Economia, Legge di Bilancio, Politica

S&P conferma rating Italia, Di Maio : ‘andiamo avanti’

“Il piano economico del governo – sostiene l’agenzia – rischia di indebolire la performance di crescita dell’Italia”, rappresenta una “inversione” rispetto al consolidamento di bilancio e “in parte torna indietro sulla precedente riforma delle pensioni”.

“Io non ho litigato con Draghi. Ho solo espresso un parere, come lui esprime i suoi. E credo che questo sia un Paese libero in cui tutti possiamo esprimere la nostra opinione”. Lo ha detto Luigi Di Maio a margine di un sopralluogo a Paternò, col capo dipartimento della Protezione civile, Angelo Borelli, prima tappa di incontri in paesi del Catanese, dell’Ennese e del Siracusano colpiti dal terremoto e dall’alluvione delle settimane scorse.

“Standard and Poor’s non ci ha declassati. Siccome bisogna leggere il negativo anche dove non c’e, stamattina tutti dicono che ci ha ‘mazzolati’. Invece deve essere ben chiara una cosa: questo Governo non arretra, si farà il reddito di cittadinanza, si farà la pensione di cittadinanza, si farà la quota 100 per mandare in pensione le persone” ribadisce il ministro dello Sviluppo economico.

La parola d’ordine dunque è tranquillizzare i mercati. Come? “Dicendo che non usciamo dall’euro. Perché tutti si sono convinti, a causa di una narrazione sbagliata che qualcuno ha voluto fare, e non noi del governo, che l’Italia voglia uscire dall’euro e dall’Europa. Noi non soltanto ci stiamo bene, ma tra alcuni mesi si vota per le europee e quindi l’Europa diventa di nuovo quella dei cittadini”. “Io sono sicuro che a livello europeo – ha aggiunto Di Maio – tutti i cittadini provocheranno una scossa forte, politica, per mandare a casa questa classe dirigente che in questi anni ha tagliato la nostra sanità, le nostre pensioni, il welfare ed i servizi ai Comuni, con il debito pubblico che è perfino aumentato”.

Rating confermato ma outlook negativo. Il verdetto dell’ agenzia Standard & Poor’s sulla sostenibilità finanziaria del sistema italiano arriva alle dieci di sera e suona come un campanello di allarme, materializzando i timori di un percorso sempre più a ostacoli per il governo italiano alle prese con la presentazione della legge di bilancio.

“Il piano economico del governo – fa sapere S&P – rischia di indebolire la performance di crescita dell’Italia”. Nel mirino anche la riforma delle pensioni, che rappresenta “una minaccia ai conti pubblici”. Per ora però il declassamento non c’è, mantenendo l’Italia a due lunghezze di distanza dal livello ‘spazzatura’ (BBB).

Il nuovo test è atteso per lunedì, alla riapertura dei mercati, quando gli occhi saranno di nuovo sullo spread e la tenuta dei bancari. “S&P lascia invariato il suo rating. Riteniamo che questo giudizio sia corretto alla luce della solidità economica del Paese: l’Italia è la 7/a potenza industriale al mondo e la 2/a manifattura Ue. La competitività delle imprese ci permette di avere un surplus commerciale consistente e il risparmio delle famiglie è solido. Sulla decisione di portare in negativo l’outlook e su alcuni giudizi negativi sulla manovra economica, siamo fiduciosi che mercati e istituzioni internazionali comprenderanno la bontà delle nostre misure”.

Tutto un “film già visto”, commenta Matteo Salvini che assicura che in Italia non salteranno “né banche né imprese”.

E poco dopo, su Twitter, Luigi Di Maio assicura che il governo è pronto ad andare avanti: “chi aspettava Standard&Poor’s per continuare a remare contro il governo oggi ha avuto una brutta sorpresa”.

 

Fatto sta che per l’agenzia di rating Usa le stime del governo non tornano: la crescita, sostengono gli analisti americani, viene rivista al ribasso (1,1%) e il deficit è più alto di quello messo nero su bianco da Roma e pari al 2,7%. Dopo giorni in cui i due vicepremier hanno sostenuto ripetutamente di non essere disponibili a cambiare manovra e strategia in politica economia, non è però detto che non diventi più forte la posizione di chi sostiene la necessità di qualche ritocco, con un occhio in particolare alle banche che potrebbero subire più di altri il peso del differenziale fra i Btp e i Bund. La partita certo resta complicata, anche per i toni accesi scelti dagli alleati. Solo poche ore prima della valutazione negativa di S&P, Luigi DI Maio aveva infatti assicurato di non temere le agenzie di rating. Ma non solo. Il leader pentastellato sceglie anche di andare allo scontro con il governatore della Banca centrale europea Mario Draghi, che ha messo in guardia dalle ricadute dell’innalzamento dello spread proprio sugli istituti di credito. “Siamo in un momento in cui bisogna tifare Italia – osserva – e mi meraviglio che un italiano si metta in questo modo ad avvelenare il clima ulteriormente”. Riescono a mostrare “molto più rispetto” addirittura i ministri tedeschi, è la chiosa.

Vero è che gli istituti bancari sono da giorni al centro di riflessioni da parte del governo, dove si registrano spesso anche approcci diversi fra gli alleati. L’Italia è pronta a tirare su un muro difensivo, “costi quel che costi”, è la tesi di Matteo Salvini. “Nessuna banca salterà. Se qualcuno pensa – prosegue il leader della Lega – di speculare sulla pelle dei risparmiatori e degli italiani, sappia che c’è un governo e c’è un paese pronto a difendere le sue imprese, le sue banche e la sua economia”. Ma questo, aveva puntualizzato un paio di ore prima l’altro vicepremier (Di Maio), “non significa prendere soldi dagli italiani”. Qualsiasi intervento che ricadesse in qualche modo sui risparmiatori sarebbe d’altro canto difficile da giustificare per il governo giallo-verde che della loro difesa ha fatto una bandiera. Una strada possibile, secondo Salvini, potrebbe essere allora proprio quella delle fusioni: “se ci sono le condizioni economiche, perché no?”, osserva il leader della Lega. Intanto Roma continua a essere alle prese anche con Bruxelles, che in settimana ha bocciato la manovra: anche su questo fronte non si registra al momento alcuna volontà di cambiare rotta ma il confronto resta aperto, fa sapere il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker.

Fonte: ansa.it (qui)

Economia, Esteri, Lavoro, Tecnocrazia, Tecnologia

Se il lavoro arriva dall’algoritmo

In Austria un software calcolerà la probabilità di un disoccupato di trovare un impiego e stabilirà quali oferte proporgli. Molti temono discriminazioni verso le donne e gli stranieri.

In Austria farà presto parte della quoti- dianità un sistema che valuta i disoccupati e li divide in gruppi. L’Arbeits- marktservice (Ams), l’agenzia governativa del lavoro, userà un algoritmo per calcolare la probabilità che un disoccupato trovi un lavoro. Molti, però, temono che il software possa discriminare le donne, gli anziani e gli stranieri. Il programma funzio- na grazie alla combinazione di diversi dati personali, tra cui informazioni sul livello d’istruzione e sulle esperienze lavorative, ma contano anche l’età, il genere e la citta- dinanza. Quando qualcuno cerca un lavoro, l’algoritmo calcola la sua probabilità di suc- cesso, fornendo una percentuale. In seguito, sulla base di questo valore, il programma divide le persone in tre gruppi: chi ottiene dal 66 per cento in su è inserito in una fascia “alta”, che ha buone opportunità; chi ha un valore inferiore al 25 per cento inisce nella fascia “bassa”; tutti gli altri entrano nella fascia “media”. In un documento dell’Ams si possono leggere le caratteristiche che l’algoritmo giudica negative o positive. Le donne e le persone più anziane, per esempio, hanno un indice negativo. Su questo punto sono scoppiate le critiche più accese. L’obiettivo principale del programma è aumentare l’eicienza dell’Ams. Ma valutare un genere, una certa età o la provenienza come potenziali svantaggi per la ricerca di un lavoro non signiica discriminare?

Secondo Johannes Kopf, presidente dell’Ams, il sistema mostra solo le discriminazioni che esistono già nel mercato del lavoro. Se si ignorassero queste realtà, sarebbe, per esempio, impossibile assicurare alle donne il sostegno necessario. L’Ams è obbligato a spendere il 50 per cento delle sue risorse in misure di sostegno alle donne, anche se nel 2017 erano donne solo il 43,3 per cento delle persone in cerca di lavoro. “Un fedele quadro della realtà non può essere discriminatorio”, conclude Kopf.

Carla Hustedt, che dirige il progetto Eti- ca degli algoritmi per la fondazione Bertelsmann, non la pensa così. Partire da alcuni dati per arrivare a precise conclusioni può essere un problema, “perché così non si fa che riprodurre i pregiudizi esistenti”. Amazon ha eliminato un algoritmo per la selezione delle candidature perché pena- lizzava sistematicamente le donne: dai dati usati come base di calcolo, in parte vecchi di dieci anni, emergeva che i candidati con più probabilità di successo erano gli uomi- ni. Un fenomeno difuso nel settore tecno- logico, che “bisogna riconoscere e combat- tere con misure adeguate”, dice Hustedt.

Fattore vincolante

Kopf è convinto che l’Ams sia pronto ad af- frontare questo tipo di problemi. I suoi dipendenti cominceranno a usare il program- ma dal 15 novembre. Disporranno della percentuale di successo di ogni disoccupato e conosceranno i fattori che l’hanno in- luenzata, ma inizialmente la useranno solo per discutere con chi cerca lavoro. Dal 2020, invece, la probabilità di successo sarà un fattore vincolante e determinante nella va- lutazione dei disoccupati, anche se la scelta delle misure adatte sarà sempre presa da un consulente in carne e ossa, assicurano all’Ams.

Dal 2020, inoltre, a chi fa parte della fa- scia bassa saranno oferti corsi di formazio- ne meno complessi e intensivi. In pratica, chi ha meno opportunità riceverà di meno: tutto nel nome dell’eicienza. La spiegazio- ne di Kopf è che i corsi di formazione spe- cialistici sono cari e spesso i partecipanti abbandonano prima della ine, quindi quei soldi potrebbero essere usati meglio. Pro- prio tra le persone di fascia bassa i corsi base hanno più successo e, dato che costano me- no, possono essere frequentati da più candidati, dice Kopf.

Il problema non è il software in sé, os- serva Hustedt: “La responsabilità è scari- cata tutta sull’algoritmo, ma la questione di chi debba ricevere più aiuto in una società solidale e politica”. Invece il dibattito è sostituito dall’algoritmo, “visto da alcuni come il male assoluto e da altri come una benedizione”. Bisognerebbe parlare delle sfumature. Kopf promette proprio di fare questo: il software dovrà essere controllato e migliorato costantemente. Saranno valUtati i posti di lavoro assegnati e il successo delle misure adottate, ma anche come si comportano i dipendenti dell’Ams con l’al- goritmo. “Faremo in modo che i nostri consulenti non attribuiscano un valore ec- cessivo alla probabilità di successo”, conclude.

Fonte: Valentin Dornis, Süddeutsche Zeitung, Germania

Economia, Globalizzazione

FCA tradisce l’Italia. Magneti Marelli ai giapponesi. Ceduto un altro pezzo di economia reale ad altissimo contenuto tecnologico.

Ci risiamo. Un’altra azienda italiana se ne va in mani straniere. Ma questa è la volta della Magneti Marelli, storica azienda italiana oggi multinazionale da 7,9 miliardi di fatturato e 43 mila dipendenti, di cui 10mila in Italia, azienda controllata da Fca. Ad andarsene quindi non è una qualsiasi azienda di abbigliamento, che al massimo si porta via il know how di come realizzare un bell’abitino, ma un’industria nel settore cruciale dell’auotomotive, altissimo tasso di tecnologia, fiore all’occhiello di vecchie e nuove innovazioni italiane.

