Immigrazione

Il Viminale: “Si sono già dileguati 40 migranti sbarcati dalla nave Diciotti”

Ma la Caritas precisa: “Non sono detenuti, si sono allontanati volontariamente. Nessuno vuole rimanere in Italia, si sa”.

Quaranta migranti che erano sbarcati dalla nave Diciotti si sono allontanati, dopo essere stati trasferiti nei centri che avrebbero dovuto ospitarli, e risultano irreperibili. Lo hanno dichiarato fonti del Viminale: “Si sono già dileguati 40 dei 144 immigrati maggiorenni sbarcati dalla Diciotti e affidati alla Cei o al centro di Messina – hanno dichiarato, scrive l’agenzia Dire, i sottosegretari all’Interno, Stefano Candiani e Nicola Molteni – ricordiamo che, per la legge, queste persone hanno libertà di movimento e quindi non sono sottoposte alla sorveglianza dello Stato. Erano così disperate che hanno preferito rinunciare a vitto e alloggio garantiti per andare chissà dove. È L’ennesima prova che chi sbarca in Italia non sempre scappa dalla fame e dalla guerra, nonostante le bugie della sinistra e di chi usa gli immigrati per fare business”.

La Caritas, dal canto suo, tiene a precisare che queste 40 persone non sono fuggite ma si sono allontanate volontariamente: “Si fugge da uno stato di detenzione e non questo il caso, nessuno vuole rimanere in Italia, si sa”, ha dichiarato all’Ansa il direttore di Caritas Italiana, don Francesco Soddu. Tra i migranti di cui si sono perse al momento le tracce ci sono due eritrei che erano attesi a Bologna e quattro persone che erano già arrivate a Frosinone. Il direttore Caritas conferma che si va però “ben oltre” questo numero.

Nel dettaglio, a quanto si apprende, sei si sono allontanati il primo giorno di trasferimento, cioè venerdì 31. A questi si aggiungono 2 eritrei destinati alla Diocesi di Firenze che sono si sono allontanati in data 2 settembre; altri 19 il cui allontanamento è stato riscontrato il 3 settembre, e 13 il cui allontanamento è stato riscontrato ieri e erano destinati a varie Diocesi.

Fonte: HuffingtonPost.it (qui)

Immigrazione, Politica

Migranti, Oim: in Italia mai così pochi arrivi da quasi 5 anni. Salvini: “Volere è potere”.

Il numero di migranti sbarcati in Italia fino alla fine di agosto è il più basso mai registrato nel periodo estivo da quasi cinque anni. È quanto riferisce l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. La Spagna, segnala l’Oim, con il 42% degli arrivi complessivi in Ue fino alla fine di agosto continua a essere il Paese europeo con il maggior numero di sbarchi.

Fonte: tg24com.mediaset.it (qui)

Africa, Globalizzazione, Immigrazione

Migranti. Con il microcredito delle Ong gli africani fuggono in Europa. Ecco il business dei predoni globalisti che condanna l’Africa. E Attali…

Esiste un nesso fra crescita demografica, povertà ed emigrazione? La popolazione africana sta subendo una vera e propria esplosione demografica: mentre, infatti, nel 1960 si attestava intorno ai 300 milioni di abitanti, oggi è di circa 1,2 miliardi e raggiungerà i 2 miliardi e mezzo entro il 2050. L’Africa si trova intrappolata in una spirale nefasta, nota come “trappola malthusiana”, che rende impossibile adeguare l’aumento della produzione e delle risorse alimentari in modo da compensare il forte incremento della domanda legato a una crescita esponenziale della popolazione. L’emigrazione viene percepita dagli africani come unica opportunità per migliorare le proprie condizioni di vita e uscire dallo stato di miseria. Essa in realtà non fa che peggiorare i problemi economici del Continente, che viene privato così della sua forza lavoro più giovane e intraprendente. Il vaso di Pandora delle Ong è molto difficile da scoperchiare, a causa della fitta trama di interessi economici, politici e finanziari. In particolare esiste una grossa Ong, la più grande al mondo ma poco conosciuta dai media, di nome Brac, che svolge attività di “microcredito per l’emigrazione”. Essa è nata ed è particolarmente attiva in Bangladesh, dove ha finanziato l’imponente emigrazione dei cittadini verso altri paesi ma, come dichiara esplicitamente nel suo sito, fornisce prestiti per l’emigrazione (migration loans) anche in altri paesi, in particolare quelli dell’Africa.

