Cultura, Innovazione

La previsione di Isaac Asimov per il 2019, fatta 35 anni fa

Al grande scrittore di fantascienza e divulgatore scientifico fu chiesto dal Toronto Star di immaginare l’anno che che sta per iniziare. Con alcune incredibili intuizioni.

Il 31 dicembre del 1983, Isaac Asimov raccontò sulle pagine del Toronto Star come sarebbe stato il mondo nel 2019. Al più grande scrittore di fantascienza (ma non dimentichiamo che fu anche un notevolissimo divulgatore scientifico) non fu affidata una data casuale.

Il quotidiano canadese, in all’interno di un progetto più ampio, lo invitò a ripercorrere quello che, in forma di romanzo, aveva fatto George Orwell con 1984, pubblicato nel 1949. Ad Asimov l’idea piacque così tanto che chiese un compendo assai contenuto: un dollaro a parola.

Le domande da cui partire, del resto, erano molto semplici. Come sarà il mondo tra 35 anni? Basterà una generazione a produrre quelle innovazioni capaci di modificare la vita sul nostro pianeta? Avremo conquistato lo spazio?

La guerra e la sopravvivenza

Per Asimov, che allora aveva 63 anni, per arrivare a delineare il mondo del futuro bisognava seguire tre direttrici principali:

  • Una possibile guerra nucleare
  • Una computerizzazione spinta
  • Un largo e futuristico utilizzo dello Spazio

Nel 1983 il destino del mondo era nelle mani degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. La prima considerazione che lo scrittore fece, non a caso era russo d’origini ma americano d’adozione, fu quella di una possibile guerra nucleare che avrebbe cancellato ogni discorso. Nessun futuro, punto e a capo. Nel 2019 non ci saremmo neanche arrivati.

Se invece, come è accaduto, fossimo stati in grado di evitare questa tragica e apocalittica fine, saremmo ripartiti dalla tecnologia, dall’innovazione e dai progressi fatti grazie allo sviluppo dei computer. Per Asimov, 35 anni dopo, l’informatizzazione già importantissima per governi e nazioni, sarebbe diventata ancora più essenziale per ciascuno di noi, nella nostra quotidianità professionale e domestica.

I robot e il lavoro

Asimov aveva previsto che l’effetto più ingombrante portato dalla tecnologia sarebbe stato quello di cambiare le nostre abitudini lavorative. Partendo però da un punto molto chiaro: “Tutto ciò non significherà un minor numero di posti disponibili. Il progresso tecnologico, in passato, ha sempre creato più lavoro di quello che ha distrutto e non c’è motivo per pensare il contrario anche nel 2019”. Nuove professioni, quelle del suo futuro e del nostro presente, che avrebbero determinato il cambiamento “più radicale” di sempre.

I lavori che per Asimov avremmo abbandonato sarebbero stati quelli caratterizzati da una continua ripetitività. Quelli da catena di montaggio e da eseguire senza particolari sforzi mentali. Con, in questo campo, un ineluttabile sopravvento dei robot e dai computer. Gli uomini del 2019, quindi, si sarebbero occupati della progettazione, della fabbricazione, dell’installazione, della manutenzione, della riparazione e della comprensione di quelle macchine intelligenti e dei settori in cui avrebbero operato. A pensarci bene, insomma, una visione espressa più volte nei suoi libri.

L’istruzione e le nuove competenze

Per Asimov, dunque, nel 2019 sarebbe stato ovvio prevedere una netta metamorfosi nell’istruzione dei giovani, anch’essa trasmessa attraverso nuovi supporti tecnologici. Giovani che sarebbero stati preparati per questi compiti. “Le mani che usiamo in ambito agricolo possono svolgere il loro lavoro senza sapere né leggere, né scrivere. I dipendenti delle aziende del futuro, invece, non potranno prescindere dall’apprendere certe informazioni e dall’applicarle ogni giorno”. Ci aveva visto giusto ma, allo stesso tempo, almeno in Italia, ci aveva forse sopravvalutato.

Se resti indietro sei spacciato

Asimov aveva però capito quanto avrebbe influito l’elemento della velocità in questa transizione. Nell’articolo, infatti, parla di “milioni di inesperti e inadatti che si troveranno impotenti a fare i lavori che dovranno essere comunque fatti”. Una selezione naturale, che neanche Darwin sarebbe stato in grado di immaginare, entro il 2019: da una parte ci sarebbero stati quelli capaci di riqualificarsi; dall’altra quelli incapaci di adattarsi a una società costretta, a malincuore, ad aiutarli (decidete voi se fare collegamenti con misure come il reddito di cittadinanza o i sussidi di disoccupazione).

