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Democrazia, Sovranità, Stati vs Europa

Scontro Ue/Governo italiano, Sapir: “non è un dibattito su cifre o percentuali. Riguarda la società in cui vogliamo vivere”.

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Dopo lo straordinario successo dell’edizione 2018 del convegno annuale organizzato dall’associazioneAsimmetrie– quest’anno intitolato “Euro, mercati, democrazia – Sovrano sarà lei!” – tenuta a Montesilvano (Pescara) il 10 e 11 novembre scorsi, presentiamo la traduzionedell’intervento di Jacques Sapir, giàdirettore degli studi all’École des hautes études en science sociales di Parigi, direttore del Centre d’études des modes d’industrialisation e membro straniero dell’Accademia Russa delle Scienze. Il discorso ha aperto due intense giornate di conferenze e dibattiti, che hanno coinvolto ottocento spettatori in attento e partecipato ascolto di venti relatori tra economisti, giornalisti, politici e scrittori, italiani ed europei. E dimostra come la sovranità sia un elemento necessario, anche se non sufficiente, alla stessa democrazia.

L’attuale crisi che oppone l’Italia e la Commissione europea sulla manovra di bilancio italiana, dopo la sua pubblicazione[1], apparentemente verte su alcune percentuali[2]. In realtà, si tratta della questione essenziale di sapere chi è legittimato a decidere del bilancio italiano: il governo, costituito dopo elezioni democratiche, o la Commissione e le sue varie appendici, che pretendono di imporre regole provenienti dai trattati?

Una questione che oggi è fondamentale: si governa in nome del popolo o in nome delle regole? Essa ha implicazioni evidenti: chi ha il potere di governare, il legislatore la cui legittimità deriva dalla sovranità democratica, o il giudice che governa nel nome di un diritto?

 

Dietro la questione della percentuale di deficit consentito o rifiutato al governo italiano non c’è solo la questione della fondatezza della decisione italiana[3], ma anche quella di sapere se l’Italia è ancora una nazione sovrana. Questo spiega perché il sostegno al governo italiano sia giunto da tutti i partiti per i quali la sovranità è uno dei fondamenti della politica, e in particolare da France Insoumise[4]. La questione della sovranità è quindi di centrale importanza in questo conflitto.

L’aspirazione alla sovranità dei popoli si esprime oggi in molti Paesi e in forme diverse. Eppure questa sovranità è messa in discussione dal comportamento delle istituzioni dell’Unione Europea. Ne sono una prova le dichiarazioni fatte da Jean-Claude Juncker in occasione delle elezioni greche del gennaio 2015[5].

 

Sovranità fondamentale

Il conflitto tra la sovranità delle nazioni, e quindi dei popoli, e la logica della governance dell’Unione europea non è nuovo.

Ciò che il comportamento dell’ Unione Europea e delle istituzioni dell’Eurozona mette in discussione è fondamentalmente quella garanzia di democrazia e libertà che è la sovranità[6]. Se le nostre decisioni di cittadini dovessero essere fin dall’inizio limitate da un potere  superiore, a cosa servirebbe fare causa comune? E se non c’è più utilità né necessità per i cittadini di fare causa comune, di unirsi intorno a questa “Res publica”, così cara agli antichi Romani[7], quali saranno le barriere di fronte all’ascesa del comunitarismo, nonché di fronte all’ anomia che distruggerà le nostre società?

Mantenere questo passaggio dall’individuale al collettivo è in realtà una necessità imperiosa di fronte alle crisi – sia economiche e sociali, sia politiche e culturali – che attraversiamo. E la democrazia, nell’esercizio delle scelte, implica che possano essere prese decisioni e che queste ultime non possano essere limitate a priori da regole o trattati. La Commissione ricorda regolarmente che i trattati sono stati firmati, da Maastricht a Lisbona. Bisogna ricordarsi che nessuna generazione ha il diritto di incatenare le seguenti alle proprie scelte, come ha scritto uno dei padri della costituzione americana[8].

 

Ma la sovranità è anche fondamentale per la distinzione tra ciò che è giusto e legale, tra lalegittimitàe lalegalità, come mostra Carl Schmitt nella sua opera del 1932[9]. Fondamentalmente, essere sovrani è avere la capacità di decidere[10], come lo stesso Carl Schmitt ha espresso anche nella forma “È sovrano colui che decide in una situazione eccezionale”[11]. Poiché la costrizione intrinseca in ogni atto giuridico non può essere giustificata solo dal punto di vista dellalegalità, che, per definizione, è sempre formale. Il presunto primato che il positivismo giuridico[12]intende conferire allalegalitàporta in realtà a un sistema totale, impermeabile a qualsiasi contestazione. Questo ha storicamente permesso la giustificazione di regimi iniqui, come quello dell’Apartheidin Sudafrica, come viene illustrato nell’opera di David Dyzenhaus[13]. Ma questo positivismo giuridico ha un vantaggio decisivo nell’attuale mondo politico. È esso che consente – o che dovrebbe consentire – a un politico “liberale” di rivendicare la purezza originale e non alle mani sporche del Principe di una volta, come mostra bene Bellamy[14].

Sovranità e Democrazia

 

Vediamo dunque che la questione della sovranità è fondamentale. È questa sovranità che permette la libertà della comunità politica, di ciò che viene chiamato il popolo, ossia l’insieme dei cittadini, di quegli individui che si riconoscono nelle istituzioni politiche, legato che abbiamo ereditato dai Romani[15]. La nozione di “popolo” è quindi principalmente politica, e questo si estende naturalmente alla cultura che proviene dalle istituzioni, e non etnica[16]. Dobbiamo quindi capire che cosa costituisce un “popolo”. Quando parliamo di un “popolo” non parliamo di una comunità etnica o religiosa, ma di quella comunità politica di individui riuniti che prendono in mano il proprio futuro[17], almeno, dalle origini della Repubblica.

Questa libertà politica passa allora dalla libertà dell’insieme territoriale su cui vive questo popolo e del suo governo. Non si può pensare “popolo” senza pensare, nello stesso movimento, “Nazione”. Quest’ultima si è sostituita alla “Città” degli antichi. È illuminante una citazione di Cicerone: « Ogni popolo che su tale raduno di una moltitudine (…) ogni città che è l’organizzazione del popolo; ogni Res Publica che è, come ho detto, la cosa del popolo, deve essere guidata da un consiglio per poter durare »[18]. Ciò che è importante qui è il modo in cui Cicerone classifica gerarchicamente il passaggio dalla “moltitudine” al popolo, con l’esistenza di interessi comuni, e poi presenta la Città, che egli concepisce come un insieme di istituzioni e non come un luogo di abitazione (la città non è l’oppidum), come quadro organizzativo di questo “popolo”. La nozione di sovranità è quindi fondamentale, ma anche centrale, per l’esistenza dellaRes Publica. Questa “cosa pubblica”, decisiva per le rappresentazioni politiche dei Romani, può essere costituita solo attraverso l’uguaglianza giuridica dei cittadini che assicura loro (o deve assicurare) un pari diritto alla partecipazione politica, alle scelte nella vita della “Città”[19].

 

Questo, il Presidente Emmanuel Macron non sembra averlo capito. Infatti, insiste a parlare di “sovranità europea”[20]. Ma dov’è il popolo europeo? Dov’è la cultura politica comune, frutto dell’accumulo di centinaia di anni di lotte, compromessi, istituzioni ? La sovranità implica un “popolo”, dobbiamo ricordarlo, e non esiste un popolo europeo, come era stato stabilito dalla Corte Costituzionale di Karlsruhe. La sentenza del 30 giugno 2009 sancisce effettivamente che, dati i limiti del processo democratico in Europa, solo gli Stati-Nazioni sono i depositari della legittimità democratica[21]. Dire che ne sono i custodi non è in alcun modo contraddittorio con la sovranità popolare.

 

Allo stesso modo, a Roma, l’imperatore era delegato della sovranità popolare, ma non l’aveva né abolita né sostituita[22]. Gli imperatori romani sono spesso rappresentati come sovrani onnipotenti. Questo equivale a  dimenticare troppo in fretta da dove proviene la loro sovranità. Nella legge di investitura dell’imperatore Vespasiano (69-79 D.C.), laLex de imperio Vespasiani, la ratifica degli atti dell’imperatore compiutaprimadella sua investitura formale era definita Come se tutto fosse stato compiuto in nome del popolo»[23]. Si coglie che l’origine della sovranità risiede nel popolo, anche se quest’ultimo ne ha delegato l’esercizio all’imperatore. Il concetto di “sovranità popolare”, che alcuni ritengono sia stato “inventato” dalla Rivoluzione Francese, esisteva già a Roma, e consisteva nel controllo popolare sui magistrati[24]. Quindi c’era realmente un sistema che stabiliva il primato del “popolo”, come nei casi in cui era il  “popolo“ a decidere se un uomo poteva venire eletto a esercitare delle funzioni più alte rispetto alle sue precedenti competenze.