Esiste poi la Ong francese Positive Planete (prima Planet Finance), fondata dal francese Jacques Attali – colui che ha scoperto Macron – e dal bengalese Yunus, padre del microcredito, che si prefigge di “combattere la povertà in Africa attraverso lo sviluppo della microfinanza”. Un sodalizio, quello tra finanza, Ong ed emigrazione, molto redditizio e ben occultato. Tutti i paesi che si sono sviluppati l’hanno fatto avviando un piano di sviluppo economico basato sulla protezione dell’industria locale nascente e su politiche pubbliche di tipo keynesiano. Nell’Africa postcoloniale questo non è stato possibile, poiché le forze economiche internazionali hanno imposto il loro modello neoliberista, fatto di massima apertura al commercio estero, liberalizzazioni, privatizzazioni dei servizi pubblici e tagli alla spesa dello Stato. Ciò ha impedito qualsiasi possibilità di sviluppo dell’economia africana. Ogni tentativo in tale direzione è stato represso nel sangue, come nel caso di Lumumba in Congo e di Sankara in Burkina Faso. Questo è esattamente il modus operandi dell’attuale modello unico economico su scala globale: “keynesismo per i ricchi e neoliberismo per i poveri”, utilizzato come strumento di depredazione dei paesi.

Mentre sappiamo molto della storia coloniale, quello che è accaduto in Africa con la decolonizzazione è poco conosciuto ai più e distorto da una narrazione mistificatrice che imputa ai vecchi imperi coloniali la causa dell’attuale e persistente stato di sottosviluppo del Continente Nero. Con la nascita degli Stati indipendenti in Africa, come in gran parte del Terzo Mondo, si stava avviando un percorso di crescita economica e di sviluppo locale. I paesi africani avevano adottato la cosiddetta politica di “industrializzazione per sostituzione”, secondo la quale le merci importate venivano sostituite con la produzione interna per tutelare le economie e le industrie nascenti dalla concorrenza internazionale. Questa politica, in aggiunta al riconoscimento da parte del Gatt del “diritto alla protezione asimmetrica” per i paesi in via di sviluppo (1964), generò in molti paesi dell’Africa subsahariana un periodo di crescita e relativo benessere. Ma le ingerenze esterne non tardarono a farsi sentire da parte dei grandi interessi economici internazionali.

Con lo scoppiare della crisi del debito del Terzo Mondo nel 1982, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale imposero definitivamente le loro politiche macroeconomiche, che non favorivano lo sviluppo locale, non prevedevano alcun investimento nell’economia nazionale, ma incentivavano gli Stati a importare ingenti quantità di beni di consumo e a destinare la propria produzione all’esportazione per il pagamento del debito. Attraverso la previsione di “condizionalità” legate ai prestiti concessi, si venne a realizzare una nuova forma di imperialismo globale, il colonialismo del debito, da cui banche e prestatori di denaro hanno tratto enormi profitti, congiuntamente alle grandi multinazionali, che hanno depredato il Continente del suo ricco patrimonio di risorse naturali, inibendo ogni possibilità di sviluppo economico locale.

La chiusura che incontro è più ideologica che scientifica. Purtroppo non si può parlare di neoliberismo e del fenomeno migratorio senza incorrere in divisioni ideologiche e pregiudizi. Dimostrare che il modello economico imposto dalle grandi istituzioni internazionali in Africa, che è lo stesso a distanza di decenni attuato ora in Italia, sia la causa del suo sottosviluppo lascia sconcertati. Sostenere poi che l’emigrazione non è una soluzione, ma anzi aggrava i problemi del continente africano, arricchendo solo chi specula sulla mercificazione degli esseri umani, suscita contrarietà da parte dei fautori acritici dell’accoglienza illimitata. Rompere dei tabù e dei luoghi comuni non è mai semplice, ma sto riscontrando anche molto interesse e consenso da parte di chi conosce e vive in prima persona la realtà africana. Da parte dei media sapevo, quando ho intrapreso questo percorso, iniziato col mio primo libro sottotitolato “Storia di una bocconiana redenta”, che non sarebbe stato per nulla facile rompere il muro nel mainstream. Tuttavia, l’interesse mostrato nei miei confronti da alcuni programmi televisivi e radiofonici è andato oltre le mie aspettative.

