Giovani, Pensioni, Politica

“Quota 100 lascerà 100 miliardi di debiti”, “No a quota 100”, “Dimettiti” È scontro tra Boeri e Salvini sulle pensioni.

Il presidente dell’Inps attacca la riforma del governo: “Il debito aumenterà di 100 miliardi. Penalizza donne e giovani”.

La riforma delle pensioni inserita nel Def fa discutere.

l superamento della Fornero e l’arrivo di quota 100 hanno sollevato i dubbi dell’Ue, del Fondo Monetario Internazionale e anche dell’Inps. Ed è proprio il direttore dell’Istituto di previdenza sociale, Tito Boeri a mettere nel mirino il cambio di rotta voluto fortemente dalla Lega con Quota 100. Boeri sostiene che questo nuovo sistema possa penalizzare fortemente giovani e donne: “L’introduzione di quota 100 premia quasi in 9 casi su 10 gli uomini, quasi in un caso su tre persone che hanno un trattamento pensionistico superiore a quello medio degli italiani (e un reddito potenzialmente ancora più alto, se integrato da altre fonti di reddito). Si tratta nel 40% dei casi di dipendenti pubblici che, in un caso su 5, hanno trattamenti superiori ai 35.000 euro all’anno (in più di un caso su 10, superiore ai 40.000 euro)”. E ancora: “Pesanti sacrifici – ha aggiunto Boeri – imposti anche ai giovani su cui pesa in prospettiva anche il forte aumento del debito pebnsionistico”.

Poi sposta il focus della sua analisi, davanti alla Commissione Lavoro della Camera, sulla tenuta dei conti e sulla sostenibilità del provvedimento: “Il rischio di introdurre quota 100 per il pensionamento anticipato è quello di minare alle basi la solidità del nostro sistema pensionistico. Non usa messe misure Tito Boeri, presidente Inps per bocciare la riforma cui sta lavorando il governo. “E’ un’operazione che fa aumentare la spesa pensionistica mentre riduce in modo consistente i contributi previdenziali anche nel caso ci fosse davvero, come auspicato dal governo, una sostituzione uno a uno tra chi esce e chi entra nel mercato del lavoro”.

Il taglio delle pensioni

Poi il direttore dell’Inps affronta anche il tema del taglio degli assegni d’oro fortemente voluto dai grillini. Boeri smonta le stime di “risorse recuperate” che potrebbero arrivare proprio dalle sforbiciate agli assegni che superano i 4500 euro netti: “L’intervento sulle pensioni d’oro potrebbe portare ad una riduzione di spesa inferiore ai 150 milioni l’anno. Un traguardo raggiungibile però solo se le soglie oltre le quali operare la correzione attuariale fossero riferite al reddito pensionistico complessivo e se nell’operazione venisse incluso il cumulo delle diverse pensioni”. Infine punta ancora il dito contro quota 100 affermando che la nuova riforma porterebbe ad un aumento del debito di ben 100 miliardi.

La replica di Salvini

E alle tesi e alle analisi di Boeri, risponde il ministro degli Interni, Matteo Salvni che di fatto invita il presidente dell’Inps a farsi da parte per difendere più liberamente la Fornero: “Da italiano invito il dottor Boeri, che anche oggi difende la sua amata legge Fornero, a dimettersi dalla presidenza dell’Inps e a presentarsi alle prossime elezioni chiedendo il voto per mandare la gente in pensione a 80 anni. Più alcuni professoroni mi chiedono di non toccare la legge Fornero, più mi convinco che il diritto alla pensione per centinaia di migliaia di italiani (che significa diritto al lavoro per centinaia di migliaia di giovani) sia uno dei meriti più grandi di questo governo”. Adesso è scontro aperto.

Fonte: ilgiornale.it (qui)

Giovani, Povertà, Società

Giovani, Oxfam: “la generazione di cui fanno parte avrà un futuro, un lavoro e una retribuzione peggiore di quella precedente”. Ecco il conto delle disuguaglianze.

I giovani, secondo un’indagine condotta da Demopolis, è ben conscia che la generazione di cui fanno parte avrà un futuro, un lavoro e una retribuzione peggiore di quella precedente. E al governo fannno una domanda: cosa state facendo per cambiare questa situazione?

ROMA – Disorientali da una scuola che non orienta, sfruttati sul lavoro e con un futuro incerto anche sulla loro vecchiaia (detto in parole povere chissà se mai vedranno una pensione), i giovani italiani vivono sulla loro pelle e respirano nell’aria tutta la diseguaglianza generazionale che li accompagna nella vita. Non ci vuole molto: basta un confronto con i loro genitori e i loro nonni (spesso fonti di reddito per i nipoti con le loro pensioni). E’ l’età della diseguaglianza. Così è stata definita quella che va da 18 ai 35 anni da una ricerca Demopolis per Oxfam.