 

E dunque la libertà del “popolo” nel contesto della “Nazione” si chiama appunto sovranità. La Nazione è dunque il quadro in cui si organizza il corpo politico che è il popolo. Questa sovranità è la capacità di decidere. Ecco perché la sovranità è essenziale all’esistenza della democrazia ; è la sua condizione necessaria, anche se non sufficiente. La sovranità è una e non va divisa, ma i suoi usi sono molteplici. Dunque, parlare di sovranità di “sinistra” o di “destra” non ha senso. Ci sono state, certamente, nazioni sovrane nelle quali il popolo non era libero. Ma non si è mai visto un popolo libero in una nazione schiava. La formazione dello Stato come principio indipendente dalla proprietà del principe è avvenuta in un doppio movimento di formazione della Nazione come entità politica e del popolo come attore collettivo. Le forme che questa costituzione assume possono variare in funzione dei fattori storici e culturali, ma rispondono agli stessi principi fissi: quelli del doppio movimento di costituzione sia della Nazione sia del Popolo. Ed è per questo che la sovranità è ormai un concetto fondamentale e decisivo nelle lotte politiche attuali. Difendere la sovranità di un paese, ieri la Grecia e oggi l’Italia, è dunque oggi un imperativo assoluto per chi difende la democrazia e la libertà.

 

Un “momento sovranista”?

Stiamo vivendo da ormai più di tre anni un “momento sovranista”. Questa parola, ieri maledetta, è oggi sulla bocca di tutti, compresi coloro che non capiscono cosa questo comporti, come il presidente Emmanuel Macron. Questo “momento sovranista” si inscrive nel grande ritorno delle nazioni, conseguente al fallimento degli Stati Uniti nel costruire un’egemonia duratura, come da me sottolineato nel 2008[25]. Questo movimento assume tuttavia un senso particolare in Europa. Questo è dovuto al fatto che le istituzioni dell’Unione Europea, che troppo spesso vengono confuse con il concetto di Europa, hanno gradualmente violato sia la democrazia che la sovranità.

Più di dieci anni fa, per la precisione nel 2005, il popolo francese e quello dei Paesi Bassi hanno respinto con i loro voti il progetto di trattato costituzionale, redatto con grande dispendio dalle élite politiche. Non hanno respinto questo progetto per motivi contingenti, assolutamente. Il rifiuto è stato il rifiuto di un progetto; rifletteva un movimento di fondo[26]. Da allora, passo dopo passo, abbiamo invaso la libertà politica dei popoli, fino ad arrivare allo scandalo inaudito costituito dal confronto tra un governo democraticamente eletto, quello della Grecia, e le istituzioni europee.

 

Dobbiamo ricordare che cosa fu questo scandalo. Non fu più un semplice voto che venne poi violato, perché la posizione del popolo greco, espressa il 25 gennaio, elezione che portò SYRIZA al potere, fu rinforzata dal risultato del referendum del 5 luglio che diede al “No” al memorandum quasi il 62% dei voti.

Quello che venne violato, con l’impudenza cinica di un Jean-Claude Juncker o di un Dijsselbloem, fu in realtà la sovranità di un Paese. Eppure, quando avevamo visto, dopo le elezioni del 25 gennaio 2015 in Grecia, il partito della sinistra radicale SYRIZA scegliere di allearsi con un partito di destra, certo, ma sovranista, e non con il centro-sinistra (To Potami) né con i socialisti del PASOK, si sarebbe potuto pensare che la questione della sovranità fosse stata completamente integrata dalla direzione di SYRIZA. Il corso della crisi ha dimostrato che anche all’interno di questo partito vi erano importanti divergenze e una mancanza significativa di chiarezza. È l’esistenza di queste divergenze che ha permesso alle istituzioni europee di trovare la leva sulla quale premere per costringere Alexis Tsipras, primo ministro, a rinnegare se stesso[27].  Questa è una lezione che tutti coloro che vogliono vivere liberi dovrebbero imparare a memoria e che ancora oggi ossessiona gli spiriti di coloro che aspirano a riconquistare questa sovranità.

 

Ricordiamo allora questa citazione di Jean-Claude Juncker, il successore dell’ineffabile Barroso, a capo della commissione europea: ” Non vi può essere alcuna scelta democratica contro i trattati europei ». Questa dichiarazione rivelatrice risale alle elezioni greche del 25 gennaio 2015, che vide appunto la vittoria di SYRIZA. In poche parole, venne detto tutto. È stata l’affermazione tranquilla e soddisfatta della superiorità di istituzioni non elette sul voto degli elettori, della superiorità del principio tecnocratico sul principio democratico. Riprendono, che lo sappiano o no, il discorso dell’Unione Sovietica riguardo ai Paesi dell’Est nel 1968, in occasione dell’intervento del Patto di Varsavia a Praga: è la famosa teoria della sovranità limitata. Ostentano di considerare i Paesi membri dell’Unione Europea come colonie, o più precisamente dei “domini”, la cui sovranità era soggetta a quella della metropoli (Gran Bretagna). Solo che in questo caso non ci sono metropoli. L’Unione Europea sarebbe quindi un sistema coloniale senza metropoli. Questo ci porta a pensare che la sovranità è, fra tutti i beni, quello più prezioso, e a trarne le conseguenze che la logica impone. Qualcuno lo ha fatto, come Stefano Fassina In Italia[28]. Ma bisognerà trarne le conseguenze, tutte le conseguenze[29].

 

La sovranità non è sufficiente

Ma la sovranità non è sufficiente. Definirsi un popolo sovrano significa porre immediatamente la questione di cosa fare e di quali decisioni prendere. La sovranità è valida solo attraverso il suo esercizio[30]. Essa non può quindi sostituire il dibattito politico naturale sulle scelte da adottare, sulle condizioni stesse di tali decisioni. E si vede chiaramente che su questo punto le polemiche saranno aspre e numerose. Come è logico che siano. Le istituzioni in cui viviamo, istituzioni che sono del resto cambiate molte volte, sono il prodotto di questi conflitti, a volte messi da parte, ma mai estinti[31].

 

La democrazia implica conflitto, implica lotta politica e implica, dopo il momento della lotta e del conflitto, il compromesso, creatore esso stesso di istituzioni[32]. Perché questi conflitti si manifestino, perché le opinioni si affrontino e perché possa emergere un compromesso temporaneo, bisogna essere liberi di farlo. Liberi, naturalmente, nel senso di libertà di espressione e di manifestazione. Ma, più fondamentalmente, non ci devono essere limiti all’espressione e allo svolgimento del conflitto politico. Qualsiasi tentativo di limitare preventivamente il conflitto politico, di assegnargli un corso programmato in anticipo, come se si volesse incanalare un corso d’acqua, porta, alla fin fine, a limitare le scelte e ad uccidere la democrazia[33]. È questo il problema che pongono le norme europee sul deficit di bilancio e altro. Sì, la democrazia è fragile, come ha dichiarato recentemente Pierre Moscovici[34]. Ma non nel senso che crede lui. Perché la democrazia non si limita al dibattito, per quanto importante esso possa essere. La democrazia implica che vengano prese delle decisioni e che quest’ultime non possano essere limitate preventivamente. È questo che implica l’esistenza preliminare della sovranità. Ecco perché essa è un principio necessario, anche se non sufficiente. Essere sovrani, va ricordato, è avere la capacità di decidere; Carl Schmitt l’ha ripetuto più volte nella sua opera. Ecco perché non dobbiamo esitare a confrontarci su questa questione della sovranità e a leggere Carl Schmitt[35].

