Crescita, Economia, Politica

Manovra, serve shock fiscale. Artom: “Deficit su al 3,4%, flat tax e cuneo da 17 miliardi”

La proposta rivoluzionaria di Arturo Artom, imprenditore considerato vicino a Casaleggio e tra i fondatori di Confapri.Ecco come affrontare la querelle con l’Ue.

“E’ una provocazione ma molto concreta. Non si può affrontare un 2019 con una procedura d’infrazione aperta, una spada di Damocle mentre il governo è soggetto a uno stillicidio continuo di notizie negative, anche riguardo ai rapporti fra governo e Commissione europea. Quindi o si chiude l’argomento prima dell’Ecofin del 22 gennaio, cedendo qualche cosa a Bruxelles dal punto di vista della manovra ed evitando la procedura oppure, a infrazione ormai avviata, il governo potrebbe mettere in cantiere un punto aggiuntivo di deficit/Pil (dal 2,4 al 3,4%, ndr) da impiegare per far partire subito, oltre al reddito di cittadinanza e il superamento della riforma Fornero, anche la flat tax alle imprese. E non soltato quella alle partite Iva”.

Lo spiega  Arturo Artom, imprenditore considerato vicino a Davide Casaleggio e tra i fondatori di Confapri (Confederazione delle attività produttive), intervistato da Affaritaliani.it per entrare nel dettaglio della sua proposta rivoluzionaria su come affrontare il delicato momento dello scontro fra l’Italia e Bruxelles. Una querelle che non sta aiutando l’economia italiana in “pesante rallentamento” (“il dato sul Pil del quarto trimestre sarà negativo“, dice) e che rischia di far peggiorare ulteriormente la situazione. “Anticipare gli interventi del programma di governo sulle imprese, come anche l’abbattimento del cuneo fiscale, interventi che la Lega voleva invece spalmare – aggiunge l’imprenditore grillino – consentirebbe al Paese di far ripartire subito anche gli investimenti privati“.

Un punto aggiuntivo di deficit/Pil, che arriverebbe così al 3,4%, rispetto al 2,4 fissato dall’esecutivo, sono circa 17-18 miliardi…
“Sì, dote da ripartire così: 7-8 miliardi per aumentare notevolmente la platea delle Pmi coinvolta nella flat tax e altri 9 per abbassare le altre componenti del cuneo fiscale e dell’Irap. Misure che darebbero un segnale di fiducia alle imprese che, spaventate per l’incertezza che regna attorno al Paese, stanno bloccando e ritardando gli investimenti. Oltretutto, l’Italia andrebbe a vincere la sfida sui mercati. Si tratta infatti di misure che gli investitori vogliono veder introdurre”.

Quindi, secondo lei, poi lo spread Btp-Bund si abbasserebbe?
“Sì, i mercati adorano gli shock fiscali espansivi: il differenziale fra i nostri titoli di Stato decenali e quelli tedeschi si è ridotto l’altro giorno subito dopo che la Commissione europea ha annunciato la bocciatura definitiva del documento programmatico di bilancio italiano, aprendo la strada alla procedura d’infrazione nei confronti del nostro Paese. Ciò significa che la vera sfida dell’Italia è con i mercati. A questo punto, è sbagliato andare ad ingaggiare una trattativa con Bruxelles, elemosinando ammontare e i tempi, da allungare, della comminazione delle sanzioni a procedura aperta a fronte di una rimodulazione delle misure economiche. E’ una strategia fallimentare. Un’autentica follia”.

Perché?
“Mantiene il clima d’incertezza sul fronte dei conti pubblici e nell’economia del nostro Paese. Se procedura d’infrazione sarà, è meglio anticipare alcune misure economiche del programma di governo facendo più deficit, scelta di politica economica espansiva, come il taglio delle tasse e maggiori investimenti. Misure che verrebbero apprezzate dai mercati e che consentirebbero all’Italia di vincere la sfida con l’Europa, neutralizzando dal punto di vista dello spread la procedura d’infrazione. La politica punitiva di Bruxelles verrebbe così depotenziata e l’Italia riuscirebbe a rilanciare fortemente la crescita in un clima di grande entusiasmo e di positività. L’alternativa è cedere qualcosa all’Ue, ma senza far scattare formalmente il 22 gennaio la procedura comunitaria”.

La sua proposta parte dal fatto che il clima economico del Paese si sta deteriorando…
“Sì, i dati che ho a disposizione sono molto brutti: nel comparto di produzione delle viti, settore che è a monte di ogni filiera, il calo si aggira nell’ordine del 15-20%, il retail fa -10% rispetto al novembre scorso e le richieste di mutui e prestiti sono sotto di una percentuale compresa fra il -5 e il -10. Nel quarto trimestre andremo incontro a una crescita negativa. Quindi, avremo un segno meno davanti al Pil, dopo la crescita zero del terzo trimestre. Annacquare politiche giuste come il reddito di cittadinanza – misure che, facendo emergere il lavoro nero, funzionano solo se c’è la crescita nel Paese – da giocare come merce di scambio per un annacquamento della procedura d’infrazione, fa sì che l’Italia alla fine rimanga cornuta e mazziata. Il motivo? Alla fine non cresce e, in più, si ritrova sul capo sanzioni contabili”.

Di chi è la colpa di questo deterioramento del clima di fiducia attorno all’Italia?
“La colpa principale ce l’ha la Commissione europea che ha deciso di far politica su di noi, andando contro quello che dovrebbe essere lo spirito dell’Ue. Si sta effettuando una battaglia, alzando la tensione, per uno 0,5% di deficit/Pil in più. Se fossimo rimasti all’1,9% non sarebbe successo niente. Ricordo che dal 2012 fino 2015, in soli tre anni, il rapporto debito/Pil è salito dal 116% al 132%, per rimanere poi stabile fino ad ora. E’ stato l’effetto di politiche di austerità imposte dall’Ue. Ora, Bruxelles si sta comportando come se avessimo portato il rapporto deficit/Pil al 5%, mentre lo abbiamo aumentato soltanto di uno 0,5%”.

Come laboratorio politico governativo, rappresentiamo un’assoluta novità in Europa. Per certi versi com’è stata la Grecia di Alexis Tsipras del 2012, in cui la sinistra radicale anti-establishment di Syriza rappresentava, al governo, un’autentica minaccia all’ordoliberismo tedesco e all’austerity comunitaria. Sappiamo com’è andata a finire. Può essere che ora Bruxelles abbia voluto prendere una posizione forte nei confronti di una nuova minaccia, quella del sovranismo nascente?
“Sì, l’Italia e la compagine governativa sono un laboratorio politico che in termini storici ha già cambiato l’Unione europea, facendo scattare, a breve, la procedura d’infrazione. Stiamo entrando in un campo inesplorato anche per la Commissione che sta cercando di usare i mercati come martello per bastonare le forze che adottano un approccio sovranista nei confronti di Bruxelles. Ma lo spread resta stabile a quota 300. Significa che l’esecutivo comunitario non ha assolutamente vinto”.

