Banche, Governo, Politica

Carige, Paragone (M5s): “Governo vuole fare come Renzi o come gilet gialli? Non finisca come i casi precedenti”

“Questo caso di Carige non può finire come tutti i casi trattati dai governi precedenti, con una soluzione abbastanza simile. È mai possibile che nessuno nel governo del cambiamento stia chiedendo a Bankitalia di rendere conto delle sue responsabilità? Vogliamo farla questa benedetta commissione d’inchiesta (sulle banche, ndr)? Sarà realmente operativa? Sono incazzato, sono un gilet giallo, non volevamo esserlo?”: Così il senatore M5s Gianluigi Paragone in un video su Fb. “E per evitare che il mio governo faccia un autogol facciamo i gilet gialli. Dobbiamo dimostrare di essere forti, il governo del cambiamento, vicini alla gente – dice -. Abbiamo deciso che il 560 non si tocca, l’articolo (del codice di procedura civile, ndr) scritto da Renzi e dalla Boschi sotto dettatura delle banche, non può essere smantellato? Allora facciamo delle case popolari, qualcosa che consenta agli sfrattati, alla gente a cui viene tolta la casa pignorata dalle banche, di avere un riparo immediatamente. Diamo ai piccoli imprenditori delle risposte. Io voglio essere questa cosa qua”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui) e facebook

Banche, Politica

Carige, il governo vara il decreto: “Le norme approvate sono in favore di risparmiatori e correntisti”. Ma quando la separazione bancaria?

Il decreto Tutela risparmio prevede la possibilità per Carige “di accedere a forme di sostegno pubblico della liquidità” e “viene prevista la possibilità di accedere – attraverso una richiesta specifica – a una ricapitalizzazione pubblica a scopo precauzionale”. Conte e Di Maio: “Le norme approvate sono in favore di risparmiatori e correntisti”. Forza Italia: “In linea con governi precedenti”.

L’ennesimo provvedimento successivo, una pezza dovuta per tutelare famiglie e imprese, risparmiatori e correntisti, che in caso di risoluzione dell’istituto bancario genovese si vedrebbero aggrediti i propri fondi, sopra la soglia dei 100.000 euro. Ancora una volta è necessario sollecitare anche in Italia il ritorno della separazione bancaria. Obbligare le banche a svolgere le funzioni commerciali, ovvero quelle tradizionali quali la raccolta degli impeghi e l’erogazione dei finanziamenti a famiglie e imprese, rispetto alle funzioni speculative tipiche delle banche d’affari. Tale distinzione consentirebbe di garantire la tutela del solo risparmio depositato presso le banche commerciali. In tal caso il risparmio versato nelle banche speculative, proprio per l’alto rischio degli investimenti, non sarebbe tutelato. Oggi le banche che si trovano in difficoltà sono prevalentemente colpite da crediti non esigibili di grandi dimensioni erogati a clienti legati alla governance degli istituti o grandi imprese, concessi travalicando le maglie ristrette che invece vengono applicate alla famiglie o alle piccole e medie imprese. Oppure da operazioni speculative non andate a buon fine che hanno incrementato il depauperamenteo del capitale finchè gli azionisti di controllo, non essendo più in grado di immettere nuova liquidità, optano per lasciare che l’istituto di credito venga commissariato e si avvii la procedura di amministrazione straordinaria prima e di risoluzione nei casi più gravi. Il tutto con notevole dispendio di risorse pubbliche. Nel caso della Banca Carige non si stente parlare di indagini. La magistratura non sempre ancora intervenuta. Attendiamo di sapere chi ha ucciso l’ennesima banca.

Il governo si muove per risolvere la questione di Banca Carige. E con un decreto approvato durante un Consiglio dei ministriconvocato appositamente e durato appena dieci minuti, l’esecutivo Conte ha stabilito di fornire una garanzia stataleper i bond emessi dall’istituto bancario, commissariato dalla Banca centrale europea dopo il mancato aumento di capitale da parte dell’azionista di maggioranza lo scorso 22 dicembre. Il decreto Tutela risparmio prevede la possibilità per Carige “di accedere a forme di sostegno pubblico della liquidità che consistono nella concessione da parte del ministero dell’Economia e delle Finanze della garanzia dello Stato su passività di nuova emissione ovvero su finanziamenti erogati discrezionalmente dalla Banca d’Italia“. Le misure, comunica Palazzo Chigi, sono state prese “in stretto raccordo con le Istituzioni Comunitarie” e “tali garanzie saranno concesse nel pieno rispetto della normativa in materia di aiuti di Stato“.

Non solo, perché il decreto prevede anche la possibilità di un vero e proprio intervento pubblico. In considerazione degli esiti del recente esercizio di stress cui la banca è stata sottoposta, spiega ancora Palazzo Chigi, “viene prevista la possibilità per Carige di accedere – attraverso una richiesta specifica – a una ricapitalizzazione pubblica a scopo precauzionale, volta a preservare il rispetto di tutti gli indici di patrimonializzazioneanche in scenari ipotetici di particolare severità e altamente improbabili (cosiddetti scenari avversi dello stress test)”. Un’ipotesi ritenuta “residuale” da fonti finanziarie, ma comunque ‘predisposta’ dall’esecutivo. E che porta Forza Italia a parlare di un provvedimento “del tutto simile a quelli dei governi precedenti“.

“Ci riserviamo di esaminare e valutare compiutamente il decreto legge assunto, come sempre senza alcuna interlocuzione con il Parlamento, dal Consiglio dei ministri per il sostanziale salvataggio di Carige”, spiega la capogruppo al Senato di Fi, Anna Maria Bernini. “Notiamo, non senza sorpresa, che il cosiddetto governo del Cambiamento a trazione grillina, che finora ha rappresentato le banche alla stregua di autentici nemici del popolo – attacca Forza Italia – assume provvedimenti in loro favore del tutto simili a quelli dei governi precedenti. È sempre più latitante quel cambiamento su cui il M5s ha chiesto ed ottenuto consensi: l’ennesimo specchietto per le allodole di un governo che continua a tradire se stesso e i suoi elettori”.

Per il premier Giuseppe Conte, il governo grazie all’approvato del decreto “interviene a offrire le più ampie garanzie di tutela dei diritti e degli interessi dei risparmiatori della banca Carige, in modo da consentire all’amministrazione straordinaria di recente insediata di perseguire in piena sicurezza il processo di consolidamento patrimoniale e di rilancio delle attività dell’impresa bancaria”. Mentre il vicepremier pentastellato, Luigi Di Maio, parla di una norma che “tutela i risparmi dei cittadini che hanno scelto la banca Carige”. “Le banche italiane – aggiunge – pagano il prezzo di un sistema di vigilanza della Bce che va dotato di strumenti rafforzati di controllo e di intervento. Saremo sempre dalla parte dei risparmiatori e dei correntisti, sempre”.

