Come è concepibile una società che non sia una relazione di persone? Questa implica una società che non avrebbe l'individuo come sua unità. Ma in una società del genere, come può essere possibile la vita economica se nè la cooperazione nè lo scambio – entrambe relazioni personali tra individui – possono avere spazio in essa? (Karl Polanyi)
Indagati anche l’ex a.d. Treu e l’ex presidente del cda Benedini. Nel mirino le notizie che riguardavano: “Andamento del dato diffusionale del quotidiano e i ricavi”.
Roberto Napolitano, ex direttore de Il Sole 24 ore, è indagato per false comunicazioni sociali nell’ambito dell’inchiesta sui conti del gruppo editoriale. La procura di Milano gli ha notificato un avviso di chiusura delle indagini. Oltre all’ex direttore sono indagati per lo stesso reato l’ex amministratore delegato del gruppo Donatella Treu e l’ex presidente del cda Benito Benedini. Contro tutti e tre anche l’accusa di manipolazione del mercato.
Per i pm i tre indagati diffondevano notizie false sulla situazione economica e finanziaria del ‘Sole 24 Ore spa’ idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo del titolo, quotato alla Borsa Italiana”. Queste notizie, si legge nell’avviso di chiusura delle indagini, avevano come oggetto “in particolare l’andamento del dato diffusionale del quotidiano e i correlativi ricavi”.
Stralciata la posizione di altri sette indagati accusati di appropriazione indebita. Per loro si profila una richiesta di archiviazione.
Il pm di Palermo indagò Salvini per sequestro aggravato. Il tribunale dei ministri: “Il ministro ha tutelato l’interesse nazionale”.
Il caso della nave Diciotti e quello che ha portato (in termini giudiziari) al ministro dell’Interno Matteo Salvini è fatto saputo e risaputo.
L’inchiesta era partita con il pm di Agrigento, Luigi Patronaggio. Il leader della Lega era stato indagato per sequestro aggravato di persona, sequestro di persona, abuso d’ufficio e arresto illegale per non aver fatto scendere subito i migranti a bordo della nave Diciotti. Poi gli ultimi tre reati erano decaduti e restava solo il sequestro aggravato di persona. Gli atti erano così stati mandati a Palermo e poi sarebbe dovuto arrivare il giudizio definitivo del tribunale dei ministri. Ma all’improvviso è arrivato un colpo di scena: il pm Patronaggio e la procura di Agrigento non sono competenti per giudicareil caso perché la Diciotti è stata fermata quando l’imbarcazione era ancora in acque di competenza catanese. Così la palla (giudiziaria) è passata da Palermo a Catania.
Ma ora arriva il vero colpo di scena. Da chi? Dal tribunale dei ministri di Palermo. I giudici scagionano Matteo Salvini. “Nei primi giorni di intervento della nave Diciotti al largo di Lampedusa, per il salvataggio dei 190 migranti che si trovavano a bordo di un barcone proveniente dalla Libia, non sono emersi reati. Fu anzi difeso meritoriamente dalla Guardia costiera l’interesse nazionale”, questo è il risultato dell’analisi che il tribunale dei ministri di Palermo ha consegnato nei giorni scorsi alla Procura dello stesso capoluogo siciliano perché trasmettesse gli atti alla corrispondente Procura di Catania. Nessun reato, quindi. Solo difesa dell’Italia.
Un vero e proprio cambia di rotta per quella inchiesta che tanto aveva e stava facendo discutere e indignare. Nell’analisi, quindi, il collegio palermitano, presieduto da Fabio Pilato, Filippo Serio e Giuseppe Sidoti, divide in due il periodo in cui la Diciotti aveva a bordo i migranti. Vediamoli per capire come hanno scagionato il ministro dell’Interno. Il primo, dal 15 al 20 agosto, dove secondo le toghe c’è stato “solo una attività di pressione diplomatica nei confronti di Malta, perché adempisse i doveri previsti dalle convenzioni internazionali che regolano il salvataggio e l’accoglienza dei flussi migratori. Poi la nave fece uno scalo nei pressi di Lampedusa, dove, con alcune motovedette, furono sbarcati 13 migranti ammalati. Gli altri 177, sempre in quella prima fase, non furono oggetto di alcun reato, men che meno il sequestro di persona, perché nei primi giorni si stava cercando una soluzione diplomatica per l’accoglienza, che poi non fu trovata”. Quindi nessun sequestro di persona, ma solo una soluzione diplomatica.
Arriva poi il secondo periodo, quello fra il 20 al 25 agosto. I magistrati palermitani rimettono qualsiasi riferimento a possibili reati che non individuano, passando la possibilità di valutazione ai colleghi catanesi. In ogni caso sottolineano che “la Guardia Costiera, cercando una soluzione per lo sbarco a Malta, fece l’interesse del Paese al rispetto delle convenzioni da parte dei partner europei”.
Matteo Salvini, quindi, ha fatto soltanto il suo lavoro di ministro: ha tutelato l’Italia e i suoi cittadini.