 

La questione del rapporto tra la decisione e le regole e norme è un fattore sostanziale del dibattito sulla sovranità. Dire che viviamo oggi un momento sovranista equivale a dire che il sistema di regole e norme stabilite in passato viene considerato ormai come una costrizione insopportabile. Così fu in un altro famoso dibattito, quello che negli Stati Uniti oppose i sostenitori della schiavitù agli abolizionisti. I fautori dell’”istituzione speciale” sostennero che erano state stabilite delle regole, le quali costringevano la decisione politica. Arrivarono ad invocare il principio di proprietà per difendere l’indifendibile. Ma questo non fece altro che infiammare il dibattito, rendendolo ancora più inconciliabile. Voler imporre ciò che un autore americano ha definito con grande precisione delle regole-bavaglio, o “gag-rules”, divieti di discussione, regole delle quali possiamo capire l’utilità in rapporto ai limiti cognitivi di ciascun individuo, porta solamente alla guerra civile[36]. Regole e norme sono necessarie, naturalmente, anche solo per il fatto che non si può allo stesso tempo discutere di tutto. La nozione di saturazione delle capacità cognitive degli individui deve essere ben compresa, se non si vuole parlare di democrazia in modo ingenuo[37]. Tuttavia, questa stessa nozione implica che non si possano far durare all’infinito queste norme e queste regole e che esse possano essere rimesse in discussione.

 

Il legale e il legittimo

Questo rimetterle in discussione pone allora la questione della distinzione tra legalitàelegittimità. Va inteso che ogni regola non vale solo per le condizioni di stabilità che essa  consente, ma anche per le condizioni in cui è stata emanata. Oltre a ciò, la regola è valida proprio perché può essere contestata. Ciò impone di distinguere la legalità, in altre parole le condizioni nelle quali questa regola viene rispettata, dalla legittimità, in altre parole le condizioni in cui è stata emanata e da chi. Che cosa spinge gli individui a piegarsi a delle regole e rispettare delle norme? Non è mai la funzionalità di queste regole e norme, benché essa sia ovvia. Il rispetto delle regole implica un’istanza di forza che rende costosa la rottura con questa stessa regola[38], che sia su un piano monetario, materiale o anche simbolico. Il rispetto delle regole richiede pertanto un’autorità, cioè, la combinazione di unpoteredi punire e sanzionare, e unalegittimitàa farlo. Porre la questione della legittimità ci riporta immediatamente alla questione della sovranità, perché senza la sovranità non c’è e non ci può essere legittimità.

 

Tuttavia, l’ossessione per il rispetto delle regole, un’ossessione che vediamo oggi nel discorso della Commissione europea, rimanda a due logiche, distinte ma convergenti. La prima si basa sulla sostituzione della tecnica alla politica. Questo tema è antico. Carl Schmitt, ancora lui, ma anche Max Weber, hanno scritto pagine ammirevoli su questo argomento. Ma il cosiddetto “argomento tecnico” lo è spesso soltanto in apparenza. Questo argomento di solito è presentato nei panni di un tecnicismo reale, in economia quello che si chiama econometria[39], il cui scopo reale, però, è quello di mascherare la volontà profondamente politica di questo argomento[40]sotto gli orpelli di metodi matematici complessi[41].

 

Quello che questi economisti presentano come considerazioni tecniche, e che spesso non sono altro che una pallida imitazione della fisica del XIX secolo[42], in particolare le considerazioni monetarie, sono in realtà tentativi di limitare le forme di governo degli uomini. Gli argomenti di alcuni economisti, ci riferiamo particolarmente ai cosiddetti “neoclassici”, sono fondamentalmente politici. Ma solo raramente si dichiarano come tali. Questo discorso mira ad eliminare il principio di sovranità, come appare chiaramente in Robert Lucas[43]. Questo autore è arrivato ad affermare che l’economia ha cessato di esistere non appena è comparsa l’incertezza[44], che è come ammettere la pretesa probabilistica di una certa economia.

 

È un pensiero fondamentalmente ostile a tutto ciò che può rappresentare l’irruzione della politica, ma questa ostilità deriva da motivazioni che sono – queste sì – fondamentalmente politiche. Questo è visibile chiaramente nelle riflessioni tardive di Hayek[45]. Il filosofo italiano Diego Fusaro lo dice riguardo all’Euro[46]. Non è solo una moneta, ma una forma di governo, o più precisamente, di pressione sui governi, per ottenere da essi una conformità politica. Non possiamo far altro che essere d’accordo con lui. Ma questa pressione è ancora più pericolosa in quanto si cela sotto la pretesa di una cosiddetta razionalità economica.

 

Ma l’ossessione per le regole riguarda anche un’altra patologia. Gli studi di casi proposti nell’opera di David Dyzenhaus, La costituzione del diritto,giungono, in ultima analisi, a mettere in evidenza una critica del positivismo. Questa è fondamentale. Aiuta a capire come l’ossessione per la Rule of Law (ossia la legalità formale) e la fedeltà al testo vada spesso a vantaggio delle politiche governative, nonché sovra-governative. Più volte, questo autore evoca la propria analisi delle perversioni del sistema giuridico dell’ Apartheid[47], ricordando come questa giurisprudenza umiliante fosse meno legata alle convinzioni razziste dei giudici sud-africani che al loro “positivismo»[48]. In linea di  principio, questo positivismo rappresenta un tentativo di superare il dualismo di cui parla Schmitt tra la norma e l’eccezione. Ma possiamo ben vedere che è un tentativo insufficiente e superficiale.

 

Si ferma a metà strada e arriva, in questo senso, ad esiti che sono di gran lunga peggiori delle posizioni apertamente schmittiane (come quelle di Carl J. Friedrich[49]). In quantovia di mezzo, il positivismo fallisce perché non prende abbastanza sul serio l’eccezione. Continua a concepire le detenzioni e le deroghe come atti perfettamente “legali”, concretizzando norme più generali e prendendo da esse l’autorizzazione. È quindi possibile, sulle orme di David Dyzenhaus, considerare che il potere di eccezione risiede nel potere di cui dispongono tutti i cittadini, e il governo in primo luogo, di adottare misure che consentano il ritorno più veloce possibile alla normalità. Benché diffuso, questo potere non sfugge alla Rule of Law, perché una volta che il segnale d’allarme sarà spento, le autorità e gli individui dovranno essere in grado di dimostrare che hanno agito secondo la stretta necessità.

 

Il tema della sovranità quindi innerva in profondità il dibattito che oppone attualmente il governo italiano e la Commissione europea. Questo dibattito non è un dibattito su cifre o percentuali. È un dibattito fondamentale per determinare in che società vogliamo vivere. Il tema della sovranità conduce logicamente alla questione della democrazia, ma anche al rapporto che può esistere tra la legalitàe la legittimità. Per questo motivo è assolutamente fondamentale per il futuro delle nostre società.

Fonte: vocidallestero.it (qui) di Jacques Sapir, 10 novembre 2018 Traduzione di Etienne Ruzic.

Note

[1] Vedi Sul progetto di bilancio Italia piano 2019, pubblicato lunedì 15 ottobre sul sito ufficiale www.MEF.gov.it

[2] https://www.NewEurope.eu/article/will-Italy-Destroy-The-Eurozone-2/

[3] Vedi il recente articolo A. Mode, l’ex vicedirettore del dipartimento di ricerca del FMI. https://www.Bloomberg.com/opinion/Articles/2018-10-26/Italy-s-budget-isn-t-As-Crazy-As-It-Seems

[4]https://www.valeursactuelles.com/politique/Budget-italien-melenchon-prend-le-parti-de-Salvini-100250

[5] John MEVEL Pollici in Le Figaro, 29 gennaio 2015, Jean-Claude Juncker: “La Grecia deve rispettare l’Europa”. http://www.lefigaro.fr/international/2015/01/28/01003-20150128ARTFIG00490-jean-claude-juncker-la-grece-doit-respecter-l-europe.php Le sue dichiarazioni sono ampiamente riprese nel settimanale Politis, disponibile online: http://www.politis.fr/Juncker-dit-non-a-la-Grece-et,29890.html

[6] Evans-Pritchards A., “L’Alleanza europea dei fronti della liberazione nazionale emerge per vendicare la sconfitta greca”, Le Telegraph, 29 luglio 2015, http://www.telegraph.co.uk/finance/economics/11768134/European-allince-of-national-liberation-fronts-emerges-to-avenge-Greek-defeat. html

[7] Moatti C. Res publica-Storia romana della cosa pubblica, Parigi, Fathi, coll. Ouvertures, 2018.

[8] Jefferson T., “Note sullo stato della Virginia,” in, Writtings-a cura di Mr. Peterson, Biblioteca d’America, New York, 1984.