In mattinata i commissari nominati dalla Bce per gestire la banca genovese avevano incontrato il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Sul tavolo c’è la gestione di una grossa fetta di crediti deteriorati (attualmente ammontano a 2,8 miliardi di euro) grazie a un intervento di Sga, la partecipata del Tesoro già intervenuta come ‘bad bank’ del Banco di Napoli. Il commissario Raffaele Lener, in un’intervista ad Affari e Finanzadi lunedì mattina, aveva spiegato che l’opzione è ritenuta valida da Tria e Matteo Salvini mentre troverebbe l’opposizione di Luigi Di Maio. Si tratterebbe, secondo Lener, di una “soluzione non onerosa e vantaggiosa per tutti“. A dicembre, Carige non aveva effettuato l’aumento di capitale da 400 milioni di euro e il salvataggio è stato effettuato con un prestito del fondo interbancario.

Il decreto Carige approvato dal Consiglio dei ministri, si legge ancora nel comunicato diffuso dopo l’approvazione, è “in linea di continuità con il provvedimento di amministrazione straordinaria recentemente adottato dalla Bce” e mira a consentire ai commissari “iniziative utili per preservare la stabilità e la coerenza del governo della società, completare il rafforzamento patrimoniale già avviato con l’intervento del Fondo Interbancario dei Depositi, proseguire nella riduzione dei crediti deteriorati e perseguire un’operazione di aggregazione che consenta il rilancio della banca, a beneficio della clientela”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)

Montichiari, Velodromo

Ciclismo, Velodromo di Montichiari tempi lunghi, le manifestazioni pubbliche potranno tornare non prima del 2021.

Prove di carico ok: bando Coni per la copertura con un nuovo telo, lavori pure sul legno della pista. Treviso apre tra un anno.

Vediamo la fine del tunnel. E le otto ore in auto, nella bufera di neve del passo Gottardo in Svizzera, del c.t. Marco Villa con Ganna e Consonni per andare ad allenarsi sul velodromo di Grenchen, resteranno un ricordo. La pista bresciana di Montichiari (di proprietà del Comune) sarà salvata grazie a un intervento rapidissimo dei tecnici di Coni Servizi, che hanno accelerato l’iter per poter utilizzare l’impianto, chiuso dal 24 luglio dalla Commissione di Vigilanza di Brescia per le infiltrazioni di acqua dal tetto. Positive le prove di carico, la struttura metallica è solida: solo in caso di nevicata, con accumulo, ne verrebbe vietato l’ingresso.

I tecnici Coni stanno redigendo il bando con procedura d’urgenza: il tetto del velodromo, intriso d’acqua nell’intercapedine di lana di roccia, verrà coperto e ingabbiato completamente con uno speciale telo plastico. Tempi: 60 giorni. «E saranno fatti lavori di pulizia, stuccatura e levigatura della pista, rovinata dalle infiltrazioni d’acqua, e installate lampade per il riscaldamento — spiega Renato Di Rocco, presidente Fci —. Così entro giugno potremo usare di nuovo la pista per allenarci. Senza pubblico e senza eventi, ma a noi interessa salvare l’avvicinamento all’Olimpiade di Tokyo 2020. Sui costi, siamo tra 400 e 600 mila euro, e con lo stanziamento di 1,8 milioni grazie all’impegno del sottosegretario Giorgetti sul capitolo Sport e Periferie, e alla Regione Lombardia, copriremo sia questo intervento sia il completo rifacimento del tetto che effettueremo non appena aprirà il nuovo velodromo di Spresiano (Treviso): previsioni febbraio 2020. Potremmo così avere due piste per finalizzare la preparazione per i Giochi. Solo dopo, verrà chiuso Montichiari: per rifare completamente il tetto servirà almeno un anno».

Fonte: gazzetta.it (qui)

Anniversari

Tricolore, 222 anni fa nasceva la prima bandiera italiana, in realtà un po’ francese.

 BANDIERA TRICOLORE. Il tricolore italiano, verde bianco rosso, è ritenuto una variante della bandiera della Rivoluzione francese. Adottato da Napoleone per le legioni lombarde e italiane (ott. 1796), poi dalla Repubblica Cispadana (Reggio Emilia, 7 genn. 1797) e da quella Cisalpina (9 luglio 1797). Le altre Repubbliche democratiche sorte tra 1797 e 1799 a Venezia, Genova, Roma e Napoli, non potendo fondersi con la Cisalpina, dovettero invece escludere il verde e adottare altri colori. Il tricolore passò quindi alla Repubblica Italiana(1801) e al Regno Italico (1805-14). Riapparve nei moti carbonari del 1821 e del 1831, divenne la bandiera della Giovine Italia e fu portato in America da Garibaldi. Nel 1848-49, sventolò in tutti gli Stati italiani in cui sorsero o furono desiderati governi costituzionali. Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto proclamò il tricolore b. nazionale facendovi inserire, bordato di blu, lo scudo dei Savoia. Tale bandiera rimase poi quella dello Stato sardo, per divenire, nel 1861, la bandiera del Regno d’Italia. Dopo il referendum del 2 giugno 1946 e la proclamazione della Repubblica, lo scudo dei Savoia è scomparso dalla bandiera italiana.

Fonte: treccani.it (qui)

CISALPINA, REPUBBLICA. – Il 29 giugno 1797, il Bonaparte fondava la Repubblica Cisalpina, composta di gran parte dell’antico ducato di Milano, del Bergamasco, del Cremonese, del Modenese. La costituzione della repubblica fu redatta da un comitato composto da elementi di varie tendenze: fu un lavoro che tradiva la fretta con cui era stato fatto, cosicché non si riuscì a fondere i diversi sistemi vigenti e a rendere la nuova costituzione adatta ai bisogni e all’indole delle popolazioni.

Il territorio era stato diviso in dipartimenti denominati dai monti e dai fiumi che attraversano le varie regioni; il potere sovrano risiedeva nei cittadini, che avevano raggiunto i vent’anni, i quali, a mezzo delle assemblee primarie distrettuali e delle assemblee elettorali, concorrevano alla nomina del Gran consiglio, in cui risiedeva il potere legislativo, composto dei seniori e degli iuniori, mentre il potere esecutivo spettava al Direttorio, formato di cinque membri. La giustizia civile era affidata ai tribunali dipartimentali e ai giudici di pace, la penale ai tribunali suddetti col concorso della giuria e dell’accusa pubblica. Un’alta corte di giustizia veniva chiamata a pronunciarsi sulle accuse ai membri del Corpo Legislativo e del Direttorio. La forza armata era costituita dalla Guardia Nazionale e dalle truppe assoldate per arruolamento volontario. Veniva ammessa la professione di ogni culto, senza particolare riconoscimento di quello cattolico.