Il commento di Matteo Salvini
“Quando la nave Diciotti è arrivata nei pressi di Lampedusa, lo scorso agosto, non sono stati commessi reati ma anzi sono stati meritoriamente difesi i confini. Non lo dico io, che per questa vicenda sono incredibilmente accusato di sequestro di persona, ma il tribunale dei ministri di Palermo: la partita giudiziaria non è ancora chiusa, però è un primo passo significativo – afferma il ministro -. In ogni caso, giudici o non giudici, non arretro di un millimetro!”.
La figlia del giudice che fece tremare la mafia solleva, dalle colonne di Repubblica, tutti gli interrogativi sull’attentato che costò la vita al padre.
Paolo Borsellino (Foto AGF)
Tredici domande, un dito puntato tredici volte per chiedere, oggi come allora, la verità su uno dei delitti di mafia più ricordati. Ricordata, la strage di via D’Amelio del luglio di 26 anni fa, ma non conosciuta, perché sconosciute restano ancora troppe cose, e Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, l’uomo che fece tremare la mafia, torna a chiedere dalle colonne de La Repubblica che si diano delle risposte certe.
Con tredici dure e dirette domande. Eccole:
1. Perché le autorità locali e nazionali preposte alla sicurezza non misero in atto tutte le misure necessarie per proteggere mio padre, che dopo la morte di Falcone era diventato l’obiettivo numero uno di Cosa nostra?
2. Perché per una strage di così ampia portata fu prescelta una procura composta da magistrati che non avevano competenze in ambito di mafia? L’ufficio era composto dal procuratore capo Giovanni Tinebra, dai sostituti Carmelo Petralia, Annamaria Palma (dal luglio 1994) e Nino Di Matteo (dal novembre ’94).
3. Perché via D’Amelio, la scena della strage, non fu preservata consentendo così la sottrazione dell’agenda rossa di mio padre? E perché l’ex pm allora parlamentare Giuseppe Ayala, fra i primi a vedere la borsa, ha fornito versioni contraddittorie su quei momenti?
4. Perché i pm di Caltanissetta non ritennero mai di interrogare il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco, che non aveva informato mio padre della nota del Ros sul “tritolo arrivato in città” e gli aveva pure negato il coordinamento delle indagini su Palermo, cosa che concesse solo il giorno della strage, con una telefonata alle 7 del mattino?
5. Perché nei 57 giorni fra Capaci e via D’Amelio, i pm di Caltanissetta non convocarono mai mio padre, che aveva detto pubblicamente di avere cose importanti da riferire?
6. Cosa c’è ancora negli archivi del vecchio Sisde, il servizio segreto, sul falso pentito Scarantino (indicato dall’intelligence come vicino ad esponenti mafiosi) e sul suo suggeritore, l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera?
7. Perché i pm di Caltanissetta non depositarono nel primo processo il confronto fatto tre mesi prima fra il falso pentito Scarantino e i veri collaboratori di giustizia (Cancemi, Di Matteo e La Barbera) che lo smentivano? Il confronto fu depositato due anni più tardi, nel 1997, solo dopo una battaglia dei difensori degli imputati.
8. Perché i pm di Caltanissetta furono accomodanti con le continue ritrattazioni di Scarantino e non fecero mai il confronto tra i falsi pentiti dell’inchiesta (Scarantino, Candura e Andriotta), dai cui interrogatori si evinceva un progressivo aggiustamento delle dichiarazioni, in modo da farle convergere verso l’unica versione?
9. Perché la pm Ilda Boccassini (che partecipò alle prime indagini, fra il giugno e l’ottobre 1994), firmataria insieme al pm Sajeva di due durissime lettere nelle quali prendeva le distanze dai colleghi che continuavano a credere a Scarantino, autorizzò la polizia a fare dieci colloqui investigativi con Scarantino dopo l’inizio della sua collaborazione con la giustizia?
10. Perché non fu mai fatto un verbale del sopralluogo della polizia con Scarantino nel garage dove diceva di aver rubato la 126 poi trasformata in autobomba? Perché i pm non ne fecero mai richiesta? E perché nessun magistrato ritenne di presenziare al sopralluogo?
11. Chi è davvero responsabile dei verbali con a margine delle annotazioni a penna consegnati dall’ispettore Mattei a Scarantino? Il poliziotto ha dichiarato che l’unico scopo era quello di aiutarlo a ripassare: com’è possibile che fino alla Cassazione i giudici abbiano ritenuto plausibile questa giustificazione?
12. Il 26 luglio 1995 Scarantino ritrattava le sue dichiarazioni con un’intervista a Studio Aperto. Prima ancora che l’intervista andasse in onda, i pm Palma e Petralia annunciavano già alle agenzie di stampa la ritrattazione della ritrattazione di Scarantino, anticipando il contenuto del verbale fatto quella sera col falso pentito. Come facevano a prevederlo?
13. Perché Scarantino non venne affidato al servizio centrale di protezione, ma al gruppo diretto da La Barbera, senza alcuna richiesta e autorizzazione da parte della magistratura competente?