La realtà (o la triste necessità) è che: Fca deve fare cassa (tecnicamente: molti debiti, bilanci incerti, patrimonio di fatto già inferiore all’indebitamento); gli azionisti sono poco orientati a tirare fuori soldi, anzi vorrebbero portare a casa altri dividendi; in giro si dice che i denari della vendita dovrebbero servire a investire per aumentare la produzione di Fca, ma l’impressione è che al massimo Fiat potrà farsi comprare da qualcun altro più grosso, non certo rilevare altre case automobilistiche. E poi Marchionne era contrario alla vendita di Magneti Marelli, ma l’aria è cambiata in Corso Torino.

Magneti Marelli è un gioiello dell’industria italiana che conta su 85 unità produttive e 15 centri di ricerca e sviluppo in tutto il mondo. Ha la sua sede centrale a Corbetta, nel milanese, produce anche ad Amaro, dalle parti di Udine, ad Atessa (Chieti), a Bologna e a Venaria Reale (Torino). Lavora per tutti i maggiori produttori automobilistici, in almeno otto rami: dai sistemi di illuminazione a quelli di controllo dei motori e ai cambi robotizzati; dai quadri di bordo, ai sistemi di sospensioni e a quelli di scarico; collabora ai massimi vertici con i settori della competizione motoristica e non da ultimo produce sensori per il controllo dell’automobile, essenziali per la realizzazione di auto a guida autonoma. Insomma, prima di venderla ai giapponesi o a chicchessia era meglio farci un pensierino, che so sentire il governo, far capire al Paese che per queste cose si potrebbe anche fare squadra (come invece fanno i tedeschi), non solo cassa.

Invece no. Sono stati sufficienti 6,2 miliardi dai giapponesi di Calsonic, un gruppo più piccolo di Magneti Marelli, tra l’altro controllato dal fondo Usa Kkr, con tutti i caveat che volete (la produzione dovrebbe restare in Italia, per alcuni anni il management sarà ancora quello attuale etc.), ma la sostanza non muta, il danno è fatto: tecnologia italiana di alto livello andrà a portare acqua al mulino di altri Paesi e di altri capitali (e solo Dio sa quanto invece avremmo bisogno di conservare e se possibile aumentare gli investimenti italiani in tecnologia).

Poi se pensiamo alle frasi (pro domo sua) pronunciate alcuni giorni fa dai vertici confindustriali che sollecitavano il governo a investire in tecnologia e innovazione anziché nel reddito di cittadinanza, ci viene da sorridere e da chiederci, ma perché non applicare (a se stessi) lo stesso metro anche per Magneti Marelli? Perché i grandi industriali fanno sentire la loro voce solo quando si tratta di chiedere e sono assenti quando invece si deve investire (e magari rischiare) in prima persona?

Sfortunatamente la sfida della trasformazione dell’industria automobilistica è ormai entrata nel pieno della competizione e forse Magneti Marelli poteva servire a questa battaglia. Ad esempio, anziché pensare alla sua cessione, perché non fare nuovi investimenti nella storica azienda italiana per trasformarla in uno dei produttori più importanti nel campo dei motori elettrici e delle batterie relative? Scelte strategiche e progetti che mancano, che in ogni caso invece avrebbero potuto dare una mano al paese, e anche a Fca, pesantemente indietro nella corsa per l’elettrificazione della proprio parco modelli. Magneti Marelli era un concorrente di Bosch, ma Bosch è in Germania, dove gli imprenditori (con l’aiuto dello stato) ragionano in un’altra maniera.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui) Articolo di S. Noto del 22 ottobre 2018.

Economia, Esteri, Politica

Il resto del mondo politiche espansive in deficit. Dagli USA alla Cina, fino al Giappone. E l’Europa? Ancora austerity.

Gli Stati Uniti fanno politiche fiscali espansive (più deficit) con la disoccupazione già al 4%. La Cina, di fronte al rallentamento del PIL, ha annunciato un ulteriore taglio delle tasse la scorsa notte pari all’1 per cento del PIL (ah, appena dopo l’annuncio del governo cinese la borsa ha registrato un +4%).

Il Giappone se ne frega di avere limiti al disavanzo o al debito pubblico. Tant’è che il suo debito è sopra il 230% del PIL. Poi c’è l’Europa, che preferisce auto-distruggersi e mettere alla gogna un paese che dopo 20 anni di avanzi primari chiede di fare un disavanzo maggiore per lo 0.8% del PIL (dall’1,6 al 2,4%) di fronte a un rallentamento dell’economia, rimanendo peraltro sotto il 3%. E gli altri paesi appoggiano questa linea folle invece di seguire. Se posso dare un consiglio a Conte, Salvini e Di Maio, suggerirei di chiedere più deficit per tutti i paesi euro. Un punto percentuale per tutti.

Fonte: Post di Davide Della Bona Facebook

DISCLAIMER: Non sto sottostimando, sminuendo o ignorando i problemi che derivano dall’avere uno spread e rendimenti sui titoli di stato più elevati dentro il sistema monetario chiamato Euro area. Dove, ricordo:  1) La BCE non garantisce in maniera esplicita il debito pubblico degli Stati aderenti. 2) Un downgrade deciso da agenzie di rating private dei titoli di stato di un paese aderente implica un haircut maggiore applicato ai suddetti titoli nelle operazioni di rifinanziamento della BCE. 3) La garanzia eventuale da parte della BCE è condizionale al rispetto delle regole del Patto di Stabilità, che prescrivono il raggiungimento di un saldo strutturale in pareggio (saldo strutturale = saldo nominale corretto per la componente ciclica, che a sua volta è determinata dall’output gap calcolato dalla Commissione europea secondo un modello basato su tutta una serie di assunti teorici dove si va a stimare il Pil potenziale dei vari paesi aderenti – vedi qui: http://ec.europa.eu/…/publications/e…/2010/pdf/ecp420_en.pdf. A titolo informativo aggiungo che ogni banca d’investimento e ogni istituzione economica che produce una stima del Pil potenziale fornisce un dato diverso l’uno dall’altro, che può variare anche anche di vari punti percentuali di Pil; quindi nel caso dell’Italia anche di 20/30 miliardi di deficit nominale in più consentito oppure no, stando sempre alle regole del Patto di Stabilità. Fra le predette istituzioni e banche d’investimento, la stima della Commissione risulta essere in genere quella meno favorevole a consentire un deficit nominale più ampio)

Economia

Scandalo Subprime. Moody’s, maxi-multa negli Usa, avevano gonfiato i rating sui mutui subprime.

Agenzie di rating. Continuano a giudicare, ma la loro indipendenza è funzionale alle grandi banche d’affari. Anche oggi. Nulla è cambianto rispetto al passato.

Patteggiamento da 864 milioni di dollari con il Dipartimento della Giustizia. È il secondo dopo quello da 1,37 miliardi a carico di S&P. Moody’s ha ammesso di aver violato per incassare più commissioni i propri standard di rating sui titoli tossici legati ai mutui che portarono alla grande crisi del 2008-2009.

L’agenzia internazionale Moody’s ha patteggiato il pagamento di circa 864 milioni di dollari alle autorità federali e statali Usa per porre fine all’inchiesta nata dall’accusa di aver gonfiato il rating di mutui ipotecari «tossici» negli anni che hanno portato alla crisi finanziaria del 2008-2009. L’accordo è stato raggiunto col Dipartimento di giustizia, al quale andranno 437,5 milioni di dollari, e con le autorità giudiziarie di 21 stati Usa più il District of Columbia dove si trova la capitale Washington, ai quali andranno i restanti 426,3 milioni di dollari.

Moody’s, insieme alle altre due grandi agenzie di rating internazionali Standard & Poor’s e Fitch, è dagli anni della crisi sotto i riflettori e al centro delle critiche con l’accusa di aver favorito il terremoto finanziario partito dai mutui subprime avendo assegnato una bassa eventualità di default a titoli invece molto rischiosi: il motivo erano le grandi commissioni che le riconoscevano le banche d’affari, che quei titoli tossici emettevano. Moody’s ha riconosciuto di non aver seguito i suoi standard di giudizio, anche se il patteggiamento non implica ammissioni di responsabilità o di violazioni della legge. Nell’ambito del patteggiamento Moody’s ha anche preso l’impegno ad adottare misure che assicurino l’integrità dei rating futuri, compresa quella di non far partecipare gli analisti ai colloqui commerciali con i clienti, il cui rispetto dovrà essere certificato dal ceo del gruppo per almeno 5 anni.Nel 2015 era stata S&P a dover pagare una maxi-sanzione da 1,375 miliardi di dollari per chiudere l’inchiesta penale federale, che aveva avanzato una richiesta di sanzione per 5 miliardi di dollari. Nel caso di Moody’s non si è mai arrivati all’inchiesta federale. A muovere per primo la causa contro Moody’s era stato lo stato del Connecticut nel 2010 accusando Moody’s di avere alterato i rating, gonfiando volontariamente il giudizio sull’affidabilità dei titoli tossici collegati ai mutui. Moody’s l’avrebbe fatto perché il desiderio di incassare commissioni da parte delle banche di investimento che emettevano quei titoli, a costo di sacrificare l’indipendenza e la obiettività di giudizio.

Fonte: corriere.it (qui) Articolo di F. Massaro del 14 gennaio 2017.

Economia, Legge di Bilancio, Politica

Manovra, “piace al 59% degli italiani. Pace fiscale ok per elettori M5s. Misura più gradita? Taglio alle pensioni d’oro”

Il sondaggio a firma Nando Pagnoncelli realizzato da Ipsos per il Corriere della Sera: quasi sei intervistati su dieci esprimono giudizio positivo sulla legge di Bilancio. Tra le misure principali, solo reddito di cittadinanza e pace fiscale convincono meno della metà delle persone e ottengono consenso solo nella maggioranza.

La legge di Bilancio 2019 presentata dal governo gialloverde piace alla maggioranza degli italiani. Il 59%, secondo il sondaggio a firma Nando Pagnoncelli realizzato da Ipsos per il Corriere della Sera. Al di là della risposta dell’Unione europea, delle tensioni tra maggioranza e opposizioni e della reazione dei mercati, le opinioni degli italiani sulla manovra sono sostanzialmente positive. Tra le misure bandiera del testo presentate dal governo Conte, le uniche che convincono meno della metà degli intervistati sono il reddito di cittadinanza e la pace fiscale, protagonista degli attriti interni alla maggioranza fino al Consiglio dei ministri conciliatore di sabato pomeriggio. Il 73% degli elettori M5s però gioisce per l’introduzione del reddito minimo garantito e il 64% accetta anche le norme sul fisco. Il provvedimento più apprezzato invece è il taglio alle pensioni d’oro: piace al 68% degli intervistati, più della riforma della Fornero (58%).

Il giudizio sulla manovra – Rispetto al sondaggio di tre settimane fa, evidenzia Pagnoncelli sul Corriere, aumenta dal 41% al 45% la quota di chi ritiene che la manovra non metterà a repentaglio la tenuta dei conti pubblici. In generale a ritenere la legge di Bilancio almeno sufficiente sono appunto quasi sei intervistati su dieci. L’insieme delle misure ottiene un plebiscito(81%) sia tra gli elettori pentastellati che tra quelli della Lega. Pure il 56% di chi vota Forza Italia e Fratelli d’Italia apprezza la manovra che invece viene bocciata dal 75% degli elettori del Partito democratico. D’altro canto, significa che un elettore su quattro del centrosinistra ha espresso invece un giudizio positivo.