In tutto questo, il M5S denuncia anche un fuoco di fila mediatico…
“E’ indubbio che il governo Conte non ha avuto l’appoggio dei media, che amplificano il newsflow negativo. Ma non si tratta di un fattore determinante nel deterioramento del clima di fiducia generale. A questo punto, la chiave è da ricercare fuori dall’Italia. Lo scontro del Paese con l’Ue dev’essere risolto o in un modo o nell’altro”.

Assieme a Gianroberto Casaleggio, lei è stato uno degli ideatori della necessità d’istituire il reddito di cittadinanza. Negli ultimi giorni sono emerse delle perplessità sull’attuazione della misura anche fra alcuni esponenti del governo. Conferma la road-map per marzo?
“Ne sono convinto. La chiave, soprattutto al Sud, sarà quella della riforma dei centri per l’impiego che al momento bruciano 500 milioni con 8 mila addetti che sono allo sbando. Poi sarà necessario aprire un tavolo fra le Regioni per far sì che i sistemi informativi si parlino e per creare un reale coordinamento, spostare poi l’intermediazione dei centri per l’impiego dal 3% delle offerte al 10% e far ritornare del cricolo virtuoso del lavoro in bianco”.

Ma le offerte di lavoro arriveranno? Alla fine, il reddito di cittadinanza, che punta a formare i dicoccupati, si basa su questo…
“Tutto funziona se c’è la crescita economica. Ecco perché c’è bisogno di rimetterla in moto”.

Fonte: affariitaliani.it (qui)
Economia, Legge di Bilancio, Politica

Salvini rifletti: l’economia sta entrando in recessione e c’è il rischio che la manovra si riveli inadeguata. (di Becchi e Zibordi)

Ogni giorno che passa – bisogna pur dirlo – diminuisce la fiducia di imprenditori e dirigenti, operatori finanziari, artigiani, professionisti e investitori nel M5S. I sondaggi continuano a essere favorevoli più per la Lega che per il M5S, ma comunque – anche questo va detto – danno a entrambi sempre più del 60% del consenso, un consenso di cui pochi governi negli ultimi decenni hanno mai goduto.

Esiste però un altro tipo di consenso, quello del mondo economico, finanziario e imprenditoriale: questo è sempre più debole. Lo si vede dalla frana della Borsa e dei Btp (complessivamente da inizio anno chi avesse avuto 100milain Btp e azioni italiane avrebbe perso 17mila euro), dagli indici di fiducia delle imprese, in caduta brusca.

Dal punto di vista macroeconomico il dato drammatico è il taglio del credito, il bollettino di Bankitalia mostra che il «credito a residenti» (cioè imprese e famiglie) si è ridotto di 80 miliardi, da 2.400 a 2.320 miliardi da marzo. Le stime sulla crescita del Pil nel 2019 vengono riviste in basso quasi ogni settimana e mentre il governo parla di crescita intorno al 1,5% questa settimana la più importante banca americana, JP Morgan, ha drasticamente rivisto la previsione per l’Italia da 1,50% a 0,5%. Possono ovviamente sbagliare

Passando a dati più qualitativi, anche la manifestazione di Torino pro-Tav è il sintomo dell’opposizione crescente dei ceti professionali e imprenditoriali al M5S. Molta di questa gente al Nord votala nuova Lega di Salvini, ma ogni settimana che passa è sempre più sfiduciata riguardo la gestione della nostra economia. In termini economici in sei mesi il governo ha fatto pochino. La riduzione di tasse, «flat» o meno, è in pratica limitata alle «partite Iva» e le pensioni a 62 anni (revisione della “Fornero”) e il reddito di cittadinanza sono tuttora avvolte nel mistero su come e quando arriveranno.

Il deficit previsto dalla manovra è in realtà modesto, un 2,4% del Pil esattamente come accadeva sotto Renzi, ma nelle mani di Di Maio, Salvini, Conte e Tria è diventato un casus belli con la Ue e ha mosso i mercati (in basso). Le gaffe nei discorsi e dichiarazioni sono irrilevanti, se si guarda alle decisioni prese però non si può non constatare il caos della gestione del crollo del Ponte Morandi a Genova, il tentativo di cancellare la prescrizione, che Salvini ha cercato intelligentemente di parare, una finanziaria del 2,4% di deficit, rivolto però in prevalenza a pensioni e reddito per chi non lavora. Tutte cose che sono importanti, ma di poco aiuto per imprenditori, artigiani, professionisti.

Da parte degli avversari del governo, l’opinione che comincia a farsi strada è che conviene lasciare cucinare il governo nel suo brodo: l’economia andrà in recessione e il 60% e rotti di consenso di cui gode svanirà sotto il peso di una nuova crisi economica. Questo rischio è concreto perché, come abbiamo scritto su questo giornale, la congiuntura globale sta rallentando bruscamente, la Bce finisce (salvo ripensamenti) da dicembre di stampare moneta per comprare debito e i sintomi di recessione in Italia aumentano di giorno in giorno, anche a causa del calo della fiducia delle imprese.

Salvini dovrebbe riflettere sul fatto che il problema non è il deficit in sé, ma lo diventa se viene usato solo per pensionare dipendenti pubblici, pagare redditi a chi non lavora, lasciando poi cheilM5S renda più complicatala vita alle imprese e faccia, grazie a Toninelli, un gran casino nei lavori pubblici. Se la congiuntura economica fosse ancora favorevole Salvini potrebbe aspettare aumentando ancora i consensi per la Lega. Ma stiamo andando in recessione e gli italiani che fanno buste paga, producono fatturati e investono sono sempre più pessimisti. La Lega dovrebbe allora differenziarsi proponendo per il futuro qualcosa che vada oltre la legge di bilancio e che inverta il trend del pessimismo dei ceti produttivi. Che cosa si può fare lo scriveremo nel prossimo articolo.

Fonte: liberoquotidiano.it (qui) – Articolo di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi

Europa vs Stati, Politica

“Mercanti di tappeti”, “Non siamo accattoni”. È scontro tra Moscovici e Salvini. E poi “spegne” il dialogo: “Bruxelles ha rotto le scatole”

Conte prova a mediare ma il Commissario Ue insite: “Non sono Babbo Natale”. Il ministro: “Basta insulti: pazienza finita”.

