Globalizzazione, Licenziamenti, Multinazionali

Prima il cesto di Natale, poi la lettera di licenziamento: il dramma di 40 dipendenti del varesotto

La denuncia dei dipendenti della Hammond Power Solutions. I rappresentanti sindacali sono pronti ad incontrare i vertici aziendali.

Prima ricevono il cesto di Natale aziendale, poi la più spiacevole delle sorprese: il licenziamento. Questo è accaduto a quaranta dipendenti della ‘Hammond Power Solutions’ di Marnate (Varese), azienda produttrice di trasformatori elettrici, che hanno ricevuto la lettera di licenziamento due ore dopo essersi visti recapitare sulle scrivanie il consueto dono natalizio.

La decisione è stata comunicata loro direttamente dal Ceo canadese, dopo un’acquisizione avvenuta sei anni fa. La Hammond, ex “Elettromeccanica Marnatese”, è attiva sul territorio da oltre 30 anni. A spiegare quanto accaduto, con un post pubblicato in rete, è uno dei quaranta padri di famiglia a cui è stato comunicato l’imminente licenziamento.

Nelle ultime settimane era giunta la notizia che i rappresentanti sindacali dell’azienda avrebbero dovuto incontrare i dirigenti per discutere del contratto. Alla luce della nuova situazione, invece, i sindacalisti dovranno negoziare con la società la nuova situazione, in un incontro fissato dopo le festività.

Alla base della scelta ci sarebbe un cambio di strategia aziendale della casa madre, che in Italia opera attraverso due stabilimenti, quello di Marnate, dove c’è anche la sede per l’Europa, e un altro a Meledo, nel Vicentino. Il gruppo è quotato in borsa a Toronto ed ha stabilimenti in tutto il mondo.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

Fake News, Giornalismo

Der Spiegel rivela che uno dei suoi giornalisti di punta ha inventato articoli falsi per anni

A proposito di “fake news” sulla grande stampa ufficiale, il Guardian riassume una vicenda incresciosa che il celebre giornale tedesco Der Spiegel è stato costretto ad ammettere: uno dei suoi giornalisti di punta, che scriveva articoli sulla società e le notizie internazionali, ha inventato storie, protagonisti e fonti per anni. Il giornalista aveva vinto premi prestigiosi come il premio CNN per il Giornalista dell’Anno nel 2014 e un Premio Europeo per la Stampa nel 2017. Il fatto gravissimo viene presentato come un cedimento personale alla pressione a produrre informazione resistendo alla competizione. Ad ogni modo, getta un’ombra sulla credibilità del sistema di informazione ufficiale e su quanto sia facile inventare notizie e costruire brillanti carriere sulla falsità. Solamente il coraggio di un collega, a lungo ostracizzato per i suoi sospetti, ha permesso alla verità di emergere.

La rivista tedesca Der Spiegel è precipitata nel caos dopo aver rivelato che uno dei suoi migliori giornalisti ha falsificato storie per anni.

Il mondo dei media è sconvolto dalle rivelazioni su Claas Relotius, giornalista già vincitore di prestigiosi premi, che secondo il settimanale “ha inventato storie e protagonisti” in almeno 14 dei suoi 60 articoli apparsi sulle edizioni cartacee e online, avvertendo che anche altri giornali potrebbero essere coinvolti.

Relotius, 33 anni, ha rassegnato le dimissioni dopo avere ammesso la frode. Scriveva per Der Spiegel da sette anni e aveva vinto numerosi premi per il suo giornalismo investigativo, tra cui il premio della CNN come Giornalista dell’Anno nel 2014.

All’inizio di questo mese aveva vinto anche il premio tedesco Reporterpreis (Reporter dell’anno) per la sua storia su un bambino siriano. I giudici lo avevano elogiato per la “leggerezza, la poesia e la rilevanza”. Da allora è però emerso che tutte le fonti del suo reportage erano quantomeno nebulose, e che molto di ciò che ha scritto era inventato.

La falsificazione è venuta alla luce dopo che un collega di Relotius che ha lavorato con lui a un articolo sulla frontiera tra Messico e Stati Uniti ha iniziato a sollevare sospetti su alcuni dei dettagli da lui riportati, sospetti che covava da tempo.

Il collega, di nome Juan Moreno, alla fine ha rintracciato due delle presunte fonti che venivano citate ampiamente nell’articolo di Relotius, articolo che era stato pubblicato in novembre. Entrambe le presunte fonti hanno dichiarato di non avere mai incontrato Relotius, il quale avrebbe mentito anche, secondo successive indagini, sull’esistenza di una scritta pitturata a mano che avrebbe detto ”Messicani state alla larga”.

Altre storie fraudolente includono quella su un presunto prigioniero yemenita a Guantanamo, e una sulla star americana del football Colin Kaepernick.

In un lungo articolo lo Spiegel, che vende circa 725.000 copie alla settimana e ha più di 6,5 milioni di lettori online, si è detto “scioccato” dalla scoperta, e ha chiesto scusa ai propri lettori e a chiunque possa essere stato soggetto di ”citazioni fraudolente, invenzioni di dettagli personali o scene inventate in posti fittizi”.

La rivista, che ha sede ad Amburgo, è stata fondata nel 1947 ed è rinomata per i suoi approfonditi pezzi investigativi, ha detto che Relotius ha commesso una frode giornalistica “su ampia scala”. Ha descritto l’episodio come “il punto più basso nella storia lunga 70 anni dello Spiegel”. È stata istituita una commissione interna per riesaminare l’intero lavoro di Relotius per il settimanale.

Il giornalista ha scritto articoli anche per una serie di altri noti giornali tedeschi, tra cui il Taz, Die Welt, e la Frankfurter Allgemeine (edizione domenicale). Die Welt questo mercoledì ha twittato: “[Relotius] ha abusato del proprio talento”.

Relotius ha dichiarato allo Spiegel di rammaricarsi per le proprie azioni e di provare profonda vergogna, secondo quanto riportato dal settimanale. ”Sto male e ho bisogno di aiuto” avrebbe detto.

Moreno, che ha lavorato per il giornale dal 2007, ha rischiato il suo stesso posto di lavoro per aver affrontato Relotius e altri colleghi con i suoi sospetti. Molti colleghi non volevano credergli. ”Per tre o quattro settimane Moreno ha passato l’inferno, perché all’inizio i suoi colleghi e i suoi superiori non volevano credere alle sue accuse”, ha scritto Der Spiegel nelle sue scuse ai lettori. Per molte settimane, ha precisato il settimanale, Relotius è stato perfino considerato una vittima delle trame di Moreno.

”Relotius respingeva abilmente tutti gli attacchi, tutte le prove, per quanto approfondite, di Moreno, fino a un punto in cui questo non ha più funzionato, fino a che non ha più potuto dormire ed era perseguitato dalla paura di essere scoperto”, ha scritto Der Spiegel.

Relotius, ha aggiunto, alla fine si è arreso la scorsa settimana, dopo essere stato affrontato da un caporedattore del giornale.

Nella sua confessione al suo superiore ha detto: ”Non era perché volevo trovare il grande scoop. Era per la paura di fallire. Il mio senso di essere costretto a non potermi mai permettere di fallire diventava sempre più grande quanto più grande diventava il mio successo”.

La rivista, uno dei giornali più importanti in Germania, sta ora cercando di salvare la propria reputazione, ma si teme che, già alle prese con i tanti problemi dell’industria dell’informazione tedesca, farà molta fatica a recuperare.

”Tutti i suoi colleghi sono profondamente scossi” ha scritto Der Spiegel. In particolare, ha scritto, nel dipartimento “Società”, dove lui lavorava, “i suoi colleghi sono tristi e sbalorditi… sembra come un lutto in famiglia”.

Fonte: vocidallestero.it (qui) Articolo di Kate Connolly, 19 dicembre 2018

Inquinamento, Salute, Territorio bresciano

Ambiente, Ispra: “Brescia è la città più inquinata d’Italia, Viterbo la più pulita”

A Brescia la lobby degli inquinatori seriali è sempre ben protetta. Politica, banche i loro alleati. Non sorprendiamoci per il risultato. E la magistratura? Ancora quanti morti prima che si intervenga? Possibile che questo costo umano nessuno lo debba pagare?

In 19 città è stato superato il livello di polveri sottili almeno una volta nel 2018. Male Lodi e Torino. Roma maglia nera per le voragini.

Brescia è la città dove nel 2018 il tasso d’inquinamento è stato più elevato. A Viterbo, invece, si respira aria pulita. A disegnare questo quadro è il Rapporto Ispra-Snpa’ Qualità dell’Ambiente Urbano che analizza il livello di inquinamento in 120 città e 14 aree metropolitane. I dati preliminari, aggiornati al 10 dicembre, evidenziano che nel 2018 in 19 aree urbane è stato superato il limite giornaliero consentito di polveri sottili. A Brescia il livello è stato superato per 87 giorni. Male anche Torino e Lodi dove la concentrazione di particelle inquinanti ha oltrepassato il limite 69 volte nel 2018. A Viterbo, invece, il tetto non è stato superato neanche una volta, per il momento.

Ispra: “Miglioramenti rispetto al 2017”

La situazione, comunque, è in miglioramento: il trend delle concentrazioni di polveri sottili PM10, PM2,5 e biossido di azoto (NO2) – ha assicurato l’Ispra – è in diminuzione. Nel 2017 il valore limite annuale per il biossido di azoto è stato superato in almeno una delle stazioni di monitoraggio di 25 aree urbane, si sono poi registrati più di 25 giorni di superamento dell’obiettivo a lungo termine per l’ozono in 66 aree urbane su 91 per le quali erano disponibili dati e il superamento del valore limite annuale per il PM2,5 (25 g/m) in 13 aree urbane su 84.

Il rapporto evidenzia una significativa tendenza alla riduzione dei livelli di emissione di PM10 primario, quello direttamente emesso dal riscaldamento domestico e dai trasporti, ma anche dalle industrie e da alcuni fenomeni naturali, che si riduce del 19% in 10 anni (2005 al 2015).

Roma sul podio per le voragini: 136 in 10 mesi

Il Rapporto analizza anche i fenomeni relativi al suolo e al consumo del terreno. Roma, per l’Ispra, ha il triste prima delle voragini in strada: negli ultimi 10 mesi del 2018 ne sono state registrate ben 136.

Dissesto idrogeologico: 190mila persone abitano nelle aree a maggior rischio frane

Frane e alluvioni continuano a rappresentare un pericolo per l’Italia. Il rischio è maggiore nel 3,6% delle città, dove risiedono quasi 190 mila abitanti.I valori salgono al 17,4%, superando anche la media nazionale del’8,4%, se si parla di probabilità di alluvioni nello scenario medio. In linea generale nei comuni capoluoghi di provincia, il rischio frana è meno rilevante rispetto a quello del territorio italiano.

Fonte: huffingtonpost.com (qui)

Religione

Natale non è cosa da “cattolici che fanno i propri doveri”. È un “rivoluzionamento” di tutta la vita

Mistero del Natale” (testo pronunciato da Edith Stein in occasione di una conferenza tenuta nel 1931, a Ludwigshafen).