Reddito di cittadinanza – Prevalgono invece le valutazioni negative per quel che riguarda il provvedimento fortemente voluto dai Cinquestelle. Oltre agli stessi grillini, solo gli elettori del Carroccio per la maggioranza (53%) promuovono il reddito di cittadinanza, “odiato” soprattutto dai democratici che per l’85%esprimono un voto negativo. In generale, la misura riceve il sì del 42% degli intervistati: principalmente sono disoccupati, lavoratori esecutivi, residenti nelle regioni centromeridionali ma anche i dipendenti del settore pubblico e casalinghe. Mentre, si legge sul Corriere, viene osteggiata da dirigenti e impiegati del settore privato, dai lavoratori autonomi, dalle persone più istruite e dai residenti delle regioni settentrionali.

Pace fiscale – L’altra misura più divisiva è la pace fiscale che, seppur promossa da pentastellati e leghisti (entrambi gli elettorati per il 64% esprimono un giudizio positivo), in generale piace solo al 49% degli italiani. Anche in questo caso pesa il parere negativo di otto elettori del centrosinistra su dieci. Ma è anche chi vota “altre liste” per il 69% boccia la pace fiscale. La misura ottiene consenso, stando al rilevamento di Ipsos, tra gli astensionisti (42%), come pure tra i ceti meno istruiti, le casalinghe, gli operai, i residenti nel Nord-est e al Sud.

Flat tax e pensioni – L’estensione della tassazione forfettariaal 15% a tutte le partite Iva con ricavi fino a 65mila euro ottiene il 55% di voti favorevoli. Più della flat tax però, sono graditi i provvedimenti sulle pensioni. La revisione della legge Fornero e il passaggio al sistema della “quota 100” riceve il giudizio positivo del 58% degli intervistati. Ancora più apprezzato il taglio alle “pensioni d’oro” – sopra i 4.500 euro netti mensili – che piace al 68% degli italiani.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)

Debito pubblico, Economia, Politica

Della Luna: finanziare a deficit 20 anni di futuro, o è la fine

Dove porta la legge finanziaria sovranista? Per i prossimi 25 anni la produttività (efficienza produttiva) italiana è prevista in costante declino; il che implica il passaggio dell’Italia al Terzo Mondo (molto prima di 25 anni), perché l’Italia continuerà a perdere competitività, quindi a dover ridurre i salari e le prestazioni sociali per compensare tale perdita, non potendo lasciar svalutare la sua moneta dato che l’euro blocca l’aggiustamento fisiologico dei cambi. Continueranno il calo della domanda interna, la crescita delle insolvenze, il calo e/o lo scadimento dell’occupazione, la fuga di aziende, capitali e cervelli, il take-over da parte dei capitali stranieri. Per uscire da questa linea di declino, l’Italia dovrebbe fare investimenti infrastrutturali di lungo termine, cioè almeno ventennali, e idonei a far risalire la produttività: ricerca, tecnologie, ammodernamento, formazione del personale, infrastrutture, sistemazione idrogeologica. Ma per fare tali investimenti si dovrebbe vincere la resistenza e i vincoli europei, che sono stati formulati proprio per mantenere l’Italia (e gli altri paesi poco efficienti) in uno stato di crisi e involuzione controllate permanenti, onde poterne rastrellare fino al fondo le risorse finanziarie, aziendali, professionali per trasferirle in Germania e Francia (questo è il piano della cosiddetta integrazione europea).

E bisognerebbe vincerli non solo per il prossimo anno né per un anno alla volta né per tre alla volta, bensì per un programma di almeno vent’anni, concordato e accettato con Bruxelles. Con un programma ventennale di investimenti, gli imprenditori Genovaprivati, potendo contare su lunghi e grossi appalti pubblici, investiranno i loro soldi in attrezzature e assunzioni, facendo partire un grande circolo virtuoso ed espansivo anche di domanda interna. Il permesso per finanziare un tale piano è alquanto difficile da conseguire, perché gli interessi e il piano europeisti sono nel senso che l’Italia debba continuare il suo declino e la cessione di aziende, capitali, professionisti ai paesi egemoni; e i garanti interni di questo piano europeista – Quirinale, magistrati interventisti (anche nella Corte Costituzionale), apparati ministeriali, mass media – sono già stati mobilitati, e dovranno organizzare qualcosa per fermare l’attuale governo tra qui e le elezioni europee, cioè prima che i partiti sovranisti possano vincere. Per fermare un governo sostenuto dal 62% degli italiani, e con moltissimi osservatori già contro-mobilitati per denunciare ogni tentativo di nuovo golpe ordito sia dall’interno che dall’estero. Una bella partita.

Ma quand’anche si riesca a varare un programma ventennale di investimenti, vuoi attraverso una vittoria sovranista alle imminenti elezioni europee, vuoi attraverso una modificazione negoziata dei trattati, vuoi attraverso l’uscita dall’euro e il recupero della sovranità monetaria che consenta una spesa pubblica mediante un’emissione di debito protetto dalla garanzia di acquisto da parte della banca centrale italiana, resterà da vedere se il sistema-paese Italia sia o non sia capace di fare tali investimenti in modo efficace, ossia tale da aumentare adeguatamente la produttività, anziché ancora una volta all’italiana, peggiorando le cose. L’esperienza ormai settantennale con investimenti di analogo scopo nel Mezzogiorno è in senso  negativo, così come l’esperienza della ricostruzione dopo i recenti terremoti, nonostante tutte le promesse e garanzie di strettaL'esultanza dei gialloverdi per il Def con il deficit al 24%sorveglianza: gli investimenti sono stati inefficaci perché mal progettati, eseguiti disorganicamente, diretti principalmente da scopi clientelari e con metodi criminali.

Anche coloro che promettevano che “l’Europa” e l’euro, con le loro regole, avrebbero risanato il sistema-paese Italia, liberandolo dai suoi vizi storici e rendendolo efficiente attraverso vincoli e pressioni dall’esterno, sono stati smentiti: dapprima, l’introduzione dell’euro, con la possibilità per il settore pubblico di finanziarsi a tassi bassi, ha aumentato la spesa clientelare e parassitaria, quindi l’indebitamento pubblico; con la crisi del 2007-2008, essendo venuti meno gli spazi e i fondi per progetti di crescita e prospettandosi invece un lungo, indefinito declino, politici e amministratori si sono ancor più dedicati alla lotta per spartirsi le decrescenti risorse e alla collaborazione con le operazioni di rastrellamento suddette, senza interesse per l’efficacia della spesa stessa. E’ da questa condizione che deve cercare di ripartire l’attuale governo. Se il sistema-paese Italia ancora una volta risulterà incapace di investire produttivamente le risorse di cui dispone, sarà giustificato il piano Funk, ossia il suddetto piano “europeista” di trasferimento forzato delle Marco Della Lunamedesime risorse da essa ai paesi che le sanno mettere a frutto, come unico piano atto a costruire un’Europa unitaria e ben funzionante, sia pur col sacrificio dei popoli inferiori  in quanto ad efficienza.

Questo ovviamente vale su scala macro, mentre su scala individuale, con soluzione al problema-Italia, si confermerebbe l’indicazione dell’emigrazione di chiunque abbia capacità e risorse valorizzabili all’estero. Qualora si arrivi alla rottura con la Bce, raccomando al governo di considerare quanto segue per il nuovo assetto monetario da dare al paese. Dato che la sua inefficienza è dovuta a ragioni storiche inveterate e consolidate di clientelismo, nepotismo, parassitismo, inseriti nei meccanismi di consenso politico, e che tali cause sono eliminabili solo nelle fantasie degli imbonitori, dei velleitari e degli utopisti, l’Italia avrebbe bisogno, per vivere al meglio secondo le sue reali possibilità e con i suoi difetti: di uscire dall’euro ritornando alla sovranità monetaria; di ritornare al libero aggiustamento dei cambi (ossia alla svalutazione competitiva); di dotarsi di una banca centrale com’era prima del 1981, che assicuri l’acquisto del debito pubblico e bassi tassi di interesse, così che lo Stato possa immettere soldi (con gli investimenti a deficit) nell’economia reale anziché toglierli (con gli avanzi primari): infatti l’Italia, come ogni motore vecchio, per funzionare e non grippare ha bisogno di abbondante olio perché ne brucia molto.

Fonte: libreidee.org (qui) (Articolo di Marco Della Luna, “Deficit di bilancio e deficit di efficienza”, dal blog di Della Luna del 30 settembre 2018).

Economia, Europa, Politica

Bilancio italiano: il braccio di ferro in atto con l’Unione Europea di Jacques Sapir | Scenarieconomici.it

La presentazione del DEF italiano sta sollevando un problema di compatibilità con le istituzioni europee (sull’ampiezza del deficit) così come una polemica vivace in Italia. È ormai chiaro che si va’ verso una grande crisi tra l’Unione Europea e l’italia.

Il Ministro dell’Interno italiano e Vice-primo ministro Matteo Salvini aveva dichiarato alla fine del mese di settembre che avrebbe sostenuto una proposta di “limitazione del deficit” intorno al 2%. Questa dichiarazione era importante, perché pronunciata da un dirigente che aveva fatto propaganda su una rottura sincera con le regole dell’Unione Europea. In più, i sondaggi realizzati in Italia mostravano (e continuano a mostrare) che Salvini gode di un’incontestabile popolarità (tra il 60% e 75% di opinioni favorevoli) e che il suo partito, la Lega, sembra avere il vento in poppa. Ha ottenuto il 17% dei suffragi alle ultime elezioni, ma attualmente è accreditato a più del 32% nei sondaggi.

Questa dichiarazione aveva suscitato naturalmente numerosi commenti. Infatti, certuni si sono rallegrati e altri si sono preoccupati che Matteo Salvini abbia fatto ciò che appare come dichiarazioni rassicuranti su un eventuale deficit per il 2019 prima dell’incontro previsto da lunga data tra Giovanni Tria ed i membri dell’ECOFIN e dell’EUROGRUPPO. Ciò poteva sembrare accomodante per gli altri dirigenti europei ed i dirigenti dell’UE.

In realtà non era così. Innanzitutto, conviene notare che queste dichiarazioni erano solamente l’inizio di un negoziato sulle cifre che l’Italia doveva mettere nel documento di pianificazione di bilancio. Inoltre, questa dichiarazione è stata determinata da un gioco delicato condotto dalle parti in seno all’élite politica italiana. Le cifre ora sono state pubblicate e indicano che il governo italiano si orienta molto verso una prova di forza con l’Unione Europea.

L’ampiezza e le cause del deficit

Di fatto, il governo italiano ha finito per optare per una soglia di deficit del 3,0% del PIL, fermandosi solamente al 2,4% per il 2019. Questo obiettivo è in completa contraddizione con il quadro di bilancio delle finanze pubbliche fissate dall’Unione europea per l’Italia, che fissa il deficit massimale intorno al 0,7%. Ancora più importante è che nelle dichiarazioni del governo italiano non si fa menzione alcuna di raggiungere un equilibrio di bilancio per i tre anni successivi. Nei fatti ciò significa che ca. 24 miliardi di euro dovrebbero essere finanziati se ci si atteneva alle regole di bilancio dell’UE e non lo sono nella realtà. Di questa somma, 12,4 Mld saranno utilizzati per ridurre molto l’IVA, ciò che corrisponde ad una promessa della campagna elettorale; 1,5 Mld dovrebbero essere destinati alla ristrutturazione bancaria al fine di compensare le perdite dei risparmiatori; per finanziare l’abolizione della legge sulle pensioni e i pensionamenti anticipati per ca.400 000 lavoratori sono previsti 8 Mld. Peraltro, 10 Mld saranno destinati al reddito (di cittadinanza) di 6,5 milioni di persone su 10 anni; infine bisogna tenere conto della riduzione delle tasse ciò che equivarrà ad una diminuzione del gettito fiscale da 3,5 a 4,5 Mld.