Continua lo scontro a distanza tra Pierre Moscovici e Matteo Salvini. Uno scontro fatto di accuse e dichiarazioni al vetriolo, con la manovra italiana sullo sfondo.

E se Conte, Tria e Di Maio sembrano essere pronti ad aprire una finestra di dialogo con l’Europa dopo la bocciatura della manovra, il ministro dell’Interno pare continuare a tenere alto lo scontro.

Da Uno Mattina il segretario del Carroccio aveva già replicato a Moscovici, mantenendo tuttavia toni abbastanza pacati. “Mi dicono dall’Europa che non posso smontare la Fornero? Io porto rispetto ma viene prima il diritto al lavoro e alla pensione degli italiani – aveva spiegato – L’unica cosa che l’Europa non può chiedermi è di lasciare immutata la legge Fornero, ho visto quanta sofferenza ha causato agli italiani”. Davanti alle telecamere il ministro dell’Interno aveva assicurato di non voler “litigare con nessuno”, ma se deve scegliere “tra Bruxelles e gli italiani la scelta è facile”. “Chiedo rispetto per il popolo italiano, che dà ogni anno 5 miliardi a Bruxelles – aveva chiosato il leghista – Sulle manovre del passato non hanno avuto nulla da eccepire e il debito è aumentato di 300 miliardi”.

Ma i toni tutto sommato “pacati” della mattina si sono trasformati in scontro a viso aperto nel primo pomeriggio. A far scattare la reazione del ministro dell’Interno è la frase pronunciata da Moscovici e riportata dal Corriere della Sera. Mentre Conte continuava a ripetere che “siamo responsabili” e che non c’è alcuna “ribellione” dell’Italia a Bruxelles, da Moscovici (che però continua a parlare di “dialogo”) arrivava una netta chiusura a “trattative” con Roma: “Con l’Italia possiamo avere un accordo sulle regole, avvicinarci a queste regole, ma non può esserci una trattativa da mercanti di tappeti”, ha affermato al Parlamento francese. “Ho evocato il rischio italiano come un rischio per la crescita, per la coesione della zona euro, per il paese stesso. Con una volontà politica assoluta della Commissione, a partire da me stesso, di non provocare, di non accettare una crisi tra Roma e Bruxelles. Abbiamo bisogno dell’Italia per quello che è, un paese fondatore della comunità europea e cuore della zona euro”.

Dura la replica di Salvini: “Il popolo italiano non è un popolo di mercanti di tappeti o di accattoni. Moscovici continua a insultare l’Italia, ma il suo stipendio è pagato anche dagli italiani. Ora basta: la pazienza è finita”.

Fonte: ilgiornale.it (qui)

Affari, Giustizia, Politica, Stampa

Chiusa l’indagine su Roberto Napoletano, ex direttore del Sole 24 ore: “Alterò il prezzo del titolo in Borsa”

Indagati anche l’ex a.d. Treu e l’ex presidente del cda Benedini. Nel mirino le notizie che riguardavano: “Andamento del dato diffusionale del quotidiano e i ricavi”.

Roberto Napolitano, ex direttore de Il Sole 24 ore, è indagato per false comunicazioni sociali nell’ambito dell’inchiesta sui conti del gruppo editoriale. La procura di Milano gli ha notificato un avviso di chiusura delle indagini. Oltre all’ex direttore sono indagati per lo stesso reato l’ex amministratore delegato del gruppo Donatella Treu e l’ex presidente del cda Benito Benedini. Contro tutti e tre anche l’accusa di manipolazione del mercato.

Per i pm i tre indagati diffondevano notizie false sulla situazione economica e finanziaria del ‘Sole 24 Ore spa’ idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo del titolo, quotato alla Borsa Italiana”. Queste notizie, si legge nell’avviso di chiusura delle indagini, avevano come oggetto “in particolare l’andamento del dato diffusionale del quotidiano e i correlativi ricavi”.

Stralciata la posizione di altri sette indagati accusati di appropriazione indebita. Per loro si profila una richiesta di archiviazione.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

Europa vs Stati, Politica

Brexit, Farage: “L’Unione Europea si comporta come la Mafia con la Gran Bretagna”.

Era il 5 Aprile 2017. Al Parlamento Europeo si discute di Brexit e il leader dell’Ukip Nigel Farage attacca l’Unione Europea: “Con il Regno Unito si sta comportando come la mafia”, ha detto prima di essere interrotto dalle proteste di altri deputati presenti in Aula. A intervenire per riportare la calma il Presidente del Parlamento UE Antonio Tajani, che rivolgendosi a Farage ha detto: “Le sto garantendo di parlare liberamente, ma non posso accettare che si paragoni l’Unione Europea alla mafia“. Pronta la replica del leader Ukip: “Presidente, so che quando si parla di criminali ci sono sensibilità particolari”.

Europa vs Stati, Politica

Manovra, Conte: “Raccomandazioni Ue sono incompatibili con la crescita”

“Non abbiamo accolto le raccomandazioni” della Commissione europea” perché “non compatibili con il nostro disegno di politica economica, più orientato alla crescita che non all’austerità“. Così il premier Giuseppe Conte, alla Camera, ha spiegato le ragioni dello scontro tra Roma e Bruxelles, riferendo sulla manovra e sulla replica del governo italiano all’Ue. L’esecutivo gialloverde potrà inviare all’Europa le sue “controdeduzioni” e trasmetterà “una replica ben articolata ed esaustiva allo scopo di illustrare i programmi e le decisioni”, ha promesso il presidente del Consiglio in Aula. “Puntualizzeremo gli effetti della manovra sulla crescita”, ha spiegato.

“L’Eurogruppo di luglio aveva chiesto all’Italia” di “contenere la crescita primaria entro lo 0,1%. Secondo l’opinione della commissione il documento mandato dall’Italia prevede un deterioramento dello 0,9%allontanando il Paese dal conseguimento nel medio termine che garantisce l’equilibrio di bilancio”, afferma Conte nel corso dell’informativa alla Camera. Quindi, nella risposta all’Ue l’Italia ribadirà e puntualizzerà che “ci sarà un’accelerazione degli investimenti e una rimodulazione in Parlamento di alcuni interventi, se possono accrescere gli effetti positivi sulla crescita senza alterare ratio e contenuti”.

La manovra, ribadisce Conte, non cambia. E il premier rafforza anche il concetto che le politiche economiche e le riforme che il governo italiano sta mettendo in campo sono “perfettamente in linea con le raccomandazioni” giunte dall’Ecofin. Lo ha puntualizzato il premier, Giuseppe Conte, riferendo alla Camera sulla manovra. Conte ha citato le dismissioni immobiliari, le semplificazioni, la riforma dell’insolvenza e “lo stretto monitoraggio della spesa allo scopo garantire rispetto assoluto rapporto deficit-Pil”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)

Brexit, Politica

Brexit, Farage: “Il peggio accordo della storia”. E sulla May: “non solo la peggiore premier mai vista ma forse anche la piu’ disonesta”.