La costituzione cisalpina, modellata su quella francese del 1795, riuscì pertanto inadatta allo scopo e la giudicò tale lo stesso Bonaparte, che, alla vigilia di promulgare la Costituzione, fuse la Repubblica Cispadana con la Cisalpina, formando così uno stato di circa due milioni e mezzo di abitanti che fu solennemente inaugurato a Milano il 21 messidoro dell’anno V (9 luglio 1797) e Bonaparte ne formò il Direttorio chiamandone presidente il Serbelloni. La Cisalpina accresciuta, col trattato di Campoformio, del Bresciano, del Mantovano e della Valtellina, costituiva uno stato indipendente con leggi proprie e con proprio esercito; ma era di fatto sotto il dominio della Repubblica francese, a favore della quale veniva imposto un esoso trattato d’alleanza. Nel Corpo Legislativo avevano predominio gli elementi più accesi. Ne nacquero gravi malcontenti e disordini, specie nelle campagne; si rendeva perciò evidentemente necessaria una riforma della costituzione. Il Direttorio francese, che intendeva di favorire gli elementi più temperati, inviò a Milano il Trouvé per attuare i suoi propositi, ma questi a nulla riuscì. Violente agitazioni sconvolsero la Cisalpina, le quali culminarono, quando nell’imminenza della guerra fu decretata una leva di novemila uomini, in tumulti, specialmente fra le popolazioni rurali. Intanto gli Austro-Russi, sconfitti il 27 aprile 1799 i Francesi a Cassano d’Adda, entrarono il 28 in Milano, dove s’iniziò la reazione. Venne abolita la Guardia Nazionale, ordinata la consegna delle armi, si rincrudirono le imposte, si decretarono confische, s’imprigionarono i giacobini non emigrati, come il Reina, il Sangiorgio, il Moscati. Fu invocata di nuovo la Francia. Rovesciato a Parigi il Direttorio e subentrato il Consolato, il Bonaparte, accintosi alla riconquista dell’Italia, dopo la vittoria di Marengo ripristinava la Repubblica Cisalpina, che col trattato di Lunéville del 9 febbraio 1801 riacquistava l’autonomia perduta, ma restava in dominio dei Francesi. Rinacquero le contese fra i varî partiti: i demagoghi ricominciarono da capo nelle lotte contro la religione e le tradizioni del passato.

A togliere il disordine e l’indisciplina che regnava tra le truppe, il Teulié, ministro della guerra, cercò d’introdurre serie riforme, ma con scarso esito; invece di procedere a una più equa e razionale distribuzione dei pesi pubblici, si decretarono enormi ed arbitrarie imposte, prestiti forzosi e requisizioni ingiuste da parte dei commissarî di guerra francesi. La seconda Repubblica Cisalpina volgeva così a rovina e si sarebbe sfasciata se non fosse intervenuto il Bonaparte, convocando i deputati cisalpini in Lione: il 14 febbraio 1802 veniva inaugurata in Milano la Repubblica Italiana.

Bibl.: F. Cusani, Storia di Milano, Milano 1861; G. De Castro, Milano e la Repubblica Cisalpina giusta le poesie, le caricature ecc., Milano 1879; C. Cantù, Corrispondenza di diplomatici della Repubblica e del Regno d’Italia, Milano 1884; Le assemblee del Risorgimento, Roma 1911, I, pref. di C. Montalcini.

Fonte: treccani.it (qui)
Politica, Sicurezza, Sinistra

Nordio: “Il rispetto della legge non ammette vecchi show”

La decisione del sindaco Orlando di non applicare il “decreto sicurezza” sull’iscrizione dei migranti nel registro dei residenti, si colloca in quel filone di matrice sofoclea, già inaugurato dal sindaco di Riace, per il quale quando una legge confligge con le proprie idee è cosa buona e giusta violarne la lettera e lo spirito. Naturalmente Sofocle non c’entra nulla, perché Antigone, l’eroina che antepone le norme della sua coscienza a quelle vigenti, non solo si trova davanti un tiranno, ma accetta le conseguenze fatali della sua nobile disubbidienza. Mentre Orlando e gli altri sindaci che lo stanno seguendo non solo hanno di fronte la legge di uno Stato democratico, approvata secondo la procedura prevista dalla Costituzione “più bella dl mondo”, ma invece di dimettersi intendono, come tutti hanno capito, trarre un ipotetico vantaggio politico. 

Non crediamo affatto che questi presunti buoni sentimenti siano stati ispirati dal discorso di Capodanno del presidente Mattarella. Semmai ne offrono una interpretazione faziosa e distorta. Perché il Capo dello Stato, com’era suo dovere, ha ricordato che – nel pieno rispetto delle leggi – esistono doveri di solidarietà, fratellanza e umanità. Il che non gli ha affatto impedito di firmare il decreto che Orlando e compagni intendono disapplicare. 

E questo ci induce a due riflessioni di ordine giuridico. La prima, banale, che il rispetto delle leggi non è la volatile opzione di moralisti sospetti, ma un obbligo vincolante e positivamente sanzionato. La seconda che il giudizio di anticostituzionalità, che giustificherebbe – sempre secondo Orlando – la loro disapplicazione, non solo è prerogativa dell’apposita Corte, ma costituisce una mancanza di rispetto proprio nei confronti di Mattarella che, a rigor di norme, è il primo a delibare sulla loro conformità alla Costituzione. Arrogarsi questo compito, come pare stiano facendo questi sindaci, non è dunque solo un atto giuridicamente illegittimo, ma anche un atteggiamento politicamente offensivo verso la massima carica istituzionale.

Il fatto è che, come la politica non ha sentimenti, così la spregiudicatezza di chi ne maneggia gli strumenti non conosce confini. Perché la “tirade” di questi sindaci sembra proprio l’estremo sussulto di una sinistra sbandata e incerta che cerca annaspando, di riconquistare opinabili consensi e precarie simpatie. Il decreto sicurezza infatti non solo allarga le loro competenze, ma risponde a istanze che da tempo i responsabili delle amministrazioni cittadine hanno, con buone ragioni, avanzato. Mentre la gestione dei migranti ha sollevato, e continua a sollevare, problemi immensi di natura finanziaria e gestionale che le varie Autorità stentano a risolvere per mancanza di mezzi, di coordinamento e di programmazione. Orbene, soltanto la strumentalizzazione ideologica di una falsa solidarietà può evocare lo spettro di una discriminazione razziale, quando è sotto gli occhi di tutti che i Comuni soffocano sotto le difficoltà di una redistribuzione ragionevole di questa massa di stranieri approdati – senza un criterio selettivo – nel nostro Paese.

E qui arriviamo al paradosso più bizzarro. L’unico ad aver capito la gravità del problema, o comunque il primo ad aver provato se non a risolverlo, almeno a contenerlo, è stato il ministro Minniti, fino a ieri candidato a dirigere quel partito democratico che ora, nell’affannosa ricerca di raccattar proseliti, sembra intenzionato a seguire Orlando e De Magistris in questa incauta e rischiosa avventura. Non sappiamo se sia una scelta pagante in termini elettorali. Ma sappiamo che la prossima volta che questi signori sfileranno per le vie cittadine in nome della legalità subiranno l’ennesima derisione dell’irriverente Beppe Grillo e la perfida ironia dell’irruento Salvini. Ed è doloroso dire che se le saranno pienamente meritate. 

