Il primo gennaio 1999 la moneta unica faceva il suo ingresso ufficiale sui mercati finanziari, per approdare tre anni dopo, il primo gennaio 2002, nelle tasche dei cittadini europei, italiani compresi.

Un periodo significativo di circolazione per poter fare un primo bilancio del suo avvento. E le somme, soprattutto per l’Italia, non sono per niente lusinghiere, anzi tutt’altro. A scorrere le cifre messe insieme in questi giorni da Bloomberg Economics, che ha fatto un resoconto del primo ventennio di euro, il nostro Paese ne esce infatti con le ossa rotte.

Quel che però bisognerebbe approfondire è se il nostro attuale malessere economico dipenda direttamente dall’euro, o quanto non piuttosto dal fatto che la moneta unica ha contribuito ad amplificare carenze strutturali del nostro sistema produttivo. Ma andiamo con ordine, e vediamo cosa ci dicono i numeri.

Venti anni di arretramento

Le prime evidenze, relative allo studio di Bloomberg, ci mostrano senza pietà, uno scenario devastante per il nostro Paese. Basti pensare ad esempio che tra il 1985 e il 2001 il prodotto interno lordo italiano era cresciuto di 482 miliardi di euro (+44%), mentre tra il 2002 e il 2017 la crescita è stata pari a 31 miliardi, ovvero uno striminzito + 2% in quasi vent’anni.

Altra nota molto dolente poi è quella delle esportazioni, da sempre cavallo di battaglia della nostra economia. Ebbene, sempre tra l’85 e il 2001, l’export era cresciuto in Italia del 136,3%, mentre, dall’avvento dell’euro, la crescita si è fermata a un modesto +40,9%, ossia meno di un terzo.

A questo già desolante panorama, potremmo poi ancora aggiungere il fatto che il Pil pro capite è allo stesso livello del 1999, che la disoccupazione da sei anni staziona sempre intorno all’11% e che la produzione industriale langue ancora del 22% al di sotto dei livelli massimi raggiunti nel 2007.

Produttività, tallone d’Achille

Ma un’analisi seria e ragionata non può fermarsi a queste pur eclatanti evidenze. Quel che bisognerebbe approfondire infatti è, come già accennato, quanto l’entrata in vigore dell’euro non abbia accresciuto difficoltà che erano già insite nel nostro sistema economico, e che lo rendevano già di per sé più debole rispetto ad altre economie europee.

E in questo senso, un esempio molto lampante è rappresentato dalla produttività. Quest’ultima rappresenta in maniera molto semplificata, la quantità di prodotto che ogni singolo lavoratore produce in una data unità di tempo, ad esempio in un’ora. Una produttività più alta, significa che un sistema produttivo è più efficiente, più innovativo, e dunque più concorrenziale sul mercato.

Se andiamo a scorrere le statistiche realizzate da Eurostat sui Paesi dell’Unione, scopriamo allora che questo rappresenta un vero e proprio tallone d’Achille dell’Italia. Nel periodo che va infatti dal 1999 al 2017, la produttività in Italia non solo non è cresciuta, ma è addirittura calata quasi del 5%.

Nello stesso periodo, la Francia ha visto la propria produttività crescere più del 13%, la Spagna del 12% e la Germania ha fatto un balzo in avanti anch’essa del 12%, il tutto grazie a forti riforme del mercato del lavoro, che invece in Italia sono state sempre poco incisive. Non a caso forse, questi Paesi hanno ottenuto benefici ben più consistenti dall’entrata in vigore dell’euro, come dimostra lo stesso studio di Bloomberg.

Addio svalutazione

Ma perché la moneta unica influisce così tanto nel rapporto tra produttività e sviluppo dell’economia? La spiegazione è semplice: in passato, per colmare gap di mancata evoluzione della produttività, l’Italia utilizzava lo strumento, fin troppo abusato, della svalutazione monetaria.

Una lira debole, ci permetteva comunque di essere competitivi sui mercati internazionali, nonostante la nostra produttività fosse inferiore a quella dai nostri competitor. Con l’arrivo dell’euro, il giochetto della svalutazione non è stato più possibile, e il nodo di una mancata crescita della produttività è venuto drammaticamente al pettine.

Abbiamo deciso di competere con grandi Paesi, come Germania e Francia appunto, e per farlo ora dobbiamo utilizzare gli stessi mezzi, ossia l’innovazione, gli investimenti, la ricerca. Tutte armi che in Italia da anni risultano spuntate, per colpe tanto della politica che della classe imprenditoriale.

