Altaitalia, Mafia

Al Nord la metà dei finanziamenti mafiosi: un euro riciclato su cinque in Lombardia. Nessun territorio è immune.

Il riciclaggio dei proventi illeciti si concentra al Nord. La potenza dell’impresa mafiosa è sempre più forte. È la traccia della relazione Dia del primo semestre 2018, pubblicata oggi, con un’analisi ancora più dettagliata del solito. Il documento della Direzione investigativa antimafia, presentato in Parlamento dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, riconfigura le sfaccettature della criminalità organizzata e dà piena luce alle minacce oggi così come sono: azioni e infiltrazioni nel mercato, nella società, tra le istituzioni. Le tendenze mafiose si consolidano, si sviluppano, si allargano. La forza e il potere dei boss non arretrano nonostante i continui successi di polizia giudiziaria. L’imprenditoria criminale recluta a mani basse forza lavoro giovane soprattutto al Sud: è una nuova questione meridionale.

La mappa delle operazioni finanziarie sospette
Nel primo semestre 2018 gli agenti della Dia, guidata dal generale dell’Arma dei Carabinieri Giuseppe Governale, hanno analizzato 48.658 segnalazioni di operazioni di presunto riciclaggio. Di conseguenza, sono stati esaminati 229.037 soggetti, di cui 156.177 persone fisiche e 72.860 persone giuridiche. La selezione ha prodotto 5.826 segnalazioni, di specifico carattere mafioso o con la presenza dei cosiddetti reati spia come impieghi di denaro, estorsione, usura. I numeri sono imponenti, la geografia ancor più eloquente: quasi la metà del riciclaggio è al Nord (25.963 operazioni, il 46,37% del totale), in Lombardia il 20,87% di tutt’Italia: un euro riciclato su cinque, dunque, circola nelle province lombarde. Al secondo posto la Campania (16,58%) seguita da Lazio (11,33%) ed Emilia Romagna (8,82%).

Fuga dei cervelli nelle imprese mafiose
Gli analisti della Dia – struttura interforze con eccellenze dell’Arma, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza e diretta dipendenza dal prefetto Franco Gabrielli, capo del dipartimento di Pubblica sicurezza– hanno svolto un focus specifico su una tendenza molto preoccupante: l’aumento progressivo delle giovani leve nella criminalità organizzata. Negli ultimi cinque anni non solo si sono registrati casi di mafiosi con un’età tra i 14 e i 18 anni, ma gli appartenenti alle cosche tra i 18 e i 40 anni hanno raggiunto numeri quasi uguali a quelli della fascia tra i 40 e i 65 anni e, in un caso, lo hanno anche superato. Nel 2015, infatti, i denunciati e gli arrestati per 416 bis sono stati 5.437 di cui 2.792 tra i 18 e i 40 anni e 2.654 tra i 45 e i 60. «Una trasformazione della cultura mafiosa – dice la Dia – che investe anche il linguaggio, al passo con i tempi. Non tanto rispetto ai contenuti delle comunicazioni, sempre criptiche, imperative e cariche di violenza, quanto piuttosto per gli strumenti social utilizzati, che consentono di aggregare velocemente gli affiliati al sodalizio e, allo stesso tempo, di rendere più difficoltosa l’intercettazione dei messaggi».

A Roma “Mafia capitale” oggi è ‘ndrangheta
Un altro dossier speciale è stato riservato dalla Dia alla capitale. Cosa Nostra si fonda «su un’azione tesa all’infiltrazione dell’economia e della finanza e al condizionamento della pubblica amministrazione (funzionale soprattutto al controllo dei pubblici appalti), grazie a una forte capacità relazionale» scrivono gli analisti guidati dal generale Governale. Ma la minaccia più insidiosa si annida tra le cosche calabresi: emerge «uno spaccato importante della capacità della ‘ndrangheta di infiltrarsi, dissimulando le proprie tracce, nel territorio romano». Tanto che è «difficile – ammette la Dia – tracciare una mappatura esatta della presenza sul territorio della Capitale». Economia romana sommersa criminale.

