Giornalismo, Politica

Essere sovranista non è mica fuorilegge, dice Maria Giovanna Maglie

Tra Lega e M5s non rientra la polemica sulla decisione di Raiuno di affidare alla giornalista una striscia quotidiana dopo il Tg1 delle 20 (che fu di Biagi, Di Battista e Berti). Che afferma: “Sono turbata dal provincialismo che fa reputare così decisivi cinque minuti televisivi, senza capire che oggi i social contano molto di più”.

Lunedì Maria Giovanna Maglie dovrebbe decidere se firmare il contratto per la conduzione della striscia informativa post Tg1 che le ha proposto la direttrice di Raiuno Teresa De Santis. Ma a giudicare dal tasso di alta tensione politica e aziendale che ha caratterizzato il primo giorno di febbraio, il suo non si annuncia come un un weekend facile. Ieri sulla sua designazione alla striscia che fu di Enzo Biagi ma che lei, ha detto all’Agi, vorrebbe come quella di “Batti e ribatti” di Pierluigi Battista (due minuti di monologo, tre di intervista a un personaggio)si è scatenato di tutto, fino alle risse via comunicati e tweet tra gli alleati di governo: i cinquestelle che non digeriscono la designazione della sovranista vicina alla Lega, per stopparla si sono appellati al presidente della Rai Marcello Foa e adesso stanno valutando anche di  scrivere all’ad Fabrizio Salini.

Motivi addotti: i famigerati 150 milioni di lire dei rimborsi spese della sua prima vita in Rai, accusa che però finì con l’archiviazione, tanto che ora Maglie minaccia di portare in tribunale chi continua a sbandierare quell’accusa (“mi comprerò una casetta alle Eolie”, ha detto all’Agi), ma anche la sua antica vicinanza a Bettino Craxi.

Il fatto di essere, insomma legata , dicono i Cinquestelle “al vecchio sistema”. Un vecchio sistema, che ha ricordato il presidente leghista della commissione Trasporti, Alessandro Morelli, accorso in suo aiuto, ha sempre dominato in Rai, mentre il vero cambiamento, sostiene “dovrebbe consistere nella scelta di un vero professionista, piuttosto che di un amico degli amici”. 

Mentre su Facebook il pd Michele Anzaldi, osservando che “i due partiti che volevano i partiti fuori dalla Rai ora decidono anche chi deve condurre un singolo programma” definiva “indecente lo spettacolo che Lega e M5s stanno dando sulla Rai”, il caso Maglie colonizzava anche Twitter: Giuliano Ferrara, detentore nel 2011 dell’ultima striscia post Tg1 soccorreva l’amica stemperando i toni  (“lasciate che Maria Giovanna Maglie venga a noi nel posto che fu di Biagi, Battista e Berti. È una stronza simpatica”). Ma i cinguettii antiMaglie dei cinquestelle si moltiplicavano, con un portavoce del Movimento, Michele Gubitosa che ricordava pure che la giornalista “non è iscritta all’albo dei giornalisti da tre anni”. 

Già, perché al mattino, al risveglio, il primo metaforico strattone alla Maglie era arrivato da un tweet del segretario dell’Usigrai Vittorio Di Trapani che svelava la sua mancata iscrizione da tre anni all’Ordine dei giornalisti.  “Non mi pare una faccenda di grande importanza, dall’84 a tre anni fa non facevo mica parte dell’ordine dei pasticcieri. Mi sono semplicemente dimenticare di pagare la mia quota, l’iscrizione annuale era un’operazione di cui si occupava mio padre, che oggi non c’è più”, ha così commentato la faccenda con l’Agi Maglie, interpretando comunicati e  tweet contro di lei come  parte di “un fuoco preventivo teso a far saltare la mia conduzione della striscia”.