Dopo una riunione fiume durata quasi sei ore, stasera la premier britannica May ha strappato un sì dei suoi ministri sulla bozza tecnica di accordo con l’Europa sulla Brexit. Le discussioni sono state molto complicate: i ministri euroscettici a un certo punto avrebbero iniziato a organizzare un voto di sfiducia per May.

Intanto lo scoglio al passaggio dell’accordo è in Parlamento, che dovrà ratificare o meno, quanto mai diviso. Su tutto grava l’onere stratosferico di 40 miliardi di sterline da versare all’Unione europea.

Secondo il Daily Mail i pro-Brexit hanno avvertito la premier che ha “i giorni contati”, mentre per il Telegraph May dovrà affrontare un duro contraccolpo nella riunione di oggi. May farà presente che l’accordo ormai è un “prendere o lasciare” e spiegherà di aver evitato “l’annessione dell’Irlanda del Nord all’Ue”, quindi che si tratta di “un buon accordo”. Secondo il Daily Mail, però, a Downing Street ci si prepara anche per l’opzione peggiore, le dimissioni di May.

L’ex leader dell’Ukip, Nigel farage, ha attaccato la bozza di accordo raggiunto dalla premier britannica Theresa May con Bruxelles per l’uscita di Londra dall’Ue, definendolo “il peggiore nella storia”. “Stiamo dando via 40 miliardi di sterline in cambio di nulla. Ancora intrappolati nelle regole dell’Unione Europea, resta la libera circolazione delle persone, resta un tribunale straniero che ha voce in capitolo sul nostro Paese. Nulla e’ stato realizzato se non regalare un’enorme somma di denaro”, ha commentato con il programma ‘Good Morning Britain’ dell’emittente Itv. Farage, tra i piu’ accesi sostenitori della Brexit, non ha risparmiato attacchi alla May, “non solo la peggiore premier mai vista ma forse anche la piu’ disonesta”. Da qui, il suo appello a “sbarazzarsi di lei, mettere qualcun altro”. Quanto al futuro, Farage e’ convinto che “il gabinetto collassera’, come il Parlamento”.

Fonte: Ansa, HuffingtonPost

Mafia, Politica

‘Ndrangheta, 24 arresti a Lamezia Terme. L’ex sottosegretario Giuseppe Galati ai domiciliari.

Dodici indagati sono finiti in carcere e altri dodici agli arresti domiciliari. Nell’inchiesta, coordinata dal procuratore Nicola Gratteri e dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla, sono coinvolti anche funzionari pubblici legati al mondo della sanità. Sequestrati dieci milioni di euro. I clan conoscevano in anticipo quali pazienti stavano per morire e imponevano i loro servizi di onoranze funebri.

“Oh! Grande compare mio, ma poi sei andato a Catanzaro? Non mi hai fatto sapere niente”. “No, io poi ti avevo chiamato ed ero andato a Catanzaro… si sono andato, ci ho parlato”. “Tutto a posto, si!”. “Diciamo di si”. A parlare sono l’ex deputato di centrodestraGiuseppe “Pino” Galati e il consigliere comunale di Lamezia Terme, Luigi Muraca. La guardia di finanza li ha intercettati entrambi. Galati e Muraca, infatti, sono due delle 24 persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro.

Nelle carte dell’operazione “Quinta Bolgia” vengono definiti gli intermediari grazie ai quali le aziende legate alle cosche avevano il monopolio di molti servizi all’interno dell’ospedale di Lamezia Terme. A partire da quello delle ambulanze sostitutive al servizio pubblico, ma anche delle imprese che si occupavano delle onoranze funebri, della fornitura di materiale sanitario e del trasporto sangue.

Dentro l’ospedale di Lamezia potevano lavorare solo aziende legate alla cosca Iannazzo-Daponte-Cannizzaro, riconducibili alla famiglia mafiosa Giampà, che tramite i due politici erano riusciti ad ottenere l’appalto delle ambulanze nel 2010. Un appalto per un anno che, però, senza alcun bando pubblico, è stato prorogato fino al 2017.

Tutto grazie al politico locale Luigi Muraca, consigliere comunale fino allo scioglimento per mafia avvenuto l’anno scorso, e all’ex deputato Pino Galati, parlamentare dal 1996 al 2018: candidato con la lista Noi con l’Italia al Senato, alle ultime politiche non è stato rieletto. Nella sua carriera, Galati ha ricoperto anche incarichi di governo: è stato, infatti, più volte sottosegretario quando a Palazzo Chigi sedeva Silvio Berlusconi e segretario dell’ufficio di presidente della Camera dei Deputati. Nel 2010, inoltre, è stato vicepresidente della Commissione per le questioni economiche e dello sviluppo del Consiglio d’Europa oltre che sottosegretarioall’Istruzione.

Condotta dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza di Catanzaro e dallo Scico di Roma, l’indagine ha dimostrato come l’ospedale di Lamezia era di fatto occupato militarmente dalla ‘ndrangheta attraverso i gruppi Putrino e Rocca, veri e propri mattatori di appalti. Per l’accusa agivano sotto l’egida di Vincenzo Torcasio, boss dei Giampà, che in un’intercettazione conferma tutti i sospetti della procura: “Compà – dice inconsapevole di essere intercettato – Pugliese, il direttore amministrativo di Catanzaro, lo abbiamo messo noi”. Con lui c’era il consigliere Luigi Muraca e l’imprenditore Pietro Putrino che ribatte: “Ce l’ha messo Galati”. “E non lo so?” Se ce l’ha messo Pino?” “Ci chiami e gli dici che vado io domani”. “Gli dico: ‘deve andare lo zio Pietro là che deve parlare con Pugliese”. Secca la risposta del boss: “E si deve risolvere questo problema”.

Il problema alla fine è stato risolto. Come scrive la guardia di finanza: “Il gruppo Putrino ha continuato ad operare all’interno dell’ospedale di Lamezia Terme in assenza di una gara formale”. Nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip scrive che “i due personaggi ‘politici’ sono il necessario trait d’union tra i Putrino e gli esponenti apicali dell’Asp di Catanzaro, senza il cui interessamento non sarebbe stato possibile ottenere gli illeciti vantaggi”.

