostruito diversi incontri tra il politico e gli altri arrestati. A un certo punto si accorge di essere pedinato e a Roma denuncia che ha paura per la sua vita e quindi chiede di sapere cosa sta accadendo. Si è accorto che l’indagine la stava conducendo la guardia di finanza”. “Dall’inchiesta emerge un quadro inquietante. Si esercitavano le funzioni pubbliche in modo corrispondente agli interessi privati”, ha dichiarato il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla. “C’erano servizi – ha sottolineato il generale Alessandro Barbera, comandante dello Scico – che venivano eseguiti in maniera indegna di un paese civile”.

Sulle ambulanze fatiscenti, Gratteri non vuole sentire alibi: “Era una questione di calcolo. Loro sapevano che non avevano concorrenti quindi potevano usare anche un calesse. Questa  è un’indagine che ci lascia più tristi del solito. Pensare che c’è gente spregiudicata che vive nell’agiatezza lucrando sui morti, sui funerali. C’era una sorta di racket. Imponevano la propria agenzia con il coinvolgimento di impiegati dell’ospedale che sostanzialmente regolamentavano anche i tempi di consegna del cadavere per dare tempo a queste agenzie di imporre il loro carro funebre. Questo è abbastanza triste e agghiacciante. Quando parliamo dei vertici dell’Asp, sono funzionari che non agiscono per stato di necessità. Hanno uno stipendio che gli consentiva di vivere bene e non c’è nessuna giustificazione per poter aderire a richieste seppur di gente mafiosa o borderline”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)

Altaitalia, Economia, Imprese, Microimprese, Politica

Lega, occhio al Nord.

Nel tessuto produttivo del polmone elettorale leghista, inizia a serpeggiare qualcosa di più del malumore per il governo del “non cambiamento”.

Milano, 18 ottobre 2018. Teatro alla scala. È nel tempio della lirica che quello che sembrava un’opera impeccabile improvvisamente si spezza. In platea ascoltano un tenore molto particolare. Si chiama Carlo Bonomi, di mestiere, tra le altre cose, fa il presidente di Assolombarda. Suona uno spartito per qualcuno a Roma cacofonico: “Il governo del cambiamento non ha prodotto una manovra di vero cambiamento. Tutti comprendiamo che il dividendo che si ricerca è quello elettorale, non quello della crescita”. Crack.

Nella capitale drizzano le orecchie. Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti che si accorgono che è un momento di cesura. L’associazione che raccoglie le imprese di Milano, Lodi e Monza Brianza è considerata una sorta di polmone verde del consenso della Lega nel profondo Nord. Un polmone che sembra ora avviluppato dall’asma.

C’è una narrazione che vede il governo gialloverde come un ente indissolubile, che tra scontri, armistizi e sprazzi di serenità muove le proprie pedine all’unisono nel grande risiko d’Italia. Ma c’è un secondo livello di lettura, nel quale il Carroccio è pur sempre un prodotto del centrodestra italiano, con una propria specificità territoriale nonostante il dilagare verso il sud del paese, che malgrado il vento in poppa dei sondaggi sta vedendo crescere un blocco coeso di opposizione interna, composto da quegli stessi tessuti produttivi che sono stati il volano del boom elettorale.

“Il ministero dello Sviluppo economico il grosso del lavoro continua a farlo con Confindustria e le grandi imprese. Qui serve un ministero per le piccole e medie imprese, gliel’ho detto a Salvini”. A parlare è Paolo Agnelli. Non proprio uno qualunque. Guida Confimi, la Confederazione dell’Industria Manifatturiera Italiana e dell’Impresa Privata. Non vi dice niente? Mettetela così: Rappresenta circa 34 mila imprese per 440 mila dipendenti con un fatturato aggregato di 71 miliardi di euro, il valore di due leggi di bilancio. Il leader della Lega coccola quello che sa essere un rapporto fondamentale. Lo scorso 15 ottobre è volato all’assemblea generale dell’associazione, delegando a Giorgetti la presenza a un fondamentale vertice a Palazzo Chigi. Ha incassato le critiche, ha sdrammatizzato: “Io quest’uomo lo amo”. Perché sa che c’è qualcosa che non va.

“Il 99,5% del mondo produttivo italiano è rappresentato dalle Pmi – spiega Agnelli – fatturano 2mila miliardi all’anno. Non c’è attenzione a tutto quello che le circonda”. Il grande elefante nel salotto è l’alleanza con il Movimento 5 stelle. Tra i corridoi di Confindustria lombarda i dirigenti guardavano sbigottiti i flash delle agenzie che battevano la notizia di Luigi Di Maio alla guida del Mise. “Quando vengono a parlare con noi, i 5 stelle ci guardano come marziani – spiega ad Huffpost uno di loro – noi li consideriamo incompetenti. Con la Lega invece si parla lo stesso linguaggio”. Raccontano che il presidente degli industriali lombardi, Marco Bonometti, si senta tradito: “È furibondo. E dire che lui è sì un uomo di destra, ma è anche molto pragmatico. Matteo Renzi è andato da lui quando gli serviva. Eppure la deriva di politiche economiche e del lavoro che sta mettendo in campo il governo li ha completamente bypassati”.