La decisione del governo è importante. Questa decisione è stata convalidata interamente dal Ministro dell’economia Giovanni Tria, il quale veniva presentato come un sostenitore delle regole dell’UE. O ci si è sbagliati sulle idee di Tria oppure lui sembra aver ceduto alla volontà di Di Maio e Salvini. Questa previsione di spesa è chiaramente un bilancio di rilancio che combina un sostegno alla domanda con una riduzione delle tasse. Il fatto che l’essenziale di queste diminuzioni porta sull’IVA mostra bene la dinamica sociale di questo budget. Su 24 Mld di deficit supplementare previsto nel progetto di bilancio, quasi 20 miliardi dovrebbero andare verso le famiglie più povere così come verso le classi medie.

Un’agenda molto densa

La presentazione degli obiettivi di bilancio è tuttavia solamente il primo passo in un processo più complesso. L’ufficio parlamentare del bilancio, l’UPB che è un’agenzia indipendente del governo, deve esprimere il suo parere. Sarà probabilmente negativo. Ma il governo può non tenerne conto. Ben più importante sarà la reazione dell’Unione Europea. In quest’ottica conviene avere bene in vista le scadenze delle relazioni tra il governo italiano e l’UE. Il 15 ottobre il governo dovrà mandare il progetto di legge di bilancio a Bruxelles. Il 20 ottobre, il bilancio sarà reso pubblico nella sua interezza e non solo negli obiettivi di deficit. Il 22 ottobre, la Commissione manderà una prima lettera al governo italiano in cui si dichiarerà probabilmente preoccupata per l’evoluzione della situazione e proporrà una settimana di proroga per procedere agli aggiustamenti necessari e sottomettere di nuovo il progetto. Se il governo modificherà il DEF (come è accaduto nel 2014) la situazione ridiverrebbe normale e conforme. Se tuttavia il governo mantiene il suo progetto di bilancio, e le ultime dichiarazioni vanno in questo direzione, il conflitto sarà inevitabile. Se dunque il governo italiano non dà seguito alle riserve della commissione europea e mantiene gli obiettivi e il bilancio iniziale, il 29 ottobre ci sarà un rigetto ufficiale da parte della Commissione. Durante le tre settimane successive il governo avrà tuttavia sempre la possibilità di modificare il bilancio ma sembra ferma la volontà del governo di mettere in esecuzione i suoi piani qualunque sia il parere della Commissione europea. Conseguentemente il 21 novembre saranno presentati i pareri ufficiali sui progetti di bilancio dei paesi membri al Comitato economico e finanziario, il comitato junior dell’Ecofin. Il Comitato potrebbe formulare allora una raccomandazione formale come è richiamato dall’articolo 126, paragrafo 3 che costituisce la prima tappa per mettere l’Italia in procedura di deficit eccessivo. Altri passi ufficiali dovrebbero seguire. In caso di dibattito politico, e ci sarà certamente un dibattito importante dato che l’Italia ha degli alleati in seno al Comitato economico e finanziario, il tempo dovrebbe essere sufficiente tale da permettere ai ministri di prendere le loro decisioni all’inizio di dicembre e poi al Consiglio europeo alla fine dell’anno. Ma la decisione dovrebbe essere la stessa all’inizio del 2019: una dichiarazione di mancanza di conformità e il probabile avvio della procedura di deficit eccessivo. Allo stesso tempo, il parlamento italiano approverà probabilmente il bilancio, visto che il governo beneficia di una maggioranza sufficiente. Il presidente Mattarella che ha lanciato già un avvertimento dovrebbe allora dire che il bilancio non è compatibile con il quadro di bilancio nazionale (che in realtà non è che una fotocopia del bilancio europeo) e dovrebbe rigettarlo. La procedura prevede tuttavia che il governo può chiedere un nuovo voto al Parlamento. Quest’ultimo dovrebbe allora riaffermare il suo sostegno al DEF. A questo punto il presidente non avrebbe altra scelta che firmarlo. È solamente in un momento successivo che la Corte costituzionale potrebbe rigettare il DEF dichiarandolo incostituzionale. Tuttavia, ciò richiederebbe parecchi mesi per ragioni pratiche ma soprattutto provocherebbe una grave crisi politica in Italia che potrebbe portare probabilmente a nuove elezioni. Queste ultime potrebbero, se si crede ai sondaggi fatti di recente, vedere una vittoria massiccia del M5S e della Lega (accreditati rispettivamente al 27% e al 33% delle intenzioni di voto). Questo potrebbe tradursi in una maggioranza dei due-terzi alla Camera e al Senato, cosa che permetterebbe al governo di procedere a modifiche della Costituzione.

Il futuro in forse

Occorre, beninteso, aggiungere a ciò il comportamento delle agenzie di rating e i probabili aumenti dei tassi di interessi sul debito italiano che rappresenta il 133% del PIL. Questo aumento del debito potrebbe condurre del resto ad un aggravamento della crisi tra l’Unione Europea e l’Italia. Il governo di quest’ultimo potrebbe decidere di utilizzare dei buoni del Tesoro di piccolo taglio (Minibot) come moneta parallela, avviando così il processo di uscita dall’Euro.

L’Italia sarà sottoposta dunque ad una forte pressione, tanto dalle autorità dell’UE che al suo interno (la stampa attualmete è scatenata contro il governo) e pressione proveniente dai mercati finanziari. Ma il governo italiano sembra essere preparato a resistere. Può contare sui presidenti delle due commissioni economiche della Camera e del Senato (Claudio Borghi e Alberto Bagnai) le cui convinzioni euroscettiche sono ben note, su membri del governo (da Salvini a Savona) ma anche su sostegni esterni e, più importante ancora, sulla maggioranza degli italiani.

Il fatto che la riunione annuale del Centro di ricerca dell’Università di Pescara (che Alberto Bagnai ha diretto fino alla sua entrata in politica) che avrà luogo il 10 e 11 novembre si annuncia molto seguita (più di 600 partecipanti paganti si sono iscritti in appena 5 giorni) è anche una buona indicazione del sostegno che incontra il governo italiano nel suo braccio di ferro con l’Unione Europea. Il fatto che Stefano Fassina, un dirigente storico del sinistra italiana che si era dimesso dal governo (Letta) e rotto col PD di Matteo Renzi e che eletto all’assemblea di Liberi ed Uguali, abbia annunciato la sua partecipazione a questa riunione è anche un segno che questo sostegno potrebbe ben trascendere dalle divergenze politiche.

Traduzione di Viola Ferrante

https://www.les-crises.fr/russeurope-en-exil-budget-italien-le-bras-de-fer-avec-lunion-europeenne-est-engage-par-jacques-sapir/

Fonte: scenarieconomici.it (qui)

Economia, Investimenti, Montichiari, Territorio bresciano

D’Annunzio Aeroporto fantasma, Balotta (Onlit) “La strada maestra è quella di una gara pubblica”.

Onlit contro l’operazione della società che controlla lo scalo di Venezia, e che presto potrebbe controllare in toto anche Verona e Brescia.

“Tante promesse di investimenti per il Catullo rimaste al palo, con lo scalo di Brescia sempre più fantasma e i voli che si concentrano nell’ipercongestionato scalo di Bergamo e in quello di Venezia lasciando sempre più sguarnito il territorio del Garda”. Critiche pesante al sistema aeroportuale del Nord Italia da parte di Dario Balotta, presidente dell’Osservatorio Nazionale Liberalizzazione Infrastrutture e Trasporti.

“Save è ora costretta a pagare i 22 milioni di euro per servizi ENAV su Montichiari, e decide così di prendersi tutto con un aumento di capitale surrettizio, legato ad un investimento di soli 60 milioni per un intervento di maquillage e non strutturale, privo di una strategia di sviluppo per Verona.  L’investimento è minimale spalmato in 4 anni, lunghi se paragonato ai 435 milioni per investimenti stanziati dalla SACBO di Bergamo che delocalizzando l’area cargo a nord della pista fa capire che non trasferirà in futuro un solo kg di merce a Montichiari”.

Secondo Balotta, “con il mini-investimento sul Catullo, SAVE vuole controllare e neutralizzare il concorrente più pericoloso per continuare indisturbato lo sviluppo dello scalo di Venezia, con un piano investimenti considerevoli con più di 575 milioni entro il 2021. Numeri ben diversi da quelli previsti su Verona. Questo dimostra come non essere andati in gara per la scelta del partner industriale con sottoscrizione di un piano investimenti, stia costando caro ai soci Veronesi della Catullo SpA”.

Il Ministro dei Trasporti normalizzi questa situazione. “L’ipotesi di fare un aumento di capitale con la sola SAVE a farlo ed i soci pubblici a diluire la propria partecipazione, lasciandola in maggioranza solleva pesanti perplessità. La strada maestra per uscitre dal “cul de sac” dove sono il Catullo e Montichiari è quella di una gara pubblica l’aumento di capitale e  per l’affidamento della connessione, sia ANAC che Antitrust si sono chiaramente espressi, cogliendo l’esposto presentato da ONLIT”.

Fonte: quibrescia.it (qui)

Debito pubblico, Economia

Jp Morgan resta fedele ai BTp: “La sostenibilità del debito non è in dubbio. Lo spread non andrà oltre 400”

La decisione del governo di fissare il rapporto deficit/Pil al 2,4% ha colto di sorpresa quei fondi esteri che a settembre avevano comprato BTp sulla scommessa che l’esecutivo avrebbe adottato una linea prudente in tema di conti pubblici. Ma se in questi giorni molti investitori esprimono timori riguardo la possibile deriva della crisi italiana non manca, nel panorama dei grandi fondi, chi vede nel recente crollo delle valutazioni dei BTp un’opportunità. Tra questi c’è Jp Morgan AM, il braccio di asset management della banca americana. Un peso massimo nell’industria del risparmio gestito, con asset per 1.700 miliardi di dollari e un portafoglio obbligazionario da 484 miliardi. «I fondamentali dell’Italia restano buoni, nonostante l’incertezza politica. Per questo, per noi, l’impennata dello spread italiano rappresenta un’opportunità di investimento», dichiara Nick Gartside, capo della divisione reddito fisso e commodities, che Il Sole 24 Ore ha incontrato in occasione del meeting annuale organizzato nel quartier generale europeo della società, nei pressi del Blackfriars bridge di Londra.

Gli investitori esteri hanno ridotto significativamente la loro esposizione in titoli di Stato italiani per l’incertezza legata alle scelte di politica economica del nuovo governo. Voi come gestite il rischio Italia?

Le nostre strategie di investimento sono da sempre orientate dai fondamentali e dalla valutazione sul rapporto rischio/rendimento. Ad oggi crediamo che l’incertezza politica sia adeguatamente remunerata: per questo alcuni dei nostri fondi stanno aumentando l’esposizione in BTp. I problemi dell’Italia sono ben noti ma non si possono trascurare i punti di forza come il surplus della bilancia commerciale e l’avanzo primario.

Non vi preoccupa la decisione del governo di portare il deficit al 2,4%?

Non eccessivamente. Tanti governi, a partire da quello americano, stanno facendo deficit spending. Non vedo nulla di strano nel fatto che anche l’Italia faccia altrettanto. È una tendenza che andrà ad aumentare nei prossimi anni. Per compensare la riduzione dello stimolo monetario si utilizzerà sempre di più la leva fiscale.