Ai domiciliari sono finiti anche l’ex direttore generale del’Asp Giuseppe Perri, l’ex direttore amministrativo Giuseppe Pugliese e il responsabile del Suem 118 Elieseo Ciccone. Tutti sono accusati di numerosi episodi di abuso d’ufficio. L’intreccio tra ‘ndranghetae sanità pubblica ha danneggiato soprattutto gli utenti dell’ospedale di Lamezia Terme dove venivano utilizzate ambulanze fatiscenti che non avevano nemmeno i requisiti tecnici per circolare. Alcuni mezzi, infatti, erano senza freni e con i motori danneggiati. Per non parlare dell’ossigeno scaduto che veniva somministrato ai malati soccorsi da personale non autorizzato e senza alcuna preparazione medica.

Grazie ad accordi corruttivi con i tre dirigenti dell’Asp catanzarese, il sodalizio criminale aveva ottenuto le certificazioni di qualità richieste per l’affidamento del servizio autoambulanze sulla base di una semplice verifica documentale, senza le necessarie operazioni di riscontro fisico dello stato dei mezzi, delle dotazioni e delle strutture aziendali. I due gruppi imprenditoriali avevano instaurato un regime di sottomissione del personale medico e paramedico. Basta pensare che le chiavi di alcuni reparti erano custodite dalle ditte mafiose e non dai medici che dovevano lavorare in quei reparti.

Per esempio, le ditte Putrino e Rocca avevano libero accesso al deposito farmaci dedicato alle urgenze del pronto soccorso, situazione questa ben nota alla dirigenza dell’azienda sanitaria. Le imprese della ‘ndrangheta, inoltre, avevano le password per accedere ai dati sensibili dei pazienti e verificare le loro condizioni di salute. Questo serviva alle imprese del clan di conoscere in anticipo quali pazienti stavano per morire in modo da poter imporre i loro servizi di onoranze funebri.

Nel corso della conferenza stampa, il procuratore Nicola Gratteriha spiegato il coinvolgimento dell’ex parlamentare Pino Galati: “Durante le indagini abbiano ricostruito diversi incontri tra il politico e gli altri arrestati. A un certo punto si accorge di essere pedinato e a Roma denuncia che ha paura per la sua vita e quindi chiede di sapere cosa sta accadendo. Si è accorto che l’indagine la stava conducendo la guardia di finanza”. “Dall’inchiesta emerge un quadro inquietante. Si esercitavano le funzioni pubbliche in modo corrispondente agli interessi privati”, ha dichiarato il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla. “C’erano servizi – ha sottolineato il generale Alessandro Barbera, comandante dello Scico – che venivano eseguiti in maniera indegna di un paese civile”.

Sulle ambulanze fatiscenti, Gratteri non vuole sentire alibi: “Era una questione di calcolo. Loro sapevano che non avevano concorrenti quindi potevano usare anche un calesse. Questa  è un’indagine che ci lascia più tristi del solito. Pensare che c’è gente spregiudicata che vive nell’agiatezza lucrando sui morti, sui funerali. C’era una sorta di racket. Imponevano la propria agenzia con il coinvolgimento di impiegati dell’ospedale che sostanzialmente regolamentavano anche i tempi di consegna del cadavere per dare tempo a queste agenzie di imporre il loro carro funebre. Questo è abbastanza triste e agghiacciante. Quando parliamo dei vertici dell’Asp, sono funzionari che non agiscono per stato di necessità. Hanno uno stipendio che gli consentiva di vivere bene e non c’è nessuna giustificazione per poter aderire a richieste seppur di gente mafiosa o borderline”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)

Altaitalia, Economia, Imprese, Microimprese, Politica

Lega, occhio al Nord.

Nel tessuto produttivo del polmone elettorale leghista, inizia a serpeggiare qualcosa di più del malumore per il governo del “non cambiamento”.

Milano, 18 ottobre 2018. Teatro alla scala. È nel tempio della lirica che quello che sembrava un’opera impeccabile improvvisamente si spezza. In platea ascoltano un tenore molto particolare. Si chiama Carlo Bonomi, di mestiere, tra le altre cose, fa il presidente di Assolombarda. Suona uno spartito per qualcuno a Roma cacofonico: “Il governo del cambiamento non ha prodotto una manovra di vero cambiamento. Tutti comprendiamo che il dividendo che si ricerca è quello elettorale, non quello della crescita”. Crack.

Nella capitale drizzano le orecchie. Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti che si accorgono che è un momento di cesura. L’associazione che raccoglie le imprese di Milano, Lodi e Monza Brianza è considerata una sorta di polmone verde del consenso della Lega nel profondo Nord. Un polmone che sembra ora avviluppato dall’asma.

C’è una narrazione che vede il governo gialloverde come un ente indissolubile, che tra scontri, armistizi e sprazzi di serenità muove le proprie pedine all’unisono nel grande risiko d’Italia. Ma c’è un secondo livello di lettura, nel quale il Carroccio è pur sempre un prodotto del centrodestra italiano, con una propria specificità territoriale nonostante il dilagare verso il sud del paese, che malgrado il vento in poppa dei sondaggi sta vedendo crescere un blocco coeso di opposizione interna, composto da quegli stessi tessuti produttivi che sono stati il volano del boom elettorale.

“Il ministero dello Sviluppo economico il grosso del lavoro continua a farlo con Confindustria e le grandi imprese. Qui serve un ministero per le piccole e medie imprese, gliel’ho detto a Salvini”. A parlare è Paolo Agnelli. Non proprio uno qualunque. Guida Confimi, la Confederazione dell’Industria Manifatturiera Italiana e dell’Impresa Privata. Non vi dice niente? Mettetela così: Rappresenta circa 34 mila imprese per 440 mila dipendenti con un fatturato aggregato di 71 miliardi di euro, il valore di due leggi di bilancio. Il leader della Lega coccola quello che sa essere un rapporto fondamentale. Lo scorso 15 ottobre è volato all’assemblea generale dell’associazione, delegando a Giorgetti la presenza a un fondamentale vertice a Palazzo Chigi. Ha incassato le critiche, ha sdrammatizzato: “Io quest’uomo lo amo”. Perché sa che c’è qualcosa che non va.

“Il 99,5% del mondo produttivo italiano è rappresentato dalle Pmi – spiega Agnelli – fatturano 2mila miliardi all’anno. Non c’è attenzione a tutto quello che le circonda”. Il grande elefante nel salotto è l’alleanza con il Movimento 5 stelle. Tra i corridoi di Confindustria lombarda i dirigenti guardavano sbigottiti i flash delle agenzie che battevano la notizia di Luigi Di Maio alla guida del Mise. “Quando vengono a parlare con noi, i 5 stelle ci guardano come marziani – spiega ad Huffpost uno di loro – noi li consideriamo incompetenti. Con la Lega invece si parla lo stesso linguaggio”. Raccontano che il presidente degli industriali lombardi, Marco Bonometti, si senta tradito: “È furibondo. E dire che lui è sì un uomo di destra, ma è anche molto pragmatico. Matteo Renzi è andato da lui quando gli serviva. Eppure la deriva di politiche economiche e del lavoro che sta mettendo in campo il governo li ha completamente bypassati”.