Il primo scricchiolio è arrivato in autunno, con la lettera dei 600 imprenditori veneti contro il decreto dignità. Ne abbiamo raggiunto uno, è tranchant: “Per due barconi in meno Salvini ci abbandona. Noi da anni facciamo fatica a investire, a innovare, ad andare all’estero. E non arriva nessun investimento per le imprese in difficoltà, mentre i soldi vanno ai disoccupati meridionali”.

Gianluca Tacchella è l’amministratore delegato di Carrera jeans, piedi e radici piantate dagli anni ’60 nella pancia del Veneto. “L’economia la fanno le aziende, la mettono in moto le aziende, non lo stato. Se mi dici che crei pil facendo debito pubblico, facendo il reddito cittadinanza è una scemenza. I soldi che dai ai milioni di cittadini che prenderanno il reddito poco c’entra con il pil”. Risponde dalla macchina, mentre solca la nebbiolina serale della padana. Il suo tono è un misto di combattività e rassegnazione: “Non vedo nulla per le aziende. Cosa penso della legge di bilancio? Prendo solo atto che abbiamo perso ulteriore occasione per fare qualcosa per le pmi. Sono molto deluso, ogni volta si fa una manovra e ci trascurano. E ogni anno è tempo che si perde, quindi va sempre peggio”. Poi mette giù in chiaro una cosa che tanti come lui pensano ma non hanno il coraggio di mettere nero su bianco: “Non voglio dare giudizi politici specifici. Ma come sempre abbiamo chi elettoralmente promette di fare grandi cose e poi non fa niente”.

Quando Giorgetti e il viceministro dell’Economia Massimo Garavaglia tornano nella provincia verde si sentono sempre più spesso dire la stessa cosa: “Vi abbiamo dato fiducia, basta seguire i 5 stelle”. Antonio Calabrò, vicepresidente di Assolombarda, ha tirato una bordata alla compagine di Luigi Di Maio non più di qualche giorno fa. “Le piccole imprese italiane contro le grandi… Le strutture produttive diffuse sui territori contro i “poteri forti” e i “salotti buoni”… Le fabbrichette contro le multinazionali… – ha scritto su Huffpost – Chi non conosce affatto il tessuto industriale italiano usa questi schemi fuori dalla realtà per provare a riscrivere politiche industriali, come si pensa in ambienti di governo a proposito dei contenuti della manovra a sostegno delle imprese”.

Un imprenditore lombardo spiega la reazione tipo dei vertici leghisti a queste critiche: “Ti allargano le braccia e ti dicono il quadro politico è questo, che possono farci poco. Quando gli dici che ci si augura che duri il meno possibile sorridono”. La perplessità delle prime settimane si sta trasformando in rabbia e sconcerto. Perché la Lega sta velocemente dilapidando il patrimonio di stima che quel mondo aveva nei suoi riguardi. “La parte larga tessuto imprenditoriale in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna ha votato Carroccio – ci spiega un dirigente confindustriale veneto – Forte della considerazione che amministrando sono stati bravi, di una straordinaria concretezza. Della Lega ci si fida, si parlano linguaggi analoghi”. Da qui nasce l’irritazione: “Ora li vediamo comportarsi diversamente. Devono tornare a fare la Lega dei territori”.

Il patrimonio di credito acquisito si sta erodendo ma non è ancora del tutto evaporato. Spiega uno dei vertici di Confindustria Lombardia: “Con i 5 stelle è diverso. Li riempiamo di carte e documenti, ma numeri e fatti non li riguardano”. In tanti citano come unica eccezione Stefano Buffagni, sottosegretario lombardo in quota M5s al ministero degli Affari Regionali, un passato al Pirellone. Troppo poco. Per capire qual è la cifra leghista che fa presa da quelle parti basta citare un episodio. Quando Agnelli ha incontrato Salvini gli ha chiesto di poter approfondire il tema in un colloquio a Roma. Bene, la settimana dopo era in agenda, ha preso un aereo e ha incontrato il vicepremier. È questo che ha reso la Lega benvoluta nel profondo Nord. Questo, insieme al fatto che dgli incontri seguiva un’immediata operatività. Che ora sta venendo a mancare.