Ma l’Italia se lo può permettere? Non vede rischi sulla sostenibilità del debito se la crescita non dovesse adeguarsi alle previsioni ottimistiche del governo?

Il problema numero uno per l’Italia è il debito ma, allo stato attuale, la sua sostenibilità non è in discussione. La variabile chiave sarà la crescita economica e crediamo che le misure messe in atto dal governo possano essere di stimolo per l’economia.

Vi preoccupa la prospettiva di un declassamento del rating? 

Una bocciatura da parte di Moody’s è già scontata dai mercati ma ritengo assai improbabile che il rating dell’Italia scenda a quota “junk”. C’è da aspettarsi molta volatilità, questa sì, in vista delle decisioni delle agenzie.

Diversi investitori non comprano BTp perché li ritengono eccessivamente volatili. Qual è la vostra posizione in merito?

La volatilità è tornata e bisognerà farci l’abitudine. È un fenomeno strettamente correlato alla riduzione degli stimoli monetari da parte delle banche centrali e all’incertezza politica. Oggi c’è volatilità sui BTp ma lo stesso è successo con i Gilt britannici in occasione della Brexit o con gli Oat prima delle presidenziali francesi. Noi crediamo che, se adeguatamente gestita, possa essere un’opportunità. Altrimenti non compreremmo BTp.

Ma l’instabilità finanziaria può avere conseguenze anche molto importanti. L’eccessivo deprezzamento dei titoli di Stato italiani, ad esempio, può comportare l’erosione del capitale degli istituti di credito. Non vede il rischio di una nuova crisi bancaria?

C’è uno stretto legame tra banche e titoli di Stato, che va monitorato con molta attenzione. Ritengo tuttavia improbabile, allo stato attuale, una crisi bancaria perché credo che lo spread Bund-BTp non si attesterà oltre la soglia di allarme dei 400 punti.

Come giudica l’idea dei Cir, i conti individuali di risparmio, che il governo vuole varare per incentivare l’investimento in titoli di Stato da parte dei risparmiatori privati?

È una strategia che anche altri governi, ad esempio il Regno Unito, hanno adottato e che mi pare sensata. Tutto ciò che può servire a stabilizzare le fonti di rifinanziamento del debito è positivo per un governo come quello italiano, molto indebitato. Il modello di riferimento è il Giappone dove il debito (oltre il 250% del Pil, ndr) è in stragrande maggioranza detenuto da investitori domestici.

Fonte: ilsole24ore.it (qui) Articolo di A. Franceschi dell’11 ottobre 2018

Economia, Europa, Politica

Savona ovvero il volto presentabile dei gialloverdi. Alla stampa estera difende il Def (più di Tria) e provoca Draghi

Il ministro a tratti sembra quasi un intruso al governo: “Se Bruxelles boccia il mio progetto di riforma, dà fiato ai sovranisti”.

Di sé dice di avere “la pelle dura, da buon sardo abituato agli ovili”. La verità è che sempre più Paolo Savona si afferma come il volto presentabile del sovranismo italiano che arriva finanche a contestare il sovranismo pur di presentarsi. E’ l’ambasciatore scelto per trattare con l’Europa alle condizioni del governo gialloverde. Dopo un tour a Strasburgo la scorsa settimana, il ministro degli Affari Europei viene a presentare il suo progetto di riforma dell’Ue (‘Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa’) alla sede della stampa estera a Roma. “Se l’Ue risponde al mio progetto, allora recuperiamo i sovranisti”, dice. E qui già strabuzzi gli occhi. Ma lui continua: “Non accogliere il mio progetto vorrebbe dire dar fiato ai sovranisti”.

Ma come? I sovranisti non sono i suoi alleati di governo? Sì. Proprio questa mattina Matteo Salvini ha rilanciato la sua internazionale sovranista al fianco di Marine Le Pen in un incontro a Roma. Appunto. E allora per chi gioca Savona, l’uomo sul quale si stava impiccando l’alleanza gialloverde ai suoi albori, a maggio, di fronte al no secco di Sergio Mattarella che non lo voleva ministro dell’Economia?

“Non si può capire il def senza conoscere i contenuti del mio documento sull’Europa”, dice il ministro agli Affari Europei, mettendo in chiaro che la sua partita è la stessa del governo. Piuttosto: il suo attivismo intorno all’Europa rivela che anche i sovranisti italiani dei toni alti hanno bisogno di un volto diplomatico per tentare di portare i partner europei sulle loro posizioni. “E’ giusto quanto diceva Roth: bisogna parlare con l’altro, non contro”, dice Savona, lo stesso che governa con Di Maio e Salvini, che hanno costruito un credo intorno a toni duri e agli insulti. Possibile? Kafkiano, ma questo è. Più parti nella stessa commedia con l’Ue: riuscirà?

Lo stesso Savona non ne è sicuro. Basti ascoltare cosa dice a proposito della fine del Quantitative easing (a fine anno), a proposito della Bce e di Mario Draghi. “Non ho perso la fiducia: nessuno ha interesse a mandare un paese in crisi. Siccome Draghi sta lì per quasi tutto il 2019, penso che a un certo punto lui ci penserà per evitare una grande crisi in Europa”. Insomma, ‘Draghi aiutaci tu’, proprio lui: l’uomo nero per cinquestelle e Lega, il banchiere che la settimana scorsa è salito al Quirinale a esprimere le sue forti preoccupazioni sulla manovra economica italiana.

Ma Savona non è sicuro di vincere la sfida anche perché di alleati in Europa ancora non ne ha. “Dissensi per ora non ne ho avuti”, dice. “Quanto agli scetticismi li ho sempre superati”, aggiunge, citando il Machiavelli con cui – tra l’altro – apre il suo documento per l’Ue, 17 pagine di proposte sulla politica monetaria, quella fiscale, crescita e investimenti.

Ma certo le europee di maggio, ragiona il ministro, sono più un intralcio che un’opportunità: “Con le elezioni alle porte, non riesci a parlare serenamente con nessuno…”, ammette. Pazzesco, visto che i suoi partner di governo, sia Salvini che Di Maio, non fanno altro che invocare il voto dell’anno prossimo come ‘D-day’ per cambiare il volto dell’Europa.

Ecco, invece per Savona bisognerebbe farlo prima. Prima che vincano i sovranisti con la loro idea di rifondare un’Europa in cui ogni Stato si sceglie la sua economia e si controlla i suoi confini, come hanno esposto chiaramente stamattina Salvini e Le Pen. Prima che sia troppo tardi, insomma. Laddove il ‘tardi’ è evidentemente la conquista della maggioranza in Parlamento europeo da parte di Salvini e del suo fronte nazionalista. Si fa fatica a non pensare che Savona remi contro, ma evidentemente a lui tocca la parte più diplomatica per raggranellare di più.

E infatti spiega che di fronte alla manovra economica contestata a Bruxelles, “i mercati hanno reagito in maniera moderata: noi stesso pensavamo peggio. Il problema è lo scontro politico tra forze conservatrici e chi vuole il cambiamento. Noi la scelta l’abbiamo fatta: vogliamo una Ue cambiata. Credo e ho sempre creduto nel mercato, lo ritengo più sano dello scontro politico”.

Di nuovo si fa fatica a seguire il filo che lo lega comunque al governo. Savona dice semplicemente l’esatto contrario di quanto vanno predicando i due vicepremier. Ancora: “Cerco di restare sordo a tutto ciò che accade intorno a me in termini di chiacchiere ma nel governo nessuno vuole lasciare l’Ue”, aggiunge il ministro agli Affari Europei come se fosse un chiarimento. Non lo è. E per giunta annuncia che non farà campagna elettorale per le europee: “Per tutta la vita mi sono tenuto fuori dalla lotta politica e quindi non partecipo ad alcuna campagna elettorale, per età e per formazione personale. Per chi voto? Per chi farà proprio il mio programma di crescita e investimenti”.

Un po’ vago ma è questa la scommessa per vincere la sfida con Bruxelles sul deficit al 2,4 per cento del pil per il 2019. “Strillano per lo 0,4 perché in fondo fino al 2 per cento era eredità del governo precedente e io dovevo correggere gli errori degli altri?”, aggiunge. E per una volta sembra in linea. Non dura molto: “Padoan è stato un grande ministro”. Bene, addio.

Cosa ne sarà? Nel lungo incontro alla stampa estera, Savona rivela pure di aver messo sul piatto le sue dimissioni per fare abbassare lo spread. Ora al governo aspettano la fine del mese per il responso delle agenzie di rating. “Ma loro si basano sulle previsioni europee – dice Savona – E quando una previsione viene cambiata ogni tre mesi, non c’è più previsione e le agenzie di rating lo capiranno… Se ci bocciano dovranno spiegare perché…”. Già, perché?

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

Economia, Europa, Italexit, Politica

Spread, Ue, mercati. L’economista Bifarini: “Lasciare l’Euro si può e si deve” – Affaritaliani.it

In questo periodo storico in cui si susseguono allarmanti notizie riguardanti spread, mercati in subbuglio, bocciature da parte dell’Unione Europea, alle quali replicano con risposte perentorie e minacciose, o in alternativa ottimistiche e serafiche i rappresentanti del Governo Lega-m5s, torna di grande attualità il saggio Neoliberismo e manipolazione di massa. Storia di una bocconiana redenta, scritto e pubblicato nel 2017 dall’economista Ilaria Bifarini.

Laureata per l’appunto all’Università Luigi Bocconi di Milano in Economia delle Pubbliche amministrazioni e delle Organizzazioni Internazionali e titolare di un master in Studi Diplomatici, incontriamo la dottoressa Bifarini a margine di un partecipatissimo convegno organizzato dal centro CCC, Cultura, Civismo e Comunità, nel quale la giovane economista ha calamitato l’attenzione del pubblico con il suo approccio “politicamente scorretto” alle vessate questioni economico-finanziarie. Diatribe che fanno il bello e il cattivo tempo nei talk show televisivi, nei quali la dottoressa Bifarini è ormai ospite praticamente fissa. In questo marasma di voci via via più catastrofiche su eventuali disastri incombenti, Affaritaliani.it ha chiesto all’economista delucidazioni sulla situazione presente e futura dell’Italia.

D: Nel suo celebrato saggio riguardo al neoliberismo e alla manipolazione da parte dei media, lei tratta degli inganni della “narrazione mainstream”, grazie ai quali le élite sarebbero riuscite a dominare il popolo e le masse. In questo particolare periodo storico in Italia, e soprattutto dopo la previsione del Def da parte del governo M5s-Lega, stiamo assistendo come nel 2011 a un continuo battage mediatico sui pericoli dell’innalzamento dello spread e della reazione negativa dei mercati. Allarmi fondati o, per l’appunto, inganno delle élite per affossare il “cambiamento”? 

R: La cosa drammatica di questo periodo storico è che la manipolazione ha agito talmente in profondità che l’opinione pubblica ha interiorizzato una serie di costruzioni ingannevoli create dall’élite. ll bombardamento mediatico e l’adesione unanime a un modello economico fallace e infondato hanno creato una narrazione falsata della realtà.

D: Può fare un esempio di come tale “narrazione falsata” incida sulla vita quotidiana del cittadino, magari non eccessivamente informato?