Fonte: il messaggero.it (qui)

Banche, Europa, Europa vs Stati, Politica

Banca Carige. Commissariata. Dallo Stato? No, dalla Banca centrale europea. Se lo Stato è subalterno alla BCE, siamo una colonia.

Si scrive commissariamento, ma si legge esproprio.

La Banca Centrale Europea ha deciso il commissariamento di Banca Carige, disponendone l’amministrazione straordinaria. La decisione segue le dimissioni“irrevocabili e incondizionate” di cinque consiglieri di amministrazione della banca genovese, che hanno fatto decadere l’intero cda.

La Banca centrale europea impone un commissario e l’amministrazione straordinaria, previa dimissione “irrevocabili e incondizionate” di consiglieri cinque di amministrazione della banca genovese che ha portato alla decadenza dell’intero CDA. In questi casi l’assemblea dei soci avrebbero dovuto nominare un nuovo consiglio di amministrazione. Invece, la BCE con la mossa del commissariamento a tempo (tre mesi, prorogabili), di fatto procede con un esproprio, e con la nomina dei commissari (di cui uno l’uscente Presidente del Consiglio di Amministrazione decaduto), inibisce ai soci, grandi e piccoli, in qualità di proprietari della banca di esprimere legittimamente secondo le regole del codice civile, un nuovo Consiglio di amministrazione legittimo. Di fatto anche i soci sono commissariati in quanto non hanno più iniziativa, nel senso che possono approvare o respingere gli ordini del giorno inseriti all’attenzione dell’Assemblea dei soci dei commissari, ma non ne possono modificare i contenuti. Una sorta di prendere o lasciare. Le condizioni per imporre linee strategiche di sviluppo, ma soprattutto di fusione o di cessione delle attività ad altri istituti di credito alle condizioni decise e contrattate dai commissari della BCE.

La Bce ha quindi disposto l’amministrazione straordinaria della banca. Innocenzi, Modiano e Raffaele Lener sono stati nominati commissari straordinari dell’istituto e “adotteranno tutte le decisioni necessarie per la gestione operativa della banca”, riferendone periodicamente alla vigilanza, si spiega da Carige. La Bce ha inoltre nominato un comitato di sorveglianza composto da tre membri: Gian Luca Brancadoro, Andrea Guaccero e Alessandro Zanotti. La decisione di porre la banca in amministrazione straordinaria “darà maggiore stabilità e coerenza al governo della società che, quindi, sarà ancora più efficace nel servire, grazie ai propri dipendenti, i depositanti, i clienti ed il territorio”, si sottolinea ancora.

Perchè il commissariamento? Per motivi di controllo e vigilanza dicono. Infatti la BCE si è mossa con in poteri attribuiti dai trattati europei che gli attribuiscono i compiti di vigilanza. Ma un commissario nominato dal controllore a svolgere di fatto l’attività di governo della Banca, chi lo controlla? Voi direste, lo Stato italiano. Invece no. E’ ancora la BCE che in questo caso si trova ad assumere poteri di vigilanza e di governo dell’istituto bancario. Un classico caso da: controllore e controllato nella stessa istituzione. Risultato: la BCE può fare quello che vuole. Ma cosa farà? Semplice quello che è abituata a fare: trovare l’istitututo bancario che “acquisterà” al banca genovese.

Per Modiano il commissariamento “semplificherà e rafforzerà la governance di Carige e di conseguenza l’esecuzione della strategia in un quadro di sana e prudente gestione”. Innocenzi, infine, sottolinea che “i vantaggi in termini di stabilità della banca si tradurranno in benefici per i clienti, i dipendenti e il territorio”.

L’obiettivo? Con la scusa di raggiungere “stabilità” e “benefici per i clienti, i dipendenti e il territorio”, ma non per i soci azionisti, l’operazione in realtà aiuterà a stabilizzare un’altra banca ben più consistente e con evidenti problemi di stabilità. Quale? Chiedetelo a Draghi. Ma è chiaro che sarà l’istituto di credito che “acquisirà” la Banca Carige.

Anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sta seguendo personalmente, con il ministro dell’Economia Giovanni Tria, le vicende riguardanti la governance della banca. Come si legge in una nota di Palazzo Chigi, questa vigile attenzione del governo, ai suoi massimi livelli, è il segno tangibile e la migliore garanzia per proseguire e completare il consolidamento patrimoniale e il rafforzamento imprenditoriale di un’azienda bancaria valutata, dal medesimo governo, quale essenziale strumento per realizzare il rilancio dell’intero sistema economico-sociale ligure.

E qui arriva la chicca. Il Governo del cambiamento subisce l’operazione e non si oppone. Il primo commissariamento di una banca italiana finalizzata ad espropriarne gli asset per consentirne l’acquisizione da parte di un’altra banca. Il tutto attraverso un piano già definito a Francoforte. Il Parlamento italiano per approvare una legge di bilancio deve prima acquisire il parere vincolante della Commissione europea, e per evitare azioni ritorsive come la famigerata procedura di infrazione e sanzione connessa. Mentre la BCE può procedere al commissariamento di un istituto di credito italiano, senza una deliberazione del Consiglio dei Ministri, in totale scavalgo delle leggi italiane, sulla base di una legislazione sovraordinata, dove nemmeno eventuali ricorsi sono di competenza del sistema giudiziario italiano. Se questa non è dittatura, è sicuramente l’atto plastico della subalternità dello Stato italiano e della sua Costituzione alla Banca centrale europea che dipende da se stessa e non risponde a nessuno. Certamente non risponde al popolo italiano. Oggi, forse, capiamo meglio che in realtà il nostro Paese è una colonia.

Un suggerimento. Non sarebbe il caso di approvare, finalmente, la legge per la separazione bancaria? Netta distinzione tra le banche d’affari e quelle commerciali? In questo caso i manager milionari delle banche non gestiranno i risparmi di famiglie e imprese per la roulette della speculazione, ma li utilizzeranno per sostenere gli investimenti delle famiglie e del sistema produttivo. Per saperne di più: qui.

Fonte: adnkronos.com

 

Immigrazione, Politica, Sicurezza

I costituzionalisti contro i sindaci ribelli: “Rispettate il decreto Salvini”

Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta, boccia l’asse dei sindaci che vogliono boicottare il decreto sicurezza: “Non possono sollevare questioni di legittimità costituzionale”. D’accordo anche il collega Giovanni Maria Flick

La mancata applicazione del decreto Salvini, nella parte che riguarda i migranti, annunciata dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando e dai colleghi di Napoli e Firenze, Luigi De Magistris e Dario Nardella, “è un atto politico”.

I Comuni sono tenuti a uniformarsi alle leggi”. A dirlo è il presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli che, interpellato da Adnkronos, smonta l’asse degli amministratori locali contro la norma prevista dal decreto sicurezza che vieta la possibilità di concedere la residenza a chi è in possesso di un permesso di soggiorno.