Dove il Bambino divino intenda condurci sulla terra è cosa che non sappiamo e a proposito della quale non dobbiamo fare domande prima del tempo. Una cosa sola sappiamo, e cioè che a quanti amano il Signore tutte le cose ridondano in bene. E inoltre che le vie, per le quali il Signore conduce, vanno al di là di questa terra. Se mettiamo le nostre mani nelle mani del Bambino divino e rispondiamo con un “sì” al suo “Seguimi”, allora siamo suoi, e libera è la via perché la sua vita divina possa riversarsi in noi.

Questo è l’inizio della vita divina in noi. Essa non è ancora la contemplazione beata di Dio nella luce della gloria; è ancora l’oscurità della fede, però non è più di questo mondo ed è già un’esistenza nel regno di Dio. La vita divina, che viene accesa nell’anima, è la luce che è venuta nelle tenebre, il miracolo della notte santa. Chi la porta in sé capisce quando se ne parla. Invece per gli altri tutto quello che possiamo dire al riguardo è solo un balbettio incomprensibile. Tutto il vangelo di Giovanni è un balbettio del genere a proposito della luce eterna, che è amore e vita. Dio in noi e noi in lui, questa è la nostra partecipazione al regno di Dio, che ha nell’incarnazione la sua base.

L’amore di Cristo non conosce confini, non viene mai meno, non si ritrae di fronte all’abbiezione morale e fisica. Cristo è venuto per i peccatori e non per i giusti. E se il suo amore vive in noi, allora agiamo come lui e andiamo dietro alla pecorella smarrita. Essere figli di Dio significa camminare dando la mano a Dio, fare la volontà di Dio e non la propria, riporre nelle sue mani ogni preoccupazione e speranza, non affannarsi più per sé e per il proprio futuro. Questa è la base della libertà e della gioia del figlio di Dio.

19981011_teresa_benedetta_della_croceLa fiducia in Dio rimane incrollabile solo se essa include la disponibilità ad accogliere qualunque cosa dalla sua mano. Dio solo infatti sa quel che è bene per noi. Se lo facciamo, allora possiamo vivere il presente senza lasciarci turbare dal futuro. Il “sia fatta la tua volontà”, in tutta la sua estensione deve essere il criterio della vita cristiana. Esso deve scandire la giornata dal mattino alla sera, il corso dell’anno e di tutta la vita. E deve quindi essere anche l’unica preoccupazione del cristiano. Tutte le altre il Signore le prende su di sé. Nell’età infantile della vita spirituale, quando abbiamo appena cominciato ad affidarci alla guida di Dio, sentiamo la sua mano forte e robusta che ci conduce; vediamo con estrema chiarezza quanto dobbiamo fare e tralasciare. Ma la situazione non rimane sempre così. Chi appartiene a Cristo deve vivere tutta la sua vita. Deve maturare fino all’età adulta di Cristo, imboccare un giorno la via della croce, dirigersi al Getsemani e al Golgota. E tutte le sofferenze che provengono dall’esterno sono un nulla a paragone della notte oscura dell’anima, allorché la luce divina non brilla più e la voce del Signore tace. Perché fa così? Siamo qui di fronte ai suoi misteri, misteri che non possiamo penetrare fino in fondo. Un po’ però li possiamo già perscrutare. Dio è divenuto uomo per farci di nuovo partecipare alla sua vita. Partecipazione che era al principio e che è l’ultimo fine.

Ma nell’intervallo c’è ancora qualcos’altro. Cristo è Dio e uomo, e chi vuol partecipare alla sua vita, deve prender parte alla sua vita divina e umana. La natura umana da lui assunta gli diede la possibilità di soffrire e morire. La natura divina, da lui posseduta dall’eternità, conferì alla sua passione e morte un valore infinito e la capacità di compiere la redenzione. La passione e morte di Cristo continuano nel suo corpo mistico e in ognuna delle sue membra. Ogni uomo deve soffrire e morire. Ma se egli è un membro vivo del corpo di Cristo, la sua sofferenza e la sua morte diventano, grazie alla divinità del capo, redentrici.

Il Bambino divino è diventato il Maestro e ci ha detto che cosa dobbiamo fare. Per permeare tutta una vita umana di vita divina non basta inginocchiarsi davanti alla mangiatoia e lasciarsi prendere dall’incanto della notte santa. A questo scopo bisogna stare quotidianamente in contatto con Dio per tutta la vita, ascoltare le parole che egli ha pronunciato e che ci sono state tramandate e metterle in pratica. “Chiedete e vi sarà dato”. E’ una sicura promessa di esaudimento.

Inoltre Cristo non ci ha lasciati orfani. Ha inviato il suo Spirito, che insegna a tutti noi la verità. Ha fondato la Chiesa, che è guidata dal suo Spirito, e ha istituito in essa i suoi rappresentanti, dalla cui bocca il suo Spirito ci parla in parole umane.

“E il Verbo si fece carne”. Ciò è divenuto verità nella stalla di Betlemme. Ma si è adempiuto anche in un’altra forma. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”. Come il corpo terreno ha bisogno del pane quotidiano, così anche la vita divina aspira in noi ad essere continuamente alimentata. “Questo è il pane vivo che è disceso dal cielo”. Chi lo fa veramente il suo pane quotidiano, in lui si compie quotidianamente il mistero del Natale, l’incarnazione del Verbo. E questa è indubbiamente la via più sicura per conservare ininterrottamente l’unione con Dio e radicarsi ogni giorno sempre più saldamente e profondamente nel corpo mistico di Cristo.

Lungo è il cammino per passare dall’autocompiacimento del “buon cattolico”, che “compie i suoi doveri”, ma per il resto fa come gli piace, ad una vita che si lascia guidare per mano di Dio ed è caratterizzata dalla semplicità del bambino e dall’umiltà del pubblicano. Chi però l’ha imboccata una volta, non lo rifà più a ritroso: sarà un rivoluzionamento di tutta la loro vita interiore ed esteriore.

 

Fonte: tempi.it (qui)

Governo, Politica

Giancarlo Giorgetti: “Il governo durerà se si rispetta il contratto o si torna a votare”

Per il sottosegretario: “Il rischio è che il reddito di cittadinanza aumenti il lavoro nero”, ma al Sud, spiega, i 5 stelle hanno vinto per quella promessa. Di Maio: “A noi piace tutta l’Italia”.

Sul reddito di cittadinanza il governo non può tornare indietro ma, secondo il sottosegretario Giorgetti, c’è il rischio che la misura alimenti il lavoro irregolare. Lo ha spiegato nel corso del convegno “sovranismo vs populismo”: “Piaccia o non piaccia questo governo risponde ad una volontà degli italiani e il M5s al Sud ha vinto perché gli elettori vogliono il reddito di cittadinanza. Una misura che nel contratto di governo è finalizzata ad incentivare i posti di lavoro ma il pericolo che vedo è che possa alimentare il lavoro nero”. “Può piacere o no, ma purtroppo il Programma elettorale dei 5 stelle al Sud ha registrato larghi consensi probabilmente anche perché era previsto il reddito di cittadinanza; credo che abbia orientato pochissimi elettori della mie zone. Magari è l’italia che non ci piace ma con cui dobbiamo confrontarci e governare”.

L’alleanza gialloverde durerà solo a patto che il contratto sottoscritto sia rispettato: “Il nostro impegno dura nella misura in cui sarà possibile realizzare il contratto di governo: quando non sarà possibile finirà ma allora la parola torni al popolo perché senza il suo consenso un governo non può esistere”, ha spiegato Giorgetti.

Quanto ai tagli alle misure per le pensioni volute dalla Lega il sottosegretario ha continuato: “È quello che chiede Bruxelles ma non lo chiedono gli italiani”. Lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti arrivando ad un convegno al Senato.

A rispondere alle parole di Giorgetti ci pensa il vicepremier Luigi Di Maio: “Non è tra i rischi che stiamo contemplando nel senso che l’ispettorato del lavoro e la Guardia di Finanza saranno a lavoro ogni giorno. Ho anche letto di una sua dichiarazione per cui il reddito di cittadinanza piace ad un’Italia che non piace a Giorgetti. A me l’Italia piace tutta, dalla Sicilia alla Valle d’Aosta, e sono orgoglioso di questo Paese”.

Fonte: huffingtonpost.it (qui), Youtube.com

Cosmo

Giove, il gigante del sistema solare. Le immagini riprese da Juno (NASA)

Le incredibili immagini riprese da “Juno” mostrano il vortice di nuvole sopra il pianeta Giove. La sonda della NASA è in orbita da 53 giorni intorno al pianeta più grande del sistema solare. Il 21 dicembre completerà la sua 16esima orbita intorno al gigante gassoso, passando ad una distanza di circa 5.000 km e una velocità di oltre 207.000 chilometri orari (YouTube/Nasa)

 

Fonte: youtube.com

Meteo

Previsioni meteo, weekend con neve in pianura e clima rigido

Clima rigido e domenica arriva la neve in pianura. Il fine settimana che stiamo per vivere sarà contraddistinto da un clima rigido, quanto meno al Nord, e dall’arrivo della neve in pianura. Il team del sito www.ilmeteo.it avvisa che nella giornata di Sabato condizioni di maltempo interesseranno le regioni adriatiche e il Sud con neve a quote via via più basse, mentre sul resto delle regioni il sole sarà prevalente anche se farà freddo. Domenica, mentre il tempo migliorerà anche al Sud, ecco che una perturbazione atlantica comincerà ad interessare il Nordovest con prime precipitazioni nevose fino in pianura a partire da metà giornata. La neve entro sera conquisterà tutta la pianura di Piemonte, Lombardia e dell’Emilia, in nottata anche del Veneto. A fine evento accumuli importanti sono attesi sulle province di Alessandria, Pavia, Parma, Piacenza, Modena, Reggio Emilia e Bologna con un manto nevoso superiore ai  5-7 cm. Nevicherà debolmente invece a Torino e Milano.

Fonte: affariitaliani.it (qui)

Politica, Storia

Pensate ancora sempre che la globalizzazione porterà la pace? Lo pensavano anche nel 1914. Tre ragioni di attualità per temere una nuova “Grande Guerra”

Il mese scorso sono andato a Vienna, che fu la sede dell’impero austro-ungarico ed è il luogo ideale per riflettere sul centesimo anniversario della fine della prima guerra mondiale.

Questo conflitto è iniziato con la dichiarazione di guerra dell’impero austro-ungarico alla Serbia nel luglio 1914, in seguito all’assassinio dell’arciduca austro-ungarico Francesco Ferdinando. Questo ha poi portato a più di 15 milioni di morti, alla distruzione di quattro imperi, alla nascita del Comunismo e del Fascismo in alcuni dei principali stati europei, all’emergere e all’ulteriore ritirarsi dell’America come potenza mondiale e ad altri sviluppi che hanno profondamente modificato il corso del ventesimo secolo.

La Prima Guerra Mondiale è stata “il diluvio… una convulsione della natura “, ha dichiarato il ministro britannico degli armamenti David Lloyd George, “un terremoto che rovescia le fondamenta della vita europea “. Questo conflitto si è concluso un secolo fa, ma ci propone tre lezioni cruciali, pertinenti a questo nostro mondo odierno sempre più caotico.