R: Si è arrivati alla situazione paradossale per la quale il cittadino medio, il cosiddetto uomo della strada, anziché preoccuparsi dell’alto livello della disoccupazione e della bassa crescita dell’economia nazionale rivolge la sua attenzione a un differenziale tra tassi di rendimento di titoli di Stato, che nulla dice dell’economia e dello stato di salute del paese. Con una forza pervasiva senza uguali l’ideologia neoliberista, che altro non è che il culto e l’idolatria per i mercati, ha spostato l’attenzione dall’economia reale, quella dei cittadini e delle famiglie, del lavoro e della produzione, all’economia intangibile dei mercati e della finanza. Per dirla nel gergo degli economisti, il mondo di Wall Street ha soppiantato quello di Main Street.

D: E, secondo lei, quale potrebbe essere la via d’uscita da questa situazione?

R: Occorre ritornare a una concezione dell’economia che metta al centro l’uomo e non la finanza, che è uno strumento di supporto dell’economia reale. Per farlo è necessario scrollarsi di dosso decenni e decenni di abile manipolazione di massa da parte dei media finalizzata a garantire gli interessi e la preseverazione dell’élite al potere.

D: Cosa ne pensa dell’esecutivo giallo-verde? E’ nato per durare ed è in grado di giovare al Paese, o – come vogliono i suoi detrattori – si tratta in realtà di una mera operazione di propaganda utile a fare incetta di consensi in vista delle elezioni europee?

R: Questo esecutivo è l’espressione compiuta del desiderio di cambiamento da parte di milioni di elettori italiani, che alle urne hanno bocciato compatti una classe politica che non agiva negli interessi del Paese. Si tratta di una cesura totale con il passato, che segna un rinnovamento della politica e dei suoi attori. Gli elettori hanno acquisito maggiore consapevolezza del proprio potere democratico e si è ridotta la distanza tra classe politica e popolazione. Quello che la ormai vecchia politica, sostenuta dalla cassa di risonanza dei media mainstream, taccia di populismo è in realtà un governo fatto di persone più vicine ai cittadini comuni, che con essi si identificano e quindi hanno instaurato un rapporto più umano.

D: A suo parere, le varie divergenze fisiologiche tra Lega e m5s non porteranno prima o poi alla frattura insanabile tra le due forze politiche al governo?

R: Di certo persistono delle differenze ideologiche importanti tra i due partiti della coalizione giallo-verde, che potrebbero metterne a repentaglio la tenuta. Tuttavia una cosa è chiara: si è aperta una nuova fase storica in cui i cittadini, e quindi il popolo, hanno un peso sostanziale. In questo senso, e non nell’uso dispregiativo che ne viene fatto dalla narrazione dominante, andrebbe inteso il concetto di populismo.

D: A  tal proposito, abbiamo assistito in questi anni all’ascesa folgorante e all’altrettanto repentina caduta di Matteo Renzi, il premier più giovane della Storia d’Italia che doveva rappresentare la novità. In che cosa Renzi, spesso accusato di strizzare l’occhio al “populismo”, era diverso rispetto alla compagine che ora governa il Paese?

R: Nonostante la giovane età anagrafica, Renzi non era la novità bensì la massima rappresentazione della vecchia politica, fatta di una gestione elitarista del potere. E quella politica è tramontata per sempre.

D: Nel maggio 2019 si terranno le tanto attese (nonché temute) elezioni europee. Al momento, l’estrema destra vola in Germania e l’alleanza CdU-CSU è in affanno, così come in Francia Emmanuel Macron si attesta ai minimi storici della sua popolarità. Alla luce di tutto ciò e di altri segnali non meno significativi in altri Paesi membri, lei ritiene che un possibile fronte sovranista possa davvero imporsi alle urne nel maggio 2019 e cambiare il volto dell’Europa?

R: Le politiche economiche di matrice neoliberista dell’UE hanno aumentato ovunque la povertà della popolazione e frenato la crescita, creando scontento tra i cittadini. Inoltre l’incapacità di gestire i flussi migratori massivi di questi ultimi anni ha provocato scontento e disagi sociali. Le politiche UE dovevano aumentare il senso di solidarietà e coesione tra Stati, ma hanno sortito l’effetto opposto. Questo perché non si può spingere troppo oltre il concetto di globalizzazione politica ed economica senza tener conto delle profonde diversità e peculiarità tra Stati. Vorrebbe dire rinunciare alla propria democrazia e all’interesse nazionale, e questo i cittadini non sono più disposti ad accettarlo.

D: Nel suo libro “I coloni dell’Austerity. Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”, lei illustra come il colonialismo nel “continente nero” non sia mai svanito del tutto e che, per esempio, la Francia continui a dominare di fatto 14 Stati influenzandone l’Economia attraverso il Franco Cfa. Una situazione che adombra i rapporti fra l’Unione Europea e gli Stati membri. E’ azzardato dire che l’Italia, così come altri paesi riuniti sotto l’egida dell’UE, sia de facto colonizzata dall’Ue, e in particolare dall’asse franco-tedesco? 

R: Il franco CFA è a tutti gli effetti una moneta coloniale imposta a 14 paesi francofoni dell’Africa sub sahariana che non hanno sovranità monetaria e sono costretti a versare il 50% delle proprie riserve valutarie alla Banca di Francia. Quest’area, insieme all’Eurozona, è l’unico caso al mondo di unione monetaria (fatta eccezione per alcune isolette non rilevanti dei Caraibi). Le analogie tra le politiche neoliberiste imposte all’Africa neocoloniale e quelle imposte agli Stati europei sono molteplici e impressionanti. La loro scoperta mi ha spinto a scrivere questo libro, “I coloni dell’austerity” appunto, che rivela come le nuove armi del debito e delle conseguenti politiche di austerità siano lo strumento più potente utilizzato a livello mondiale per colonizzare i Paesi. Il Terzo Mondo è stato il territorio di sperimentazioni di tali politiche che oggi sono adottate anche nelle economie avanzate come la nostra. Esse non fanno altro che aumentare la povertà e la disuguaglianza a livello mondiale, a unico vantaggio di un élite sempre più ristretta e potente.

D: Politiche di austerity che lei dunque boccia tout court?

R: Decisamente sì. Per conoscere il loro potenziale distruttivo basta guardare le condizioni in cui versa il Continente africano, territorio di depredazione e di perpetrato colonialismo da parte della Francia e del nuovo rivale cinese. La Germania, attraverso gli strumenti del nuovo colonialismo economico, esercita un’egemonia incontrastata nel resto dell’Europa. Gli effetti devastanti delle sue politiche di austerity imposte alla Grecia ne sono un esempio plastico.

D: Ogni volta che qualche forza politica in Italia ventila l’ipotesi di un’uscita dall’Euro, tale ipotesi scatena un putiferio e viene liquidata come un’utopia, o una distopia a seconda degli interlocutori. Lo stesso primo ministro Giuseppe Conte si è affrettato recentemente a rassicurare Bruxelles sul fatto che l’Euro è imprescindibile e indiscutibile. Secondo lei, pensare a una Italexit è davvero un’assurdità foriera di sciagure inenarrabili o tale spauracchio di possibili catastrofi fa sempre parte dell’ingannevole “narrazione mainstream” di cui sopra?

R: Ormai sulla questione dell’uscita dall’euro si è creato un vero tabù. In realtà diversi premi Nobel dell’economia concordano sulla fallimentarietà del progetto Euro. La moneta unica è stata una pessima idea, non esistevano e non esistono i presupposti per realizzare un’unione monetaria tra economia così diverse. Questo ha portato a un acuirsi del divario tra i cosiddetti paesi del centro e della periferia. La privazione di strumenti di politica monetaria conseguente alla moneta unica ha impedito ad alcune economie di reagire alla crisi del 2008. In generale, la crescita dell’intera area euro è stata molto bassa, e anche quella della Germania è in tendenziale ribasso.

D: Può fornirci qualche dato al riguardo?

R: Nel periodo compreso tra il 2007 e il 2015 mentre i paesi dell’euro che non hanno la moneta unica sono cresciuti di un 8,1%, l’Eurozona è rimasta inchiodata a uno 0,6%. L’Italia, la cui entrata nell’Eurozona è stata frutto di una forzatura politica voluta dall’allora governo, è uno dei paesi che ha risentito maggiormente della mancata crescita.

D: Lei pertanto esclude che l’Italia possa tornare a crescere in futuro?

R: Intrappolata come è nella morsa del contenimento del debito e dell’austerity imposti da Bruxelles risulta praticamente impossibile che possa ritornare a un percorso di crescita come quello del passato. Rimanere nell’euro significa prolungare un’agonia e dire per sempre addio alla posizione in cima alle classifiche delle potenze economiche mondiali.

D: Alla luce di quanto afferma, quindi, lei non considera soltanto plausibile l’uscita dall’euro ma addirittura auspicabile?

R: Uscire da una moneta unica creata meno di vent’anni fa e riconosciuta come un esperimento fallito è una possibilità più che plausibile e una strada da percorrere se si vuole recuperare la sovranità economica e anche politica. L’enfasi sugli effetti nefasti attribuiti all’Italexit sono chiaramente frutto di un’abile e martellante propaganda che ha tutto l’interesse a mantenere lo status quo.

Fonte: affaritaliani.it (qui).

 

Economia, Politica

Introduciamo i minibot per difenderci dagli attacchi dello spread – Paolo Becchi

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero, 09/10/2018 Siamo sotto attacco come nel 2011, quando un famoso giornalone titolava «Fate presto!». In quel caso l’invito era rivolto al Presidente della Repubblica di allora, Giorgio Napolitano, di far fuori Berlusconi, cosa che puntualmente avvenne. E arrivò Monti. Oggi, a differenza di allora sarebbe difficile far…
— Leggi su paolobecchi.wordpress.com/2018/10/10/introduciamo-i-minibot-per-difenderci-dagli-attacchi-dello-spread/

Economia, Politica

Pure Fitch minaccia l’Italia “Il Def mette a rischio i conti”. Salvini e Di Maio: “Ci interessano i cittadini, non i burocrati”.

Dopo Moody’s che minaccia di abbassare il rating dell’Italia, un’altra agenzia ora boccia il Def e la manovra messa a punto dal governo.

“I nuovi obiettivi di deficit dell’Italia comportano rischi fiscali”, dice in una nota Fitch, “Il processo per la messa a punto del bilancio ha messo in luce tensioni dentro la coalizione di governo e ci sono rischi considerevoli per gli obeittivi, in particolare dopo il 2019“. L’agenzia di classificazione sostiene che un deficit al 2,4% del pil potrebbe portare l’Italia a essere oggetto di una procedura Ue per deficit eccessivo. “In ogni caso non ci aspettiamo che questo scenario porti il governo a cambiare in modo notevole il target del deficit 2019″, spiegano da Fitch, “Il governo vede opportunità politiche nell’attaccare le regole fiscali Ue, specialmente in vista delle elezioni parlamentari europee del prossimo maggio. Il rischio di un aumento della volatilità sui mercati finanziari agirà come il principale freno al grado di espansione fiscale” in Italia.

Per rivalutare il rating del nostro Paese, comunque, Fitch aspetta i dettagli della manovra: “I dettagli e la messa a punto della politica fiscale rimangono un elemento chiave della nostra valutazione del rating sovrano italiano”, spiegano. Attualmente l’agenzia assegna al nostro Paese una classificazione BBB, appena due gradini sopra il livello “junk”, con outlook negativo. La prossima revisione del voto è prevista nel primo trimestre dell’anno prossimo

Gli imprenditori che fanno impresa, non qualche burocrate in qualche ufficio, ci ha detto che superando la legge Fornero si creeranno decine di migliaia di posti di lavoro. Questa è la promozione che mi interessa: che coloro che fanno impresa garantiscono migliaia di assunzioni nei prossimi mesi“, ha ribattuto però Matteo Salvini. Alle cui parole si aggiungono quelle dell’altro vicepremier: “Andiamo in controtendenza rispetto ai potentati”, ha detto Luigi Di Maio, “Ci hanno detto che con quota 100 saranno stabilizzati dipendenti e questo va nella direzione di aiutare le persone. Noi vogliamo essere promossi dai cittadini non da altri, è bene che chi ha promosso altri governi bocci noi“.