[9] Schmitt C., Legalità, Legittimità, tradotto dal tedesco da W. Gueydan De Roussel, Bookstore generale di legge e giurisprudenza, Parigi, 1936; Edizione tedesca, 1932.

[10] Schmitt C., Legalità, legittimità, Op. cit.

[11] Schmitt C., Teologia politica, Parigi, Gallimard, 1988, p. 16.

[12] Il cui rappresentante più eminente è stato Hans Kelsen, Kelsen H., Teoria generale delle norme, Parigi, PUF, 1996.

[13] Dyzenhaus D, Casi difficili in cattivi sistemi giuridici. Diritto sudafricano nella prospettiva della filosofia giuridica, Oxford, Clarendon Press, 1991.

[14] Signora R., « Mani sporche e guanti puliti: ideali liberali e politica reale “, Giornale europeo di pensiero politico, vol. 9, no. 4, pp. 412 – 430, 2010,

[15] Moatti C., Res Pubblica, op. cit., p. 35

[16]  È ciò che ho sottolineato in Sovranità, Democrazia, Laicità, Parigi, Michalon, 2016.

[17] Ammettiamo qui più che un’influenza di Lukacs G., Storia e coscienza di classe. Saggi di dialettica marxista. Parigi, Les Éditions de Minuit, 1960, 383 pagine. CollezioneArguments

[18] Cicerone La Repubblica [De re publica], T-1, trad. Esther Breguet, Parigi, Les Belles Lettres, 1980, I. 26,41.

[19]  Signora M., Politica nell’antica Roma-cultura e prassi, Roma, Feltrinelli, 1997.

[20]http://www.Slate.fr/Story/163862/souverainete-EUROPEENNE-Emmanuel-macron-probleme-legitimite-elitaire E https://www.la-croix.com/France/Politique/Macron-lEurope-instaurer-souverainete-europeenne-2018-05-03-1200936391

[21] Veda H. Haenel, “Rapporto di informazione”, no. 119, Senato, sessione ordinaria 2009-2010, Parigi, 2009.

[22]  Moatti C., Res Publica, op. cit., p. 254.

[23] Vedi Breton M. Storia del diritto romano, Parigi, edizioni Delga, 2016, p. 215.

[24] Wiseman T.P, “Lo stato a due teste”. “Come Romans ha spiegato le guerre civili” in Breed M.C., Damon C. e Rossi A. (ED), I cittadini della discordia: Roma e le sue guerre civili, Oxford-New York, Oxford University Press, 2010, p. 25-44

[25] Sapir J., Il nuovo ventunesimo Secolo, Le Seuil, Parigi, 2008.

[26] Sapir J., La fine dell’euroliberalismo, Parigi, Le Seuil, 2006.

[27] Sapir J., “Capitolazione”, nota pubblicata nella rubrica RussEurope, il 13 luglio 2015,  http://russeurope.HYPOTHESES.org/?p=4102

[28] Vedi “Il testo di Fassina” Nota pubblicata nella rubrica Russeurope Il 24 agosto 2015, http://russeurope.HYPOTHESES.org/4235

[29] Sapir J., “Sulla logica dei Fronti”, nota pubblicata nella rubrica RussEurope, il 23 agosto 2015, http://russeurope.HYPOTHESES.org/4232

[30] Schmitt C., Teologia politica, Parigi, Gallimard, 1988.

[31] Vedi la presentazione scritta di Pierre Rosenvallon a François Guizot, Storia della civiltà in Europa, reediz. del testo del 1828, Parigi, Hachette, coll. “Pluriel”, 1985.

[32] A. Bentley, Il processo governativo (1908), Evanston, Principia Press, 1949.

[33] Elster J. e R. Slagstad, Costituzionalismo e democrazia, Cambridge University Press, Cambridge, 1993

[34] Vedi la sua dichiarazione: https://www.BFMTV.com/politique/Pierre-Moscovici-traite-de-fasciste-l-EURODEPUTE-italien-qui-a-pietine-ses-notes-1552571.html

[35] Barry G., Il nemico: un ritratto intellettuale di Carl Schmitt, Verso, 2002. Vedi anche Kervégan J-F, Cosa fare con Carl Schmitt, Parigi, Gallimard, coll. Tel che, 2011.

[36] Holmes S., “Gag-rules o la politica dell’omissione”, in J. Elster & R. Slagstad, Costituzionalismo e democrazia, op. cit., p. 19-58.

[37] Sapir J., Quale economia per il XXI Secolo?, Odile Jacob, Parigi, 2005

[38] Spinoza B., Trattato Teologico-politico, Traduzione P-F. Moreau e F. Lagrée, PUF, Parigi, coll. Epithémée, 1999, XVI, 7.

[39] Haavelmo T. L’approccio di probabilità in economia, Econometrica, 12, 1944, pp. 1-118.

[40] Myrdal G., L’elemento politico nello sviluppo della teoria economica,  Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1954

[41] Guerrien B. L’illusione economica, Omniprésence, 2007.

[42] MIROWSKI P., Più calore che luce, Cambridge University Press, Cambridge, 1990

[43] Lucas R.E. Jr., “Le aspettative e la neutralità del denaro”, Giornale di teoria economica, vol. 4, 1972, p 103-124.

[44] Lucas R.E. Jr., Studi in teoria del ciclo di affari, Cambridge, pressa del MIT, 1981, p. 224.

[45] Bellamy R., (1994). “Politica detronizzare”: liberalismo, costituzionalismo e democrazia nel pensiero di F. A. Hayek. Rivista di scienza politica britannica, 24, pp 419-441.

[46] Fusaro D., Il futuro è nostro. Filosofia d’azione, Bompiani, Milano 2014.

[47] Dyzenhaus D, Casi difficili in cattivi sistemi giuridici. Diritto sudafricano nella prospettiva della filosofia giuridica, op. cit.

[48] Dyze Dyzenhaus D., La costituzione della legge. Legalità in tempo di emergenza, Cambridge University Press, Londres-New York, 2006, p. 22.

[49] Il presidente della Corte Suprema Friedrich, L’uomo e il suo governo: una teoria empirica della politica, New York, McGraw-Hill, 1963

Democrazia, Politica

Mattarella, Veneziani: “Lo vedo in tv e sento lui come il commissario, il proconsole inviato dalla Ue nel protettorato dell’Italistan per sedare le popolazioni ribelli”.

Non so di quali gravi problemi psicologici io soffra ma ogni volta che vedo in tv il presidente Mattarella mi sento uno straniero in patria. Anzi peggio, sento lui come il commissario, il proconsole inviato dalla Ue nel protettorato dell’Italistan per sedare le popolazioni ribelli. Nel mio stato allucinatorio lo vedo come un regnante assiro-babilonese, frutto di altre epoche e di altri mondi e il suo stile, il suo linguaggio, il suo incedere, il suo sontuoso copricapo bianco mi sembrano confermarlo. Sarà sicuramente una mia debolezza mentale, un trauma infantile o prenatale, ma non riesco mai a riconoscermi in quello che dice. Anzi penso quasi sempre il contrario di quel che dice, a parte il fondo inevitabile di ovvietà atmosferica e istituzionale con cui incarta il tutto e che è retaggio del suo ruolo protocollare.

Ma è possibile, mi chiedo preoccupato, che tutto quel che dice e persino il tono con cui lo dice, mi sembra sempre negare quel che mi sembra la realtà dei fatti, la storia vissuta, la vita reale dei popoli, il sentire comune, il disagio diffuso, la memoria storica, la percezione comune della realtà, oltre che le mie convinzioni ideali? Possibile che anche quando affronta temi che dovrebbero essere condivisi, come l’amor patrio o la celebrazione delle feste nazionali, lui riesca a dire il contrario di quel che mi aspetto da un Capo dello Stato e dal presidente degli italiani? L’Italia per lui non è la nostra patria ma il luogo d’accoglienza universale, una specie di gigantesca tenda da campo predisposta dalle autorità europee. Le identità dei popoli, per lui, sono un cancro da sradicare, un muro da abbattere. Vanno bene le identità individuali o di genere, ma non quelle nazionali, popolari, civili. Le migrazioni per lui vanno accolte e benedette; le diversità culturali e religiose vanno ammesse se riguardano gli stranieri, vanno invece rimosse se ricordano le nostre radici, altrimenti siamo intolleranti. Le nazioni per lui sono solo il preambolo funesto ai nazionalismi che sono la vera piaga del mondo; quando a me pare invece che i mali della nostra epoca siano piuttosto legati al suo contrario, allo sradicamento universale, alla cancellazione forzata delle identità, dei popoli e dei territori, al dominio cinico e apolide del capitale finanziario che non ha patria ma solo profitti; e ai flussi migratori incontrollati che in generale impoveriscono i paesi che lasciano e inguaiano quelli che invadono. Se un gruppo di migranti stupra una ragazza lui tace, se gli italiani dicono una sciocchezza contro i migranti o le donne, lui interviene per condannare. Non si perde mezza celebrazione che riguardi l’antifascismo e l’antirazzismo, è sempre lì a commemorare coi suoi discorsi, mentre salta vagoni di ricorrenze cruciali, di anniversari patriottici, di caduti per l’Italia, di vittime del comunismo, dei bombardamenti alleati, delle dominazioni altrui.