In primis, la pace è sempre più fragile di quanto non sembri. Nel 1914 l’Europa non aveva conosciuto un conflitto continentale globale dalla fine delle guerre napoleoniche un secolo prima.

Certi osservatori pensavano che il ritorno ad un eccidio del genere fosse diventato quasi impossibile. L’autore britannico Norman Angell si immortalava suggerendo, solo pochi anni prima della prima guerra mondiale, che ciò che noi ora chiameremmo “globalizzazione” aveva reso obsoleti i conflitti tra le grandi potenze. La guerra, affermava, era diventata inutile, dato che la pace e i crescenti legami economici e finanziari tra i principali stati europei producevano un grande benessere.
Angell era in buona compagnia con la moltitudine dei pensatori che credevano che il miglioramento delle comunicazioni legasse l’umanità ancora più strettamente, che l’arbitraggio internazionale rendesse la guerra inutile, e che il nazionalismo fosse eliminato dalle nuove ideologie più illuminate e da migliori forme di cooperazione internazionale.

Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale ha mostrato che queste tendenze non erano affatto una garanzia di pace, poiché furono molto facilmente travolte dalle forze più tenebrose del conflitto e della rivalità. Le variazioni destabilizzanti nell’equilibrio delle forze, le rigidità geopolitiche create da progetti militari minacciosi, la crescita di idee sociali darwiniste e militariste che esaltavano il ruolo della guerra nello sviluppo umano e nazionale e le tensioni che circondavano il crescente tentativo del pangermanismo di proporre il suo primato europeo ed il suo potere mondiale, avevano accumulato una grande quantità di materiali combustibili che sono stati incendiati dalla scintilla apparentemente minima venuta dall’assassinio di un arciduca.

Se oggi diamo per scontato che la guerra tra le grandi potenze non possa avere luogo, che l’interdipendenza economica si farà carico della crescita delle tensioni tra gli Stati Uniti e la Cina, che i progressi dell’umanità nello spirito dei lumi relegheranno il nazionalismo e l’aggressione nei libri di storia, allora rischiamo di scoprire che la nostra attuale pace è molto più precaria di quello che pensiamo.

Come secondo punto, la Prima Guerra Mondiale ci ricorda che, quando la pace si eclissa per fare posto alla distruzione dell’ordine internazionale, le conseguenze possono essere ben peggiori di quello che si può immaginare. Anche dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, numerosi osservatori stimavano che sarebbe stata di breve durata e con conseguenze limitate. Nel settembre 1914, “The Economist” rassicurava i suoi lettori circa “l’impossibilità economica e finanziaria di sostenere per ancora molti mesi delle ostilità al ritmo attuale”. Invece questa predizione, come tante altre, era del tutto sbagliata, dato che proprio le risorse del Progresso, che avevano indotto tanto ottimismo negli anni precedenti la guerra, hanno poi reso il suo impatto altrettanto catastrofico.

Lo sviluppo di stati più moderni e più efficienti nel corso dei decenni che hanno preceduto la prima guerra mondiale dava ormai ai dirigenti europei la possibilità di tassare e di reclutare più efficacemente le loro popolazioni e di sostenere un conflitto terribile ben più a lungo di quanto previsto. Le conquiste industriali e tecnologiche dell’epoca permettevano allora di uccidere su scala industriale. Come ha osservato il rettore di una chiesa britannica, “tutte le risorse della Scienza erano state utilizzate per perfezionare le armi di distruzione dell’umanità “.

Mentre il conflitto si espandeva, le remore morali venivano erose e alcune innovazioni terribili come i bombardamenti aerei, i gas tossici e la guerra sottomarina senza limiti erano messi in opera. La guerra ha accelerato il genocidio degli Armeni e innumerevoli altri crimini contro civili inermi. Anche le sue conseguenze a lungo termine sono state egualmente traumatiche, poiché la prima guerra mondiale ha rimodellato la carta politica dei continenti, scatenato delle rivoluzioni dal cuore dell’Europa fino all’Estremo Oriente e messo in incubazione alcune ideologie politiche tra le più venefiche nella storia dell’umanità.

La Prima Guerra Mondiale non era così diversa sotto questo profilo, dalle numerose guerre tra grandi potenze che hanno periodicamente lacerato il sistema internazionale. Una volta che l’ordine esistente sia collassato, non si sa più fino a dove arriveranno la distruzione , le trasgressioni morali accettate e lo sconvolgimento geopolitico. Ora che gli Americani si chiedono con quanta forza difendere l’ordine internazionale che il loro paese ha creato, contro le pressioni crescenti esercitate da potenze revisioniste autoritarie come la Cina e la Russia – o anche (si chiedono) se farlo- vale la pena di tenere presente questa lezione.
Da qui la terza lezione: quando gli Stati Uniti si isolano dal mondo, è molto facile che più tardi debbano poi impegnarsi di nuovo, con un costo molto più elevato L’America ha giocato un ruolo chiave nel rilancio economico dell’Europa post-bellica durante gli anni ‘90. Ma allora aveva rifiutato il tipo di impegno strategico e militare a lungo termine che ha finalmente adottato dopo la Seconda Guerra Mondiale

Gli americani si comportarono così per delle ragioni che all’epoca sembravano totalmente comprensibili. C’era una generale riluttanza ad abolire la tradizione di non intervento in Europa, ed anche la paura che l’adesione alla Società delle Nazioni potesse attentare alla sovranità americana ed usurpare le prerogative costituzionali del Congresso in materia di dichiarazioni di guerra. Soprattutto, c’era un compiacimento strategico provocato dalla disfatta della Germania e dei suoi alleati, che sembrava aver allontanato dall’orizzonte grossi rischi geopolitici.

La storia degli anni 1930-1940 tuttavia ha presto mostrato che nuovi ed ancora più gravi pericoli potevano sopravvenire nell’assenza, in tempo opportuno, di sforzi risoluti delle democrazie per impedirlo. Anche se gli Stati Uniti e i loro alleati durante la Seconda Guerra Mondiale hanno ottenuto il risultato di sconfiggere le potenze dell’Asse, ci sono arrivati soltanto con un costo in vite umane, ricchezza, e devastazione generale che ha eclissato il pedaggio pagato alla prima guerra mondiale.

È questa la ragione per cui gli Stati Uniti hanno scelto di restare così profondamente impegnati negli affari dell’Europa, dell’Asia del Pacifico e di altre regioni chiave dopo il 1945: le autorità americane avevano imparato che, in geopolitica come in medicina, la prevenzione è spesso molto meno costosa della cura per guarire. In questo momento, in cui l’impegno futuro degli Stati Uniti per la leadership internazionale viene di nuovo messa in discussione, può darsi che questa sia l’informazione più importante da trasmettere. E ci sono dei mezzi ben peggiori di ricordare questa nozione che quello di attraversare Vienna, città ricca di monumenti che appartenevano a un impero e ad un ordinamento internazionale che la prima guerra mondiale ha distrutto.

Hal Brands è un cronista di Bloomberg Opinion, Henry Kissinger Distinguished Professor alla Scuola di Studi Internazionali Avanzati dell’Università John Hopkins, membro ordinario del Centro per le valutazioni strategiche e di bilancio. Recentemente è stato autore del libro “Le lezioni della tragedia: Arte di governo e ordine mondiale “.

Fonte: http://www.bloomberg.com, di Hal Brand

Link: https://www.bloomberg.com/opinion/articles/2018-11-11/100-years-after-world-war-i-there-s-reason-to-fear

Tradotto dal francese per  http://www.comedonchisciotte.org a cura di GIAKKI49

Nota del Saker Francophone:

Questo testo è un esempio caricaturale della cecità e del disorientamento delle élite davanti al disordine del mondo. È un appello disperato contro la tendenza attuale degli Stati Uniti all’isolazionismo.
L’autore ha capito bene che la globalizzazione è stata la causa delle atrocità della prima guerra mondiale e che oggi siamo nella stessa situazione del 1914. Ma questo non gli impedisce di parlare in favore di un interventismo più radicale degli Stati Uniti nel momento in cui questo paese è senza risorse su tutti i fronti.

Centrodestra, Montichiari, Politica locale

Montichiari, sottoscrivere un patto anti spartizione. Accordo Lega-Forza Italia? Non scontato.

Di seguito il testo integrale del Comunicato stampa diffuso il 12 dicembre:

“Accordo Lega-Forza Italia? Non scontato. Manca il candidato Sindaco e un programma comune”. “Prima delle alleanze preconfezionate vengono i cittadini”.

“Sottoscriviamo un patto anti spartizione affinché le nomine come le scelte negli appalti pubblici siano più trasparenti”

In relazione alle recenti notizie diffuse dalla stampa locale nella quale si evidenzia come un’alleanza Lega-Forza Italia appare scontata intervengono in merito Massimo Gelmini, ex assessore al bilancio monteclarense, ed Elena Fontana, ex consigliere comunale.

Non ci risulta che tra Lega e Forza Italia sia stato raggiunto un accordo – dichiarano Gelmini e Fontana – la coalizione, che dovrà competere con l’amministrazione uscente, non ha ancora un candidato Sindaco e sta avviando un confronto sul programma”.

“Sarebbe alquanto sciocco che due forze politiche stringano accordi tra segreterie di partito sulla base di formule partitocratiche e non sulla base dei contenuti che ancora non sono stati elaborati da tutti coloro che partecipano alla costruzione del progetto politico-amministrativo, senza attendere, per altro, il candidato Sindaco che dovrà avere l’onere e l’onore di concretizzare un progetto politico per Montichiari in grado di vincere le prossime elezioni amministrative”.

“Rivendichiamo la necessità che la comunità sia preminente rispetto ai partiti e ribadiamo l’urgenza di proporre ai cittadini una proposta politica di cambiamento capace di interpretare un nuovo modo di intendere l’amministrazione locale partendo dal ruolo del Sindaco, della Giunta e dei cittadini che attraverso la vera partecipazione siano protagonisti della prossima stagione amministrativa. Dove le “logiche partitocratiche” finalmente possano essere escluse dalla gestione della cosa pubblica.”

“L’esperienza dell’Amministrazione Fraccaro ha evidenziato come i partiti sono sempre propensi ad imporre scelte dall’alto ed in particolare laddove c’è discrezionalità di scelta, anche nell’ambito della selezione di incarichi di consulenza ed appalti sotto determinate soglie (ad es. di importo inferiore a 40.000 euro). Il rischio è che una parte della politica possa incide pesantemente preferendo logiche clientelari invece dell’applicazione di buone pratiche. A tal proposito invitiamo la Lega affinché nel programma amministrativo si introduca l’obbligo di un’auto-regolamentazione comunale che impedisca comportamenti di natura spartitoria in tutte le scelte discrezionali dell’Amministrazione comunale, tenuto conto che la prossima compagine amministrativa che dovrà guidare sarà probabilmente composita”.