Fonte: ilgiornale.it Articolo di C. Sarra del 10 ottobre 2018 (qui)

Economia, Politica

Reddito cittadinanza, Rinaldi vs Padoan: “Era ministro e ha trovato 20 miliardi per banche. Ora ne servono molti meno”

Botta e risposta serrato a Dimartedì (La7) tra l’ex ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e l’economista Antonio Maria Rinaldi sul reddito di cittadinanza. Il deputato Pdosserva: “Per questa misura servono 11 miliardi di euro. Sarebbero ben spesi se ci fosse chiarezza sulle condizioni e sugli incentivi. E a riguardo ancora non ci siamo. Il vero modo per combattere l’esclusione è creare lavoro”. Rinaldi replica: “La filosofia alla base del reddito di cittadinanza è quella di dare giustamente supporto a quella fascia sociale, che è rimasta molto indietro. E’ chiaro che è tutto in funzione delle risorse che ci sono. In questo momento si strilla tanto che si sta sforando il deficit del 2,4%, come se fosse qualcosa di terribile. Non solo non è così terribile, ma abbiamo visto che il tendenziale è del 2% nel 2018. Quindi, sforare dello 0,4 non mi sembra un disastro“. “Vedo che il professor Rinaldi vuole sforare già il 2,4” – risponde Padoan – “Ma sia chiara una cosa: quello che preoccupa non è il 2,4 rispetto al 2,6, bensì la direzione di marcia della finanza pubblica, che è stata completamente rovesciata. Con il 2,4 l’aggiustamento viene peggiorato e poi viene rinviato sine die. Questo genera una potenziale perdita di ricchezza che ci colpisce quotidianamente. Lo vediamo sui mercati“. Rinaldi dissente: “A dire la verità, anche con lei, quando è stato ministro, gli sforamenti ci sono stati e si sono rivelati anche piuttosto consistenti”. “Gli sforamenti ci sono stati, ma non il cambio di direzione”, controbatte Padoan. “E infatti siamo arrivati al 2,9 e al 2,5” – osserva l’economista – “Proprio per quello ci sono 5 milioni di poveri in Italia e non c’erano mai stati. Quindi, se si sfora per diminuire quei poveri, a me sta benissimo. Il disagio che c’è nel Paese è dovuto al fatto che i precedenti governi, di cui lei ha fatto parte, non ha lesinato a firmare un bel decreto, quando si è trattato di tirare fuori ben 20 miliardi di euro per salvare le banche. Io non dico di non farlo, sono il primo a dire che bisogna proteggere il sistema finanziario, ma fate qualcosa anche per gli altri”. “Siamo davvero alla demagogia pura” – commenta Padoan – “e il professor Rinaldi dovrebbe sapere che queste cose non sono comparabili. Se le banche falliscono, sono milioni di persone che ci rimettono”. “Ma l’ho detto io stesso”, ribatte Rinaldi. “E allora non faccia queste affermazioni ridicole“, replica l’ex ministro. Interviene il conduttore Giovanni Floris: “Quei 20 miliardi,però, erano una tantum. Gli 11 miliardi per il reddito di cittadinanza valgono per ogni anno”. “Sì, ma se servono per far mangiare la gente, magari li danno. Ma stiamo scherzando? Voi non vi rendete conto della situazione che c’è in Italia”, chiosa Rinaldi.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)

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America, Economia, Lavoro, Occupazione, Politica

Usa, Trump: Occupazione record e la disoccupazione scende al 3,7%

Usa, ciclo in salute: fisiologica pausa nella crescita degli ordini, ma attività sostenuta con benessere e lavoro record.
A settembre creati 134 mila posti di lavoro dopo il boom di agosto da 270 mila.
Le aziende americane continuano ad assumere, e pure se lo fanno con un passo meno veloce del previsto, il tasso di disoccupazione sorprende tutti e scende ai minimi dal 1969. È il consuntivo dei dati di settembre sul lavoro negli Usa: 134 mila nuovi posti di lavoro (gli analisti avevano previsto un aumento di 180 mila unità dopo le 270mila create ad agosto). Il rialzo segna il 96esimo mese di fila in progresso, numero che vale un nuovo record. Il tasso di disoccupazione è sceso al 3,7%, un decimo più di quanto atteso.
Negli Usa l’attività è rimasta sostenuta, eccetto l’edilizia, con Pmi in ripresa e Ism in consolidamento per la Manifattura. Pmi in consolidamento e Ism al record dall’8/97 per i Servizi. Sono cresciute anche le vendite di auto. Gli ordini, sia di fabbrica che di beni durevoli, sono cresciuti, ma prevalentemente grazie alle componenti volatili, mentre la dinamica degli ordini strumentali al business ha visto un fisiologico consolidamento dopo sette mesi forti, a fronte anche delle crescenti preoccupazioni indotte dalla guerra dei dazi. Con la disoccupazione ai minimi dal 12/69, il mercato del lavoro si è confermato forte nonostante il maltempo, portando il benessere dei consumatori al record dal 12/00. Questo supporta la continuazione della normalizzazione della Fed, senza bisogno di accelerazioni che andrebbero a vantaggio dell’ usd, e il proseguimento della crescita economica che supporta le quotazioni azionarie.
Fonte: fondiesicav.it e lastampa.it
Economia, Politica

Lo Stato non è una famiglia/2: Nello Stato le entrate dipendono dalla spesa. In famiglia la spesa dipende dalle entrate.

I mass media ci ricordano continuamente che lo Stato è come una famiglia e che non dovrebbe spendere più di quanto incassa, per non fare aumentare il debito pubblico.

Ma questo non è vero, secondo importanti economisti di fama mondiale.

Paul Krugman, premio nobel per l’economia:

I preoccupati del deficit descrivono un futuro in cui saremo impoveriti dalla necessità di rimborsare i soldi che abbiamo preso in prestito. Vedono l’America come una famiglia che deve fare fronte ad un mutuo troppo costoso e avrà difficoltà a rispettare i pagamenti mensili. Questa è, comunque, una pessima analogia.

Jared Bernstein, capo economista e consulente del vicepresidente Joe Biden nell’amministrazione Obama:

Anche se sembra una cosa giusta e appropriata, io userei l’argomento per cui lo Stato è uguale ad una famiglia con attenzione e non prenderei in considerazione coloro che vogliono usarlo come un martello per insistere sui tagli di spesa da realizzare subito

Robert Reich, anche lui consigliere economico per il governo Obama:

Coloro che vedono analogie fra il bilancio federale ed il bilancio di una famiglia dimostrano di non sapere nulla di entrambi

Randall Wray, economista statunitense, docente presso l’Università del Missouri-Kansas City:

Nessun padre di famiglia può spendere continuamente più del proprio reddito e nemmeno il governo federale lo può fare. A prima vista sembra un discorso sensato; se ragioni un po’ più in profondità è un discorso totalmente insensato

Economia, Politica

Lo Stato non è una famiglia/1: se risparmia, siamo rovinati!

L’esposizione ripetuta a un’immagine o a un contenuto fa sì che l’individuo modifichi la propria percezione della realtà e interiorizzi il messaggio veicolato. E’ quello che gli psicologi chiamano “effetto priming”, e che pubblicitari ed esperti della comunicazione conoscono molto bene. Quanto più un messaggio viene ripetuto ed enfatizzato, magari attraverso la forma dello spot, tanto più esso risulterà familiare. Così può accadere che un concetto privo di veridicità, ma ripetuto con insistenza e in modo convincente, acquisisca il rango di verità. E’ quanto accaduto con la fake news economica del momento, tanto assurda quanto apparentemente efficace: il bilancio dello Stato sarebbe come quello di una famiglia. La ripetono all’unisono giornalisti, conduttori televisivi, economisti e qualunquisti. Così la gente comune, digiuna di economia e soprattutto in buona fede, ha interiorizzato un pensiero del tutto fuorviante. Secondo questa logica, quando un paese presenta un debito pubblico – dunque la normalità in un’economia moderna – dovrebbe assumere il comportamento di una brava e accorta casalinga: stringere la cinghia e tagliare le spese familiari. Così, come una donna morigerata risparmierà sul cibo, sul vestiario e, in condizioni di estrema ratio, alle cure sanitarie per sé, per il coniuge e per i figli, così lo Stato dovrebbe seguire il suo virtuoso esempio.

Dunque, poiché la “famiglia” dello Stato è lo Stato stesso, ossia l’insieme dei cittadini che lo abitano, il suo territorio e le sue istituzioni, i tagli si ripercuoteranno sull’intera collettività. Per risparmiare occorre innanzitutto che contravvenga a quello che casalingain un sistema socio-economico civile dovrebbe essere la sua funzione principale: tutelare chi non ha tutela, chi per nascita o per eventi sopravvenuti o condizioni particolari si trova in una situazione di evidente svantaggio. E qui gli esempi potrebbero essere infiniti, dal disoccupato all’invalido, alle vittime di disastri naturali. Potrebbe poi, in un’ottica di far quadrare il bilancio, ristrutturare la sanità pubblica in un’ottica mercatistica orientata al profitto, trasformando il paziente in un cliente. Continuare poi in un’opera di privatizzazione dei servizi pubblici e delle infrastrutture, facendoli gestire al mercato – considerato per antonomasia efficiente. A parte qualche piccola eccezione come successo a Genova. Così si potrebbe abbracciare un modello di scuola privata, in cui i genitori offriranno ai loro figli un livello di istruzione strettamente legato al proprio reddito. Ci sarebbe solo il piccolo inconveniente di bloccare l’ascensore sociale e rinstaurare il censo.

Siccome non amo la retorica, mi fermo qui, ma gli esempi pratici per smontare l’assurda comparazione tra bilancio pubblico e familiare potrebbero andare avanti ancora a lungo. Lo Stato non è una famiglia perché esso ha come obiettivo il benessere e la Ilaria Bifarinitutela di tutti cittadini, non solo dei suoi figli come la famiglia, e opera su un orizzonte temporale di lungo periodo. Deve inoltre garantire il funzionamento delle istituzioni a garanzia del diritto e della democrazia. Infine, come dicono gli inglesi last but not least, da un punto di vista economico e contabile adottare la condotta della brava casalinga, che per uno Stato significa adottare l’austerity, vuol dire licenziare, rendere i servizi pubblici essenziali sempre più costosi, aumentare il livello di povertà, di disuguaglianza e disoccupazione. Così potrebbe accadere che la stessa virtuosa casalinga a causa dell’austerity debba rinunciare a curarsi o, addirittura, che suo marito perda il lavoro. Esiste infatti una relazione diretta, alquanto intuitiva, tra tagli dello Stato e diminuzione della ricchezza privata perché, per dirla con le parole del premio Nobel Krugman, «la tua spesa è il mio reddito». Potremmo dunque a ragion veduta ribaltare lo spot e affermare: «Il bilancio dello Stato è il contrario di quello della famiglia». Ma i pregiudizi si sa, una volta sedimentati sono difficili da scardinare.

Fonte: Ilaria Bifarini, “Lo Stato è il contrario di una famiglia”, dal blog della Bifarini del 28 settembre 2018.

Economia, Politica

Manovra, ecco le misure del Governo Conte.

Il Reddito di Cittadinanza opererà in via completamente digitale, riducendo tempi costi e possibilità di frodi. Nel contempo verrà attuata la piena interoperabilità delle banche dati a disposizione dello Stato e dei Centri per l’Impiego. In programma l’estensione dell’equo compenso e del lavoro accessorio con provvedimenti ancora da definire. Ecco le principali voci del Documento di economia e finanza.