Il mondo “problematico” del futuro

Per lo scrittore americano, tuttavia, questa generazione di transizione era destinata estinguersi per lasciare spazio a quella successiva, nata nel nuovo millennio. L’unica davvero compatibile con un mondo ormai in perpetuo divenire. Asimov prova perciò a mettere in fila le criticità che l’umanità avrebbe dovuto affrontare in questa fase di transizione immaginando, forse attraverso una visione un po’ utopistica, il superamento di alcune fondamentali controversie.

  • Uno: il controllo delle nascite. Una popolazione sempre in aumento avrebbe costretto i governi, a fatica, a favorire una bassa natalità e ad individuare un tetto massimo da non superare.
  • Due: l’irresponsabilità umana nell’inquinare e produrre rifiuti. Le conseguenze, nel 2019, per Asimov sarebbero state sempre più evidenti e insopportabili. “Si spera che i i progressi tecnologici porteranno strumenti in grado di invertire questo processo”.
  • Tre: la conservazione della pace (o almeno della serenità tra i popoli). L’odio, il sospetto, le liti tra gli Stati sono identificati come minacce per il futuro del pianeta.

Per l’intellettuale, però, avrebbero giocoforza determinato una crescente e necessaria cooperazione tra le nazioni. Non per idealismo, certo, ma per una presa di coscienza, a sangue freddo, che non marciare verso questa direzione “significherebbe una futura distruzione per tutti. Entro il 2019, potrebbe succedere che le nazioni andranno abbastanza d’accordo per permettere al Pianeta di vivere sotto la parvenza di un governo mondiale”. Quel condizionale, a legger bene, diceva già tutto.

La scuola del 2019 e la libertà di conoscere

La vera rivoluzione del 2019, per Asimov, è legata al mondo della conoscenza. Un buon insegnante, in epoca moderna, non dà informazioni ai propri alunni ma instilla la curiosità e la sete di conoscenza. Le nozioni arrivano grazie al computer, direttamente da casa. “Ci sarà finalmente l’opportunità per ogni giovane di imparare ciò che egli più desidera a modo suo, con i suoi tempi e la velocità di cui ha bisogno”. L’educazione, improntata sulla scoperta, “sarà divertente perché risplenderà all’interno di ogni animo e non sarà forzata dall’esterno”. I computer e i robot, secondo Asimov, faranno sì che il mondo sembrerà “correre da solo” e noi “avremo molto tempo libero per dedicarci alle nostre passioni”.

L’utilizzo dello spazio e la nuova conquista della luna

Per uno scrittore l’universo è un mondo ricco di fascino. Per un visionario è una soluzione ai nostri problemi. Asimov era un grande creatore di storie e un incredibile, lo si legge anche da queste righe, lettore del futuro. Conquistare lo spazio voleva dire, oltre trovare un altro luogo da esplorare e un teatro dove fare nuove guerre, costruire una nuova casa per l’umanità. “Con i razzi e le navette daremo vita a una stazione spaziale da cui getteremo le basi per rendere lo spazio una casa permanente per il futuro crescente numero di essere umani”.

L’autore delle tre leggi della robotica dava per scontato, nel 1983, che trentacinque anni dopo saremmo ritornati a passeggiare sul suolo lunare. Avremmo costruito una stazione per studiare il suolo del satellite e per usarlo come materiale per sviluppare altre colonie spaziali da collocare in orbita e attorno alla Terra. “Sarà un prototipo di una centrale elettrica solare attrezzata per raccogliere energia, trasformarla e inviarla sul nostro Pianeta”. Il primo passo di una rivoluzione energetica che avrebbe portato pace e serenità. Il punto di partenza per una rivoluzione industriale planetaria e per vincere l’annoso problema dello smaltimento dei rifiuti: “La Terra sarà in grado di liberarsi dagli effetti collaterali dell’industrializzazione. Le fabbriche se ne andranno, non lontano, solo a poche miglia verso l’alto”.

Insomma, nel 2019, avremmo pianificato tutto questo immaginandoci un futuro da realizzare tutti insieme. Perché se rileggendo l’articolo sembra davvero di essere piombati all’interno di un suo libro di fantascienza, Asimov sapeva che “anche se il mondo del 2019 sarà diverso da quello del 1984, sarà anch’esso solo un barometro dei cambiamenti che saranno pianificati per gli anni a venire”. Il modo più bello per immaginarsi il futuro è quello di poterlo immaginare.

Fonte: agi.it (qui)

Ma chi è Issac Asimov?

Isaac Asimov è morto il 6 aprile del 1992, scienziato e scrittore, padre della fantascienza che con i suoi libri è riuscito a dipingere scenari futuristici così lungimiranti da essersi (in parte) realizzati oggi.
Le sue idee sul futuro, dunque, in alcuni casi si sono rivelate delle vere e proprie profezie ed è interessante rileggerle oggi, confrontandole con la realtà che abbiamo davanti.