“Ma ad oggi non possiamo che prendere atto – hanno dichiarato Gelmini e Fontana – che l’esigenza è  un’amministrazione riformista, determinata, competente, umile, dove il miglioramento continuo di ogni aspetto della gestione della cosa pubblica per il bene pubblico sia il modello di riferimento, in grado di superare le solite clientele, la partitocrazia, gli amici degli amici. Crediamo che questo debba provenire dal candidato Sindaco, ancora in una fase di elaborazione tutta interna alla Lega, e che tutti i potenziali alleati dovranno innanzitutto concordare su questo per noi fondamentale principio.

Un modello di amministrazione – ricordano Gelmini e Fontana, che consentirebbe di superare il rischio delle solite logiche clientelari e la partitocrazia, ma che ha bisogno un terreno fertile, quel auspicato laboratorio politico che sappia anteporre il bene comune agli interessi più corporativi. Anteporre il bene comune al metodo “Cencelli” spesso utilizzato è un obiettivo primario”.

Nel ribadire la vocazione sovranista che da sempre caratterizza le liste civiche che rappresentiamo – hanno dichiarato Massimo Gelmini ed Elena Fontana – invitiamo chiunque ha interesse al bene comune ad ESSERCI per sostenere il progetto di un nuovo governo locale del cambiamento come obiettivo possibile per Montichiari.

Aeroporto D'Annunzio, Montichiari, Politica, Territorio bresciano

Aeroporto D’Annunzio, Bergamo getta la spugna: «È impossibile»

Non sarà Bergamo a salvare dal limbo l’aeroporto di Montichiari. Sacbo, la società che gestisce lo scalo di Orio al Serio, ha gettato la spugna: «impossibile» far passare la concessione del D’Annunzio a una nuova società, una newco che si sperava potesse nascere sull’asse Venezia-Verona-Brescia-Bergamo. «Si era aperto qualche spiraglio – ammette il presidente di Sacbo Roberto Bruni – ma la situazione si è bloccata. Non ci sono possibilità che la concessione oggi in mano alla Catullo venga girata a soggetti diversi. Se così stanno le cose, per noi la questione è chiusa».

Anche nel 2018 Orio farà segnare un nuovo record. Ieri i vertici della società hanno fatto il punto sull’anno ormai agli sgoccioli. I passeggeri sfioreranno i 13 milioni, con un incremento superiore al 5%. Quest’anno sull’aeroporto «Caravaggio» sono stati investiti 32 milioni di euro. Altrettanti nel 2019: già a gennaio partirà il cantiere per l’area extra Schengen. Nel 2020 sarà poi pronto il progetto definitivo per il collegamento ferroviario con l’aeroporto che, forse, coinvolgerà anche Brescia: a Bergamo si sta pensando a una biforcazione a «Y» in modo che vi possano essere treni che dalla Leonessa portino direttamente a Orio. Una soluzione che certificherebbe come sia ormai il Caravaggio lo scalo dei bresciani.

Restano i problemi noti: la crescita esponenziale ha innescato le proteste dei residenti per rumori e rotte. Le principali compagnie, Ryanair e Wizz Air, si doteranno di aeromobili di ultima generazione, che abbattono rumore e consumi. Ma certo scaricare qualche volo, in particolare i cargo, sul D’Annunzio, è sempre stato visto di buon occhio da Sacbo. Per questo un anno fa si era riattivato il dialogo con Verona (Catullo) e Venezia (Save), le realtà che gestiscono lo scalo di Brescia. «Oggi quegli spiragli sono completamente chiusi» spiega Bruni. Non per mancanza di volontà, ma per «ostacoli tecnici insormontabili».

Le condizioni di Sacbo sono infatti chiare: «O la concessione passa alla newco, o per noi non se ne fa nulla. Ci risulta che non ci siano possibilità che la concessione venga girata alla newco. Se resta alla Catullo, ogni discorso è chiuso». L’alternativa, l’affitto del ramo d’azienda, è una soluzione «troppo debole»: «Non investiamo se non abbiamo voce in capitolo». Insomma, l’alleanza dei cieli, pare già tramontata.

Fonte: giornalediBrescia.it (qui)

Terrorismo islamico

L’attentatore di Strasburgo doveva essere arrestato stamattina. Chi è Cherif, lo sparatore del mercato di Natale

Cherif C., 29 anni e un passaporto francese: questo l’identikit del presunto attentatore di Strasburgo, già stato in carcere per reati comuni e successivamente segnalato dalle autorità francesi come elemento ‘radicalizzato’ islamico a rischio attentati.

Stando a Le Parisien, l’autore della sparatoria che ha seminato il terrore nella zona del mercatino di Natale più antico e popolare di Francia, causando almeno 4 morti e 11 feriti, sarebbe nato nel capoluogo alsaziano il 4 febbraio 1989.

Giunto a Strasburgo da Parigi, il ministro dell’Interno, Christophe Castaner, ha confermato che era schedato con la lettera ‘S’ dei fondamentalisti tenuti sotto controllo dagli 007 transalpini.

Secondo quanto riferisce Bfm-Tv, era sfuggito all’arresto stamane durante una perquisizione nella sua abitazione nel quartiere di Neudorf, presidiato questa notte dalle teste di cuoio. L’operazione era stata organizzata nell’ambito di un’inchiesta per omicidio. Cherif C. era noto agli agenti anche per vicende legate a furti, violenze e traffico di droga. Nella sua abitazione, gli inquirenti hanno rinvenuto delle granate ma al momento del blitz, questa mattina, lui non c’era già più. E in molti Oltralpe sono concordi nel dire che quel mancato arresto di questa mattina lo abbia indotto a passare all’attacco, questa sera, nella strage prenatalizia che sconvolge la Francia e l’Europa.

Chi lo ha visto durante la sua folle spedizione di morte per le strade del centro, descrive un fisico prestante, circa 1 metro e 80 di altezza, con i capelli neri. Cherif C. era coperto da un mantello scuro. Pare che stasera abbia anche aperto il fuoco contro dei militari di Sentinelle, rimanendo ferito nello scontro a fuoco. Colpito a sua volta, secondo l’Obs, anche un militare coinvolto nella sparatoria.

Secondo informazioni raccolte da Bfm-Tv, frequentava gli ambienti radicali di Strasburgo. Nouvelles d’Alsace precisa che nel 2011 venne condannato a due anni di carcere, di cui sei mesi senza condizionale, per aggressione armata. L’inchiesta si baserà anche sulle tante immagini catturate dai sistemi di videosorveglianza durante il massacro. 

Secondo Le Figaro il terrorista ha già subito 20 condanne. Proprio in galera nel 2016 era stato segnalato dall’antiterrorismo francese e indicato come ‘fiche’ S’ per violenze e proselitismo religioso.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

Europa, Politica

Deficit, l’Europa grazia Macron. Sfora il 3% ma niente procedura

Ue, sfuma l’assist delle misure francesi pro-Gilet gialli per l’Italia. Il rapporto deficit/Pil di Parigi salirà al 3,4%, ma Bruxelles…

Chi sperava nelle fila del governo giallo-verde nell’involontario assist delle nuove misure fiscali espansive strappate a Macron dai Gilet gialli da far valere nelle trattative di Giuseppe Conte con l’Europa rimarrà deluso.

Già, perché dopo il messaggio di ieri sera del numero uno dell’Eliseo alla nazione in cui il leader di En Marche ha promesso l’aumento del salario minimo intercategoriale di 100 euro al mese dal 2019, la detassazione delle ore di straordinario e lo stop all’aumento della contribuzione per i pensionati che guadagnano meno di 2.000 euro al mese, il portavoce della Commissione europea Margaritis Schinas ha fatto sapere che Bruxelles valuterà l’impatto del pacchetto pro-classi deboli sul bilancio pubblico della Francia solo a primavera. Quando, cioè, l’Ue si sarà già pronunciata sull’eventuale procedura d’infrazione da aprire nei confronti dell’Italia.

“Abbiamo un meccanismo ben stabilito per valutare le politiche di bilancio” dei Paesi della zona euro e “la nostra posizione sulla Francia è nota: il parere sul piano di bilancio francese è stato pubblicato poco tempo fa. L’impatto di cosa verrà fuori dal processo parlamentare emergerà in primavera quando pubblicheremo le nostre previsioni economiche”, ha spiegato infatti la portavoce dell’esecutivo comunitario su un eventuale sforamento del deficit da parte di Parigi e sulle eventuali conseguenze sulle trattative in corso tra Roma e Bruxelles sulla manovra.

Sta anche in questo fatto la diversità del caso francese rispetto al caso dell’Italia. L’Italia oggi è sotto tiro per il mancato rispetto della regola del debito nel 2017, dato che le regole Ue impongono che anche nel 2018 l’Italia assicuri un adeguato aggiustamento in termini strutturali. Le procedure relative al deficit, invece, possono scattare solo sulla base dei dati ex post(per la Francia, dunque, eventualmente solo a Pasqua).

Nel documento programmatico di bilancio inviato ad ottobre dalla Francia all’Ue, il premier Édouard Philippe ha fissato un livello di deficit/Pil per il 2019 del 2,8% un livello a cui ora dovranno aggiungersi i circa 6 miliardi in più del costo dei provvedimenti shock messi in campo dall’Eliseo per calmare la protesta che sta infiammando la Francia da circa quattro settimane (più i 4 per l’abolizione dalla tassa sui carburanti). Un costo che, secondo quanto appena annunciato dal ministro per i Conti pubblici transalpini, Ge’rald Darmanin, porterà il rapporto deficit/Pil a sforare (al 3,4%) il parametro del 3% fissato dai parametri di Maastricht.

Bruxelles aveva già acceso il disco verde sulla manovra di Parigi ad ottobre, anche perché il rapporto deficit/Pil previsto da Philippe per il 2019 sarebbe dovuto salire al 2,8% solo per motivi puramente tecnici, escludendo i quali il disavanzo sarebbe in realtà pari all’1,9%, dopo il 2,6% previsto per quest’anno e il 2,7% del 2017.

Parigi, che può contare su un rapporto debito pubblico/Pil di circa il 97% del Pil (contro il 130% circa dell’Italia), dunque, per il momento non finirà sotto osservazione dell’Ue come, al contrario, è finita Roma. Riflettori che, se accesi, avrebbero potuto rappresentare delle favorevoli sponde per il duo Conte-Tria che si sta battendo sui decimali per portare a casa le due misure simbolo del governo giallo-verde ovvero reddito di cittadinanza e quota 100 sulle pensioni.

Se Macron, per il momento, scamperà i rilievi di Bruxelles, di certo non ha sminato il pericolo della protesta di Gillet gialli: dopo gli annunci di ieri sera, i manifestanti transalpini hanno promesso infatti che la rivolta andrà avanti.

A Roma, intanto, il vicepremier Luigi Di Maio è pronto a puntare i piedi in caso di una terza bocciatura da parte di Bruxelles alla manovra. Se il Governo francese rispetterà tutti gli annunci fatti negli ultimi giorni sulla politica di bilancio, ha ricordato, “non dovrebbe rispettare i parametri e, facendo questo, si dovra’ aprire un caso Francia, se le regole valgono per tutti, ma non è quello che ci auguriamo”.

Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico ha messo le mani avanti in vista del confronto risolutivo di domani e giovedì. “Le prossime 24-48 ore sono cruciali”, ha detto il capo dei Cinque Stelle ribadendo che l’obiettivo è “mantenere le promesse ed evitare la procedura di infrazione”. Di Maio ha tenuto comunque il punto sul reddito di cittadinanza, che, assicura, entrerà in vigore “al massimo a fine marzo, mentre quota 100 entrera’ in vigore entro fine febbraio”. “Tra giovedì e venerdì sarà convocato il primo tavolo tecnico sulla manovra” con le imprese, ha annunciato il ministro. “Nelle prossime settimane – ha aggiunto – ci sara’ un tavolo permanente sulle semplificazioni, uno sul fisco, uno sull’innovazione, uno sulle infrastrutture e uno sull’export e un tavolo sul welfare”.

Fonte: affaritaliani.it (qui)

Europa, Politica

Moscovici perdona Macron (per salvare se stesso)

Rumors su una possibile candidatura del commissario agli Affari Economici con un movimento Lib-dem, vicino anche a Renzi.

“Non risponderò a nulla su questo argomento”. Forse per la prima volta in questi mesi di trattative con l’Italia, Pierre Moscovici si sottrae alle domande dei giornalisti. Il quesito riguarda il suo paese, la Francia, messa a ferro e fuoco dai ‘gilet gialli’ al punto da spingere Emmanuel Macron ad annunciare misure che potrebbero portare il deficit francese al 3,5 per cento del pil, dunque ben oltre il tetto del 3 per cento previsto dalle regole europee. E’ un quadro che potrà spingere la Commissione a fare sconti anche all’Italia? Moscovici, qui a Strasburgo per la riunione con i colleghi commissari come avviene ad ogni plenaria dell’Europarlamento nella cittadina francese, non risponde. In questa storia, che alla vigilia di un altro incontro tra Giuseppe Conte e Jean Claude Juncker domani a Bruxelles si sta assestando sulla linea ‘due pesi e due misure’ tra Parigi e Roma, ci sono fattori oggettivi, ma anche molto politici.

L’Ue non può sanzionare Macron, già messo alle strette dalle proteste. Il presidente francese è ancora la promessa dell’establishment europeo, visto che Angela Merkel è ormai alla fine del suo ciclo politico. Un establishment determinato invece a punire il governo populista dell’Italia, a torto o a ragione, comunque a prescindere. Basti questo per spiegare i guanti di velluto con cui l’Europa sta affrontando la crisi di Macron, compreso anche il fatto che nessuno tra i leader europei si è azzardato a contestargli nulla, nemmeno il comportamento della polizia con gli studenti, inginocchiati con le mani sulla testa: la foto ha menato scandalo sul web, non nei palazzi europei. Ma c’è dell’altro.

Ci sono proprio i destini politici dei personaggi in campo. Si prenda Moscovici, che l’anno scorso salutò la vittoria di Macron alle presidenziali francesi come “una buona notizia per la Francia e per l’Europa”. Non fu l’unico, la sfidante al ballottaggio era Marine Le Pen, tutti i leader moderati dell’Ue tirarono un respiro di sollievo. Ma, venendo al presente, Moscovici già aveva difficoltà a sostenere la linea del rigore con Roma, alla luce del suo passato da ministro dell’Economia francese alfiere della flessibilità. Adesso c’è anche il fatto che, pur da socialista, il commissario agli Affari Economici si è molto avvicinato a Macron, lui che ha lasciato il Partito socialista francese per fondare ‘En marche’.

Nei palazzi dell’Ue gira addirittura voce che Moscovici possa candidarsi con il movimento di Macron alle prossime europee: con ‘En marche’ o comunque nell’alveo di un movimento ‘libdem’ che poi all’Europarlamento fonderebbe un nuovo gruppo insieme ad altre formazioni simili in Europa, gli spagnoli di Ciudadanos o anche la nuova creatura politica che potrebbe lanciare in Italia Matteo Renzi.

E’ naturale che tutto questo annulli ogni ipotesi europea di sanzionare Macron per le maggiori spese in deficit, proprio ora che la Francia era uscita dalla procedura europea per deficit eccessivo dopo 9 anni di sanzioni. Non può farlo Moscovici e non ama parlarne. Non può farlo Juncker, del quale ancora si ricorda una frase celebre di qualche tempo fa. “La Francia è la Francia”, disse il presidente della Commissione ad un incontro con i sindaci francesi. E ‘la Francia è la Francia’ sembra essere il motto che ancora oggi guida la Commissione Europea.

Del resto, sottolineano dalla Commissione qui a Strasburgo, “bisogna tenere a mente che nel caso dell’Italia abbiamo un documento programmatico di bilancio”, bocciato dall’Ue e ripresentato da Roma senza cambiamenti di rilievo. “Mentre in quello della Francia abbiamo un discorso”, quello pronunciato ieri sera da Macron. “E che cosa possiamo fare davanti ad un discorso?”.

Con questa spiegazione quindi la Commissione punta ad andare avanti con la procedura di infrazione contro l’Italia per deficit eccessivo legato al debito, a meno che domani Conte non si presenti all’incontro con Juncker con una nuova proposta di bilancio rispettosa dei vincoli europei, con un deficit magari sotto il 2 per cento in modo da non aumentare né quello strutturale, né il debito italiano, che staziona al 131 per cento del pil.

Allo stesso tempo, la Commissione si prepara quanto meno a concedere tempo alla Francia. “C’è una procedura ben stabilita per valutare le politiche bilancio degli stati membri, la nostra posizione sulla Francia è nota e il parere sul progetto di bilancio della Francia è stato pubblicato poco tempo fa. L’impatto verrà valutato in primavera, quando pubblicheremo le nostre previsioni economiche”, dice il portavoce della Commissione Ue, Margaritis Schinas.

Nel volgere di poche ore, qui tra Strasburgo e Bruxelles, sembrano sfumare le speranze italiane di ottenere concessioni per effetto della protesta francese. I ‘gilet gialli’ non stanno modificando il braccio di ferro tra Roma e Bruxelles a favore della prima. E non sembra si apra uno spazio per quell’asse tra “Roma e Berlino” auspicato ieri da Matteo Salvini.

Certo, ci sono anche dei fattori oggettivi. Cioè il fatto che il debito francese è al 97 per cento del pil, dunque inferiore a quello italiano. E che lo spread della Francia, pur avendo guadagnato quasi 6 punti percentuali a un mese dall’inizio delle proteste di piazza, resta sulla soglia accettabile del 47,5 per cento, ben al di sotto di quello italiano oggi a 288 punti percentuali.

Ma, se non altro, il caos scoppiato in Francia mette a nudo anche le convenienze politiche delle elite europee: unite nel punire il primo governo populista tra i paesi fondatori dell’Ue, unite anche nel ‘graziare’ uno dei loro, Macron.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

Economia, Europa

Quantitative easing, Corte Ue: “Il programma di acquisti non è illegittimo e non eccede il mandato della Bce”

Il quantitative easing, cioè il programma di acquisto di titoli di Stato avviato nel 2015, è “conforme al mandato” della Bce. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia Europea, esprimendosi sul quesito presentato dalla Corte costituzionale tedesca a cui erano arrivati diversi ricorsi che contestavano la legittimità dell’intervento sostenendo che equivalesse a un finanziamento monetario del debito pubblico. Secondo la Corte il programma non viola il diritto dell’Unione, non eccede il mandato della Bce e non viola il divieto di finanziamento monetario.

La Banca centrale europea ha avviato il programma di acquisti il 4 marzo 2015 alla luce di vari fattori che aumentavano il rischio di calo dell’inflazione sotto il valore obiettivo della Bce, pari al 2%. L’obiettivo era facilitare l’accesso ai finanziamenti utili all’espansione dell’attività economica favorendo il ribasso dei tassi d’interesse reali e inducendo le banche commerciali a concedere maggior credito. Questo al fine di sostenere i consumi globali e le spese per investimenti nella zona euro. Il programma prevede che ciascuna banca centrale nazionale acquisti titoli idonei provenienti da emittenti pubblici statali, regionali o locali del proprio Paese. La durata di applicazione si estendeva inizialmente fino alla fine del mese di settembre 2016 ma è stata poi prorogata a più riprese.

Con la sua sentenza, la Corte di Giustizia constata che l’esame delle questioni sottoposte dal Bundesverfassungsgericht non ha rivelato alcun elemento idoneo ad inficiare la validità del programma, che rientra nel settore della politica monetaria per la quale l’Unione dispone di una competenza esclusiva, per gli Stati membri la cui moneta è l’euro, e rispetta il principio di proporzionalità. La Corte ricorda che una misura di politica monetaria non può essere equiparata a una misura di politica economica per il solo fatto che essa sia idonea a produrre effetti indiretti che possono essere ricercati anche nel quadro della politica economica. Inoltre, la Corte ricorda come risulti chiaramente dal diritto primario che la Bce e le banche centrali degli Stati membri possono, in linea di principio, intervenire sui mercati dei capitali acquistando e vendendo in via definitiva titoli di debito negoziabili denominati in euro.

Per quanto riguarda le modalità di applicazione del programma, la Corte sottolinea che non è selettivo e non soddisfa i bisogni specifici di finanziamento di singoli Stati membri della zona euro. Esso non permette l’acquisto di titoli con un livello di rischio elevato e prevede dei rigorosi limiti massimi di acquisto per emissione e per emittente. Oltre a questo, attribuisce la priorità all’acquisto dei titoli emessi da operatori privati. Secondo la Corte, non risulta in maniera manifesta che un programma di acquisto di titoli del debito pubblico più limitato nel volume o nella durata avrebbe potuto in modo altrettanto efficace e rapido assicurare un’evoluzione dell’inflazione simile a quella ottenuta dalla Bce.

La Corte sottolinea poi che il qe non viola il divieto di finanziamento monetario, perché non equivale all’acquisto di titoli sui mercati primari e non produce l’effetto di indurre gli Stati membri a non condurre una sana politica di bilancio. Oltre a ciò, non consente agli Stati membri di determinare la loro politica di bilancio senza tener conto del fatto che, a medio termine, la continuità dell’attuazione del programma non è in alcun modo garantita e che quindi potrebbero dover cercare finanziamenti sui mercati senza poter beneficiare dell’alleggerimento delle condizioni di finanziamento che l’attuazione del programma comporta.

Inoltre, gli effetti sulla convenienza a condurre una sana politica di bilancio sono limitati in virtù dell’imposizione di limiti al volume mensile complessivo degli acquisti di titoli del settore pubblico, del carattere sussidiario del programma, della ripartizione degli acquisti tra le banche centrali nazionali secondo lo schema di sottoscrizione del capitale della Bce, dei limiti di detenzione per emissione e per emittente e degli elevati criteri di idoneità fondati su una valutazione della qualità creditizia. La Corte precisa, poi, che il divieto di finanziamento monetario non osta alla detenzione di titoli fino alla loro scadenza e neppure all’acquisto di titoli con un rendimento a scadenza negativo.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)

Europa vs Stati, Politica

L’Italia, l’Unione europea e la caduta dell’impero romano.