“La pubblica amministrazione – spiega Mirabelli – non può sollevare questioni di legittimità costituzionale ed è tenuto a uniformarsi alla legge, a meno che non sia liberticida, che potrebbe essere un caso eccezionale, una rottura dell’ordinamento democratico. Bisogna vedere se si tratta di norme rispetto alle quali è prevista un’attività del Comune che ha carattere di discrezionalità, che la legge impone e che il sindaco ritiene di disapplicare. Non può essere una contestazione generale”. “Se ci sono atti che la legge prevede per i Comuni il sindaco non può disapplicarla. Se la disapplica, e in ipotesi interviene il prefetto o un’altra autorità, sorge un contenzioso e allora potrebbe essere sollevata una questione di legittimità costituzionale. Al momento – chiarisce l’ex presidente della Consulta Mirabelli – è un atto politico“. Parole dal contenuto inequivocabile confermate poi da un altro ex presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick, in un’intervista a Radio Anch’io, su Radio 1: “Non spetta al sindaco decidere di sospendere l’applicazione di una legge se la ritiene incostituzionale ma ricorrere all’autorità giudiziaria per chiedere che ne verifichi l’applicabilità e nel caso l’autorità giudiziaria ne investe la Corte costituzionale”.

Non solo Mirabelli e Flick, anche i sindaci di diverse città italiane prendono le distanze dall’iniziativa di Orlando, De Magistris e Nardella. A salire sulle barricate, assicurando l’ applicazione delle misure previste dal decreto Salvini, sono stati i primi cittadini di città come Udine e Novara. “Il Comune di Udine garantirà piena applicazione al decreto sicurezza varato dal Governo e approvato dal Parlamento. La lotta all’illegalità promossa dal ministro Salvini troverà dunque nella città che ho l’onore di rappresentare una solida alleata, nell’esclusivo interesse di tutti quei cittadini, anche non italiani, che rispettano la legge e le nostre tradizioni”, ha dichiarato il sindaco di Udine, Pietro Fontanini. Altrettanto chiaro il primo cittadino di Novara, Alessandro Canelli: “il decreto Salvini è uno strumento fondamentale per il controllo del territorio e per la sicurezza dei cittadini. Spiace che alcuni sindaci, forse più per motivi ideologici, abbiano annunciato di non voler applicare una legge dello Stato votata dal Parlamento. Forse hanno nostalgia dell’epoca dell’immigrazione senza controlli, ma con la loro scelta arrecano un danno anche ai loro stessi cittadini”.

Fonte: ilgiornale.it (qui)

Immigrazione, Politica, Sicurezza

Ecco le sanzioni che rischiano i sindaci contro il dl Sicurezza

La rivolta dei sindaci buonisti contro il decreto Sicurezza potrebbe avere conseguenze serie per i primi cittadini stessi.

Il Viminale ha ricordato che i prefetti sono tenuti a denunciare i sindaci che non rispettano la legge e anche diversi costituzionalisti (ben al di fuori della politica) hanno bocciato l’armata di dissidenti. Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, per esempio, ricorda: “I Comuni sono tenuti a uniformarsi alle leggi”.

Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, è stato il primo dei disobbedienti ad annunciare con una direttiva di aver sospeso l’applicazione del decreto Immigrazione nella sua città, sollevando dubbi sulla sua costituzionalità. Orlando ha ottenuto il plauso di altri colleghi, che lo hanno seguito a ruota nella crociata contro il dl Sicurezza e contro Matteo Salvini. Le altre fasce tricolori sugli scudi sono Luigi De Magistris (Napoli), Dario Nardella (Firenze) e Federico Pizzarotti (Parma), Marco Alessandrini (Pescara) e Giuseppe Falcomatà (Reggio Calabria).

Ecco, il reato che potrebbe essere contestato loro è quello l’abuso in atti di ufficio, aggravato dal fatto che i sindaci sono anche ufficiali di governo. I prefetti, inoltre, come accadeva in passato con i registri delle unioni civili, hanno la facoltà di annullare l’atto dell’ufficio comunale. E non è tutto, perché se il decreto non viene rispettato, oltre alla denuncia di abuso d’ufficio, il comune rischia anche la revoca dei finanziamenti governativi per l’accoglienza (Sprar), in nome del principio della responsabilità contabile degli enti locali.

Insomma, se la disobbedienza dovesse inasprirsi e arrivare fino in fondo, si potrebbe aprire un intricato contenzioso tra Stato e Comuni, con la possibilità che qualche giudice possa sollevare la questione di legittimità costituzionale del decreto Sicurezza stesso.

Fonte: ilgiornale.it (qui)

Cultura, Innovazione

La previsione di Isaac Asimov per il 2019, fatta 35 anni fa

Al grande scrittore di fantascienza e divulgatore scientifico fu chiesto dal Toronto Star di immaginare l’anno che che sta per iniziare. Con alcune incredibili intuizioni.

Il 31 dicembre del 1983, Isaac Asimov raccontò sulle pagine del Toronto Star come sarebbe stato il mondo nel 2019. Al più grande scrittore di fantascienza (ma non dimentichiamo che fu anche un notevolissimo divulgatore scientifico) non fu affidata una data casuale.

Il quotidiano canadese, in all’interno di un progetto più ampio, lo invitò a ripercorrere quello che, in forma di romanzo, aveva fatto George Orwell con 1984, pubblicato nel 1949. Ad Asimov l’idea piacque così tanto che chiese un compendo assai contenuto: un dollaro a parola.

Le domande da cui partire, del resto, erano molto semplici. Come sarà il mondo tra 35 anni? Basterà una generazione a produrre quelle innovazioni capaci di modificare la vita sul nostro pianeta? Avremo conquistato lo spazio?

La guerra e la sopravvivenza

Per Asimov, che allora aveva 63 anni, per arrivare a delineare il mondo del futuro bisognava seguire tre direttrici principali:

  • Una possibile guerra nucleare
  • Una computerizzazione spinta
  • Un largo e futuristico utilizzo dello Spazio

Nel 1983 il destino del mondo era nelle mani degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. La prima considerazione che lo scrittore fece, non a caso era russo d’origini ma americano d’adozione, fu quella di una possibile guerra nucleare che avrebbe cancellato ogni discorso. Nessun futuro, punto e a capo. Nel 2019 non ci saremmo neanche arrivati.

Se invece, come è accaduto, fossimo stati in grado di evitare questa tragica e apocalittica fine, saremmo ripartiti dalla tecnologia, dall’innovazione e dai progressi fatti grazie allo sviluppo dei computer. Per Asimov, 35 anni dopo, l’informatizzazione già importantissima per governi e nazioni, sarebbe diventata ancora più essenziale per ciascuno di noi, nella nostra quotidianità professionale e domestica.

I robot e il lavoro

Asimov aveva previsto che l’effetto più ingombrante portato dalla tecnologia sarebbe stato quello di cambiare le nostre abitudini lavorative. Partendo però da un punto molto chiaro: “Tutto ciò non significherà un minor numero di posti disponibili. Il progresso tecnologico, in passato, ha sempre creato più lavoro di quello che ha distrutto e non c’è motivo per pensare il contrario anche nel 2019”. Nuove professioni, quelle del suo futuro e del nostro presente, che avrebbero determinato il cambiamento “più radicale” di sempre.