Macigni pesano da tempo sulle spalle di una generazione che ha contratti intermittenti, a chiamata, sempre e comunque a tempo, come se il futuro non gli appartenesse. Sfiduciati? Sì tant’è che molti si trasformano in neet (non lavorano non studiano) e soprattutto non mettono su famiglia. Perdenti se si confrontano con le generazioni che li hanno preceduti e con i coetanei di altri Paesi europei, dove la giovinezza non è una colpa, ma una risorsa. Sfiduciati dunque, ma scemi no, tant’è che la domanda che due giovani su tre si pongono è netta e precisa: cosa fai il governo per ridurre il livello abnorme di queste diseguaglianze? Perché non applica delle misure mirate a ridurle? Perché non si impegna a combattere la corruzione e a migliorare la scuola e l’accesso al lavoro? Domanda retorica, ma neanche, tanto perché finora di concreto hanno visto poco.

La diseguaglianza tra generazioni. Il pessimismo delle nuove generazioni è altissimo e riguarda 8 su 10 giovani. Ben il 66% degli intervistati prospetta per sé un tenore di vita e una posizione sociale ed economica peggiore rispetto alla generazione precedente. Solo un quarto immagina una permanenza di status e opportunità simili a quella dei propri genitori e appena il 9% ipotizza che vivrà in condizioni migliori. L’ascensore sociale (quello che garantiva dopo una vita di lavoro, di pensare a un futuro migliore per i propri figli) è inceppata e da tempo. “Sono diversi gli ambiti nei quali i giovani si ritengono penalizzati – spiega il direttore di Demopolis Pietro Vento – il 78% indica, al primo posto, la precarietà del lavoro e le minori tutele contrattuali. Il 75% l’incertezza sul futuro, la convinzione di non poter contare sulle stesse certezze delle quali ha goduto la generazione dei propri genitori. E 7 su 10 lamentano la dimensione penalizzante di retribuzioni basse o inadeguate, mentre il 67% individua inique prospettive previdenziali e di accesso alla pensione.”

Un esempio? Chi va in pensione oggi spesso ha un assegno più elevato di chi oggi lo sostituirà nello stesso lavoro.

Giovani sinonimo di discriminante. Sono 3 milioni in Italia i giovani neet tra i 18 e i 34 anni. “A questi si aggiungono i milioni di giovani che un lavoro ce l’hanno, ma con retribuzioni ridotte, disciplinato da formule contrattuali lontane dal lavoro standard – dice Elisa Bacciotti, direttrice del dipartimento Campagne di Oxfam Italia – siamo di fronte a un’intera generazione costretta a vivere al presente, su posizioni di difesa o di adattamento. L’azione istituzionale deve fare in modo che nel “conflitto distributivo” essere giovani cessi di essere una discriminante a sé”. Non una risorsa, un problema.

Le dinamiche ostili dell’attuale mercato occupazionale e il fallimento della scuola. Sono i regni del disorientamento. Quattro giovani su dieci ritengono di non possedere le informazioni sul mercato del lavoro necessarie per le scelte professionali o lavorative. La famosa domanda: “che faccio da grande? E il 61% dichiara che nei momenti fondamentali del proprio percorso formativo non è riuscito a ottenere un orientamento chiaro e informazioni sufficienti per compiere una scelta consapevole tra studio e lavoro. Insomma si arriva all’età adulta senza aver capito cosa conviene fare. Per il 58% dei giovani la scuola pubblica garantisce solo in parte e con livelli di qualità differenti l’uguaglianza di opportunità. Per 3 intervistati su 10 non vi riesce affatto. Un fallimento per chi l’ha frequentata.

Diseguaglianze in crescita negli ultimi 5 anni. I giovani sono anche consapevoli che si sia creato un un forte squilibrio nella distribuzione dei redditi in Italia, tant’è che il 72% si dice convinto che negli ultimi 5 anni le disuguaglianze nel nostro Paese siano aumentate. Dove? Nella distribuzione del reddito (82%) nelle opportunità di accesso al mercato del lavoro (70%), nelle differenti opportunità tra le aree del Paese (65%). E’ in questo scenario, che 2 giovani su 3 vorrebbero che le politiche mirate a ridurre le disuguaglianze fossero materie prioritarie nell’agenda di governo. E fanno anche alcuni esempi: oltre il 70% dei giovani italiani chiede maggiore attenzione nella lotta all’evasione fiscale e nel contrasto alla corruzione. La maggioranza assoluta auspica inoltre politiche attive del lavoro e di orientamento più efficienti in seno al mondo scolastico, ma anche il salario minimo orario e maggiori tutele contrattuali.

Fonte: laRepubblica.it (qui)