In ogni caso, il merito di Asimov non è solo quello di averci regalato alcuni tra i libri di fantascienza più geniali e belli di sempre, ma anche di essere riuscito a far avvicinare anche le persone comuni al mondo scientifico, facendo sì che le sue opere fossero anche un mezzo di divulgazione scientifica.

Nel corso della sua vita con i suoi libri e scritti, Asimov ha parlato più volte di come secondo lui sarebbe stato il futuro e quale modo migliore per ricordarlo se non ripercorrere le sue geniali intuizioni sulla nostra epoca? Vediamo insieme cosa ha detto Asimov sul futuro.

Le recensioni dei libri di Isaac Asimov (qui)

Le profezie dei libri di Isaac Asimov sul futuro

Le parole di Asimov sul futuro (quello che per noi è ormai il presente) hanno spesso trovato conferma nei fatti perché molte delle sue intuizioni oggi sono realtà.

Le sue profezie non sono contenute solo nei suoi libri, ma anche in un suo articolopubblicato nel 1964 sul New York Times. Proprio in questo articolo lo scrittore descrisse come immaginava il XXI secolo, ma le sue previsioni erano corrette?

In molti casi sì, in altri non si sono allontanate molto dalla realtà, ma quasi sempre le sue intuizioni hanno dimostrato la sua grande lungimiranza e genialità.

Nel suo articolo Asimov parlava in particolare del 2014, anno in cui secondo lo scrittore la vita sulla terra sarebbe stata molto diversa rispetto agli anni ‘60.

Secondo lo scrittore, infatti, nel nuovo millennio i dispositivi tecnici avrebbero potuto lavorare senza fili, con batterie di lunga durata, aspetto quest’ultimo che non si è realizzata del tutto, ma che potrebbe in un futuro non molto lontano.

Inoltre, poi, sarebbe stato possibile avere dei telefoni portatili, da mettere nelle tasche e sui loro schermi sarebbe stato possibile guardare foto, leggere libri e documenti.

I film, invece, sarebbero stati proiettati in 3D e la cucina sarebbe diventata molto più semplice (diventando un hobby), come pure i lavori domestici, perché ci sarebbero stati cibi pronti, ma anche elettrodomestici automatici con timer che avrebbero facilitato la vita in casa.

Un altro aspetto considerato da Asimov è quello della durata media della vita nei paesi sviluppati, che secondo lui si sarebbe allungata fino a 85 anni, e del controllo delle nascite, che sarebbe stato molto più semplice. Ricordiamo, infatti, che all’epoca la durata media della vita era di 65 anni e c’erano anche molti problemi con la contraccezione.

E quale sarebbe stato uno dei problemi più importanti della civiltà moderna? Secondo lo scrittore, nei paesi sviluppati sarebbe stata la noia, profezia che in realtà non è distante dalla realtà. Per questo motivo, diceva Asimov, la psicologia e la psichiatria saranno molto diffuse e sviluppate, diventando professioni di prestigio.

Infine, l’uomo avrebbe creato ambienti adatti a lui, con pannelli luminosi in grado di dare vita a particolari giochi di luce, profetizzando così l’invenzione delle luci al led.

Le profezie dei libri di Isaac Asimov su robot e computer

La disumanità del computer sta nel fatto che, una volta programmato e messo in funzione, si comporta in maniera perfettamente onesta.

Tra le profezie di Asimov, molte riguardano i robot e i computer e il ruolo che avrebbero avuto nella vita dell’uomo del nuovo millennio.

Secondo lo scrittore, infatti, ci sarebbero stati dei veicoli guidati dai robot (cosa non del tutto falsa, visto che questi tipi di veicoli esistono), le navi sarebbero state molto più veloci e le macchine avrebbero fluttuato nell’aria invece di camminare a terra.

Una delle cose che Asimov aveva previsto è che nel XXI secolo molti lavori sarebbero stati svolti da macchine e robot, che avrebbero sostituito l’uomo. Anche la scuolasi sarebbe mossa in questa direzione, diventando sempre più digitale e utilizzando maggiormente supporti tecnologici ed informatici.

Inoltre, nei suoi libri aveva ipotizzato la creazione di un Multivac, un super computer in grado di governare la terra, in cui gli uomini inseriscono informazioni che vengono elaborate e a cui pongono delle domande. Computer in grado di collegare praticamente tutto il mondo (cosa vi ricorda?).

Infine, aveva anche ipotizzato che le comunicazioni sarebbero cambiate molto, offrendo la possibilità di vedersi anche a distanza.

Insomma, le profezie di Asimov hanno descritto un futuro non molto lontano da quello che viviamo oggi e anche se adesso tutto ciò può sembrare banale, all’epoca non lo era affatto.

Le sue idee, infatti, erano abbastanza visionarie e per accorgercene è sufficiente guardare a quanto è cambiata la società moderna negli ultimi 50 anni.