In tutto questo scenario dunque, l’euro non ha fatto altro che mettere in evidenza questa palese arretratezza del nostro sistema produttivo. Ci sarebbe stato tutto il tempo per rimediare, e forse c’è ancora, l’importante sarebbe però non addossare tutte le colpe all’euro, il cui funzionamento andrebbe comunque magari in parte migliorato, ma cercare di individuare le debolezze strutturali della nostra economia e intervenire su di esse. A cominciare proprio dalla produttività.

Ed oggi nessun TG nazionale ha ricordato l’anniversario che sta passando in sordina…

Di seguito i grandi successi dell’Euro prodotto in Italia…

Poveri che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno.

Numero poveri in indigenza assoluta

Nel 2017 un abitante del meridione su 4 era in povertà assoluta. Se vediamo l’evoluzione temporale.

Un successo. Infatti, (dati dossier ACLI povertà) a povertà relativa in Italia era dell’11,2% nel 1999 ed è salita al 13,7% della popolazione nel 2015. Un grande, grandissimo successo, chi va a stappare lo spumante?

Il PIL pro capite è stato in calo, e solo di recente si è ripreso, ma ricordiamo che dal 15 ottobre 2014 è stata conteggiata l’economia sommersa che pesa per 187 del 2014, pari all’11,5% del PIL del 2011. Un desiderio dell’Eurostat (che caso) che ha gonfiato i dati dal 2011 in poi, se no la caduta sarebbe stata ancora peggiore. Che si deve fare per dire che l’Euro è un bene…

 

Ricordiamo poi gli effetti sulla produzione industriale italia dell’introduzione dell’euro:

Tanto per ricordare.

Quindi scusateci se, al contrario di Juncker, non stappiamo lo spumante, anzi ci arrabbiamo ancora un po’ di più, perchè ci sono voluti 20 anni affinchè il disastro della moneta unica divenisse un tema di discussione generale. 20 anni di povertà e suicidi economici, un ventennio perso per l’Italia.

Immagino i soliti furboni che affermeranno che “La colpa non è dell’Euro”, che “Non abbiamo fatto le riforme” ed altre amenità simili. Certo, l’influenza esatta dell’euro non è facilmente determinabile, anche se esistono modelli macroeconomici indicativi della distruttività di un’unione monetaria per economie come quella italiana. A questi signori chiediamo una controprova , comunque: usciamo dall’euro  e restiamone fuori per 20 anni, facendo politica economica espansiva, poi, fra 20 anni confrontiamo i due periodi. Iniziamo subito uscendo…

Fonte: scenarieconomici.it (qui) e panorama.it (qui)

Se poi vuoi vedere gli incrementi dei prezzi ed il conseguente minore potere d’acquisto leggi di seguito:

Dall’introduzione dell’euro ad oggi, i prezzi e le tariffe in Italia per beni e servizi di largo consumo sono aumentati mediamente del +59,1%. Lo denuncia il Codacons, che diffonde oggi tutti i numeri sul fenomeno a distanza di 15 anni dal passaggio dalla lira all’euro.

“Il Codacons fu la prima associazione che nel gennaio 2002, quando venne introdotto l’euro, denunciò gli aumenti selvaggi e le speculazioni da changeover – spiega il Presidente Carlo Rienzi – All’epoca venimmo accusati di euroscetticismo e di terrorismo mediatico, mentre oggi tutti ci danno ragione, perché la prova di ciò che è successo è sotto gli occhi di chiunque, a partire dagli stessi commercianti, prime vittime della loro stessa politica suicida”.

Dal gennaio 2002 al gennaio 2017 i cittadini italiani hanno subito rincari medi del +59,1%, con punte del +207,7% per la penna a sfera, +198,7% per il tramezzino consumato al bar, +159,7% per un cono gelato – spiega il Codacons – Comprare un giornale costa il 94,8% in più; va meglio con l’espresso al bar (+34,3%) ma attenzione alla classica pizza margherita:+103,9%.

Gli aumenti di prezzi e tariffe degli ultimi 15 anni hanno determinato una maggiore spesa a carico degli italiani complessivamente pari a 14.183 euro a famiglia, contribuendo alla perdita di potere d’acquisto e al generale impoverimento del ceto medio – calcola il Codacons.

Ma ad impressionare di più è il confronto tra i prezzi dei beni di largo consumo dalla lira all’euro. Ecco di seguito una tabella realizzata dal Codacons che dimostra l’andamento dei listini al dettaglio dagli ultimi giorni delle lire (dicembre 2001) ai giorni nostri (qui)

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