Un articolo di Strategic Culture evidenzia come l’ossessione europea di tutelare i creditori – e schiacciare i debitori – stia producendo una società sempre più polarizzata e impoverita, tendente a un collasso simile a quello che subì l’impero romano. Le azioni della Ue volte a contenere le forze centrifughe finiranno per accelerare involontariamente il suo processo di disgregazione.

 I leader Ue stanno tentando di contenere una crisi che evolve a velocità crescente: la sfida comprende l’ascesa di Stati insubordinati (il Regno Unito, la Polonia, l’Ungheria e l’Italia) o di “blocchi culturali” storici ribelli (ovvero la Catalogna) – tutti quanti esplicitamente disillusi dall’idea di una convergenza forzata verso un “ordine” Ue uniforme, con la sua austera “disciplina” monetaria. Respingono anche la pretesa della Ue di essere, in qualche modo, depositaria di una raccolta privilegiata di valori morali.

Se, nel dopoguerra, la Ue rappresentò un tentativo di schivare l’egemonia anglo-americana, questi nuovi gruppi ribelli di “rinascita culturale” che cercano di posizionarsi come “spazi” indipendenti e sovrani rappresentano, a loro volta, un tentativo di sfuggire a un altro tipo di egemonia: quella dell’”uniformità” amministrativa della Ue.

Per uscire da questo particolare regime europeo (che originariamente si sperava fosse differente dall’imperialismo anglo-americano), l’Unione Europea fu tuttavia costretta ad appoggiarsi al costrutto archetipico della “libertà” come giustificazione all’imperialismo (ora mutato nelle “quattro libertà” Ue) sulle quali le stringenti “uniformità” Ue (le condizioni di equa concorrenza, il regolamento di tutti gli aspetti della vita, la tassazione e l’armonizzazione economica) sono state basate. Il “progetto” europeo è ora visto – ed in effetti è – come qualcosa che svuota le vecchie e differenti tradizioni identitarie.

Infatti, il fatto stesso che queste ribellioni vengano tentate a differenti livelli e in diverse regioni culturali e geografiche, indica che l’egemonia Ue si è già affievolita al punto che potrebbe non essere pienamente in grado di ostacolare questa nuova ondata. Quello che è in gioco per la Ue è se essa sarà in grado di rallentare e frenare in qualche modo l’emergere di questo processo di ri-sovranizzazione culturale, che ovviamente minaccia di far andare a pezzi la vantata “solidarietà” Ue, e di frammentare la sua matrice di unione doganale perfettamente gestita e area comune di commercio.

Tuttavia è stato Carl Schmitt – il filosofo politico – a mettere in guardia con forza contro la possibilità di quello che ha chiamato un acceleratore katechon negativo. Questa definizione sembrerebbe combaciare – perfettamente – con la situazione in cui si trova ora la Ue. Il concetto, usato in passato, sostiene che gli eventi storici spesso hanno una dimensione contraria nascosta – detto in altre parole, alcune azioni (fatte, per esempio, dalla Ue), potrebbero in effetti accelerare esattamente quei processi che dovevano essere rallentati o fermati. Per Schmitt, questo spiega il paradosso attraverso il quale una “azione frenante” (come quella che sta prendendo la Ue) potrebbe in realtà avere effetto inverso, sfociando in un’accelerazione preterintenzionale degli stessi processi che la UE intende contrastare. Schmitt lo chiamò effetto “involontario”, perché produceva effetti opposti all’intento originale. Per gli antichi, esso ricordava semplicemente che noi umani spesso siamo dei semplici oggetti della storia, e non i suoi agenti causali (qualcun altro direbbe “non si può fermare il vento con le mani…” NdVdE).

Potrebbe succedere che l’”azione frenante” imposta alla Grecia, all’Inghilterra, all’Ungheria – e ora all’Italia – porti precisamente verso il Katechon di Schmitt. L’Italia ha ristagnato in un limbo economico per decenni: il suo nuovo governo si è sentito in dovere di alleviare, in qualche modo, gli stress economici accumulati negli anni passati, e cercare di riavviare la crescita. Ma il paese ha un alto livello di debito/PIL, e la Ue insiste sul fatto che l’Italia deve sopportarne le conseguenze: deve obbedire alle “regole”.

Il professore Michael Hudson (nel suo nuovo libro) spiega come l’”azione frenante” della UE rispetto al debito italiano, rappresenti un tratto di rigidità psichica europea che ignora totalmente l’esperienza storica, e potrebbe esattamente portare come risultato il Katechon: l’opposto di ciò che si voleva. Intervistato da John Siman, Hudson ha detto:

“Nelle antiche società della Mesopotamia, era chiaro che la libertà veniva garantita proteggendo i debitori. Nel sistema economico delle società della Mesopotamia nel terzo e secondo millennio avanti Cristo esisteva e prosperava davvero un modello correttivo. Potremmo chiamarlo l’Amnistia totale… consisteva nel necessario e periodico condono dei debiti dei piccoli agricoltori – necessario perché questi agricoltori sono, in ogni società in cui vengono calcolati interessi sui prestiti, inevitabilmente soggetti a impoverimento, e poi confisca della loro proprietà, per finire ridotti in servitù… da parte dei loro creditori.

[Ed era anche necessario, dato che una] dinamica costante nella storia è la tendenza delle élite finanziarie ad appropriarsi del controllo e gestire l’economia in maniera parassitaria e predatoria. La loro apparente libertà viene ottenuta a spese delle autorità governative, e dell’economia in generale. Di conseguenza, essa diventa l’opposto della libertà – come era chiaro ai tempi dei Sumeri…

Quindi fu inevitabile [nei secoli successivi], che nella storia greca e romana, un numero crescente di piccoli agricoltori si indebitasse in maniera insostenibile, e perdesse la propria terra. Era perciò inevitabile che i loro creditori ammassassero enormi proprietà terriere e diventassero un’oligarchia parassitaria. Questa tendenza innata alla polarizzazione sociale – dovuta al non condonare i debiti – è la maledizione originale e incurabile della civiltà occidentale successiva all’ottavo secolo avanti Cristo, la lurida macchia che non può essere lavata via, né asportata.

Hudson sostiene che il lungo declino e la caduta di Roma siano cominciati non, come sostiene Gibbon, con la morte di Marco Aurelio, ma quattro secoli prima, dopo che Annibale devastò la campagna italiana durante la Seconda Guerra Punica (218-201 a.C.). Dopo la guerra, i piccoli contadini dell’Italia non recuperarono mai la propria terra, che veniva sistematicamente incamerata dai grandi oligarchi terrieri, come Plinio il Vecchio ha evidenziato. [Naturalmente, oggi sono le piccole e medie imprese italiane che vengono accaparrate dalle multinazionali oligarchiche e pan-europee].

Ma tra gli studiosi moderni, come sottolinea Hudson, “Arnold Toynbee è praticamente l’unico a dare importanza al ruolo del debito nella concentrazione della ricchezza romana e della proprietà terriera” (p. xviii) – e quindi nello spiegare il declino dell’Impero Romano…

“Le società della Mesopotamia non erano interessate all’uguaglianza” ha dichiarato all’intervistatore, “ma erano civilizzate. E possedevano la sofisticazione finanziaria sufficiente per capire che, dal momento che gli interessi sui prestiti aumentano esponenzialmente, mentre la crescita economica nella migliore delle ipotesi segue una curva a S, è inevitabile che i debitori, se non sono protetti da un’autorità centrale, finiranno per essere eterni debitori. Pertanto i re della Mesopotamia salvavano regolarmente i debitori che stavano venendo sommersi dai debiti. Sapevano che era una misura necessaria. Più e più volte, secolo dopo secolo. Proclamavano “complete amnistie”.

L’Ue ha punito la Grecia per la sua prodigalità – e si appresta a punire l’Italia se dovesse ignorare le regole fiscali Ue. L’Ue sta tentando quella che Schmitt definiva un’”azione frenante”, per mantenere la sua egemonia.

Tuttavia, questo è davvero un caso in cui la Ue vede la pagliuzza nell’occhio dell’Italia, mentre ignora la trave nel proprio occhio. L’istituto di ricerca del ciclo economico Lakshman Achuthan scrive che:

“L’insieme del debito di USA, Eurozona, Giappone e Cina è aumentato più di dieci volte rispetto a quanto è aumentato il loro PIL aggregato, nell’ultimo anno. È notevole come l’economia globale – che rallenta in sincronia, nonostante l’aumento del debito – si trovi in una situazione che ricorda l’effetto “Regina di Cuori”. Come la Regina di Cuori dice ad Alice, nel libro di Lewis Carroll Alice nello specchio: “Ora, qui, vedete, dovete correre più forte che potete per rimanere fermi. Se volete andare in un altro posto, dovete correre almeno al doppio di questa velocità!”.

Ma questo – correre di più, accumulare più debito – può solo, infine, risolversi in una bancarotta gigante (o inflazionando il debito). Guardiamo gli Stati Uniti: il loro PIL sta crescendo al 2,5%; il debito Federale USA è al 105% del PIL, il Tesoro USA spende 1,5 miliardi di dollari di interessi al giorno, e il debito cresce del 5-6% del PIL. La situazione non è sostenibile.

Le richieste di Grecia e Italia di sollievo dal debito possono essere considerate da alcuni come strumentali, per fronteggiare il precedente malgoverno economico; ma, come ci dice Hudson,  le richieste dei Sumeri e dei Babilonesi non si basavano su cose di questo tipo – ma piuttosto, sulla tradizione conservativa fondata sul rituale di rinnovo del cosmo che scandiva il calendario e le sue periodicità. L’idea della Mesopotamia di riforma non aveva nulla a che vedere con quello che chiameremmo “progresso sociale”. Al contrario, le misure che il re istituiva come “giubilei” del debito erano misure pensate per ripristinare il “contesto”, ristabilire un ordine nella società, detto “maat”. “Le regole del gioco non venivano cambiate, ma a ognuno veniva data una nuova mano di carte”.

Hudson fa notare che “i greci e i romani rimpiazzarono l’idea del tempo ciclico e del rinnovamento della società con quella del tempo lineare” [che converge verso la “fine dei tempi”]: “La polarizzazione economica divenne irreversibile, non solo temporanea” – perché l’idea di rinnovamento venne perduta. Hudson avrebbe potuto aggiungere che l’idea del tempo lineare, e la perdita dell’imperativo di smembrare e rinnovare, hanno giocato un ruolo di primo piano nel sostenere tutti i progetti universalistici dell’Europa di un percorso lineare verso la trasformazione umana (o, verso l’utopia).

Questa è la contraddizione essenziale: che l’inevitabile divaricazione e polarizzazione economica stanno trasformando l’Europa in un continente tormentato da contraddizioni interne irrisolvibili. Da una parte l’Europa punisce l’Italia per il suo debito, dall’altra è stata la Bce che ha perseguito politiche di “repressione” dei tassi di interesse fino a portarli in territorio negativo, e ha monetizzato il debito per un importo pari a un terzo dell’intera produzione economica europea. Come poteva l’Ue non aspettarsi che le banche e le imprese non si sarebbero caricate di un debito che si trascinava nel tempo? Come potevano aspettarsi che le banche non gonfiassero i propri bilanci con “debito gratuito” al punto di diventare “troppo grandi per fallire”?