Credo che, seppur con grande difficoltà, ci sia un piccolo spiraglio per chi affronta temi scomodi in modo serio e supportato da evidenze scientifiche. Il Decreto Dignità proposto da Di Maio? L’attuale modello economico è basato sulla precarizzazione del lavoro e, di conseguenza, della vita umana. Il Decreto Dignità ha il grosso merito di riportare al centro il lavoratore e i suoi diritti. Mettere un limite alla durata e al numero di rinnovi dei contratti a termine, aumentare la tutela e l’indennità del lavoratore nei casi di licenziamento, sanzionare le imprese che delocalizzano dopo aver usufruito di aiuti di Stato, nonché avviare una dura lotta alla ludopatia sono tutte misure che operano in questa direzione. Lo Stato in questo modo torna a occuparsi del cittadino e del lavoratore, ripudiando il ruolo di servitore dei mercati e degli interessi transnazionali, come vorrebbe il modello neoliberista universale, perfettamente rappresentato dall’attuale Unione Europea.

(Ilaria Bifarini, dichiarazioni rilasciate a Marina Simeone per l’intervista “I coloni dell’austerity” pubblicata da “Il Pensiero Forte” il 25 luglio 2018. Economista attiva anche sul proprio seguitissimo blog, laureata alla Bocconi, scrittrice di libri coraggiosi e di successo sul neoliberismo, dopo la risonanza ottenuta dal primo lavoro “Neoliberismo e manipolazione di massa (storia di una Bocconiana redenta)”, Ilaria Bifarini ha presentato “I coloni dell’Austerity. Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”).

Immigrazione, Magistratura, Politica, Privatizzazioni

In nome del popolo italiano?

Dimenticare la tragedia di Genova indagando Matteo Salvini non pare una soluzione esattamente democratica.

Scrivendo tempo fa sulla tragedia di Genova, covavamo intimamente il sospetto che tutto il tran-tran mediatico sarebbe presto scomparso in favore di un nuovo spin: troppe le responsabilità emerse dalle macerie fumanti, molteplici i nomi eccellenti e le infime vergogne. Il ponte Morandi, per paradosso, poteva costituire uno spartiacque tra il prima e il dopo, evidenziando le connivenze che per venticinque anni hanno permesso a una banda di maiali di prosperare politicamente svendendo tutto lo svendibile a quattro straccioni bravi solo a leccare i deretani e foraggiare a miliardi di pubblicità la fulgida stampa borghese.

Pensavamo, per pessimistico abito mentale, che contro lo sterco puzzolente del profitto nemmeno quaranta e più morti innocenti potevano nulla. Purtroppo abbiamo avuto ragione. Bastava infatti l’ennesimo fatto di immigrazione per far calare una cappa di silenzio sulle rovine- superare l’omertà della trimurti corsera-repubblica-stampa era già difficile, ma i nostri campioni della penna son sempre pronti a superarsi- e gettare sulla pubblica opinione il delirante affaire Diciotti.

Beninteso, a noi del fatto in sé non importa nulla. La stanchezza supera di molte spanne lo sdegno di vedere le solite anime belle mobilitarsi per un selfie accogliente e solidale, le trite e ritrite polemiche su chi-resta-umano, sul nazismo risorgente e sul fariseismo in servizio permanente effettivo. Insomma, dell’ennesima manifestazione pelosa e meschina di umanismo da salotto volentieri soprassediamo.

Preme invece sottolineare, ricollegandoci a Genova e al neofeudalesimo dei monopoli privati, il triste spettacolo della magistratura, dimostrazione palese di come i rapporti di forza si tramutino sempre in manifestazioni di arbitrio, lontane anni luce dall’alto e purtroppo etereo concetto di giustizia. Ecco allora che un procuratore della Repubblica indagare a furor di stampa un ministro degli Interni per sequestro di persona e arresto illegale, imputandogli capi d’accusa gravi sulla base di valutazioni esclusivamente politiche e non penali. Espressione, quel magistrato, di un sistema giudiziario che dopo 12 giorni dalla strage ligure ancora non ha indagato nessuno, nonostante dati incontrovertibili dimostrino come Benetton e allegra compagnia abbiano puntualmente dimenticato di investire in manutenzione, impegnati com’erano- li si perdoni- a organizzare eleganti grigliate a Cortina e contare a miliardi i profitti di rendita.

Un governo di maggioranza, che trova finalmente origine dal consenso degli italiani, non va bene ai padroni del vapore.