Se gli capita un IV novembre tra i piedi lui non ricorda la Vittoria ma solo la fine della guerra e non commemora l’Italia e i suoi soldati ma l’Europa. E se proprio deve celebrare un patriota, celebra l’eroe nazionale degli albanesi o di chivoletevoi, non un patriota dell’Italia. E sostiene come l’ultimo militante dell’Anpi che il fascismo è il male assoluto e non ha fatto neanche una cosa buona, negando l’evidenza storica: una cosa del genere non riuscirei a dirla neanche di Mao e Stalin che sono i recordman mondiali di sterminio, per giunta dei propri connazionali e per colmo in tempo di pace; notizie che al Quirinale non risultano mai pervenute.

E non c’è giorno che non ci sia una sua dichiarazione ecumenica e curiale nella forma ma velenosa e ostile nella sostanza contro il Demonio Assoluto: il populismo e il sovranismo, ossia il governo in carica, e tutto sommato, il voto maggioritario degli italiani. È una continua allusione polemica a ogni cosa che dice, fa e pensa Salvini. Poco manca che non insignisca la Isoardi di un cavalierato al merito per aver scacciato il drago da casa sua.

Ma possibile che il Capo dello Stato debba essere così opposto al comune sentire? Non mi aspetterei certo che dicesse il contrario di quel che pensa e del materiale bio-storico di cui è composto; non chiedo che si metta a gareggiare in demagogia tribunizia, ma è possibile che il presidente degli italiani la pensa solo come quelli che votano Pd, e sempre dalla parte opposta dei restanti italiani? Non è stato informato che quel Renzi che lo volle al Quirinale nel frattempo è caduto e non lo vogliono neanche nel Pd? Non sa che in Italia, in Europa, nel Mondo, quella visione politica che lui depreca ogni giorno, conquista maggioranze di consensi popolari in libere elezioni democratiche ed esprime i maggiori governi e capi dello stato? Mai uno sforzo, lui che dovrebbe essere l’arbitro super partes, garante di tutti, per capire e riconoscere quell’altra Italia, quell’altro mondo, che non la pensa come lui. Sta lì, nel cuore di Roma, come se il Quirinale fosse uno Stato Vaticano ai tempi del non expedit, rispetto all’Italia che lo circonda.

Naturalmente nei momenti di lucidità capisco che tutto questo è frutto di un mio stato di alterazione mentale, gli italiani invece sono entusiasti di Nuvola Bianca e dei suoi moniti, si bevono come oro colato le sue prediche indispensabili e lo considerano un santo, un sapiente e un oracolo. Però, non capisco perché quella mia allucinazione presidenziale mi fa quell’effetto eversivo-lassativo…

Fonte: maurizioveneziani.it (qui), Articolo pubblicato su Il Tempo 9 novembre 2018

Democrazia, Economia, Politica, Stati vs Europa

Previsioni Ue, Tria all’attacco: “Analisi non attenta e parziale della manovra. Dispiaciuto della loro défaillance”

“Le previsioni della Commissione europea relative al deficit italiano sono in netto contrasto con quelle del Governo italiano e derivano da un’analisi non attenta e parziale del Documento Programmatico di Bilancio, della legge di bilancio e dell’andamento dei conti pubblici italiani, nonostante le informazioni e i chiarimenti forniti dall’Italia”. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria va all’attacco di Bruxelles dopo la pubblicazione delle stime d’autunno secondo cui il deficit/pil l’anno prossimo toccherà il 2,9% e nel 2020 sfonderà il tetto del 3 per cento. Il titolare del Tesoro in una nota ufficiale si dice “dispiaciuto” della “défaillance tecnica della Commissione”. “Rimane il fatto”, aggiunge, “che il Parlamento italiano ha autorizzato un deficit massimo del 2,4% per il 2019 che il Governo, quindi, è impegnato a rispettare”.

Il commissario europeo agli Affari Economici Pierre Moscovici poco prima, durante la conferenza stampa sulle previsioni d’autunno, aveva ammonito sul fatto che “la qualità del lavoro della Commissione Ue e la sua imparzialitànon possono essere messe in causa” per cui le stime di Bruxelles, diverse da quelle del governo italiano, “non devono prestarsi alla minima polemica“. “L’Italia non è stata oggetto di un trattamento particolare ma ha avuto lo stesso di tutti gli altri Paesi”, con cui “sono abituali scarti tra le previsioni”, ha detto il commissario. “L’Italia non è sola in questa situazione”, c’è già stata anche “con i governi precedenti”.

Moscovici ha spiegato che la differenza di stima sulla crescita 2019 (1,2% della Ue contro 1,5% del Governo) è dovuta al fatto che “le nostre stime sono più prudenti, come quelle delle altre organizzazioni internazionali”, e si basano sul deterioramento della situazione nel terzo trimestre e inizio del quarto. Sul deficit invece (2,9% della Ue contro 2,4% del Governo) “se togliamo gli arrotondamenti la differenza è solo 0,4%”, perché ci saranno meno entrate fiscali a causa della crescita più bassa e questo pesa per uno 0,2%. Inoltre, ci sono le spese maggiori per il servizio del debito, che aumentano dell’1% del Pil. “Questi scarti sono abituali tra le previsioni della Commissione e degli Stati, ed era già successo anche con il precedente Governo italiano”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)

Austerity, Democrazia, Politica

L’Italia vera e quella (indecente) di Moody’s e Cottarelli — LIBRE

Ci sarebbe da ridere, non fosse per i brutti ceffi in circolazione e le loro cattive intenzioni verso il sistema-Italia, ancora solido nonostante l’impegno che gli eurocrati hanno profuso per azzopparlo. Prima comica: azzannano il timido governo gialloverde, che si è limitato al 2,4% di deficit (contro il 3% ammesso da Maastricht), neanche fosse un esecutivo rivoluzionario. Seconda comica: gli stregoni di Moody’s declassano l’Italia, regina del risparmio europeo, in combutta coi loro azionisti bancari, che speculeranno sul ribasso del rating. Terza comica: a strapparsi i capelli sono l’infimo Martina, candidato a guidare il Pd verso l’estinzione, e Antonio Tajani, «decadente e grottesco presidente del Parlamento Europeo, figura modestissima e nuovo frontman di Berlusconi per le prossime europee, anche lui impegnato a spiegarci che andiamo verso la rovina». A mettersi le mani nei capelli, semmai, è Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: costretto a vedere la televisione di Stato che strapaga l’oligarca Cottarelli perché ripeta, nel salotto di Fazio, che la visione economica del mondo è una sola: la sua. Il primo a denunciare «la presa per i fondelli a spese degli italiani» è stato Gianluigi Paragone: non è curioso che a spillare quattrini alla Rai sia proprio Cottarelli, cioè il massimo censore della spesa pubblica? «Quello sarebbe il primo spreco da tagliare», dice Magaldi, in web-streaming su YouTube.

Stiamo vivendo agitazioni surreali, esordisce l’autore del bestseller “Massoni”, in collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights”. La storia delle “manine” che secondo Di Maio avrebbero manipolato il decreto fiscale? «Fa un po’ ridere i polli», cosìGioele Magaldi come il proditorio declassamento di Moody’s. «Siamo alla farsa finale: il sistema è talmente in crisi, e anche tremebondo, che mette in atto meccanismi spudorati, e quindi anche facilmente smascherabili». Le agenzie di rating? Non sono imparziali: «Sono aziende che perseguono profitto in pieno conflitto d’interessi, perché i loro azionisti hanno interessi di tipo speculativo e possono trarre vantaggio proprio dai declassamenti delle agenzie di cui detengono i pacchetti azionari. Possono cioè trarre profitto da quello che le agenzie di rating promettono o minacciano, e dal panico che il giudizio di queste agenzie può indurre». Questo, aggiunge Magaldi, è un sistema malato, al quale Moody’s dà un ulteriore colpo. «Da un lato la Bce non fa il suo mestiere di banca centrale e non garantisce il debito in titoli di Stato dell’Italia, come dovrebbe, per mantenere basso il famigerato spread. Dall’altro, le sedicenti istituzioni europee mandano i “pizzini” e disapprovano la manovra del governo, mostrando il loro cipiglio».