Stupefatta dalla rivolta scatenata dall’ipotesi di una sovranista a capo della nuova striscia informativa di Raiuno,  ha chiarito che essere sovranista “non è fuorilegge, non significa mica essere brigatisti, non vedo nulla di male ad essere simpatizzanti di questo governo”. E stupita pure dal terrore che suscita il suo nome a Raiuno ha chiarito di essere “turbata dal provincialismo che fa reputare così decisivi cinque minuti televisivi, senza capire che oggi i social contano molto di più”. Se accetterà (sempre che da qui a lunedì l’offerta sia ancora in piedi) non avrà niente da ridire sul tetto del compenso dei 240 mila euro: “È una regola applicata un po’ a tutti. Non a Fabio Fazio naturalmente”. 

Chissà se a questo punto riuscirà a realizzare la versione 2.0 di ‘Batti e ribatti’, la striscia informativa del Tg1, con cui 15 anni fa Pierluigi Battista superava il 20 per cento di share. Intanto la conduttrice designata ha incassato il suo sostegno: “Non condivido il sovranismo ma non vedo perché non dovrebbe avere spazio in Rai. Non sopporto quelli che, dopo aver occupato militarmente tutti gli spazi della tv pubblica, compresa l’Usigrai, si trasformano in verginelle e protestano perché in quegli stessi spazi si siede chi politicamente la pensa diversamente da loro”, ha chiarito l’editorialista del Corriere della Sera, ancora più deciso sulla questione della mancata iscrizione della Maglie all’ordine dei giornalisti negli ultimi tre anni: “L’ordine dei giornalisti è una creatura fascista che andrebbe abolita. Non esiste in nessun’altra democrazia occidentale. Gli antisovranisti e  i filoeuropei della Rai dovrebbero saperlo”.

Fonte: agi.it (qui)

Fake News, Giornalismo

Der Spiegel rivela che uno dei suoi giornalisti di punta ha inventato articoli falsi per anni

A proposito di “fake news” sulla grande stampa ufficiale, il Guardian riassume una vicenda incresciosa che il celebre giornale tedesco Der Spiegel è stato costretto ad ammettere: uno dei suoi giornalisti di punta, che scriveva articoli sulla società e le notizie internazionali, ha inventato storie, protagonisti e fonti per anni. Il giornalista aveva vinto premi prestigiosi come il premio CNN per il Giornalista dell’Anno nel 2014 e un Premio Europeo per la Stampa nel 2017. Il fatto gravissimo viene presentato come un cedimento personale alla pressione a produrre informazione resistendo alla competizione. Ad ogni modo, getta un’ombra sulla credibilità del sistema di informazione ufficiale e su quanto sia facile inventare notizie e costruire brillanti carriere sulla falsità. Solamente il coraggio di un collega, a lungo ostracizzato per i suoi sospetti, ha permesso alla verità di emergere.

La rivista tedesca Der Spiegel è precipitata nel caos dopo aver rivelato che uno dei suoi migliori giornalisti ha falsificato storie per anni.

Il mondo dei media è sconvolto dalle rivelazioni su Claas Relotius, giornalista già vincitore di prestigiosi premi, che secondo il settimanale “ha inventato storie e protagonisti” in almeno 14 dei suoi 60 articoli apparsi sulle edizioni cartacee e online, avvertendo che anche altri giornali potrebbero essere coinvolti.

Relotius, 33 anni, ha rassegnato le dimissioni dopo avere ammesso la frode. Scriveva per Der Spiegel da sette anni e aveva vinto numerosi premi per il suo giornalismo investigativo, tra cui il premio della CNN come Giornalista dell’Anno nel 2014.

All’inizio di questo mese aveva vinto anche il premio tedesco Reporterpreis (Reporter dell’anno) per la sua storia su un bambino siriano. I giudici lo avevano elogiato per la “leggerezza, la poesia e la rilevanza”. Da allora è però emerso che tutte le fonti del suo reportage erano quantomeno nebulose, e che molto di ciò che ha scritto era inventato.