Fonte: Il Sole 24 Ore (qui) Articolo di M. Ludovico del 13 febbraio 2019.

Mafia, Politica

‘Ndrangheta, 24 arresti a Lamezia Terme. L’ex sottosegretario Giuseppe Galati ai domiciliari.

Dodici indagati sono finiti in carcere e altri dodici agli arresti domiciliari. Nell’inchiesta, coordinata dal procuratore Nicola Gratteri e dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla, sono coinvolti anche funzionari pubblici legati al mondo della sanità. Sequestrati dieci milioni di euro. I clan conoscevano in anticipo quali pazienti stavano per morire e imponevano i loro servizi di onoranze funebri.

“Oh! Grande compare mio, ma poi sei andato a Catanzaro? Non mi hai fatto sapere niente”. “No, io poi ti avevo chiamato ed ero andato a Catanzaro… si sono andato, ci ho parlato”. “Tutto a posto, si!”. “Diciamo di si”. A parlare sono l’ex deputato di centrodestraGiuseppe “Pino” Galati e il consigliere comunale di Lamezia Terme, Luigi Muraca. La guardia di finanza li ha intercettati entrambi. Galati e Muraca, infatti, sono due delle 24 persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro.

Nelle carte dell’operazione “Quinta Bolgia” vengono definiti gli intermediari grazie ai quali le aziende legate alle cosche avevano il monopolio di molti servizi all’interno dell’ospedale di Lamezia Terme. A partire da quello delle ambulanze sostitutive al servizio pubblico, ma anche delle imprese che si occupavano delle onoranze funebri, della fornitura di materiale sanitario e del trasporto sangue.

Dentro l’ospedale di Lamezia potevano lavorare solo aziende legate alla cosca Iannazzo-Daponte-Cannizzaro, riconducibili alla famiglia mafiosa Giampà, che tramite i due politici erano riusciti ad ottenere l’appalto delle ambulanze nel 2010. Un appalto per un anno che, però, senza alcun bando pubblico, è stato prorogato fino al 2017.

Tutto grazie al politico locale Luigi Muraca, consigliere comunale fino allo scioglimento per mafia avvenuto l’anno scorso, e all’ex deputato Pino Galati, parlamentare dal 1996 al 2018: candidato con la lista Noi con l’Italia al Senato, alle ultime politiche non è stato rieletto. Nella sua carriera, Galati ha ricoperto anche incarichi di governo: è stato, infatti, più volte sottosegretario quando a Palazzo Chigi sedeva Silvio Berlusconi e segretario dell’ufficio di presidente della Camera dei Deputati. Nel 2010, inoltre, è stato vicepresidente della Commissione per le questioni economiche e dello sviluppo del Consiglio d’Europa oltre che sottosegretarioall’Istruzione.

Condotta dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza di Catanzaro e dallo Scico di Roma, l’indagine ha dimostrato come l’ospedale di Lamezia era di fatto occupato militarmente dalla ‘ndrangheta attraverso i gruppi Putrino e Rocca, veri e propri mattatori di appalti. Per l’accusa agivano sotto l’egida di Vincenzo Torcasio, boss dei Giampà, che in un’intercettazione conferma tutti i sospetti della procura: “Compà – dice inconsapevole di essere intercettato – Pugliese, il direttore amministrativo di Catanzaro, lo abbiamo messo noi”. Con lui c’era il consigliere Luigi Muraca e l’imprenditore Pietro Putrino che ribatte: “Ce l’ha messo Galati”. “E non lo so?” Se ce l’ha messo Pino?” “Ci chiami e gli dici che vado io domani”. “Gli dico: ‘deve andare lo zio Pietro là che deve parlare con Pugliese”. Secca la risposta del boss: “E si deve risolvere questo problema”.

