Glass to Power ha sviluppato una tecnologia per trasformare le finestre in pannelli solari semitrasparenti con cui soddisfare il fabbisogno energetico di un edificio.
pongono: guardare oltre, immaginarsi gli svilup- pi futuri. Sergio Brovelli e Francesco Meinardi ci sono riusciti. Quando si sono rincontrati nel 2012 – entrambi si erano specializzati in scienza dei materiali all’Uni- versità degli Studi di Milano-Bicocca – le loro strade scientifiche avevano preso direzioni diverse, ma i due ricercatori hanno sapu- to cogliere l’occasione, capendo che quelle strade si potevano in- crociare, e con successo. Brovelli ha lavorato all’estero allo stu- dio di nanoparticelle semiconduttrici con cui realizzare materiali che si possono controllare a livello atomico e che hanno applica- zioni in fotonica. Meinardi si è occupato a lungo dello studio del- la tecnologia a concentrazione solare, che mira alla produzione di energia sfruttando i raggi solari che colpiscono superfici rifletten- ti. Una tecnologia che, dopo un primo momento di sviluppo, si era arenata: i dispositivi a concentrazione solare hanno bisogno di emettitori che assorbano la luce in maniera efficiente e che la rie- mettano a una lunghezza d’onda diversa da quella assorbita. Co- sa che la natura non ama fare perché ama la simmetria: luce rossa darà prevalentemente luce rossa; la verde, verde e così via.
«Con i materiali usati fino a quel momento, queste difficoltà non riuscivano a essere aggirate e di conseguenza non era pos- sibile creare un dispositivo di grandi dimensioni», spiega Brovel- li. «Ma quando io e Francesco ci siamo messi a parlare abbiamo subito capito che i miei studi erano la soluzione ai suoi proble- mi. E così abbiamo cominciato a lavorare al nostro progetto co- mune: creare finestre in grado di trasformare gran parte della luce solare che le colpisce in energia da usare per rendere energetica- mente autonomi gli edifici». Nasce così l’idea di Glass to Power, azienda che nei prossimi mesi aprirà uno stabilimento di produ- zione a Rovereto, in provincia di Trento, dando così una accelera- ta sostanziale verso l’industrializzazione dei suoi prodotti.
Dal laboratorio al mercato
Ma facciamo un passo indietro, perché dal laboratorio al mer- cato la strada è fatta di studio, ricerca e confronto. La teoria è chiara: bisogna creare lastre trasparenti al cui interno ci siano so- stanze in grado di assorbire e di riemettere la luce, che così rima- ne intrappolata e si propaga, riflettendosi, fino ad arrivare ai bor- di delle lastre, dove trova piccole celle solari che la convertono in elettricità. La pratica un po’ meno: affinché funzioni l’oggetto non deve assorbire la sua stessa luce altrimenti si abbassa la sua effi- cienza; un obiettivo difficile soprattutto con dispositivi di grandi dimensioni. Ma le particelle su cui ha lavorato Brovelli sono pro- prio capaci di assorbire luce visibile e trasformarla in infrarossa senza assorbirla. La dimostrazione è arrivata nel 2014 con la pri- ma pubblicazione degli studi effettuati dai due ricercatori su «Na-
ture Photonics» a cui ne seguono altre in cui la tecnologia vie- ne via via migliorata. «A quel punto abbiamo deciso di depositare un brevetto», continua Brovelli, presidente del comitato scientifico dell’azienda. «Avevamo in mente lo sviluppo industriale, anche se non ci era chiaro come avremmo dovuto procedere». A quel pun- to è arrivato un altro incontro virtuoso, quello con Emilio Sassone Corsi, oggi amministratore delegato dell’azienda, esperto di open innovation, che propone ai due di dare vita a uno spin-off.
«Da lì siamo partiti, con un capitale sociale di 300.000 euro raccolto da fondi privati», racconta ancora Brovelli. «L’anno do- po abbiamo ricapitalizzato a 1,5 milioni di euro sempre grazie a fondi privati e crowdfounding, fino ad arrivare all’ultima capita- lizzazione, di quest’anno, con cui abbiamo portato il valore socie- tario a 12 milioni di euro». Nel frattempo Glass to Power ha vinto numerosi premi per l’innovazione, in Italia e all’estero, e si è fatta notare per il suo approccio innovativo a un problema scientifico – rendere fruibile la tecnologia a concentrazione solare – che rima- neva senza soluzione ormai da trent’anni.
Il prodotto principale di Glass to Power sono vetrocamere, la porzione in vetro che viene infilata nell’infisso, che contengono il dispositivo fotovoltaico già cablato con l’uscita elettrica che vie-ne agganciata al sistema dell’edificio o a batterie in loco. Il cuore pulsante della tecnologia sono le particelle prodotte direttamen- te dall’azienda – e che presto saranno prodotte in grande quantità nello stabilimento di Rovereto – all’interno di compositi in plexi- glass, lastre che a loro volta vengono incapsulate nella vetroca- mera. «La produzione del composito che contiene le nanoparti- celle avviene per via chimica, non si tratta di un assemblaggio», spiega Brovelli. «Ed è proprio questa la difficoltà e la nostra forza. Nessuno al mondo riesce a fare quello che facciamo noi».
L’obiettivo a cui Glass to Power vuole arrivare è un’efficienza di 50 watt a metro quadro su una finestra trasparente al 50 per cen- to, cioè sfruttando solo metà della luce che incide sulla finestra: raggiungere questo obiettivo vorrebbe dire rendere una finestra di 1 metro quadro capace di produrre un terzo dell’energia che at- tualmente è prodotta da un pannello fotovoltaico delle stesse di- mensioni, che però è completamente opaco. «Con il vantaggio che le finestre, lasciando passare in parte la luce, possono essere usa- te lungo tutte le facciate degli edifici mentre per i pannelli si può sfruttare solo il tetto», sottolinea Brovelli.
«Il sogno è usare superfici energeticamente morte, come sono ora le facciate continue a vetri, e convertirle in spazi attivi, con cui soddisfare i bisogni energetici degli edifici». Un sogno ambi- zioso che fino a sei anni fa era chiuso in un laboratorio e che og- gi sembra concreto, pronto ad affacciarsi sul mercato. «La nostra storia è un esempio chiaro di quanto sia importante la ricerca di base. L’idea che ha portato al nostro prodotto è innanzitutto un’a- strazione a partire da dati di laboratorio. Senza questo lavoro nes- suna innovazione è possibile», conclude Brovelli. Poi ci vogliono intuito e capacità di cogliere le occasioni.
Fonte: lescienze.it N. 602 Ottobre 2018 Articolo di L. Gabaglio