Il primo scricchiolio è arrivato in autunno, con la lettera dei 600 imprenditori veneti contro il decreto dignità. Ne abbiamo raggiunto uno, è tranchant: “Per due barconi in meno Salvini ci abbandona. Noi da anni facciamo fatica a investire, a innovare, ad andare all’estero. E non arriva nessun investimento per le imprese in difficoltà, mentre i soldi vanno ai disoccupati meridionali”.

Gianluca Tacchella è l’amministratore delegato di Carrera jeans, piedi e radici piantate dagli anni ’60 nella pancia del Veneto. “L’economia la fanno le aziende, la mettono in moto le aziende, non lo stato. Se mi dici che crei pil facendo debito pubblico, facendo il reddito cittadinanza è una scemenza. I soldi che dai ai milioni di cittadini che prenderanno il reddito poco c’entra con il pil”. Risponde dalla macchina, mentre solca la nebbiolina serale della padana. Il suo tono è un misto di combattività e rassegnazione: “Non vedo nulla per le aziende. Cosa penso della legge di bilancio? Prendo solo atto che abbiamo perso ulteriore occasione per fare qualcosa per le pmi. Sono molto deluso, ogni volta si fa una manovra e ci trascurano. E ogni anno è tempo che si perde, quindi va sempre peggio”. Poi mette giù in chiaro una cosa che tanti come lui pensano ma non hanno il coraggio di mettere nero su bianco: “Non voglio dare giudizi politici specifici. Ma come sempre abbiamo chi elettoralmente promette di fare grandi cose e poi non fa niente”.

Quando Giorgetti e il viceministro dell’Economia Massimo Garavaglia tornano nella provincia verde si sentono sempre più spesso dire la stessa cosa: “Vi abbiamo dato fiducia, basta seguire i 5 stelle”. Antonio Calabrò, vicepresidente di Assolombarda, ha tirato una bordata alla compagine di Luigi Di Maio non più di qualche giorno fa. “Le piccole imprese italiane contro le grandi… Le strutture produttive diffuse sui territori contro i “poteri forti” e i “salotti buoni”… Le fabbrichette contro le multinazionali… – ha scritto su Huffpost – Chi non conosce affatto il tessuto industriale italiano usa questi schemi fuori dalla realtà per provare a riscrivere politiche industriali, come si pensa in ambienti di governo a proposito dei contenuti della manovra a sostegno delle imprese”.

Un imprenditore lombardo spiega la reazione tipo dei vertici leghisti a queste critiche: “Ti allargano le braccia e ti dicono il quadro politico è questo, che possono farci poco. Quando gli dici che ci si augura che duri il meno possibile sorridono”. La perplessità delle prime settimane si sta trasformando in rabbia e sconcerto. Perché la Lega sta velocemente dilapidando il patrimonio di stima che quel mondo aveva nei suoi riguardi. “La parte larga tessuto imprenditoriale in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna ha votato Carroccio – ci spiega un dirigente confindustriale veneto – Forte della considerazione che amministrando sono stati bravi, di una straordinaria concretezza. Della Lega ci si fida, si parlano linguaggi analoghi”. Da qui nasce l’irritazione: “Ora li vediamo comportarsi diversamente. Devono tornare a fare la Lega dei territori”.

Il patrimonio di credito acquisito si sta erodendo ma non è ancora del tutto evaporato. Spiega uno dei vertici di Confindustria Lombardia: “Con i 5 stelle è diverso. Li riempiamo di carte e documenti, ma numeri e fatti non li riguardano”. In tanti citano come unica eccezione Stefano Buffagni, sottosegretario lombardo in quota M5s al ministero degli Affari Regionali, un passato al Pirellone. Troppo poco. Per capire qual è la cifra leghista che fa presa da quelle parti basta citare un episodio. Quando Agnelli ha incontrato Salvini gli ha chiesto di poter approfondire il tema in un colloquio a Roma. Bene, la settimana dopo era in agenda, ha preso un aereo e ha incontrato il vicepremier. È questo che ha reso la Lega benvoluta nel profondo Nord. Questo, insieme al fatto che dgli incontri seguiva un’immediata operatività. Che ora sta venendo a mancare.

Luca Scordamaglia non è solo il presidente di Ferderalimentare, ma anche l’amministratore delegato del gruppo Cremonini, colosso nel campo delle carni, un impero che tra i suoi marchi comprende Manzotin, Chef Express e Roadhouse. “Non penso che il decreto dignità abbia portato alla creazione di posti di lavoro, ma nemmeno alla loro scomparsa – spiega – Il vero rimprovero è non aver sburocratizzato un sistema in cui vige l’assenza di flessibilità e politiche attive. Le faccio un esempio: il 33% di tecnici specializzati cercati nel nord non si riescono a coprire”. Il Ceo è tra i pochi a non vedere nero sul reddito di cittadinanza. Ma con dei caveat dirimenti: “Se non si parlerà di limite geografico per l’accettazione delle offerte di lavoro, che francamente non ha senso, se si parlerà di detrazione per chi assume, allora avrà una valenza diversa, avvicinandosi agli strumenti inclusivi che esistono in Germania e nelle socialdemocrazie”. Il punto cruciale è sugli investimenti: “Quelli pubblici sono fondamentali, 3 miliardi l’anno mi sembrano un po’ pochini. Ben venga per esempio lo sblocco del Tap, fondamentale per la diversificazione nel nostro paese”.

Le grandi opere e le infrastrutture sono un altro nodo dolente. La piazza dei sì-Tav stracolma di gente a Torino è un segnale chiarissimo. Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi Consulenti del lavoro, spiega: “Un imprenditore veneto ha bisogno di una rete viaria funzionante e che lo leghi all’Europa. Così rendiamo paese competitivo e creiamo lavoro. Penso a Tav e alla Pedemontana, per esempio. Se si fermano investimenti e infrastrutture siamo un paese bloccato”.