L’esplosione globale del debito è un problema macro, che trascende ampiamente il microcosmo italiano. Come l’antico Impero Romano, la Ue si è atrofizzata nel suo “ordine” fino a diventare un ostacolo al cambiamento e, non avendo alternativa se non tenere duro con un’”azione frenante”, finirà per produrre effetti completamente opposti all’intento originale (ossia un Katechonnegativo involontario).

Fonte: vocidallestero.it (qui) Di Alastair Crookew, 3 dicembre 2018

Cosmo

Ecco il suono del vento su Marte. Registrato dal lander Insight della Nasa

Un debole e cupo fruscio quasi impercettibile all’orecchio umano: è il suono del vento su Marte, registrato per la prima volta dal lander Insight della Nasa, arrivato il 27 novembre sul pianeta rosso.

L’incredibile risultato è stato ottenuto grazie al sismometro e al sensore di pressione dell’aria montati a bordo del lander, che hanno permesso di registrare le deboli vibrazioni generate dal vento che il primo dicembre soffiava a 16-24 chilometri orari.

Il sensore di pressione ha permesso di avere una registrazione diretta del vento, mentre il sismometro ha misurato le vibrazioni prodotte sui pannelli solari. “Il lander di Insight è come un grande orecchio”, spiega Tom Pike, membro del team scientifico della missione. “I panelli solari rispondono alle variazioni di pressione del vento. E’ come se Insight stesse drizzando le orecchie per sentire il vento. Quando abbiamo visto la direzione delle vibrazioni del lander che arrivavano dai pannelli solari, corrispondevano alla direzione attesa del vento nel sito di atterraggio”.

Per la Nasa il primo audio marziano rappresenta un “regalo inatteso”, come spiega Bruce Banerdt, responsabile di InSight presso il Jet Propulsion Laboratory (Jpl) a Pasadena, California. “Ma uno degli obiettivi della missione – precisa l’esperto – è misurare il movimento su Marte e naturalmente questo include anche quello causato dalle onde sonore”. Per farle ascoltare a tutti, l’agenzia spaziale statunitense ha pubblicato un video su YouTube, che in poche ore ha già ottenuto migliaia di visualizzazioni. Si apre con l’audio originale registrato dal sismometro, poi riproposto alzato di due ottave, e prosegue con l’audio registrato dal sensore di pressione, accelerato di un fattore 100 per renderlo più facilmente udibile.

Per ascoltare suoni marziani ancora più chiari e definiti bisognerà aspettare il rover della missione Mars 2020 della Nasa, che porterà a bordo due microfoni.

Fonte: ansa.it (qui), Youtube.com (qui)

Diritti umani

Addio a Lyudmila Alexeyeva, pioniera dei diritti umani nell’ex URSS

È morta all’età di 91 ann Lyudmila Alexeyeva, universalmente considerata come la pioniera e più illustre esponente del movimento per i diritti umani nell’ex Unione Sovietica. Nata in Crimea nel 1927, in piena epoca stalinista, nel 68 Alexeyeva fu espulsa dal Partito Comunista e dalla casa editrice in cui lavorava.

Nel 76 a Mosca fu la fondatrice del Comitato di Helsinki, la più antica organizzazione russa per la difesa dei diritti umani nonchè primo di una serie di gruppi nati in tutto il mondo per vigilare su rispetto degli accordi stipulati un anno prima nella capitale finlandese

Per questo, l’anno seguente fu costretta all‘esilio negli Stati Uniti, tornando in patria solo nell’89 senza aver mai smesso di battersi per il rispetto dei diritti dell’uomo.

Fonte: euronews.it (qui)

Elites vs Popoli

Come l’élite mette a tacere il dissenso

Bocciatura UE e spread? Armi delle élite. Bifarini: Creare occupazione. Ecco come la bocciatura Ue è uno spauracchio. L’Italia non cresce e le élites al potere vogliono tenerla nell’austerity. Il perché lo spiega l’economista Ilaria Bifarini.

Dopo che la commissione Ue ha bocciato la manovra del governo italiano (M5S-Lega) abbiamo intervistato l’economista Ilaria Bifarini, fresca del suo nuovo lavoro editoriale “I coloni dell’austerity”: “Le élites europee ed italiane vogliono mantenere lo status quo. Lo fanno per propagandare con il controllo dei media questo modello economico che risulta perdente, sminuendo e ridicolizzando ogni piano alternativo e anche chi la pensa in modo differente. Lo fanno fin nel dettaglio con un macchina del fango sistematica”, spiega ad Affaritaliani.

Il piano del nuovo governo non mi sembra così radicale da…

“Infatti non lo è ma occorre comunque ridicolizzarlo. E’ un primo passo e una manovra che va in un’altra direzione rispetto alle precedenti ma la ridicolizzazione è architettata fin nei minimi particolari, cosa che fanno anche nei confronti delle persone, è stato fatto anche a me, anche se chi la esercita è minoritario nel Paese. La maggioranza degli italiani non crede in queste ricette”.

L’abbiamo vista di recente ad Otto e mezzo su La 7. Ci sono stati degli strascichi?

“Pensi che dopo la serata sono stata bersagliata, intimidita, derisa da importanti giornalisti e potenti economisti, una sorta di bullismo mediatico, in modo così volgare da lasciarmi senza parole. Le faccio un esempio su un comportamento che ritengo significativo. Il vicepresidente del Parlamento europeo, David Sassoli (ex conduttore del Tg1 ed esponente del Pd, ndr) si è scomodato per me, bloccandomi su twitter e taggando il contenuto di un suo tweet al Parlamento Europeo, dove dice che se mi invitano in tv gli italiani potrebbero precipitarsi a ritirare i loro soldi dalle banca. Non pensavo di essere così potente. Si vede che la verità non si può dire in tv”.

Il tweet di David Sassoli.

E cosa ha detto?

“Ho detto che mettere in discussione l’Europa è necessario. Che l’austerity è una ricetta che non ha funzionato e non funziona. E’ un modollo adottato su scala universale in modo acritico e l’Europa ne è in questo momento la portatrice più avanzata. Tutti addossano alle politiche del governo l’aumento dello spread ma accade principalmente perchè il quantitative easing di Draghi e della Bce è agli sgoccioli. Però questo nessuno lo spiega”.

Secondo lei, perché questi attacchi?

“Perché viviamo in una delle società più inique di sempre. Un ristrettissimo numero di persone detiene la maggioranza del potere nel mondo e in questo Paese. La loro ricetta di gestione è questo fondamentalismo economico che è il neoliberismo e anche se non funziona non lo si può mettere in discussione con delle critiche. Chi ha in mano il potere detiene il controllo dei media che sembrano fare di tutto per mantenere lo status quo”.

Ma non bastava leggere il premio nobel Stiglitz del 2002 per sapere che le ricette di Banca Mondiale, Fondo monetario interneazionale o WTO (e vari altri organismi sovrannazionali) producono spesso effetti devastanti nei Paesi in cui vengono applicate?

“Ho moltissimi punti in comune con le teorie di Joseph Stiglitz ma nel contesto maistream la comprensione di questi temi non è passata. Con un martellamento a tappetto hanno convinto gli italiani che l’economia è sapere ogni giorno quali siano le oscillazioni dello spread e le dinamiche del debito. Ma questa non è economia. L’economia ha il compito di far star meglio le persone. I veri problemi dell’economia sono la mancanza di crescita e la disoccupazione. In Italia si dovrebbe anche iniziare a rivedere il meccanismo d’asta usato per il collocamento dei BTP. Il sistema di gestione del debito pubblico italiano va rivisto. La modalità del ‘prezzo marginale d’asta’ comporta che i titoli vengano assegnati al prezzo più basso offerto e quindi al tasso più alto. Ciò comporta un costo del debito pubblico elevatissimo. Basterebbe fare come in Germania dove esiste un importante sistema di banche pubbliche che intervengono nelle aste dei titoli pubblici”.

Come si esce da questa fase critica per i mercati?

“E’ questo continuo stato di tensione che ha effetti deleteri sui mercati. Dovrebbe cambiare l’approccio europeo. I mercati speculano sulle aspettative. La Bce dovrebbe preservare la stabilità dei mercati con politiche monetarie ad hoc”.

E in Italia cosa occorrerebbe fare?

“La classe politica ha tradito gli italiani con privatizzazioni che non vi dovevano essere o entrando nell’unione monetaria UE senza che vi fossero le condizioni. Pensi che in Francia si scende in strada per rivendicare istanze popolari che qui ogni giorno si disprezzano come populismo. Ma è normale, parliamo dei sistemi di privilegi che una casta vuole continuare a mantenere. Il vero problema è questa ideologia delle élites che costringe ampie masse europee all’austerity e alla povertà. Ora con arronganza aristrocratica chi detiene le redini di questo tipo di società vuole ancora preservare i propri privilegi”.

Come si crea la crescita?

“Con investimenti pubblici produttivi. Grandi investimenti e opere che creino lavoro. Con questi interventi ci occuperemmo dello stato di salute del nostro territorio che abbiamo visto in che condizione è, vedi il ponte di Genova e tutti i disastri che sono capitati anche ultimamente, e metteremmo in moto un circolo viruoso che procura crescita e benessere. Resta questo lo scopo dell’economia, non l’informazione giornaliera sullo spread. Lo Stato non può continuare a chiedere al cittadino più di quanto dà”.

Perché il suo ultimo libro “I coloni dell’austerity” è autoprodotto in self publishing e non ha una casa editrice?

Ho preferito così per avere una totale indipendenza su quanto è scritto e una gestione totale dei contenuti con tempi e modi che decido io. E’ importante per ottenere un lavoro ben fatto e poter anche pensare di fare altri libri in futuro.

Fonte: ilariabifadini.com (qui) – Intervista del giornalista e scrittore Antonio Amorosi per Affaritaliani, 21 novembre 2018

Austerity, Europa

H. Flassbeck: “la colpa è della Germania”

Intervista molto interessante di Kontext Wochenzeitung al grande Heiner Flassbeck e a Paul Steinhardt, economista e condirettore di Makroskop insieme a Flassbeck. I due hanno una spiegazione molto chiara per la crisi italiana e non le mandano a dire: la colpa è dei tedeschi che grazie alla moderazione salariale hanno portato via quote di mercato agli italiani e ai francesi, l’unione monetaria è stata la grande fortuna della Germania, mentre senza l’euro Schröder sarebbe passato alla storia come il peggior Cancelliere di tutti i tempi. Da Kontext Wochenzeitung l’intervista a Heiner Flassbeck e a Paul Steinhardt

Herr Flassbeck

Herr Flassbeck, due anni fa lei aveva già previsto che nel 2018 in Italia ci sarebbe stata una coalizione anti-euro. Come poteva saperlo?