Assistiamo ancora una volta al classico paradosso della “giustizia” borghese, braccio esecutivo del grande capitale privato, per cui è punibile soltanto ciò che va contro un dato sistema di dominio di classe e di sfruttamento dello stato ad usum privatum. Allorché sull’altare dell’euro furono sacrificati milioni di lavoratori dalla piangente Fornero nessuno fiatò, così come non ricordiamo fascicoli aperti per gli evidenti legami di una certa parte politica con nazioni straniere- di converso sui belfagorici troll del Cremlino abbiamo avuto indagini degne di Montalbano-, e via discorrendo potendo citare migliaia di casi in cui l’apparato giudiziario “non vide e non volle vedere”. Niente di sorprendente, per chi ritiene ancora le istituzioni politico-sociali una espressione dei rapporti di forza economici. Né, si badi, vogliamo fare di tutta l’erba un fascio: coraggiosi esempi di dignità civile ci sono stati e ci sono, basti pensare al procuratore Zuccaro aggredito quasi fosse un millantatore o alla procura di Trani in grado di denunciare la speculazione finanziaria propedeutica al golpe del 2011.

Due esempi controcorrente, non a caso impallinati da certa stampa, che ricordano ancora la funzione di garanzia democratica della magistratura. E il fattore-informazione e il fattore-giustizia, infatti, sono sempre parte di quel problema titanico che è la tenuta delle istituzioni democratiche di fronte all’assalto del capitalismo finanziario. Se, occorre ricordarlo, la democrazia o è sociale secondo Costituzione o non è, la difesa della stessa dovrebbe ribadire colpo su colpo alle offese provocate dai monopoli padronali, dall’invadenza oppressiva di istituzioni sovrannazionali, da tentativi infami di utilizzare poveri disperati come piede di porco per deprimere ancora il tenore di vita e i diritti sociali degli italiani. La giustizia, insomma, dovrebbe essere al servizio del popolo italiano agendo in nomine suo contro chiunque attenti alla sua libertà e ai suoi sacrosanti diritti civili e sociali.

Senza un tale vincolo di fiducia, quando anzi il rapporto si ribalta in favore di potentati privati, gauleiter europei e parti politiche totalmente sfiduciate dagli elettori, tutto diventa possibile, financo l’arbitrio più sfacciato di fronte al quale anche la pazienza del santo, presto o tardi, si consuma per divenire rabbia sacrosanta, risposta proletaria a chi piega tutto, perfino la lettera della legge, all’insaziabilità dell’oro.

Fonte: lintellettualedissidente.it Articolo di A.Romani 26 agosto 2018 (qui)

Europa, Immigrazione, Politica

Conte: A Bruxelles violato lo spirito di solidarietà dei Trattati. L’Italia non aderirà al Bilancio Ue in discussione.

“Come già annunciato dal ministro Salvini, i migranti ancora a bordo della nave Diciotti sbarcheranno nelle prossime ore. Ringraziamo l’Albania, l’Irlanda e la Cei per avere aderito all’invito a partecipare alla redistribuzione. Ne accoglieranno rispettivamente 20, 20 e 100.

Vogliamo rassicurare coloro che hanno espresso preoccupazione per le loro condizioni: abbiamo prestato loro continua assistenza sanitaria e fornito tutto il vitto necessario. Ricordo che siamo intervenuti a soccorrere il barcone nonostante questo navigasse in acque Sar maltesi e sia stata Malta a rivendicare per prima il coordinamento delle operazioni di salvataggio il 15 agosto scorso. Abbiamo assicurato l’immediato trasbordo a terra di 13 persone che versavano in condizioni critiche. Successivamente abbiamo assicurato lo sbarco di 17 minorenni non accompagnati. Oggi 11 donne e 6 uomini sono stati fatti sbarcare a seguito di ulteriori visite mediche.

Questo Governo esprime una politica sull’immigrazione rigorosa e coerente, ma non abbandona a se stesse persone che sono in pericolo di vita o comunque versano in condizioni critiche.

I numeri ci danno ragione. Gli sbarchi sono diminuiti dell’85%, se compariamo questo periodo di Governo con il medesimo lasso temporale dell’anno precedente.

Con questo Governo il Mediterraneo non è più il cimitero dei migranti senza nome. Le politiche dei governi precedenti non hanno impedito che circa 34.000 migranti trovassero la morte negli ultimi 15 anni.

Una politica rigorosa non solo vale a contrastare i traffici illeciti e le tratte “disumane” ma consente di evitare un così inaccettabile numero di vittime in mare.