Poi ci sono i pupazzi del teatrino italiano – i Martina, i Tajani – che suonano l’allarme. E quali sarebbero queste grandi e radicali manovre del governo Conte, che tanto preoccupano costoro? L’aver ipotizzato qualche spesa per lenire le condizioni di indigenza, senza neppure istituire un vero reddito di cittadinanza? Qualche spesa per migliorare la situazione fiscale? «Tutte cose che noi del Movimento Roosevelt salutiamo come un inizio, l’aurora di un possibile nuovo scenario, ma siamo sicuramente al di sotto delle proclamazioni solenni degli uni e degli altri», chiarisce Magaldi. «Dal punto di vista del governo c’è poco da strombazzare un New Deal, che non è ancora iniziato. Per contro, chi contesta il fatto che queste misure portino al 2,4% del rappoto deficit-Pil, ripete che, per questo motivo, il governo italiano andrebbe ricondotto alla ragione a forza di bastonate – attraverso le agenzie di rating, le dichiarazioni dei tecnocrati europei e le giaculatorie di questi personaggi decadenti del centrodestra e del centrosinistra. Mi sembra un teatro dell’assurdo, perché purtroppo non abbiamo ancora un Tajanigoverno che dichiari chiaramente di voler mettere in discussione, in quanto infondati scientificamente, i parametri di Maastricht, nei quali peraltro l’Italia rientra perfettamente».

Perché non si ragiona mai sulla vera natura del debito pubblico, come ha fatto recentemente Guido Grossi anche su “ByoBlu”? Ci sono economisti, intellettuali e politici che offrono soluzioni concrete, già oggi, per gestire il debito pubblico così com’è. Ma poi, bisognerebbe inquadrare il debito per quello che è, ovvero «un elemento di economia spiegato male e utilizzato in modo improprio». Ma il governo gialloverde non ha messo seriamente in discussione i parametri di Maastricht, sul piano economico. E su quello politico, continua a giurare che non è vero, che vorrebbe “uscire dall’Europa”. «Ma il problema non è questo: bisognerebbe dire, invece, che in Europa non ci siamo mai entrati», sottolinea Magaldi. «Il governo dovrebbe dire: vogliamo una Costituzione Europea, politica». Di Maio, Salvini, Savona e gli altri insistono nel dire di voler restare nell’Eurozona, non mettendo in discussione neppure la valuta euro? «Bene, ma come vogliamo starci? Vogliamo restare in quest’Europa così com’è? In questa strana struttura sovranazionale senza Costituzione, senza meccanismi democratici e senza una vera partecipazione popolare alle decisioni più importanti?».

Se finalmente il governo parlasse chiaro, pretendendo un’Europa democratica, allora sì che si potrebbe capire, «l’alzata di scudi da parte dei veri nemici del progetto dell’Europa unita, cioè quelli che oggi occupano indebitamente le maggiori poltrone delle istituzioni sedicenti europee». Se Lega e 5 Stelle dicessero che vogliono una Costituzione Europea, il loro «sarebbe un attacco al cuore del sistema, per renderlo più democratico». Vorrebbe dire «ridiscutere il concetto stesso di deficit, di debito pubblico, e “sforare” con percentuali ben più importanti, ma con spese in investimenti». Gli oppositori lo dicono in malafede, ma hanno ragione: nella manovra gialloverde non ci sono grandi spese in investimenti. «Ma lo si può capire: è solo l’inizio, al governo bisogna dare credito e fiducia, perché l’esecutivo Conte, quantomeno, sta cercando di fare qualcosina, laddove negli ultimi 25 anni non si è fatto nulla – o meglio, si è agito solo contro l’interesse del popolo italiano». Mancano investimenti adeguati, certo, come si è visto dopo il disastro di Genova. Ma il governo gialloverde è a metà strada fra il Paolo Savona che in Giovanni TriaSenato si appella al New Deal e il ministro Tria (scelta di ripiego, imposta dal Quirinale) che «non sa deve dar retta a Visco, a Draghi, a Mattarella, oppurre alla maggioranza che sostiene il governo di cui lui è parte».

Per Magaldi «siamo, di nuovo, alla commedia dell’assurdo: si parla del nulla, il discorso politico è surreale». Quello economico, invece, è aggravato dal clamoroso declassamento di Moody’s, totalmente infondato: «L’Italia ha un grandissimo risparmio privato e ha dei “fondamentali” di economia eccellenti. L’Italia è un paese ricco, sotto molti aspetti: in Nord Europa ci sono paesi con i conti pubblici in apparenza migliori dei nostri, ma con un indebitamento privato molto più grave, quindi sono in una situazione più fragile». Perciò non si capisce (o meglio, si capisce anche troppo bene) perché Moody’s vada a declassare l’Italia. L’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, suggerisce di creare un’agenzia di rating di respiro europeo, che – partendo dall’Italia – guardi le cose con occhi diversi, e valuti quindi la solidità di entità pubbliche e private con altri parametri. Mossa indispensabile, conferma Magaldi, «per evitare di essere ricattati da masnadieri in costante conflitto d’interessi». E dall’altro, aggiunge, bisogna creare un’agenzia che si preoccupi di valutare il sistema economico-sociale in base all’effettiva qualità della vita, oltre il semplice Pil.

Lo disse Bob Kennedy già nel 1968, «pagando con la vita il suo tentativo di rappresentare la speranza di un’evoluzione diversa dell’Occidente e del mondo». Il Pil non può essere l’unico metro di misura delle nostre vite. Anche dal punto di vista meramente economico, aggiunge Magaldi, il solo Pil non funziona: «Questi numeri non raccontano davvero la prosperità e la ricchezza dell’Italia, pur con tutti i suoi limiti e tutta la decadenza che in questi anni è stata rovesciata sul nostro sistema. Si è tentato di deindustrializzarlo e impoverirlo, ma non ci si è riusciti: perché l’Italia è un grande paese, con capacità industriali e commerciali, grande attitudine al risparmio privato». L’Italia non può essere impunemente declassata, come giustamente rilevato dalla stessa magistratura di Trani, intervenuta in passato contro alcune agenzie di rating, in occasione del famigerato Casalino“golpe bianco” attuato con l’avvento del governo Monti: «Forse, oggi – ipotizza Magaldi – proprio la magistratura dovrebbe rimettersi in moto, analizzando le molte opacità di questo giudizio di Moody’s».

Quanto al presunto sabotaggio del documento fiscale indicato da Di Maio, secondo Magaldi si può parlare anche di “manine” «ascrivibili a filiere massoniche neo-aristocratiche, e perciò contro-iniziatiche, come quelle che hanno demonizzato Rocco Casalino», scelto dai 5 Stelle come portavoce del premier. Volevano incastrarlo con il celebre fuori-onda nel quale prometteva sfracelli contro i sabotatori nascosti nei ministeri? «Intanto è riuscito nell’intento di denunciare i tecnici del ministero dell’economia che “remano contro”, e il fenomeno non riguarda certo solo quel dicastero». Se in Italia ci fossero ancora veri giornalisti, dice Magaldi, una bella inchiesta svelerebbe che nei ministeri e negli apparati burocratici circolano da decenni sempre le stesse persone: si ritiene abbiano competenze imprescindibili, galleggiano da un governo all’altro (centrodestra o centrosinistra non importa) e si sono riciclati anche con questo governo gialloverde. «Credo sia giunto il momento di un bel cambio: non è vero che questi siano professionisti insostituibili, credo occorra puntare su una rigenerazione della scuola della pubblica amministrazione, anche nell’individuazione di nuovi parametri».