Flassbeck: perché in quel momento già si capiva che l’Italia non avrebbe potuto riprendersi economicamente. Pertanto era lecito aspettarsi che gli italiani alla fine si sarebbero stufati e avrebbero scelto un governo che promette di fare qualcosa di diverso. È successo con Trump, ed è andata così anche in Brasile: ogni volta che la sofferenza di un  popolo diventa così grande, indipendentemente da chi c’è, la gente pensa: ci proviamo comunque.
I precedenti governi guidati dall’ex commissario UE Mario Monti e dei suoi successori hanno cercato di attuare le direttive dell’UE una dopo l’altra.
Flassbeck: era una politica sbagliata. Questo è il punto chiave. Agli italiani è stato detto: fate le riforme strutturali, risparmiate – lo fanno dal 1992. Ed infatti non è servito a nulla.
Herr Steinhardt, lei ha ottenuto un dottorato di ricerca sul tema “Cos’è un’economia di mercato?”. Se ora la Commissione europea dà al governo italiano un ultimatum: questo è ancora un gioco libero delle forze?
Steinhardt: è sempre stata un’idea sbagliata quella di distinguere tra mercato e stato. Quella che viene chiamata economia di mercato ha sempre bisogno di uno stato. Le lettere blu da Bruxelles sono il male minore. E’ molto peggio se la Banca centrale europea (BCE) non interviene. Ecco perché il famigerato spread sta aumentando.
Paul Steinhardt
Questo deve spiegarcelo in maniera più dettagliata.
Steinhardt: lo spread, che è il differenziale di tasso di interesse fra Italia e Germania, ci viene spiegato così: i mercati valutano la politica di bilancio degli italiani e dei tedeschi e giungono alla conclusione che la politica di bilancio italiana è sbagliata per via del deficit al 2,4 per cento! Se si guarda piu’ da vicino, si puo’ però notare: gli italiani dal 1992 al lordo degli interessi hanno sempre prodotto degli avanzi di bilancio. Quando si dice che avrebbero buttato i soldi per i benefici sociali o altro: non è vero. La banca centrale acquistando titoli di stato può spingere gli spread a qualsiasi livello desiderato. L’esempio del Giappone è chiaro: qual’è lì il livello dei tassi di interesse? Zero! Perché la banca centrale giapponese ha praticamente tutti i titoli di stato sul suo bilancio. Se ora il mercato  vende i titoli di Stato italiani, la ragione è semplice: la preoccupazione che questi titoli di Stato siano convertiti in Lire e che la Lira poi si svaluti. Questo pericolo viene espresso dagli spread. La BCE potrebbe affrontare questo problema acquistando i titoli di stato.
Perché la BCE non lo fa?
Flassbeck: perché secondo il trattato di Maastricht è vietato finanziare gli stati. L’Italia dovrebbe avere la possibilità di agire in termini di politica economica, ma ciò è vietato, e il divieto è stato ulteriormente aggravato nel Patto di stabilità del 2012. Pertanto, lo stato italiano si troverebbe a  peggiorare ulteriormente la situazione economica. Ma la situazione è già cattiva. La disoccupazione è all’11%, l’Italia è da sei anni in recessione. La politica dei bassi tassi d’interesse finora non ha funzionato, e ci sarebbe una terza possibilità, cioé quella di liberarsi tramite le esportazioni: questa strada viene però bloccata dalla Germania con la sua folle politica delle eccedenze commerciali, vantaggio procurato grazie al dumping salariale.
Chi avrebbe dovuto agire diversamente e come?
Flassbeck: i trattati sono una costruzione piena di difetti. Abbiamo creato un’unione monetaria in cui nessun paese ha piu’ una banca centrale. Cio’ è totalmente assurdo:come paese dell’UE hai meno possibilità rispetto a quelle di un paese in via di sviluppo.
La crisi del debito sovrano italiano è causata solo dai tassi di interesse?
Steinhardt: non c’è nessuna crisi del debito sovrano! Il debito pubblico italiano è da tempo al 130% del prodotto interno lordo. Quello a cui assistiamo è una recessione, da sei, sette anni.
Flassbeck: e sul nostro lato c’è la corsa a creare il panico. I giornali e gli economisti tedeschi sembrano essere molto bravi nel prevedere la bancarotta dello stato italiano. Questa è una totale assurdità. Ci siamo murati in quei trattati che in pratica chiedono all’Italia di ridurre ulteriormente il debito sovrano. È praticamente impossibile.
Steinhardt: il governo italiano può anche decidere di spendere meno per le pensioni, ad esempio. Ma poi ci sarà meno domanda, che porta a un aumento della disoccupazione, che a sua volta aumenta i costi sociali e, automaticamente, anche il rapporto debito-PIL. Questo è quello che abbiamo vissuto in Grecia.
Esistono speculazioni sui differenziali dei tassi di interesse oppure la crisi è appositamente causata per generare dei guadagni speculativi aggiuntivi?
Flassbeck: certo. Si specula sempre. Proprio in una situazione come questa bisognerebbe avere una banca centrale sovrana. Non per finanziare il paese su base permanente, ma solo per porre fine alla speculazione sui titoli di stato.
Steinhardt: se devo gestire un patrimonio e vedo che è aumentata la possibilità di un’uscita dall’euro, sicuramente cercherò di ridurre il rischio. Devo difendere i miei ex colleghi. L’unico problema è che quando in un’unione monetaria ci sono diversi livelli di tassi di interesse, in pratica si tratta di una discriminazione nei confronti delle aziende che risiedono in un altro paese. Una banca centrale che non riesce a mantenere il livello dei tassi di interesse è incapace.
Flassbeck: i trattati indicano chiaramente che la BCE non può finanziare gli stati.
Steinhardt: i trattati non sono stati modificati quando nel 2008/2009 i tassi di interesse erano estremamente divergenti. Draghi all’epoca lo aveva giustificato con la stabilità finanziaria, che ora è in pericolo.
Perché l’Italia allora non esce dall’euro?
Flassbeck: un’uscita ha senso solo se c’è una svalutazione. Questa colpirebbe i risparmiatori italiani, che all’improvviso si troverebbero delle lire sul conto anziché degli euro, con un valore del 30 % inferiore. Devi prima riuscire a venderlo al tuo popolo. Esiste già una banca centrale italiana, ma il governo non è più autorizzato a dare ordini. Perché la banca centrale italiana è una filiale della BCE. Servirebbe una legge per rinazionalizzare la banca centrale.
Steinhardt: il primo ministro italiano Giuseppe Conte ora dice che sarebbe possibile ridurre alcune spese essenziali. Come andrà a finire non lo sappiamo, forse alla fine ci sarà un compromesso modesto.
Allora non importa chi ora cede o chi si impone…
Flassbeck: …la situazione non cambierà in meglio. Ma l’Italia ha bisogno di miglioramenti, compresa la Francia: probabilmente alle elezioni europee assisteremo al disastro del signor Macron.
Lì le barricate sono in fiamme e i giubbotti gialli stanno protestando contro l’aumento del costo della vita. Secondo il Tagesschau, tre quarti della popolazione francese sta con loro.
Flassbeck: ed è giusto che sia così. Macron aumenta le tasse e non gli interessa di chi viene colpito. Le tasse sono state abbassate per i ricchi, è una politica brutale di ridistribuzione dal basso verso l’alto. È chiaro che le persone a un certo punto non potranno piu’ tollerarlo. Se Macron alle elezioni europee prende il 10% o anche il 15%, è malconcio, forse non sarà realmente piu’ in grado di agire. Ovunque la situazione ribolle e non migliora. Solo i tedeschi restano seduti nella loro serra, pregando che le cose continuino ad andare bene e che non gli arrivi nulla della miseria là fuori.
Da noi si pensa invece che la Germania abbia fatto tutto bene.
Flassbeck: questo è il vero problema. Ieri ero alla Schaubühne di Berlino (teatro) e l’ho anche detto: la colpa è della Germania. Il pubblico si è agitato. Ma che sta dicendo quest’uomo?
In che modo la politica tedesca dei bassi salari è collegata con la situazione in Italia?
Flassbeck: in un’unione monetaria tutti i paesi devono avere lo stesso tasso di inflazione. La Germania ha violato il proprio obiettivo di inflazione del 2% – che gli altri paesi europei hanno adottato – e ne è rimasta al di sotto. I tedeschi grazie ad una politica di dumping salariale hanno potuto vendere i loro prodotti a buon mercato. Di conseguenza, la Germania ha sottratto all’Italia posti di lavoro e quote di produzione sui mercati mondiali.
Steinhardt: Quando fu introdotto il sistema monetario europeo dell’ECU nel 1996, la disoccupazione in Italia era inferiore a quella della Germania. E continuava a scendere mentre in Germania stava salendo. Fino a circa il 2006/07, quando le curve improvvisamente iniziano a muoversi nella direzione opposta. Questo lo capiscono poche persone: la moderazione salariale inizialmente è costata dei posti di lavoro. La fortuna dei tedeschi è stata l’unione monetaria, perché sono stati in grado di compensare la perdita di posti di lavoro sul mercato interno con le esportazioni. Agli italiani è successo il contrario. Poiché la Germania li ha praticamente rimpiazzati, la produzione industriale è diminuita significativamente. Non si può mai guardare ad un paese in maniera isolata: tutti i paesi non possono essere campioni del mondo dell’export allo stesso modo e allo stesso tempo.
Le esportazioni tedesche vanno principalmente verso gli altri paesi europei?
Flassbeck: No. abbiamo portato via quote di mercato agli italiani in tutto il mondo, anche ai francesi. In Cina, ad esempio, la Germania è di gran lunga il paese europeo di maggior successo. Anche negli Stati Uniti, non solo in Europa.
E la risposta degli USA è il protezionismo?
Flassbeck: questo protezionismo in realtà sarebbe giustificato anche sulla base delle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). La Germania non vuole accettare certe cose, che preferisce oscurare. Certe cose non vengono dette, nemmeno sui media.
Steinhardt: la Germania conduce una strategia di svalutazione. In questo modo puo’ ottenere un vantaggio competitivo, anche all’interno di un’unione monetaria. Poiché i cosiddetti tassi di cambio reali effettivi, che sono fissati al livello dei prezzi, dipendono in ultima analisi dai tassi di inflazione. La Germania è sempre stata sotto, la Francia esattamente sull’obiettivo dell’inflazione, l’Italia al di sopra. La differenza riguarda la competitività dei prezzi nell’intero settore dell’export. La Germania ha giocato questa carta con successo. Gli americani hanno sempre criticato tutto ciò..
Flassbeck: senza l’unione monetaria, il D-Mark si sarebbe già apprezzato e la storia dopo due o tre anni al massimo sarebbe finita. Schroeder sarebbe passato alla storia come il peggior Cancelliere di tutti i tempi e non come il grande eroe che ha salvato la Germania. Su questo argomento c’è una grande incomprensione, specialmente dal lato della SPD e della sinistra in generale, che non si rendono conto di aver distrutto con questa politica ogni loro possibilità di sopravvivenza, una politica che solo per la Germania ha avuto un apparente successo e che invece ha distrutto l’Europa e ogni sua possibilità di sopravvivenza. Perché i pochi ricchi che ne hanno beneficiato, non sono sufficienti come base elettorale.
Fonte: vocidallagermania.blogspot.com (qui)