I lavori che per Asimov avremmo abbandonato sarebbero stati quelli caratterizzati da una continua ripetitività. Quelli da catena di montaggio e da eseguire senza particolari sforzi mentali. Con, in questo campo, un ineluttabile sopravvento dei robot e dai computer. Gli uomini del 2019, quindi, si sarebbero occupati della progettazione, della fabbricazione, dell’installazione, della manutenzione, della riparazione e della comprensione di quelle macchine intelligenti e dei settori in cui avrebbero operato. A pensarci bene, insomma, una visione espressa più volte nei suoi libri.

L’istruzione e le nuove competenze

Per Asimov, dunque, nel 2019 sarebbe stato ovvio prevedere una netta metamorfosi nell’istruzione dei giovani, anch’essa trasmessa attraverso nuovi supporti tecnologici. Giovani che sarebbero stati preparati per questi compiti. “Le mani che usiamo in ambito agricolo possono svolgere il loro lavoro senza sapere né leggere, né scrivere. I dipendenti delle aziende del futuro, invece, non potranno prescindere dall’apprendere certe informazioni e dall’applicarle ogni giorno”. Ci aveva visto giusto ma, allo stesso tempo, almeno in Italia, ci aveva forse sopravvalutato.

Se resti indietro sei spacciato

Asimov aveva però capito quanto avrebbe influito l’elemento della velocità in questa transizione. Nell’articolo, infatti, parla di “milioni di inesperti e inadatti che si troveranno impotenti a fare i lavori che dovranno essere comunque fatti”. Una selezione naturale, che neanche Darwin sarebbe stato in grado di immaginare, entro il 2019: da una parte ci sarebbero stati quelli capaci di riqualificarsi; dall’altra quelli incapaci di adattarsi a una società costretta, a malincuore, ad aiutarli (decidete voi se fare collegamenti con misure come il reddito di cittadinanza o i sussidi di disoccupazione).

Il mondo “problematico” del futuro

Per lo scrittore americano, tuttavia, questa generazione di transizione era destinata estinguersi per lasciare spazio a quella successiva, nata nel nuovo millennio. L’unica davvero compatibile con un mondo ormai in perpetuo divenire. Asimov prova perciò a mettere in fila le criticità che l’umanità avrebbe dovuto affrontare in questa fase di transizione immaginando, forse attraverso una visione un po’ utopistica, il superamento di alcune fondamentali controversie.

  • Uno: il controllo delle nascite. Una popolazione sempre in aumento avrebbe costretto i governi, a fatica, a favorire una bassa natalità e ad individuare un tetto massimo da non superare.
  • Due: l’irresponsabilità umana nell’inquinare e produrre rifiuti. Le conseguenze, nel 2019, per Asimov sarebbero state sempre più evidenti e insopportabili. “Si spera che i i progressi tecnologici porteranno strumenti in grado di invertire questo processo”.
  • Tre: la conservazione della pace (o almeno della serenità tra i popoli). L’odio, il sospetto, le liti tra gli Stati sono identificati come minacce per il futuro del pianeta.

Per l’intellettuale, però, avrebbero giocoforza determinato una crescente e necessaria cooperazione tra le nazioni. Non per idealismo, certo, ma per una presa di coscienza, a sangue freddo, che non marciare verso questa direzione “significherebbe una futura distruzione per tutti. Entro il 2019, potrebbe succedere che le nazioni andranno abbastanza d’accordo per permettere al Pianeta di vivere sotto la parvenza di un governo mondiale”. Quel condizionale, a legger bene, diceva già tutto.

La scuola del 2019 e la libertà di conoscere

La vera rivoluzione del 2019, per Asimov, è legata al mondo della conoscenza. Un buon insegnante, in epoca moderna, non dà informazioni ai propri alunni ma instilla la curiosità e la sete di conoscenza. Le nozioni arrivano grazie al computer, direttamente da casa. “Ci sarà finalmente l’opportunità per ogni giovane di imparare ciò che egli più desidera a modo suo, con i suoi tempi e la velocità di cui ha bisogno”. L’educazione, improntata sulla scoperta, “sarà divertente perché risplenderà all’interno di ogni animo e non sarà forzata dall’esterno”. I computer e i robot, secondo Asimov, faranno sì che il mondo sembrerà “correre da solo” e noi “avremo molto tempo libero per dedicarci alle nostre passioni”.

L’utilizzo dello spazio e la nuova conquista della luna

Per uno scrittore l’universo è un mondo ricco di fascino. Per un visionario è una soluzione ai nostri problemi. Asimov era un grande creatore di storie e un incredibile, lo si legge anche da queste righe, lettore del futuro. Conquistare lo spazio voleva dire, oltre trovare un altro luogo da esplorare e un teatro dove fare nuove guerre, costruire una nuova casa per l’umanità. “Con i razzi e le navette daremo vita a una stazione spaziale da cui getteremo le basi per rendere lo spazio una casa permanente per il futuro crescente numero di essere umani”.

L’autore delle tre leggi della robotica dava per scontato, nel 1983, che trentacinque anni dopo saremmo ritornati a passeggiare sul suolo lunare. Avremmo costruito una stazione per studiare il suolo del satellite e per usarlo come materiale per sviluppare altre colonie spaziali da collocare in orbita e attorno alla Terra. “Sarà un prototipo di una centrale elettrica solare attrezzata per raccogliere energia, trasformarla e inviarla sul nostro Pianeta”. Il primo passo di una rivoluzione energetica che avrebbe portato pace e serenità. Il punto di partenza per una rivoluzione industriale planetaria e per vincere l’annoso problema dello smaltimento dei rifiuti: “La Terra sarà in grado di liberarsi dagli effetti collaterali dell’industrializzazione. Le fabbriche se ne andranno, non lontano, solo a poche miglia verso l’alto”.

Insomma, nel 2019, avremmo pianificato tutto questo immaginandoci un futuro da realizzare tutti insieme. Perché se rileggendo l’articolo sembra davvero di essere piombati all’interno di un suo libro di fantascienza, Asimov sapeva che “anche se il mondo del 2019 sarà diverso da quello del 1984, sarà anch’esso solo un barometro dei cambiamenti che saranno pianificati per gli anni a venire”. Il modo più bello per immaginarsi il futuro è quello di poterlo immaginare.

Fonte: agi.it (qui)

Ma chi è Issac Asimov?

Isaac Asimov è morto il 6 aprile del 1992, scienziato e scrittore, padre della fantascienza che con i suoi libri è riuscito a dipingere scenari futuristici così lungimiranti da essersi (in parte) realizzati oggi.
Le sue idee sul futuro, dunque, in alcuni casi si sono rivelate delle vere e proprie profezie ed è interessante rileggerle oggi, confrontandole con la realtà che abbiamo davanti.

In ogni caso, il merito di Asimov non è solo quello di averci regalato alcuni tra i libri di fantascienza più geniali e belli di sempre, ma anche di essere riuscito a far avvicinare anche le persone comuni al mondo scientifico, facendo sì che le sue opere fossero anche un mezzo di divulgazione scientifica.