Le sue profezie, dunque, non fanno che confermare la genialità e la grandezza di questo uomo, capace di creare mondi allora fantascientifici e oggi quasi verosimili.

Fonte: sololibri.net (qui)

Cultura

Il Premio Oriana Fallaci al giornalista Marcello Foa.

Il riconoscimento consegnato ieri al giornalista come “modello di indipendenza da seguire per informazione di oggi’

Il premio ‘Memorial Oriana Fallaci’ è andato al giornalista Marcello Foa. La cerimonia di consegna del riconoscimento, giunto alla 12esima edizione e promosso dall’associazione ‘Una via per Oriana’, si è tenuta ieri a Firenze nell’anniversario della morte della giornalista e scrittrice, avvenuta nel capoluogo toscano il 15 settembre 2006.

Tra le motivazioni indicate dalla giuria per la scelta di Foa, si legge, il suo essere “protagonista di un giornalismo serio, paladino del pluralismo e della libertà di stampa, esperto delle questioni geostrategiche e geoeconomiche mediterranee”.

“Sono orgoglioso – ha commentato Marcello Foa – di ricevere un premio intitolato ad una grande giornalista come Oriana Fallaci – Benchè non tutte le sue idee fossero condivisibili, Oriana Fallaci costituisce un esempio di grande personalità e indipendenza e, in questo senso, è senz’altro un modello da promuovere nell’informazione di oggi”.

Nella foto Marcello Foa che riceve il premio da Armando Manocchia, presidente dell’Associazione “Thank You Oriana”.

Fonte: ticinonews.ch (qui)

Anniversari, Cultura, Storia

8 settembre 1943: L’armistizio che divise il Paese in due.

I fatti dell’8 settembre del 1943, l’armistizio, fecero dell’Italia un Paese allo sbando: con l’illusione della pace, gli italiani si avviavano a un lungo periodo di stenti, bombardamenti, rappresaglie e guerra civile.

Badoglio in Abissinia in uno scatto del 1936.|WIKIMEDIA

Beppe Fenoglio in Primavera di bellezza (1959) raccontò l’8 settembre del 1943 dal punto di vista di un soldato: “E poi nemmeno l’ordine hanno saputo darci. Di ordini ne è arrivato un fottio, ma uno diverso dall’altro, o contrario. Resistere ai tedeschi – non sparare sui tedeschi – non lasciarsi disarmare dai tedeschi – uccidere i tedeschi – autodisarmarsi – non cedere le armi”.

Poche righe che rappresentano esattamente i momenti drammatici in cui il nostro Paese, stremato dalla guerra, fu consegnato in mani straniere, americane al Sud, tedesche al Nord.

Il generale Giuseppe Castellano firma l’armistizio a Cassibile per conto di Badoglio. Il giorno dopo la sua proclamazione il re abbandona Roma e si rifugia a Brindisi.

IL PAESE ALLO SBANDO. Mussolini era stato deposto da poco, dalla seduta del Gran consiglio del Fascismo, il 25 luglio 1943. Quel giorno il re Vittorio Emanuele III aveva nominato capo del Governo il maresciallo Pietro Badoglio, ex capo di Stato maggiore: fu lui ad autorizzare la resa.

Il 3 settembre 1943 fu siglato segretamente l’armistizio di Cassibile tra il generale Castellano, incaricato da Badoglio, e il suo pari grado americano Eisenhower (che nel 1953 sarebbe diventato il 34° presidente degli Stati Uniti).

«L’armistizio fu reso pubblico 5 giorni dopo», racconta la storica Elena Aga Rossi, autrice di Una nazione allo sbando (Il Mulino) su Focus Storia 63: «La situazione militare era disastrosa. Dopo lo sbarco in Sicilia, il 10 luglio, il governo italiano aveva perso tempo prezioso nel tentativo di evitare una resa senza condizioni. Ma non ci riuscì.»

LA GUERRA È FINITA? Alle 19:45 dell’8 settembre Badoglio lesse ai microfoni dell’Eiar (antesignana della Rai) il suo proclama, che includeva un passaggio decisamente ambiguo:

[…] Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza […]

A nessuno fu chiaro che cosa si dovesse fare: non sparare più agli americani? Iniziare a colpire i tedeschi? Il proclama era (volutamente) poco esplicito. I primi a pagarne le spese furono i soldati. Ordinando alle forze armate italiane di reagire solo se attaccate, il proclama sottintendeva la speranza – dimostratasi illusoria – che gli americani ci avrebbero tolto le castagne dal fuoco guidando loro un attacco contro i tedeschi al posto nostro nei punti nevralgici del Paese. Ma questo non avvenne.