Un tema che si lega a quello del lavoro. Perché il già citato decreto dignità, tanto voluto da Di Maio, è un vero e proprio nodo dolente per la Lega e la sua ricerca di consenso in quel mondo. Agnelli su questo ci va giù durissimo: “Non è la legge che ci fa assumere a tempo indeterminato, ma le commesse che riceviamo. Se non ho lavoro prendo uno per un anno e vediamo come si muovono le cose. A me non interessano i contributi e gli sgravi, chi se ne frega, io voglio il lavoro”. Flavia Frittelloni, area Politiche del Lavoro e Welfare della Confcommercio di Roma, su questo è stata drammaticamente chiara in un incontro pubblico di qualche giorno fa: “In questo caos normativo e soprattutto dopo il reinserimento delle causali il mio consiglio agli imprenditori che ci chiedono lumi purtroppo è uno solo: fate contratti di soli 12 mesi”. Due suoi colleghi di due grandi città del nord non vogliono essere citati, ma la risposta è sostanzialmente la stessa: “È la stessa cosa che stiamo facendo noi, non c’è altra soluzione”.

I dirigenti leghisti girano il nord a spiegare che una risposta sarà la riforma della legge Fornero, che ai tanti pensionati corrisponderanno migliaia di nuovi assunti. Tacchella, che a breve farà i conti con il ricaduto empirico dell’enunciato, è scettico: “Tanti non saranno sostituiti. C’è sicuramente bisogno di ricambio. Ma non sarei sicuro che a un pensionato corrisponderà un giovane. Se oggi avessi bisogno di un modellista non potrei assumerlo, perché in Italia la professione non esiste più. Stiamo sbalinando. Non trovo uno nel tessile, sono sparite le scuole”.

L’ad di Carrera jeans fa un esempio che più chiaro non si può delle risposte che non stanno arrivando dal partito del “prima gli italiani”: “Zalando sta per aprire a Verona 100mila metri quadri magazzino perché vuole conquistare il mercato. Darà lavoro a magazzinieri e autisti. E il comune lo glorifica”. Per lui è una prospettiva distopica: “Per trecento magazzinieri e altrettanti autisti, manodopera di basso livello e di basso costo, non si sa quanti professionisti del settore chiuderanno. Mi dica lei se è un modello di sviluppo”.

La città di Romeo e Giulietta è un paradigma. Lì il centrodestra ufficiale ha sconfitto al ballottaggio il centrodestra alternativo di Flavio Tosi. Nonostante ciò anche su quei lidi lo scontento sta iniziando ad aver presa. Perché in manovra per quella galassia ci sono le briciole, mentre servivano soldi veri. Agnelli, bergamasco, mette in fila un po’ di dati: “Per noi il costo energia rispetto a quello europeo è dell’87% in più. Questo ti mette fuori gioco. Il costo del lavoro si attesta sull’11% in più di media, ma mette in mezzo paesi come Romania e Polonia, dove il rapporto è uno a quattro. Così noi non possiamo competere”.

Tanti non si vogliono esporre apertamente, ma il mood che inizia a girare con sempre più insistenza negli ambienti industriali e produttivi dal Rubicone in su si fa sempre più insistente. E recita più o meno così: Salvini scarichi Di Maio, perché l’unica speranza per noi è che ritorni un governo di centrodestra. Ma un centrodestra vero.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

Politica, Verso le elezioni europee

La sfida della Lega al Ppe. Fontana(Lega): “Uniremo Conservatori e Sovranisti”.

Il piano per le europee, per i leghisti l’alleanza con Marine Le Pen non si tocca: “Non entreremo mai nel gruppo dei Conservatori e riformisti”.

“Non entreremo mai nel gruppo dei Conservatori e riformisti. Piuttosto, dopo il voto di maggio, puntiamo a unire questo gruppo con quello sovranista, dove ci siamo noi della Lega, ci sono gli eletti del Front National e tanti altri”. Parola di Lorenzo Fontana, ministro leghista alla famiglia e disabilità, ex eurodeputato del Carroccio. Conversando con Huffpost, Fontana chiarisce così quali sono i piani di Matteo Salvini in vista dell’importante appuntamento con le europee di maggio 2019: l’alleanza con Marine Le Pen non si tocca.

Il ragionamento di Fontana smonta i desiderata di Forza Italia, almeno per ora. La parte italiana del Ppe infatti sta lavorando affinché anche gli eletti della Lega a Strasburgo entrino nei Conservatori e Riformisti (Ecr), gruppo che a gennaio 2017 – insieme ai Liberali – ha sostenuto la corsa di Antonio Tajani alla presidenza del Parlamento Europeo. Al prossimo giro l’Ecr rischia. Attualmente conta 73 deputati, ma nel 2019 perderà la sua rappresentanza più folta: i britannici, che non si ripresenteranno alle europee causa Brexit. Con chi rimpiazzarli?

Giorgia Meloni ha già deciso: i suoi eletti entreranno nell’Ecr, ma – sondaggi alla mano – è poca roba. Inoltre, con lo sbarramento al 4 per cento previsto per le europee, i partiti piccoli come Fratelli d’Italia rischiano di non entrare a Strasburgo. Il bottino invece sta dalle parti della Lega: se gli eletti di Salvini entrassero nell’Ecr, il Ppe farebbe bingo. Soprattutto gli italiani, determinati a riconfermare Tajani alla presidenza dell’Europarlamento. Ma Salvini non ci sta. Se per Forza Italia l’ingresso di Meloni nell’Ecr è buon auspicio per aprire la porta anche ai leghisti, per il vicepremier del Carroccio invece l’arrivo di Giorgia tra i Conservatori prepara solo il terreno per un futura fusione con i sovranisti. Del resto, è stato lui – qualche settimana fa – a lanciare Meloni come candidata sindaco a Roma, se Virginia Raggi fosse inciampata nei guai giudiziari. Così non è stato, ma l’interesse politico resta.

La Lega punta a unire i Conservatori (o quel che rimane dopo l’uscita dei britannici) con l’Enf, l’attuale gruppo dei leghisti, degli eletti del Front National e altri. Ce lo spiega Fontana, mente del nuovo volto sovranista della Lega, ideatore con Matteo Salvini della svolta che 5 anni fa ha riportato in auge un partito finito. Sostanzialmente si tenta di fare massa comune. Un ultimo sondaggio assegna il 7,7 per cento all’Ecr e l’8,9 per cento all’Enf: è quasi il 15 per cento, non tantissimo ma quanto basta per condizionare il Ppe, ancora primo partito nelle rilevazioni ma in calo dal 32 al 25,4 per cento.