Nel corso della sua vita con i suoi libri e scritti, Asimov ha parlato più volte di come secondo lui sarebbe stato il futuro e quale modo migliore per ricordarlo se non ripercorrere le sue geniali intuizioni sulla nostra epoca? Vediamo insieme cosa ha detto Asimov sul futuro.

Le recensioni dei libri di Isaac Asimov (qui)

Le profezie dei libri di Isaac Asimov sul futuro

Le parole di Asimov sul futuro (quello che per noi è ormai il presente) hanno spesso trovato conferma nei fatti perché molte delle sue intuizioni oggi sono realtà.

Le sue profezie non sono contenute solo nei suoi libri, ma anche in un suo articolopubblicato nel 1964 sul New York Times. Proprio in questo articolo lo scrittore descrisse come immaginava il XXI secolo, ma le sue previsioni erano corrette?

In molti casi sì, in altri non si sono allontanate molto dalla realtà, ma quasi sempre le sue intuizioni hanno dimostrato la sua grande lungimiranza e genialità.

Nel suo articolo Asimov parlava in particolare del 2014, anno in cui secondo lo scrittore la vita sulla terra sarebbe stata molto diversa rispetto agli anni ‘60.

Secondo lo scrittore, infatti, nel nuovo millennio i dispositivi tecnici avrebbero potuto lavorare senza fili, con batterie di lunga durata, aspetto quest’ultimo che non si è realizzata del tutto, ma che potrebbe in un futuro non molto lontano.

Inoltre, poi, sarebbe stato possibile avere dei telefoni portatili, da mettere nelle tasche e sui loro schermi sarebbe stato possibile guardare foto, leggere libri e documenti.

I film, invece, sarebbero stati proiettati in 3D e la cucina sarebbe diventata molto più semplice (diventando un hobby), come pure i lavori domestici, perché ci sarebbero stati cibi pronti, ma anche elettrodomestici automatici con timer che avrebbero facilitato la vita in casa.

Un altro aspetto considerato da Asimov è quello della durata media della vita nei paesi sviluppati, che secondo lui si sarebbe allungata fino a 85 anni, e del controllo delle nascite, che sarebbe stato molto più semplice. Ricordiamo, infatti, che all’epoca la durata media della vita era di 65 anni e c’erano anche molti problemi con la contraccezione.

E quale sarebbe stato uno dei problemi più importanti della civiltà moderna? Secondo lo scrittore, nei paesi sviluppati sarebbe stata la noia, profezia che in realtà non è distante dalla realtà. Per questo motivo, diceva Asimov, la psicologia e la psichiatria saranno molto diffuse e sviluppate, diventando professioni di prestigio.

Infine, l’uomo avrebbe creato ambienti adatti a lui, con pannelli luminosi in grado di dare vita a particolari giochi di luce, profetizzando così l’invenzione delle luci al led.

Le profezie dei libri di Isaac Asimov su robot e computer

La disumanità del computer sta nel fatto che, una volta programmato e messo in funzione, si comporta in maniera perfettamente onesta.

Tra le profezie di Asimov, molte riguardano i robot e i computer e il ruolo che avrebbero avuto nella vita dell’uomo del nuovo millennio.

Secondo lo scrittore, infatti, ci sarebbero stati dei veicoli guidati dai robot (cosa non del tutto falsa, visto che questi tipi di veicoli esistono), le navi sarebbero state molto più veloci e le macchine avrebbero fluttuato nell’aria invece di camminare a terra.

Una delle cose che Asimov aveva previsto è che nel XXI secolo molti lavori sarebbero stati svolti da macchine e robot, che avrebbero sostituito l’uomo. Anche la scuolasi sarebbe mossa in questa direzione, diventando sempre più digitale e utilizzando maggiormente supporti tecnologici ed informatici.

Inoltre, nei suoi libri aveva ipotizzato la creazione di un Multivac, un super computer in grado di governare la terra, in cui gli uomini inseriscono informazioni che vengono elaborate e a cui pongono delle domande. Computer in grado di collegare praticamente tutto il mondo (cosa vi ricorda?).

Infine, aveva anche ipotizzato che le comunicazioni sarebbero cambiate molto, offrendo la possibilità di vedersi anche a distanza.

Insomma, le profezie di Asimov hanno descritto un futuro non molto lontano da quello che viviamo oggi e anche se adesso tutto ciò può sembrare banale, all’epoca non lo era affatto.

Le sue idee, infatti, erano abbastanza visionarie e per accorgercene è sufficiente guardare a quanto è cambiata la società moderna negli ultimi 50 anni.

Le sue profezie, dunque, non fanno che confermare la genialità e la grandezza di questo uomo, capace di creare mondi allora fantascientifici e oggi quasi verosimili.

Fonte: sololibri.net (qui)

Anniversari, Euro, Politica

1999-2019. L’Euro compie 20 anni. E le pecore festeggiano e seguono il vento del conformismo. A quando il Governo del cambiamento?

Il primo gennaio 1999 la moneta unica faceva il suo ingresso ufficiale sui mercati finanziari, per approdare tre anni dopo, il primo gennaio 2002, nelle tasche dei cittadini europei, italiani compresi.

Un periodo significativo di circolazione per poter fare un primo bilancio del suo avvento. E le somme, soprattutto per l’Italia, non sono per niente lusinghiere, anzi tutt’altro. A scorrere le cifre messe insieme in questi giorni da Bloomberg Economics, che ha fatto un resoconto del primo ventennio di euro, il nostro Paese ne esce infatti con le ossa rotte.

Quel che però bisognerebbe approfondire è se il nostro attuale malessere economico dipenda direttamente dall’euro, o quanto non piuttosto dal fatto che la moneta unica ha contribuito ad amplificare carenze strutturali del nostro sistema produttivo. Ma andiamo con ordine, e vediamo cosa ci dicono i numeri.

Venti anni di arretramento

Le prime evidenze, relative allo studio di Bloomberg, ci mostrano senza pietà, uno scenario devastante per il nostro Paese. Basti pensare ad esempio che tra il 1985 e il 2001 il prodotto interno lordo italiano era cresciuto di 482 miliardi di euro (+44%), mentre tra il 2002 e il 2017 la crescita è stata pari a 31 miliardi, ovvero uno striminzito + 2% in quasi vent’anni.

Altra nota molto dolente poi è quella delle esportazioni, da sempre cavallo di battaglia della nostra economia. Ebbene, sempre tra l’85 e il 2001, l’export era cresciuto in Italia del 136,3%, mentre, dall’avvento dell’euro, la crescita si è fermata a un modesto +40,9%, ossia meno di un terzo.

A questo già desolante panorama, potremmo poi ancora aggiungere il fatto che il Pil pro capite è allo stesso livello del 1999, che la disoccupazione da sei anni staziona sempre intorno all’11% e che la produzione industriale langue ancora del 22% al di sotto dei livelli massimi raggiunti nel 2007.