ROMA CITTÀ APERTA. Come se non bastasse, i vertici politici del Paese abbandonarono le postazioni: all’alba del 9 settembre, con le prime notizie di un’avanzata di truppe tedesche verso Roma, il re, la regina,  Badoglio e altri pezzi grossi dello Stato maggiore fuggirono da Roma e si fermarono a Brindisi che divenne per qualche mese la sede degli Enti istituzionali.

Intanto, nessuna misura era stata prevista per difendere la capitale, e l’esercito, lasciato senza ordini, in molti casi si dissolse. La reazione tedesca non si fece attendere. «Il comando supremo delle forze armate del Reich diede via al Piano Achse, già pronto da tempo», spiega Elena Aga Rossi. «La notte stessa dell’8 settembre le forze tedesche presero possesso di aeroporti, stazioni ferroviarie e caserme, cogliendo di sorpresa le forze italiane».

Borsa nera a Roma: una “rivendita” di tabacchi, o comunque di qualcosa del genere. Nel novembre del ’43 entrò in vigore la tessera per il tabacco, che dava diritto a tre sigarette oppure a un sigaro al giorno. I negozi, però, erano raramente riforniti: gli italiani impararono a confezionarsi da sé le sigarette, riciclando il tabacco dei mozziconi o utilizzando i surrogati più fantasiosi. | WIKIMEDIA

L’ESERCITO NEL CAOS. I tedeschi emanarono poi le direttive da applicare per il disarmo dei militari italiani, che dovevano essere suddivisi in tre gruppi: chi accettava di continuare a combattere dalla loro parte poteva conservare le armi; chi non lo faceva era mandato nei campi di internamento in Germania come prigioniero di guerra, mentre chi opponeva resistenza o si schierava con le forze partigiane veniva fucilato, se era un ufficiale, oppure impiegato nei campi di lavoro sul posto o nell’Europa occupata.

LA BORSA NERA. Per i civili le cose non andarono meglio. L’Italia era già abituata al razionamento alimentare introdotto durante la guerra e il mercato nero era una realtà economicamente corposa anche prima dell’8 settembre.

Dopo l’armistizio però la situazione s’inasprì, perché gli occupanti nazisti fecero requisizioni di ogni genere e bloccarono la distribuzione di carburante (tutto di provenienza tedesca) al Sud. Risultato? C’erano tessere annonarie per quasi tutto, dal sapone al cibo all’abbigliamento.

GUERRA CIVILE? La popolazione, che si era illusa che la guerra fosse finalmente finita, prese atto che così non era. Il conflitto si trascinò ancora per più di un anno, fino alla primavera del 1945. Con l’aggravante di trasformarsi in una sorta di guerra civile.

Mussolini, il 23 settembre 1943, proclamò infatti la Repubblica di Salò, mentre i partigiani diedero il via alla guerra di liberazione: il Comitato di Liberazione Nazionale fu fondato a Roma il 9 settembre 1943, mentre lo Stato italiano era praticamente dissolto e con esso la credibilità dei suoi vertici istituzionali.

Fonte: focus.it (qui)

Cultura, Politica

Noam Chomsky: “Il popolo si sta rivoltando contro le élite che lo hanno ingannato, il populismo non c’entra e ha anche una storia rispettabile”

Il professore e linguista descrive il tempo che viviamo: “La crescita economica ha favorito solo le istituzioni finanziarie, un danno per l’economia”.

“I lavoratori si stanno rivoltando contro le elite e le istituzioni dominanti che li hanno puniti per una generazione. C’è stata una crescita economica e un aumento della produttività ma la ricchezza generata è finita in pochissime tasche, per la maggior parte a istituzioni finanziarie predatorie che, nel complesso, sono dannose per l’economia”. Lo dice Noam Chomsky, professore e linguista e teorico della comunicazione, in una intervista al Manifesto. Partendo dall’analisi della situazione politica americana, per Chomsky “in Europa è accaduto più o meno lo stesso, in qualche modo anche peggio perché il progresso decisionale su questioni importanti si è spostato sulla Troika che un organismo non eletto. I partiti di centrodestra/centrosinistra si sono spostati a destra abbandonando in gran parte gli interessi della classe lavoratrice”.

Secondo l’accademico “ciò ha portato alla rabbia, alla frustrazione, alla paura e al capro espiatorio. Poiché le cause reali sono nascoste nell’oscurità, deve essere colpa dei poveri non meritevoli delle minoranze etniche, degli immigrati o di altri settori vulnerabili. In tali circostanze le persone si arrampicano sugli specchi”.

Negli Usa molti lavoratori hanno votato per Obama, credendo nel suo messaggio di speranza e cambiamento, e quando sono stati rapidamente disillusi, hanno cercato qualcosa’altro. Questo è terreno fertile per demagoghi come Trump, che fine di essere la voce dei lavoratori mentre li indebolisce di volta in volta attraverso politiche antisindacali della sua amministrazione, che rappresenta l’ala più selvaggia del Partito Repubblicano.