L’incontro che si è svolto ieri a Bruxelles, in tema di immigrazione, e che si è concluso con un nulla di fatto, non è una sconfitta dell’Italia, come qualcuno superficialmente ha scritto. E’ una sconfitta dell’Europa. Non attesta solo un arretramento rispetto alle Conclusioni che tutti e ventotto i Paesi membri hanno liberamente sottoscritto nel corso del Consiglio Europeo dello scorso giugno. Attesta una palese violazione dello “spirito di solidarietà” che anima i Trattati e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Questo Governo si è presentato in Europa con le carte in regola. Come pure richiesto da molti Paesi membri, questo Governo sta perseguendo una politica sull’immigrazione ben più rigorosa rispetto al passato, in modo da evitare che le coste italiane costituiscano l’approdo indiscriminato dei migranti e, quindi, fattore di stimolo per i traffici illegali e in modo da evitare che i migranti possano ricollocarsi liberamente negli altri Paesi europei.

Questo Governo, inoltre, ha offerto un significativo contributo al fine di elaborare e pervenire a un serio progetto di politica europea – complesso, articolato, multilivello – in materia di migrazioni. Le Conclusioni condivise a fine giugno hanno costituito un buon compromesso tra le varie istanze dei Paesi membri, con la raggiunta consapevolezza della necessità di superare l’attuale regolamento di Dublino.

Nonostante questo, l’Italia deve prendere atto che lo “spirito di solidarietà” stenta a tradursi in atti concreti.

Ho scritto ieri che ne avremmo tratto le conseguenze. Chiarisco meglio: siamo al lavoro per porre una riserva all’adesione dell’Italia al piano finanziario pluriennale in corso di discussione. A queste condizioni, l’Italia non ritiene possibile esprimere adesione a un bilancio di previsione che sottende una politica così incoerente sul piano sociale. E’ questo il nostro contributo per far crescere l’Europa. Non possiamo accontentarci di uno spazio comune di mercato, di un’aggregazione di Paesi che si ritrovano sulla base di meri interessi economici.

Abbiamo dell’Europa una concezione più elevata. Siamo un Paese fondatore e anche per questo avvertiamo una maggiore responsabilità. Vogliamo che a tutti gli sforzi sin qui compiuti per edificare questo complesso edificio europeo sia offerta un’adeguata prospettiva di sviluppo, che possa esprimersi anche sul versante dei rapporti sociali.”

Fonte: Comunicato stampa del Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte (qui)

Esteri, Immigrazione, Politica

Migranti, respinti in Marocco i 116 che erano riusciti a entrare in Spagna a Ceuta.

Se in Italia c’è chi ipotizza il reato di sequestro di persona per i migranti sulla Diciotti, a Ceuta il governo di Madrid ha rinviato in Marocco un gruppo di 116 migranti che avevano fatto due giorni fa irruzione nell’enclave spagnola. I migranti, come confermato dal ministero dell’Interno, sono stati rimandati indietro nel paese nordafricano a gruppi di dieci in virtù di un accordo bilaterale firmato nel 1992. Enclave spagnola sulla costa marocchina, Ceuta è una meta prescelta da molti migranti che cercano di superare la barriera del confine per poi poter entrare nel territorio dell’Unione Europea. L’altro giorno ci hanno provato in 300 e in 116 sono riusciti ad anadare oltre la barriera di filo spinato alta sette metri che divide l’enclave spagnola dal territorio marocchino, l’Europa dall’Africa.

L’assalto dei migranti subsahariani era iniziato verso le nove. Le persone si sono arrampicate sulla rete, qualcuno l’ha tagliata con le cesoie, hanno gettato acido, escrementi, calce viva contro i pochi poliziotti di pattuglia e poi, una volta in territorio spagnolo, si sono inginocchiati in un gesto liberatorio. Qualcuno si è avvolto nella bandiera azzurra con le stelle dell’Europa che aveva portato con sé. Sette agenti e alcuni migranti sono rimasti feriti, secondo fonti dell’Associazione Unificata della Guardia Civil citate dal quotidiano El Pais. Quello dell’altro giorno è stato il secondo massiccio assalto all’enclave di Ceuta in meno di un mese. Il 26 luglio, dopo violenti scontri con la polizia, sono riusciti in 602 a sfondare la barriera nello stesso punto, Finca Berrocal, dove diverse curve nel percorso della rete creano angoli morti che complicano il controllo delle telecamere di sicurezza. E il Centro di prima accoglienza, che ha 512 posti, ospita oltre 1200 persone.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)