Luca Scordamaglia non è solo il presidente di Ferderalimentare, ma anche l’amministratore delegato del gruppo Cremonini, colosso nel campo delle carni, un impero che tra i suoi marchi comprende Manzotin, Chef Express e Roadhouse. “Non penso che il decreto dignità abbia portato alla creazione di posti di lavoro, ma nemmeno alla loro scomparsa – spiega – Il vero rimprovero è non aver sburocratizzato un sistema in cui vige l’assenza di flessibilità e politiche attive. Le faccio un esempio: il 33% di tecnici specializzati cercati nel nord non si riescono a coprire”. Il Ceo è tra i pochi a non vedere nero sul reddito di cittadinanza. Ma con dei caveat dirimenti: “Se non si parlerà di limite geografico per l’accettazione delle offerte di lavoro, che francamente non ha senso, se si parlerà di detrazione per chi assume, allora avrà una valenza diversa, avvicinandosi agli strumenti inclusivi che esistono in Germania e nelle socialdemocrazie”. Il punto cruciale è sugli investimenti: “Quelli pubblici sono fondamentali, 3 miliardi l’anno mi sembrano un po’ pochini. Ben venga per esempio lo sblocco del Tap, fondamentale per la diversificazione nel nostro paese”.

Le grandi opere e le infrastrutture sono un altro nodo dolente. La piazza dei sì-Tav stracolma di gente a Torino è un segnale chiarissimo. Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi Consulenti del lavoro, spiega: “Un imprenditore veneto ha bisogno di una rete viaria funzionante e che lo leghi all’Europa. Così rendiamo paese competitivo e creiamo lavoro. Penso a Tav e alla Pedemontana, per esempio. Se si fermano investimenti e infrastrutture siamo un paese bloccato”.

Un tema che si lega a quello del lavoro. Perché il già citato decreto dignità, tanto voluto da Di Maio, è un vero e proprio nodo dolente per la Lega e la sua ricerca di consenso in quel mondo. Agnelli su questo ci va giù durissimo: “Non è la legge che ci fa assumere a tempo indeterminato, ma le commesse che riceviamo. Se non ho lavoro prendo uno per un anno e vediamo come si muovono le cose. A me non interessano i contributi e gli sgravi, chi se ne frega, io voglio il lavoro”. Flavia Frittelloni, area Politiche del Lavoro e Welfare della Confcommercio di Roma, su questo è stata drammaticamente chiara in un incontro pubblico di qualche giorno fa: “In questo caos normativo e soprattutto dopo il reinserimento delle causali il mio consiglio agli imprenditori che ci chiedono lumi purtroppo è uno solo: fate contratti di soli 12 mesi”. Due suoi colleghi di due grandi città del nord non vogliono essere citati, ma la risposta è sostanzialmente la stessa: “È la stessa cosa che stiamo facendo noi, non c’è altra soluzione”.

I dirigenti leghisti girano il nord a spiegare che una risposta sarà la riforma della legge Fornero, che ai tanti pensionati corrisponderanno migliaia di nuovi assunti. Tacchella, che a breve farà i conti con il ricaduto empirico dell’enunciato, è scettico: “Tanti non saranno sostituiti. C’è sicuramente bisogno di ricambio. Ma non sarei sicuro che a un pensionato corrisponderà un giovane. Se oggi avessi bisogno di un modellista non potrei assumerlo, perché in Italia la professione non esiste più. Stiamo sbalinando. Non trovo uno nel tessile, sono sparite le scuole”.

L’ad di Carrera jeans fa un esempio che più chiaro non si può delle risposte che non stanno arrivando dal partito del “prima gli italiani”: “Zalando sta per aprire a Verona 100mila metri quadri magazzino perché vuole conquistare il mercato. Darà lavoro a magazzinieri e autisti. E il comune lo glorifica”. Per lui è una prospettiva distopica: “Per trecento magazzinieri e altrettanti autisti, manodopera di basso livello e di basso costo, non si sa quanti professionisti del settore chiuderanno. Mi dica lei se è un modello di sviluppo”.

La città di Romeo e Giulietta è un paradigma. Lì il centrodestra ufficiale ha sconfitto al ballottaggio il centrodestra alternativo di Flavio Tosi. Nonostante ciò anche su quei lidi lo scontento sta iniziando ad aver presa. Perché in manovra per quella galassia ci sono le briciole, mentre servivano soldi veri. Agnelli, bergamasco, mette in fila un po’ di dati: “Per noi il costo energia rispetto a quello europeo è dell’87% in più. Questo ti mette fuori gioco. Il costo del lavoro si attesta sull’11% in più di media, ma mette in mezzo paesi come Romania e Polonia, dove il rapporto è uno a quattro. Così noi non possiamo competere”.

Tanti non si vogliono esporre apertamente, ma il mood che inizia a girare con sempre più insistenza negli ambienti industriali e produttivi dal Rubicone in su si fa sempre più insistente. E recita più o meno così: Salvini scarichi Di Maio, perché l’unica speranza per noi è che ritorni un governo di centrodestra. Ma un centrodestra vero.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)