“Non ha nulla a che fare con il “populismo”, un concetto con una storia mista, spesso piuttosto rispettabile”, conclude Chomsky.

Fonte: HuffingtonPost.it (qui)

Cultura, Economia

Ezra Pound e l’economia

EzraPound
Riscoprire il pensiero economico di Pound è l’unico modo per smettere di adorare la moneta come un dio, abbandonare la finanza e non essere più costretti a far guerre per gli ignobili capricci degli usurai.

In Italia, a dispetto di quello che una certa storiografia vorrebbe farci credere, il periodo che intercorse tra le due guerre fu tra i più fecondi e pregni di confronto ideologico. Pur all’interno di quelle che oggi verrebbero considerate limitazioni inaccettabili delle libertà personali, il dibattito culturale fu animato da una profonda e autentica sete di conoscenza. Tra i vari campi, l’economia spicca sicuramente tra le discipline più approfondite e dibattute. Lo stesso Massimo Finoia, storico del pensiero economico, scrive a chiare lettere: A testimonianza che questi anni non sono un periodo di autarchia culturale basta esaminare i dodici volumi, pubblicati dal ’32 al ’37, dalla -Nuova collana di economisti stranieri e italiani- della Utet, diretta da Bottai e Arena.

Nomi classici dell’economia come Jevons, Menger e Marx, insieme ai più contemporanei Keynes, Shumpeter, Hicks o Frisch volavano di bocca in bocca nell’ambiente economico dell’epoca e senza quel pregiudizio di superiorità a cui gli ambienti accademici-finanziari ci hanno abituato ai giorni nostri. Un confronto autentico che raggiunse il suo massimo nella prima, e ancora libera da implicazioni politiche, apparizione italiana di Ezra Pound. Il poeta americano fu infatti invitato dalla Bocconi di Milano e dalla rivista Rassegna Monetaria ad esprimere il proprio punto di vista riguardo la particolare congiuntura economica del periodo.

L’occhio attento di un cittadino americano di non comune spessore intellettuale non fu di certo disprezzato e il ciclo di conferenze bocconiane insieme agli articoli su Rassegna Monetaria diedero le risposte che il mondo economico italiano cercava in merito alla crisi di sovrapproduzione  del ’29. Nei suoi scritti e nei suoi discorsi, Pound, tratteggia il proprio pensiero economico infarcendolo di visioni poetiche e storiche ravvivando la lugubre scienza con quel calore umano che l’imposizione ortodossa gli ha sempre negato. Giano Accame sottolinea benissimo questo aspetto in un saggio di qualche anno fa:

[…] anche se della lugubre scienza sono intrisi i Cantos, al punto che è impossibile capirli senza conoscere le sue teorie economiche.

Ma andiamo con ordine e analizziamo la base culturale del pensiero poundiano. L’insieme delle tesi, diciamo così, rivoluzionarie di fine ‘800 fanno da sfondo e impalcatura a quelle del nostro e personaggi come gli inglesi Orange e Douglas e l’austriaco Gesell riuscirono finalmente ad attirare l’attenzione del mondo economico. Del primo venne ricordata l’ideazione di un socialismo corporativo e del secondo la differenza tra credito reale e finanziario che insieme al concetto di proprietà popolare della moneta di Gesell stigmatizzano il pensiero economico del poeta.

Pound critica aspramente le divisioni del mondo economico eterodosso, un mondo che, a detta sua, non riuscì mai ad imporsi proprio per la sua enorme litigiosità:

Non insisto sulle marchette. Posso ben vivere senza il piacere di adoperare una seconda varietà di francobolli.

Il riferimento è all’idea di Gesell, che ogni settimana voleva tassare le sue banconote applicandovi una marca per centesimo del loro valore, indubbiamente un tentativo di difficile realizzazione e che distraeva l’attenzione dal vero problema, riportare la moneta al servizio del popolo e non viceversa. Quest’ultima idea fu sempre al centro dei pensieri e della poetica di Pound, come liberare l’uomo comune dal cappio della proprietà della moneta, come liberarlo dall’usura dell’anima?

Domande ardite a cui la netta separazione tra lavoro, o credito, reale con il profitto derivante da attività finanziaria in senso stretto permise di cominciare a rispondere. Il credito reale per Pound è l’insieme della popolazione di una nazione, la sua capacità produttiva ma anche la sua cultura, le sue tradizioni che in nessun modo potevano e dovevano essere contaminate da profitti di origine squisitamente finanziaria, gli interessi sul capitale non sono frutto del lavoro e come tali non esigibili. Del resto il popolo americano aveva più di qualcosa da rinfacciare al mondo finanziario di quel periodo e lasciando parlare sempre Pound è difficile non notare che

[…] il grande inconveniente per la metà del mio popolo è che non può permettersi di acquistare quello che produce l’altra metà […] in un paese dove l’abbondanza affama.