Il problema alla fine è stato risolto. Come scrive la guardia di finanza: “Il gruppo Putrino ha continuato ad operare all’interno dell’ospedale di Lamezia Terme in assenza di una gara formale”. Nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip scrive che “i due personaggi ‘politici’ sono il necessario trait d’union tra i Putrino e gli esponenti apicali dell’Asp di Catanzaro, senza il cui interessamento non sarebbe stato possibile ottenere gli illeciti vantaggi”.

Ai domiciliari sono finiti anche l’ex direttore generale del’Asp Giuseppe Perri, l’ex direttore amministrativo Giuseppe Pugliese e il responsabile del Suem 118 Elieseo Ciccone. Tutti sono accusati di numerosi episodi di abuso d’ufficio. L’intreccio tra ‘ndranghetae sanità pubblica ha danneggiato soprattutto gli utenti dell’ospedale di Lamezia Terme dove venivano utilizzate ambulanze fatiscenti che non avevano nemmeno i requisiti tecnici per circolare. Alcuni mezzi, infatti, erano senza freni e con i motori danneggiati. Per non parlare dell’ossigeno scaduto che veniva somministrato ai malati soccorsi da personale non autorizzato e senza alcuna preparazione medica.

Grazie ad accordi corruttivi con i tre dirigenti dell’Asp catanzarese, il sodalizio criminale aveva ottenuto le certificazioni di qualità richieste per l’affidamento del servizio autoambulanze sulla base di una semplice verifica documentale, senza le necessarie operazioni di riscontro fisico dello stato dei mezzi, delle dotazioni e delle strutture aziendali. I due gruppi imprenditoriali avevano instaurato un regime di sottomissione del personale medico e paramedico. Basta pensare che le chiavi di alcuni reparti erano custodite dalle ditte mafiose e non dai medici che dovevano lavorare in quei reparti.

Per esempio, le ditte Putrino e Rocca avevano libero accesso al deposito farmaci dedicato alle urgenze del pronto soccorso, situazione questa ben nota alla dirigenza dell’azienda sanitaria. Le imprese della ‘ndrangheta, inoltre, avevano le password per accedere ai dati sensibili dei pazienti e verificare le loro condizioni di salute. Questo serviva alle imprese del clan di conoscere in anticipo quali pazienti stavano per morire in modo da poter imporre i loro servizi di onoranze funebri.

Nel corso della conferenza stampa, il procuratore Nicola Gratteriha spiegato il coinvolgimento dell’ex parlamentare Pino Galati: “Durante le indagini abbiano ricostruito diversi incontri tra il politico e gli altri arrestati. A un certo punto si accorge di essere pedinato e a Roma denuncia che ha paura per la sua vita e quindi chiede di sapere cosa sta accadendo. Si è accorto che l’indagine la stava conducendo la guardia di finanza”. “Dall’inchiesta emerge un quadro inquietante. Si esercitavano le funzioni pubbliche in modo corrispondente agli interessi privati”, ha dichiarato il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla. “C’erano servizi – ha sottolineato il generale Alessandro Barbera, comandante dello Scico – che venivano eseguiti in maniera indegna di un paese civile”.

Sulle ambulanze fatiscenti, Gratteri non vuole sentire alibi: “Era una questione di calcolo. Loro sapevano che non avevano concorrenti quindi potevano usare anche un calesse. Questa  è un’indagine che ci lascia più tristi del solito. Pensare che c’è gente spregiudicata che vive nell’agiatezza lucrando sui morti, sui funerali. C’era una sorta di racket. Imponevano la propria agenzia con il coinvolgimento di impiegati dell’ospedale che sostanzialmente regolamentavano anche i tempi di consegna del cadavere per dare tempo a queste agenzie di imporre il loro carro funebre. Questo è abbastanza triste e agghiacciante. Quando parliamo dei vertici dell’Asp, sono funzionari che non agiscono per stato di necessità. Hanno uno stipendio che gli consentiva di vivere bene e non c’è nessuna giustificazione per poter aderire a richieste seppur di gente mafiosa o borderline”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)