L’orizzonte è vasto: «Dobbiamo cambiare i termini di insegnamento dell’economia e della finanza, che in questi decenni hanno creato dei mostri», sostiene Magaldi. Spesso, «quelli che hanno studiato economia l’hanno fatto come asini, istruiti da altri asini, grazie a qualche “padrone degli asini” che, a monte, scientemente, ha voluto questa “asinità” diffusa». Seriamente: «L’economia dovrebbe essere un sapere critico, dialogico, scientifico e perciò aperto al confronto critico, e invece è stata insegnata come una sorta di catechismo, con dei principi di fede da seguire». Non mancano le ribellioni anche famose, contro il “lavaggio del cervello” subito in università anche prestigiose: lo conferma un caso come quello dell’economista Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta”, mostrando (dal di dentro) tutte le storture della narrazione economica neoliberista. «Discorso che vale anche per capi di gabinetto, dirigenti e consulenti: una casta di mandarini riciclati e inamovibili, che obbediscono a chi – come loro – abita stanze del potere non sottoposte al vaglio delle elezioni». Ha ragione Casalino: c’è da fare un bel Ilaria Bifarinirepulisti. «E a proposito: non scordiamo quello che abbiamo appreso su Carlo Cottarelli, personaggio appartenente ai peggiori circuiti della contro-iniziazione massonica neo-aristocratica».

Cottarelli viene dal Fmi, potente istituito che ha contribuito alla catastrofe della Grecia. Come giustamente fatto notare da Gianluigi Paragone, proprio Cottarelli incarna un madornale paradosso: «Un signore che da anni invoca “spending review”, revisione della spesa e grandi tagli, oggi per le sue comparsate televisive (dove sciorina le sue personalissime idee, intonate all’austerity montiana più becera) è strapagato con moltissimo denaro pubblico. Sono cose vergognose». Spreco di denaro pubblico, insiste Magaldi, è riempire di soldi il neoliberista Cottarelli per parlare per 40 minuti, senza un regolare contraddittorio con un economista post-keynesiano: giornalismo (e servizio pubblico) imporrebbero di ascoltare due voci distinte e contrapposte, peraltro non remunerate, ma presenti in televisione a titolo gratuito. «Ci sono personaggi italiani che avrebbero tante cose da dire, e che non vengono mai interpellati, dai media. E gli altri, che hanno tutto lo spazio per dire la loro, sono pure strapagati. Anche questo fa parte del teatro dell’assurdo che stiamo vivendo: il nostro è un paese che ha perso il senso del ridicolo. Ecco perché dobbiamo lavorare, tutti, per far ritrovare il senso della decenza».

La realtà, aggiunge Magaldi, è che va ripensato l’intero sistema, partendo proprio dall’economia. «Forse è arrivato il momento storico in cui si può immaginare l’emissione di una moneta non “a debito”, cioè non ottenuta attraverso l’offerta di titoli di Stato. Forse dobbiamo pensare anche a monete complementari. Soprattutto: come di tutte le cose, in una società aperta, democratica e pluralistica, dobbiamo immaginare di poter parlare laicamente anche della moneta e dell’economia». Non è possibile, aggiunge Magaldi, che l’economia sia diventata una fede, «con sacerdoti che comminano scomuniche, lanciano anatemi e condannano al rogo». E’ inaccettabile l’impossibilità di essere eretici: anche perché «il mondo contemporaneo, scientifico e progressista, liberale, che tanti accigliati difensori vorrebbero difendere dalla “barbarie” dei populisti, è un mondo libero, democratico e pluralista fondato proprio sul libero confronto tra le diverse posizioni». E invece oggi «abbiamo questa surreale situazione, per cui da un lato si denunciano le pulsioni autoritarie, xenofobe, razziste e fascistoidi dei populisti, dei Giorgettibarbari che assaltano l’Olimpo della democrazia italiana, della convivenza pacifica tra le nazioni garantita dalle isitituzioni europee, e dall’altro questi signori sono fideisti, devoti a visioni monolitiche e indiscutibili».

Non ammettono, gli oligarchi, che le loro convinzioni siano sottoposte alla discussione pubblica, «come non fu ammesso alla discussione il grande tema dell’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione», che ha consentito a Mattarella di “difendere” una Carta costituzionale gravemente lesionata, rispetto al dettato democratico del 1948. Sul fronte opposto, intanto, il leghista Giancarlo Giorgetti sostiene che il futuro sia del sovranismo populista? «Sbaglia, Giorgetti, se l’ha detto davvero, perché questo – replica Magaldi – consente agli avversari di spacciare per reale il presunto assalto alla democrazia, alle istituzioni liberali, all’equilibrio faticosamente raggiunto da una società avanzata». Molto meglio «stanare gli autori di questa immensa ipocrisia: qui non è questione di sovranismo o di populismo, qui è questione di sovranità del popolo, di democrazia sostanziale». Per il presidente del Movimento Roosevelt «bisogna che sia chiaro c’è una incongruenza grande come una casa, nell’atteggiamento dell’Europa che guarda all’Italia in modo arcigno: da un lato si rivendica la difesa della tenuta democratica di fronte all’assalto populista Cottarellixenofobo, e dall’altro al popolo bue (trattato in modo veramente demagogico e manipolatorio) si propinano delle fedi, cioè l’esatto contrario di ciò che ha costruito le democrazie».

I moderni regimi democratici, aggiunge Magaldi, con l’occhio dello storico, sono stati edificati «con metodo massonico, dunque progressista», basandosi cioè «sul dubbio critico e sulla messa in discussione dei dogmi». Uno su tutti: il dogma per il quale «il potere venisse da Dio e fosse amministrato da monarchi, da aristocrazie laiche per diritto di sangue e da aristocrazie ecclesiastiche per diritto d’ispirazione divina». Questi dogmi, sottolinea Magadi, hanno regnato per secoli: «E con questi dogmi, per secoli, i molti hanno asservito i pochi». Quello massonico, continua Magaldi, è stato un metodo di liberazione, di democrazia e di parlamentarizzazione della vita politica: «Ha creato quelle Costituzioni di cui avremmo bisogno in Europa, dove invece è stato istituito un sistema neo-feudale, non c’è Costituzione: ci sono altrettanti vassalli, valvassori, valvassini e cavalieri, che difendono una sorta di impero collegiale, oggi in mano a oligarchie apolidi e sovranazionali, le quali trattano il popolo come una massa di neo-sudditi». Queste cose bisogna pur iniziale a discuterle: «Io andrei volentieri a spiegarle in televisione, ovviamente gratis, insieme a tanti altri: non ho verità in tasca – precisa Magaldi – ma vorrei che ci fosse un confronto critico tra diverse visioni del mondo». Invece paghiamo, profumatamente, Cottarelli e soci: «Sacerdoti, che ci vengono a fare le loro prediche». E hanno a disposizione tutti i pulpiti, «offerti dai pennivendoli di regime, davvero spregevoli alla vista e all’udito, che infestano i media mainstream di questo paese».

Fonte: libreidee.org (qui)

Democrazia, Inchieste, Magistratura, Politica

Tutto sui 49 milioni della Lega che non sono stati rubati.

Fondi Lega, Renzi, che beneficiò secondo Lusi dei finanziamenti distratti della Margherita, sulla Lega dichiara: “Hanno rubato 49 milioni”.

Ecco un articolo del Fatto del 17 maggio 2012:

L’attacco cieco dell’ex decaduto leader “democratico” è del 10 settembre scorso. Sull’edizione on line del quotidiano il laRepubblica.it (qui) pubblicava l’attacco a muso duro dell’ex segretario PD.

L’attacco di Renzi si concentra sulla richiesta di restituzione dei contributi, asserendo che fossero stati “rubati” ai cittadini italiani, da una sentenza di primo grado, che per altro, risulta in palese in contraddizione con quella che coinvolse il Sen. Lusi e la Margherita (poi confluita nel PD) che lo stesso Renzi non può non conoscere.

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In quella vicenda i magistrati si orientarono in una direzione opposta a quanto invece deciso sulla Lega. Renzi non si preoccupa degli effetti della sentenza e nemmeno per le gravi implicazioni, già in sede di giudizio di primo grado, in merito ai principi costituzionali garantiti sulle modalità di partecipazione dei cittadini alla vita politica, tenuto conto che questa sentenza dei giudici di Genova di fatto impongono la cancellazione di un partito politico che oggi ha il 30 percento dei consensi. Renzi “democratico” per etichetta, reagisce ancora come suo solito sul piano personale e non sul piano politico che mai è stato in grado di immaginare.

Alle posizioni velleitarie del “principe” decaduto “democratico” risponde Il giornalista Telese chiarendo i termini della questione.

Con il sequestro la Lega potrà continuare a far politica? La Lega ha rubato veramente 49 milioni? Perchè la Lega non si è costituita parte civile? Luca Telese risponde a queste ed altre domande.