Concetti chiari e netti che non lasciano spazio a dubbie interpretazioni e che non potevano non spostare l’attenzione del loro ideatore sul primo tentativo di renderli possibili. Del resto è impossibile non fare accostamenti tra il pensiero economico/sociale di Pound e quello che l’Italia fascista cercava di inculcare ai vari strati della sua società in quel periodo. Sempre per citare Accame:

[…] la politica economica italiana fu tra le più ricche di interventi originali contro gli effetti indotti della grande depressione; con l’impiego pre-keynesiano dei lavori pubblici come valvola di decompressione della disoccupazione, i salvataggi di banche ed industrie, una notevole inventiva istituzionale nella creazione di enti economici a sostegno dell’azione pubblica.

Pound non fu di certo cieco di fronte al titanico sforzo italiano di liberare l’economia dalle pastoie liberali di inizio ‘900 tanto da presentare il fascismo come la variante più equilibrata ed attuabile del socialismo reale. In un altra sua opera del periodo, Jefferson e Mussolini, possiamo infatti leggere:

Quanto ai costumi finanziari, direi che un paese dove tutto era praticamente in vendita, è stato in dieci anni trasformato da Mussolini in un paese dove sarebbe estremamente pericoloso tentare di compare il governo.

Una scelta di campo ben precisa e che, come è noto, lo porterà ad affrontare con enorme dignità anche la prigionia in manicomio nel secondo dopoguerra. Una scelta di campo dettata dalla visone del fascismo come eticità e ponderazione umana nei confronti del bestiale binomio capitalismo-comunismo. Una scelta di campo per lo spirito e contro la materia, dove per spirito bisogna intendere l’insieme di sentimenti e aspettative di un popolo tutto, non importa se italiano o americano, basta che sia quello del sangue, basta che sia quello che sceglie la tradizione umana a dispetto delle false sirene dell’oro.

…Usura soffoca il figlio nel ventre

arresta il giovane drudo,

cedo il letto a vecchi decrepiti,

si frappone tra i giovani sposi

                                  CONTRO NATURA

Ad Eleusi han portato puttane

Carogne crapulano

ospiti d’usura.

Da l’Intellettuale Dissidente Articolo di A. Scaraglino (qui)

Cultura

Relativismo culturale e nichilismo dei valori

Relativismo e nichilismo non sono la stessa cosa, se il primo (facendo riferimento a tradizioni di studi antichi) prospetta una sorta di pluralismo culturale, il secondo (estremizzazione del primo), è negazione della cultura stessa.

Quello di relativismo culturale è un concetto filosofico-culturale ed anche antropologico che trova la sua comparsa già in epoca molto antica. Già i sofisti, ed in particolare Gorgia e Protagora, con la loro totale negazione dell’esistenza ontologica di verità certe ed in senso universale, fecero dell’ idea relativista il fulcro del loro pensiero. Il relativismo è, infatti,  quella posizione di pensiero,  opposta all’universalismo che fa della verità un qualcosa di meramente arbitrario , convenzionale e, soprattutto, continente. È una corrente di pensiero molto poco spiritualista , in quanto è proprio in ragione al fatto che gli eventi e la storia non siano altro che il prodotto di concatenazioni materiali e frutto del caso materiale che non può esistere una ragione universale (a perno della storia) che guidi gli eventi. Le teorie relativiste , tuttavia, sono molteplici e racchiuderle in questa definizione sarebbe un’operazione riduttivista. In particolare la forma di relativismo maggiormente nota è quella del relativismo culturale (posizione di pensiero portata avanti, soprattutto, da uno tra i più grandi studiosi di civiltà e società umane del Novecento, Claude Lèvi- Strauss).

Lèvi – Strauss fornì  notevolissimi contributi allo sviluppo degli studi in campo antropologico e sociale sulle civiltà umane (in particolare su quelle primitive) e, ponendosi sulla linea dello strutturalismo, alla concezione delle culture umane come del prodotto di determinate strutture di potere in grado di determinare le tradizioni,  gli usi e costumi, le concezioni religiose ed i comportamenti abituali dei singoli popoli.  Nel  corso del Novecento, il concetto di relativismo culturale,  ha assunto una progressiva e sempre più decisiva attenzione. Il Novecento, infatti  , se vogliamo, può essere per molti versi considerato il secolo del relativismo. Tutti quelli che erano stati i dogmi, i perni, le strutture portanti della società liberal-borghesi (e di tutta l’impalcatura culturale del positivismo), a partire dal secolo breve in poi,  iniziano inesorabilmente a vacillare. Tutte quelle certezze, che dall’ illuminismo in poi, avevano caratterizzato l’ossatura della cultura borghese e della morale di stampo occidentale, divengono sempre più labili,  e la morale stessa diviene sempre più un fatto di contingenza e casualità e non più quel saldo riferimento incontestabile portato avanti dalla cultura di stampo cristiano.