Produttività, tallone d’Achille

Ma un’analisi seria e ragionata non può fermarsi a queste pur eclatanti evidenze. Quel che bisognerebbe approfondire infatti è, come già accennato, quanto l’entrata in vigore dell’euro non abbia accresciuto difficoltà che erano già insite nel nostro sistema economico, e che lo rendevano già di per sé più debole rispetto ad altre economie europee.

E in questo senso, un esempio molto lampante è rappresentato dalla produttività. Quest’ultima rappresenta in maniera molto semplificata, la quantità di prodotto che ogni singolo lavoratore produce in una data unità di tempo, ad esempio in un’ora. Una produttività più alta, significa che un sistema produttivo è più efficiente, più innovativo, e dunque più concorrenziale sul mercato.

Se andiamo a scorrere le statistiche realizzate da Eurostat sui Paesi dell’Unione, scopriamo allora che questo rappresenta un vero e proprio tallone d’Achille dell’Italia. Nel periodo che va infatti dal 1999 al 2017, la produttività in Italia non solo non è cresciuta, ma è addirittura calata quasi del 5%.

Nello stesso periodo, la Francia ha visto la propria produttività crescere più del 13%, la Spagna del 12% e la Germania ha fatto un balzo in avanti anch’essa del 12%, il tutto grazie a forti riforme del mercato del lavoro, che invece in Italia sono state sempre poco incisive. Non a caso forse, questi Paesi hanno ottenuto benefici ben più consistenti dall’entrata in vigore dell’euro, come dimostra lo stesso studio di Bloomberg.

Addio svalutazione

Ma perché la moneta unica influisce così tanto nel rapporto tra produttività e sviluppo dell’economia? La spiegazione è semplice: in passato, per colmare gap di mancata evoluzione della produttività, l’Italia utilizzava lo strumento, fin troppo abusato, della svalutazione monetaria.

Una lira debole, ci permetteva comunque di essere competitivi sui mercati internazionali, nonostante la nostra produttività fosse inferiore a quella dai nostri competitor. Con l’arrivo dell’euro, il giochetto della svalutazione non è stato più possibile, e il nodo di una mancata crescita della produttività è venuto drammaticamente al pettine.

Abbiamo deciso di competere con grandi Paesi, come Germania e Francia appunto, e per farlo ora dobbiamo utilizzare gli stessi mezzi, ossia l’innovazione, gli investimenti, la ricerca. Tutte armi che in Italia da anni risultano spuntate, per colpe tanto della politica che della classe imprenditoriale.

In tutto questo scenario dunque, l’euro non ha fatto altro che mettere in evidenza questa palese arretratezza del nostro sistema produttivo. Ci sarebbe stato tutto il tempo per rimediare, e forse c’è ancora, l’importante sarebbe però non addossare tutte le colpe all’euro, il cui funzionamento andrebbe comunque magari in parte migliorato, ma cercare di individuare le debolezze strutturali della nostra economia e intervenire su di esse. A cominciare proprio dalla produttività.

Ed oggi nessun TG nazionale ha ricordato l’anniversario che sta passando in sordina…

Di seguito i grandi successi dell’Euro prodotto in Italia…

Poveri che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno.

Numero poveri in indigenza assoluta

Nel 2017 un abitante del meridione su 4 era in povertà assoluta. Se vediamo l’evoluzione temporale.

Un successo. Infatti, (dati dossier ACLI povertà) a povertà relativa in Italia era dell’11,2% nel 1999 ed è salita al 13,7% della popolazione nel 2015. Un grande, grandissimo successo, chi va a stappare lo spumante?

Il PIL pro capite è stato in calo, e solo di recente si è ripreso, ma ricordiamo che dal 15 ottobre 2014 è stata conteggiata l’economia sommersa che pesa per 187 del 2014, pari all’11,5% del PIL del 2011. Un desiderio dell’Eurostat (che caso) che ha gonfiato i dati dal 2011 in poi, se no la caduta sarebbe stata ancora peggiore. Che si deve fare per dire che l’Euro è un bene…

 

Ricordiamo poi gli effetti sulla produzione industriale italia dell’introduzione dell’euro:

Tanto per ricordare.

Quindi scusateci se, al contrario di Juncker, non stappiamo lo spumante, anzi ci arrabbiamo ancora un po’ di più, perchè ci sono voluti 20 anni affinchè il disastro della moneta unica divenisse un tema di discussione generale. 20 anni di povertà e suicidi economici, un ventennio perso per l’Italia.

Immagino i soliti furboni che affermeranno che “La colpa non è dell’Euro”, che “Non abbiamo fatto le riforme” ed altre amenità simili. Certo, l’influenza esatta dell’euro non è facilmente determinabile, anche se esistono modelli macroeconomici indicativi della distruttività di un’unione monetaria per economie come quella italiana. A questi signori chiediamo una controprova , comunque: usciamo dall’euro  e restiamone fuori per 20 anni, facendo politica economica espansiva, poi, fra 20 anni confrontiamo i due periodi. Iniziamo subito uscendo…

Fonte: scenarieconomici.it (qui) e panorama.it (qui)

Se poi vuoi vedere gli incrementi dei prezzi ed il conseguente minore potere d’acquisto leggi di seguito:

Dall’introduzione dell’euro ad oggi, i prezzi e le tariffe in Italia per beni e servizi di largo consumo sono aumentati mediamente del +59,1%. Lo denuncia il Codacons, che diffonde oggi tutti i numeri sul fenomeno a distanza di 15 anni dal passaggio dalla lira all’euro.

“Il Codacons fu la prima associazione che nel gennaio 2002, quando venne introdotto l’euro, denunciò gli aumenti selvaggi e le speculazioni da changeover – spiega il Presidente Carlo Rienzi – All’epoca venimmo accusati di euroscetticismo e di terrorismo mediatico, mentre oggi tutti ci danno ragione, perché la prova di ciò che è successo è sotto gli occhi di chiunque, a partire dagli stessi commercianti, prime vittime della loro stessa politica suicida”.

Dal gennaio 2002 al gennaio 2017 i cittadini italiani hanno subito rincari medi del +59,1%, con punte del +207,7% per la penna a sfera, +198,7% per il tramezzino consumato al bar, +159,7% per un cono gelato – spiega il Codacons – Comprare un giornale costa il 94,8% in più; va meglio con l’espresso al bar (+34,3%) ma attenzione alla classica pizza margherita:+103,9%.

Gli aumenti di prezzi e tariffe degli ultimi 15 anni hanno determinato una maggiore spesa a carico degli italiani complessivamente pari a 14.183 euro a famiglia, contribuendo alla perdita di potere d’acquisto e al generale impoverimento del ceto medio – calcola il Codacons.

Ma ad impressionare di più è il confronto tra i prezzi dei beni di largo consumo dalla lira all’euro. Ecco di seguito una tabella realizzata dal Codacons che dimostra l’andamento dei listini al dettaglio dagli ultimi giorni delle lire (dicembre 2001) ai giorni nostri (qui)