Non sono assolutamente un simpatizzante di Matteo Salvini, anzi. Tuttavia considero preoccupante quello che sta accadendo sui famigerati “49 milioni” del Carroccio, che da giorni vengono spesso definiti “rubati”.

Prima domanda: sono davvero “49 milioni” i soldi che dopo essere stati sottratti devono essere restituiti dopo le sentenze? Risposta: no. Sono davvero stati ottenuti, come pensano molti “con false fatture”? Risposta: no. Ma soprattutto: è giusto che il partito di Salvini subisca un pignoramento di tutte le sue entrate passate, presenti e future? La mia opinione è che anche in questo caso la risposta sia no.

Sono convinto che questo sequestro non sia giusto, e che questo provvedimento possa produrre delle conseguenze enormi non solo per la Lega ma per tutto il sistema democratico. Vorrei spiegare perché intorno a questa inchiesta aleggiano molti misteri e stanno prendendo corpo tante balle mediatiche. Sono convinto che si possa essere molto distanti dalle idee della Lega, ma che non per questo si debba gioire per la sentenza della Cassazione che potrebbe portare alla chiusura di un partito. Anzi: tifare per il sequestro perché non si è d’accordo con la Lega è una pessima idea che può produrre gravi danni alla dialettica democratica, un ennesimo grave esempio di “doppiopesismo” all’italiana.

Le questioni importanti, per capire questa vicenda dei soldi del Carroccio sono semplici e sono due:

Con il sequestro la Lega potrà continuare a far politica?

1. Può il partito di Salvini continuare la sua attività politica se dovrà consegnare qualsiasi contributo economico dovesse entrare (anche in futuro) nelle sue casse? Risposta: ovviamente no, visto che non esiste più nemmeno il finanziamento pubblico. O i magistrati evitano di sequestrare le risorse del nuovo partito “Lega per Salvini”, creato dagli uomini della nuova Lega (proprio per avere un’altra ragione sociale, diversa da quella del vecchio partito) oppure l’attività del Carroccio viene paralizzata:

chiedere alla Lega la restituzione di 49 milioni (che non ha in cassa e non potrà pagare) significa di fatto bloccare la sua attività politica. Senza escamotage, infatti, il partito non avrebbe soldi nemmeno per stampare un manifesto. Ecco perché questo sequestro implica un problema di agibilità democratica che bisogna porsi, e che anche il presidente della Repubblica si deve porre.

Un dubbio: cosa sarebbe accaduto se tale intimazione fosse stata rivolta al Pd? Risposta: questo caso si è già verificato e i dispositivi previsti dalle sentenze sono state totalmente diverse. Quando infatti qualcosa di simile è accaduto alla Margherita il criterio adottato dai magistrati è stato opposto. Se avessero revocato tutti i finanziamenti al partito di Rutelli e Gentiloni avremmo avuto manifestazioni di protesta in strada, e probabilmente a ragione. Invece adesso Matteo Renzi e i suoi cloni ripetono: “La Lega  restituisca i soldi che ha rubato”. Curioso.

Vediamo i fatti paragonando i casi: anche la Margherita aveva i binari non in regola; anche la Margherita (come la Lega) è stata truffata da un suo tesoriere – Luigi Lusi, senatore del Pd – che secondo i pm quando era tesoriere della Margherita aveva sottratto 27 milioni di euro dai conti del suo partito. Solo che in quel caso la sentenza ha considerato il partito “parte lesa”, mentre in questo caso lo considera di fatto “complice”. C’è una bella differenza, e infatti il sequestro diventa punitivo, mentre nel caso Lusi i magistrati imposero la restituzione dei beni sequestrati al partito.

Ed ecco la seconda questione:

La Lega ha rubato veramente 49 milioni?

2. La Lega deve restituire 49 milioni che ha “sottratto” all’erario. Ma ha davvero “rubato” quella cifra? Molti leggendo sommariamente i resoconti dei giornali (ed anche molti giornalisti che scrivono articoli, purtroppo) si sono convinti che per i giudici di Genova secondo la Cassazione e il Tribunale del riesame (che ha dato loro ragione sul provvedimento di sequestro) deve farlo perché sono stati “rubati” effettivamente 49 milioni di euro producendo false pezze d’appoggio. Risposta: non è così e non lo dice nessuno, nemmeno le sentenze. I fondi, da quando il finanziamento ai partiti è stato abolito, venivano assegnati in base ai voti ricevuti alle elezioni. Dopo le elezioni, questa cifra fissata in base ai voti presi nelle elezioni politiche veniva rateizzata per cinque anni.

Altro punto importante: Bossi e Belsito sono condannati per aver sottratto dei soldi che la procura (pare incredibile ma è così) non è riuscita a quantificare con esattezza (nelle sentenze si stima una cifra tra uno e tre milioni di euro, ma è solo una ipotesi perché non tutti i movimenti sono stati ricostruiti). Quindi 49 milioni di euro non è il totale dei soldi “sottratti” ma piuttosto il totale dei rimborsi percepiti negli anni per le elezioni politiche e regionali. I magistrati comprendono in questo totale tutti i fondi: sia quelli lecitamente percepiti che gli altri, sottratti dalla truffa. C’è una bella differenza. Dire: siccome hai sottratto tre milioni di euro me ne devi ridare 49 è un salto logico molto ardito, che si fonda su questa interpretazione della legge sui rimborsi elettorali: i magistrati sostengono, cioè, che i fondi debbano essere interamente revocati in caso di irregolarità di bilancio. Se fosse così, come mai nel caso di Lusi i fondi sottratti sono stati dieci volte di più (27 milioni invece di un massimo di 3), ma il finanziamento non è stato revocato? Anzi: come abbiamo visto i magistrati hanno restituito alla Margherita i soldi sequestrati a Lusi.

Perché la Lega non si è costituita parte civile?

Infine eccoci al nodo decisivo della mancata costituzione parte civile, che viene usata come una sorta di “giustificazione” per questo trattamento così diverso. Intanto va ricordato che durante il primo processo, la Lega si era costituita come parte lesa contro Bossi e Belsito. Poi, quando i due tronconi del procedimento penale si sono divisi, ha smesso di farlo. Può bastare questa mancata scelta per spiegare un giudizio più severo? Assolutamente no: o si accusano Salvini e i nuovi tesorieri di complicità, e li si persegue per quello, cioè un reato associativo definito (cosa che i magistrati non hanno fatto) oppure bisogna dire che non ci può essere nessuna relazione tra il giudizio e la mancata costituzione parte civile.

Seconda questione: ma questa scelta può essere l’indizio di una collusione tra la nuova Lega di Salvini e la vecchia di Bossi? In primo luogo bisogna dire che questo gesto non impedisce alla Lega di chiedere un risarcimento del danno. Ma poi bisogna aggiungere che questo passaggio è un punto decisivo, in cui la storia politica reale di quello che è accaduto nella Lega offre una spiegazione totalmente diversa da quella immaginata dai passaveline o dai cultori delle carte bollate. Salvini non si è costituito contro Bossi, non perché in quel momento fosse suo “amico”, ma proprio perché in realtà il Senatùr era in quel momento il suo principale nemico politico nel partito. Siccome i due si stavano dando battaglia nella Lega nel congresso (come è noto Salvini ha stravinto) se il nuovo leader avesse combattuto Bossi anche con gli strumenti giudiziari, lo avrebbe trasformato in una vittima, esattamente come Bossi aveva denunciato in alcune interviste. Salvini ha scelto invece (e con successo) un doppio binario: ti rispetto come fondatore del movimento, e non uso l’arma giudiziaria, ma ti combatto sul piano politico per mandarti a casa. E così è accaduto.

Ecco perché questo giudizio oggi diventa un precedente importante non solo per la Lega. Un caso che ancora una volta – e in questo mi rendo conto di essere controcorrente – getta luce sulla ricchezza passata e sulla povertà presente in tutti i bilanci dei partiti. Forza Italia in profondo rosso, il Pd quasi in bancarotta (i dipendenti sono in cassa integrazione dopo la bancarotta della gestione Renzi), la Lega senza un euro (quello che c’era sui conti è stato sequestrato) e inseguita dai pignoramenti, la Sinistra costretta a licenziare i suoi dipendenti. Domanda. Davvero pensiamo che la democrazia italiana possa funzionare così?

Fonte: nicolaporro.it (qui) Articolo di L. Telese, 12 settembre 2018.