Il Novecento è il secolo dei totalitarismi, della profezia dell’ uomo nuovo che si rigenera confutando i valori del suo tempo e, con essi, della trasformazione radicale della concezione antropologica dell’umanità. Si assiste così all’emergere di fiorenti avanguardie culturali (in grado di mettere in discussione il valore quasi divino di certi assunti dell’epoca), lo sviluppo della teoria marxista  (con l’introduzione dei concetti di struttura e sovrastruttura ) ed il successo continuo della filosofia di Nietzsche (con la sua negazione assoluta della morale cristiana e la sua visione , appunto, relativistica della storia dell’uomo). Il fascismo ed il nazionalsocialismo stessi, se vogliamo , a differenza ad esempio di un certo socialismo più illuminista (per così dire) furono dei perfetti esempio di espressione della nuova tendenza relativista del XX secolo. Alla base della concezione antropologica del fascismo e del nazismo, ed  in particolare,  della loro visione dei rapporti di forza e di potere si può notare una concezione della cultura e dei valori come un fatto di contingenza di causalità. La storia altro non è che un insieme di rapporti di forza,  guidata dallo scontro continuo tra popoli e culture, e determinata dell’emergere di una a discapito di un’altra.

In questo contesto di pensiero,  dunque,  la morale viene  evidentemente ad assumere un ruolo di assoluta contingenza materiale, in quanto se essa non è più il prodotto di un preciso disegno originario e non più la continuazione di una progressiva linearità storica ma, al contrario, il prodotto di casualità materiale (storico-sociali), anche la sua consistenza va ad assumere una natura sempre più  dissolubile e facilmente confutabile. È proprio nel Novecento,  dunque, che il relativismo culturale inizia ad assumere una fisionomia sempre più marcata e che le teorie di determinati studiosi, appartenenti al filone del cosiddetto “strutturalismo” (tra i quali appunto Levi-Strauss), prendono sempre più piede. Dal dopoguerra in poi, in particolare, dopo il periodo della de-colonizzazione, il relativismo culturale si afferma con sempre maggior autorevolezza, ed anche quell’eurocentrismo assoluto (prodotto diretto delle strutture di potere imperialiste) inizia ad assumere un valore sempre più discutibile. Il problema del relativismo è quando sfocia nella sua posizione più radicale: il nichilismo.

Talvolta, il  concetto filosofico di relativismo culturale viene, erroneamente, confuso con quello – più estremo e radicale- di nichilismo. Quest’ultimo,  infatti, rappresenterebbe, per così dire,  un’estremizzazione portata ai massimi livelli del relativismo culturale,  alludendo a quelle posizioni di pensiero che, per l’ appunto, non intravedono alcun senso nelle cose e concepiscono i valori alla stregua di fluide costruzioni mentali prive di consistenza. Confondere il nichilismo (l’assenza assoluta di valori) col relativismo (la presa di coscienza del pluralismo di valori) è un errore dal punto di vista concettuale. Il nichilismo, per sua natura, prospetta una sorta di liberazione totale rispetto a quelle che sono le norme di comportamento, i valori di riferimento, gli indicatori esistenziali d’ogni etica, poggiando le proprie valutazioni sull’idea secondo la quale l’intera realtà sarebbe priva di senso alcuno. Il nostro tempo attuale (per la precisione nell’ambito del contesto occidentale ), sta assistendo ad un vero e proprio eccedere del nichilismo (inteso proprio come assenza di riferimento e consegna della vita degli uomini all’ arbitrario flusso dell’ indefinito e del liberissimo arbitrio scriteriato).

L’esplodere del consumismo di massa, con annesso imporsi del modello culturale unicamente liberista e libertario ha, di fatto, innescato nella società occidentale questa condizione di vuoto esistenziale profondo, rendendo le vite degli uomini sempre più in balìa dell’indifferenza e della passività. La società occidentale attuale, a differenza di quanto una certa analisi contemporanea vuole cogliere, forse , non è preda del relativismo culturale, bensì del nichilismo, inteso come forma estrema di un mondo totalmente svuotato dalla cultura e vittima della mercificazione delle cose. Il male della nostra società è, infatti,  l’assenza totale di riferimenti storici ed identitari, processo storico che la cultura dominante del circuito politicamente corretto  (liberale) tenta di portare a compimento con la negazione e la demonizzazione dei concetti di “nazione “ e “tradizione “, ultimi baluardi in difesa del pluralismo e differenzialismo culturale.

Dall’Intellettuale dissidente qui