La falsificazione è venuta alla luce dopo che un collega di Relotius che ha lavorato con lui a un articolo sulla frontiera tra Messico e Stati Uniti ha iniziato a sollevare sospetti su alcuni dei dettagli da lui riportati, sospetti che covava da tempo.

Il collega, di nome Juan Moreno, alla fine ha rintracciato due delle presunte fonti che venivano citate ampiamente nell’articolo di Relotius, articolo che era stato pubblicato in novembre. Entrambe le presunte fonti hanno dichiarato di non avere mai incontrato Relotius, il quale avrebbe mentito anche, secondo successive indagini, sull’esistenza di una scritta pitturata a mano che avrebbe detto ”Messicani state alla larga”.

Altre storie fraudolente includono quella su un presunto prigioniero yemenita a Guantanamo, e una sulla star americana del football Colin Kaepernick.

In un lungo articolo lo Spiegel, che vende circa 725.000 copie alla settimana e ha più di 6,5 milioni di lettori online, si è detto “scioccato” dalla scoperta, e ha chiesto scusa ai propri lettori e a chiunque possa essere stato soggetto di ”citazioni fraudolente, invenzioni di dettagli personali o scene inventate in posti fittizi”.

La rivista, che ha sede ad Amburgo, è stata fondata nel 1947 ed è rinomata per i suoi approfonditi pezzi investigativi, ha detto che Relotius ha commesso una frode giornalistica “su ampia scala”. Ha descritto l’episodio come “il punto più basso nella storia lunga 70 anni dello Spiegel”. È stata istituita una commissione interna per riesaminare l’intero lavoro di Relotius per il settimanale.

Il giornalista ha scritto articoli anche per una serie di altri noti giornali tedeschi, tra cui il Taz, Die Welt, e la Frankfurter Allgemeine (edizione domenicale). Die Welt questo mercoledì ha twittato: “[Relotius] ha abusato del proprio talento”.

Relotius ha dichiarato allo Spiegel di rammaricarsi per le proprie azioni e di provare profonda vergogna, secondo quanto riportato dal settimanale. ”Sto male e ho bisogno di aiuto” avrebbe detto.

Moreno, che ha lavorato per il giornale dal 2007, ha rischiato il suo stesso posto di lavoro per aver affrontato Relotius e altri colleghi con i suoi sospetti. Molti colleghi non volevano credergli. ”Per tre o quattro settimane Moreno ha passato l’inferno, perché all’inizio i suoi colleghi e i suoi superiori non volevano credere alle sue accuse”, ha scritto Der Spiegel nelle sue scuse ai lettori. Per molte settimane, ha precisato il settimanale, Relotius è stato perfino considerato una vittima delle trame di Moreno.

”Relotius respingeva abilmente tutti gli attacchi, tutte le prove, per quanto approfondite, di Moreno, fino a un punto in cui questo non ha più funzionato, fino a che non ha più potuto dormire ed era perseguitato dalla paura di essere scoperto”, ha scritto Der Spiegel.

Relotius, ha aggiunto, alla fine si è arreso la scorsa settimana, dopo essere stato affrontato da un caporedattore del giornale.

Nella sua confessione al suo superiore ha detto: ”Non era perché volevo trovare il grande scoop. Era per la paura di fallire. Il mio senso di essere costretto a non potermi mai permettere di fallire diventava sempre più grande quanto più grande diventava il mio successo”.

La rivista, uno dei giornali più importanti in Germania, sta ora cercando di salvare la propria reputazione, ma si teme che, già alle prese con i tanti problemi dell’industria dell’informazione tedesca, farà molta fatica a recuperare.

”Tutti i suoi colleghi sono profondamente scossi” ha scritto Der Spiegel. In particolare, ha scritto, nel dipartimento “Società”, dove lui lavorava, “i suoi colleghi sono tristi e sbalorditi… sembra come un lutto in famiglia”.

Fonte: vocidallestero.it (qui) Articolo di Kate Connolly, 19 dicembre 2018