La cosiddetta flat tax partirà già nel 2019, ma in maniera progressiva per evitare di avere un impatto pesante sui conti pubblici. Porterà in dote la revisione delle spese fiscali. Intanto scatteranno i controlli anti-evasione grazie al nuovo flusso di dati che verranno dall’avvio della fatturazione elettronica. La pace fiscale resta in attesa di decreto. Confermati quota 100 e sblocco del turn-over nella pubblica amministrazione. In arrivo il Reddito di cittadinanza per redditi inferiori a 780 euro mensili con verifiche “antifrode”. In programma l’estensione dell’equo compenso e del lavoro accessorio con provvedimenti ancora da definire. Sono solo alcune delle voci di entrata e uscita del Documento di economia e finanza fresco di aggiornamento e pubblicazione.

Arriva la “flat tax” sui redditi a partire dal 2019 – “Il governo intende iniziare un percorso di riduzione graduale della pressione fiscale su famiglie e imprese, sostenendo nella prima fase le attività di minori dimensioni svolte da imprenditori individuali, artigiani e lavoratori autonomi”, si legge nella nota al Documento di economia e finanza che precisa come si tratterà di un percorso graduale per evitare oneri eccessivi per la finanza pubblica. Il documento precisa che sarà “esteso il regime forfetario, sostitutivo di Irpef e Irap, che assoggetta all’aliquota del 15% una base imponibile forfettizzata applicando ai ricavi coefficienti di redditività differenziati per attività economica”. I soggetti che aderiscono a questo regime agevolato saranno anche esentati dal versamento dell’Iva e da ogni adempimento. Inoltre per incentivare gli investimenti e gli incrementi occupazionali, tutte le imprese beneficeranno di una riduzione dell’aliquota delle imposte applicata ai redditi corrispondenti agli utili destinati all’acquisto di beni strumentali e nuove assunzioni.

Scattano i controlli mirati anti-evasione – Il governo ha intenzione di potenziare “tutti gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria, in particolare sfruttando l’applicazione di nuove tecnologie per effettuare controlli mirati”, grazie all’incrocio dei dati della fatturazione elettronica obbligatoria che saranno integrati, a partire da luglio 2019, con quelli rilevati attraverso la trasmissione telematica dei corrispettivi relativi alle transazioni verso i consumatori finali. “L’avvio a regime dell’obbligo di fatturazione elettronica tra operatori economici sarà inoltre associato a misure di semplificazione fiscale e di riduzione degli oneri amministrativi a carico dei contribuenti”, spiega la nota.

La pace fiscale resta in attesa di decreto – “L’obiettivo di questo intervento è completare il percorso di chiusura delle posizioni debitorie ancora aperte per consentire che l’attività di riscossione ordinaria riprenda con sempre maggiore efficienza”, spiega il documento che evidenzia come lo stesso target sarà perseguito anche con riguardo al contenzioso favorendo la chiusura delle liti pendenti.

La flat tax porta in dote la revisione delle spese fiscali – “Contestualmente all’introduzione di una flat tax generalizzata, saranno valutati gli spazi disponibili per la razionalizzazione delle cosiddette spese fiscali: la molteplicità delle agevolazioni, la difficoltà del loro coordinamento e le possibili sovrapposizioni con i trasferimenti diretti di risorse aventi carattere assistenziale possono impedire una corretta rappresentazione dei flussi redistributivi operati dal settore pubblico”, si legge nella nota. In compenso il governo assicura che “la scelta delle agevolazioni su cui intervenire sarà guidata da un’attenta valutazione, tenendo in considerazione aspetti legati al costo-efficacia delle agevolazioni stesse, ai risultati che hanno prodotto e ai loro impatti redistributivi”.

Per le pensioni in arrivo la “Quota 100” – Per il governo si tratta di una priorità che il ricambio generazionale favorisca l’ingresso di giovani sul mercato del lavoro. L’obiettivo resta quindi consentire ai lavoratori di andare in pensione quando la somma dell’età anagrafica (62 anni) e contributiva (minimo 38 anni) sarà pari a 100.

Reddito di cittadinanza per chi si trova al di sotto della soglia di povertà relativa Nella Nota, il governo spiega che l’obiettivo ultimo della misura non è solo sostenere i redditi più bassi, ma fornire un incentivo a rientrare sul mercato del lavoro attraverso il supporto dei Centri per l’impiego. Questi ultimi saranno ristrutturati e potenziati “con un piano di assunzioni di personale qualificato, in aggiunta a quanto già definito nella Legge di Bilancio per il 2018”, come si legge nel documento che evidenzia come si intende anche adeguare i locali degli uffici.

“In sintesi con il Reddito di Cittadinanza, il Governo introduce la Cittadinanza digitale che apre le porte all’innovazione per il singolo cittadino e per il sistema Paese. Il Reddito di Cittadinanza opererà in via completamente digitale, riducendo tempi costi e possibilità di frodi. Nel contempo verrà attuata la piena interoperabilità delle banche dati a disposizione dello Stato e dei Centri per l’Impiego, consentendo l’incontro in tempo reale della domanda e dell’offerta di lavoro”, prosegue il documento che annuncia l’estensione dell’equo compenso e della normativa in vigore sul lavoro accessorio. “Un’attenzione particolare sarà rivolta alle donne, caratterizzate da una carriera discontinua. Si introdurranno anche misure per integrare le pensioni esistential valore della soglia di povertà relativa (di 780 euro mensili)”, precisa la Nota senza entrare nel merito delle modalità operative dei provvedimenti.

Addio all’Aiuto alla crescita economica per le imprese – La manovra prevede l’abrogazione per fare posto alla riduzione dell’aliquota Ires dal 24% al 15% limitatamente ai redditi corrispondenti agli utili destinati all’acquisto di beni strumentali e alle nuove assunzioni. Per il Consiglio nazionale dei commercialisti si tratta di un autogoal che rischia di pesare su 1,2 milioni di piccole imprese.

Sostegno alle nascite e sblocco del turn over nella pubblica amministrazione – Il governo promette di intervenire sul fronte degli incentivi alla genitorialità, con una valutazione degli strumenti in vigore e una rivisitazione di quelli non pienamente efficaci. In particolare, verrà favorita la costituzione di una rete di centri dedicati (per esempio, asili nido e centri estivi) e introdotta una politica fiscale che favorisca le famiglie con figli. Per sostenere l’occupazione dei giovani, è previsto lo “sblocco del turnover nella Pubblica Amministrazione secondo principi meritocratici”.

Più voce ai cittadini, meno parlamentari e addio al Cnel – Il governo ha intenzione di potenziare gli strumenti di democrazia diretta, ridurre il numero di parlamentaripassando da 630 deputati a 400 e da 315 senatori a 200 e abolire il Cnel. La nota evidenzia come il governo voglia inoltre introdurre “la possibilità di ricorrere alla Corte costituzionale rispetto alle deliberazioni assunte dalle Camere in materia di elezioni e cause di ineleggibilità e incompatibilità dei membri del Parlamento”, come si legge nel documento che sposta le competenze sul turismo dal ministero della Cultura a quello delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali.

Oneri per interessi sul debito. Nel 2018 gli “oneri per interessi” sul debito “sono rivisti al rialzo per poco più di 1,9 miliardi di euro (0,11 punti percentuali di Pil)”. E’ quanto si legge . Vista la “traslazione verso l’alto della curva dei rendimenti, che che su alcune scadenze eccede un punto percentuale” la spesa per il prossimo anno è cifrata ora a “3,6 punti di Pil” contro i “3,5 del Def”. Rispetto ad aprile la spesa “crescerebbe di 0,2 punti di Pil nel 2020 e di 0,3 nel 2021”.

Le misure per 21,5 miliardi così ripartite: Reddito e pensioni di Cittadinanza 9,0 Miliardi; Quota 100 per superamento Legge Fornero 7,0 Miliardi; Rafforzamento dei centri per l’impiego 1,0 Miliardi; Flat tax 2,0 Miliardi; Assunzioni forze dell’ordine 1,0 Miliardi; Indennizzi per i truffati delle banche 1,5 Miliardi.

Tagli alle spese dei ministeri. Per assicurare le coperture delle nuove politiche previste nella manovra 2019 “si opereranno tagli alle spese dei ministeri e altre revisioni di spesa per circa lo 0,2% del Pil”. Lo si legge nella Nota di aggiornamento al Def trasmessa ieri alle Camere. I fondi attualmente destinati al Reddito di Inclusione verranno utilizzati per coprire parte del costo del Reddito di Cittadinanza, mentre a fronte della flat tax per gli autonomi e il taglio dell’Ires sugli utili reinvestisti, si prevede l’abrogazione dell’Iri (che doveva entrare in vigore nel 2019) e dell’Ace.

Privatizzazioni. La stima di riduzione del rapporto debito/pil nel 2020, “incorpora l’ipotesi di introiti da privatizzazioni e da altri proventi finanziari per circa lo 0,3 per cento del PIL”, che equivale a circa 10 miliardi, “in entrambi gli anni 2019 e 2020”.

Prorogato Ecobonus. Prorogare “la detrazione per interventi di riqualificazione energetica degli edifici”. Lo si legge nella nota di aggiornamento del Def che sottolinea come “la Legge di Bilancio 2019 proseguirà le politiche di promozione degli investimenti, dell’innovazione e del miglioramento dell’efficienza energetica delle abitazioni”.

Fonte: ansa.it e ilfattoquotidiano.it (qui).

Economia, Politica

Tria: “Fiducioso in un dialogo costruttivo con Ue sulle reali esigenze di cittadini e imprese”. Ecco la lettera all’UE.

Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Prof. Giovanni Tria, ha inviato la lettera alla Commissione Europea riguardante la modifica del percorso programmatico di finanza pubblica contenuto nella Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza.

Commentando con soddisfazione il risultato dei lavori di questi giorni, il Ministro ha dichiarato: “Come sostenuto in diverse occasioni, la manovra di bilancio che questo Governo si appresta a varare è coraggiosa e responsabile, puntando alla crescita e al benessere dei cittadini, assicurando in seguito un profilo di riduzione del deficit, che passerà dal 2.4% del 2019 al 2.1% del 2020 per chiudere all’1.8% del 2021”.

L’impatto delle singole misure sull’economia del Paese deve essere valutato nel quadro dell’intera manovra. Maggiori risorse per gli investimenti pubblici e privati, minore pressione fiscale sulle piccole e medie imprese e sui lavoratori autonomi, spinta al ricambio generazionale sul mercato del lavoro e sostegno ai soggetti più vulnerabili: quest’insieme di misure porterà un aumento della crescita all’1.5 per cento nel 2019 per arrivare all’1.6 e l’1.4 negli anni successivi.

Il raggiungimento di questi obiettivi verrà ottenuto anche grazie a un attento disegno degli interventi sia sul versante degli investimenti, sia su quello delle misure di sostegno attivo per il lavoro e la coesione sociale che garantiscano la stabilità complessiva del sistema.

“Ora si apre la fase di confronto con la Commissione Europea, che potrà valutare le fondate ragioni della strategia di crescita del Governo delineata dalla manovra” ha precisato il Ministro, aggiungendo: “Come è avvenuto all’interno del Governo, auspico che il dialogo con la Commissione Europea rimanga aperto e costruttivo, tenendo conto delle reali esigenze di cittadini e imprese e del ruolo che svolgono le Istituzioni. In questo dialogo il Governo si presenta compatto e fiducioso”.

Fonte: MEF (qui)