Di certo, i Popolari avranno bisogno di una mano per formare una maggioranza a Strasburgo. Ed escluderanno le ricerche a sinistra, tra i socialisti (anche loro al minimo storico, al 19 per cento), come ha deciso il congresso di Helsinki che la scorsa settimana ha eletto Manfred Weber spitztenkandidat del Ppe per il dopo Juncker alla presidenza della Commissione. Guarderanno invece a destra, con l’auspicio di tenere testa ai nazionalisti ed epurarli dalle frange più dure, tipo Le Pen o tipo Salvini. Per il leader della Lega però Forza Italia sta cercando di farsi garante presso i Popolari stranieri, usando l’argomento che i tanti eurodeputati della Lega saranno necessari per la maggioranza in Parlamento, utile all’elezione del presidente (Tajani) ma anche per l’ok finale di Strasburgo alla nuova Commissione Ue decisa dai capi di Stato e governo.

Salvini si ritrae e non si stacca da Le Pen. Del resto, in questi giorni sta prendendo le distanze anche da Silvio Berlusconi che, sull’onda della manifestazione pro-Tav di Torino, affonda contro l’asse di governo della Lega insieme al M5s parlando di rischio “dittature”. Il Carroccio punta le sue fiches sui sovranisti per sfidare al voto delle europee sia i Popolari che gli alleati pentastellati. I quali non hanno ancora una ‘casa’ europea dove approdare l’anno prossimo. Quella attuale, il variegato gruppo dell’Efdd, potrebbe non esistere più. E non è escluso che una parte confluisca con i sovranisti, a ingrossare le ambizioni di Salvini.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

Democrazia, Politica

Mattarella, Veneziani: “Lo vedo in tv e sento lui come il commissario, il proconsole inviato dalla Ue nel protettorato dell’Italistan per sedare le popolazioni ribelli”.

Non so di quali gravi problemi psicologici io soffra ma ogni volta che vedo in tv il presidente Mattarella mi sento uno straniero in patria. Anzi peggio, sento lui come il commissario, il proconsole inviato dalla Ue nel protettorato dell’Italistan per sedare le popolazioni ribelli. Nel mio stato allucinatorio lo vedo come un regnante assiro-babilonese, frutto di altre epoche e di altri mondi e il suo stile, il suo linguaggio, il suo incedere, il suo sontuoso copricapo bianco mi sembrano confermarlo. Sarà sicuramente una mia debolezza mentale, un trauma infantile o prenatale, ma non riesco mai a riconoscermi in quello che dice. Anzi penso quasi sempre il contrario di quel che dice, a parte il fondo inevitabile di ovvietà atmosferica e istituzionale con cui incarta il tutto e che è retaggio del suo ruolo protocollare.

Ma è possibile, mi chiedo preoccupato, che tutto quel che dice e persino il tono con cui lo dice, mi sembra sempre negare quel che mi sembra la realtà dei fatti, la storia vissuta, la vita reale dei popoli, il sentire comune, il disagio diffuso, la memoria storica, la percezione comune della realtà, oltre che le mie convinzioni ideali? Possibile che anche quando affronta temi che dovrebbero essere condivisi, come l’amor patrio o la celebrazione delle feste nazionali, lui riesca a dire il contrario di quel che mi aspetto da un Capo dello Stato e dal presidente degli italiani? L’Italia per lui non è la nostra patria ma il luogo d’accoglienza universale, una specie di gigantesca tenda da campo predisposta dalle autorità europee. Le identità dei popoli, per lui, sono un cancro da sradicare, un muro da abbattere. Vanno bene le identità individuali o di genere, ma non quelle nazionali, popolari, civili. Le migrazioni per lui vanno accolte e benedette; le diversità culturali e religiose vanno ammesse se riguardano gli stranieri, vanno invece rimosse se ricordano le nostre radici, altrimenti siamo intolleranti. Le nazioni per lui sono solo il preambolo funesto ai nazionalismi che sono la vera piaga del mondo; quando a me pare invece che i mali della nostra epoca siano piuttosto legati al suo contrario, allo sradicamento universale, alla cancellazione forzata delle identità, dei popoli e dei territori, al dominio cinico e apolide del capitale finanziario che non ha patria ma solo profitti; e ai flussi migratori incontrollati che in generale impoveriscono i paesi che lasciano e inguaiano quelli che invadono. Se un gruppo di migranti stupra una ragazza lui tace, se gli italiani dicono una sciocchezza contro i migranti o le donne, lui interviene per condannare. Non si perde mezza celebrazione che riguardi l’antifascismo e l’antirazzismo, è sempre lì a commemorare coi suoi discorsi, mentre salta vagoni di ricorrenze cruciali, di anniversari patriottici, di caduti per l’Italia, di vittime del comunismo, dei bombardamenti alleati, delle dominazioni altrui.

Se gli capita un IV novembre tra i piedi lui non ricorda la Vittoria ma solo la fine della guerra e non commemora l’Italia e i suoi soldati ma l’Europa. E se proprio deve celebrare un patriota, celebra l’eroe nazionale degli albanesi o di chivoletevoi, non un patriota dell’Italia. E sostiene come l’ultimo militante dell’Anpi che il fascismo è il male assoluto e non ha fatto neanche una cosa buona, negando l’evidenza storica: una cosa del genere non riuscirei a dirla neanche di Mao e Stalin che sono i recordman mondiali di sterminio, per giunta dei propri connazionali e per colmo in tempo di pace; notizie che al Quirinale non risultano mai pervenute.

E non c’è giorno che non ci sia una sua dichiarazione ecumenica e curiale nella forma ma velenosa e ostile nella sostanza contro il Demonio Assoluto: il populismo e il sovranismo, ossia il governo in carica, e tutto sommato, il voto maggioritario degli italiani. È una continua allusione polemica a ogni cosa che dice, fa e pensa Salvini. Poco manca che non insignisca la Isoardi di un cavalierato al merito per aver scacciato il drago da casa sua.

Ma possibile che il Capo dello Stato debba essere così opposto al comune sentire? Non mi aspetterei certo che dicesse il contrario di quel che pensa e del materiale bio-storico di cui è composto; non chiedo che si metta a gareggiare in demagogia tribunizia, ma è possibile che il presidente degli italiani la pensa solo come quelli che votano Pd, e sempre dalla parte opposta dei restanti italiani? Non è stato informato che quel Renzi che lo volle al Quirinale nel frattempo è caduto e non lo vogliono neanche nel Pd? Non sa che in Italia, in Europa, nel Mondo, quella visione politica che lui depreca ogni giorno, conquista maggioranze di consensi popolari in libere elezioni democratiche ed esprime i maggiori governi e capi dello stato? Mai uno sforzo, lui che dovrebbe essere l’arbitro super partes, garante di tutti, per capire e riconoscere quell’altra Italia, quell’altro mondo, che non la pensa come lui. Sta lì, nel cuore di Roma, come se il Quirinale fosse uno Stato Vaticano ai tempi del non expedit, rispetto all’Italia che lo circonda.

Naturalmente nei momenti di lucidità capisco che tutto questo è frutto di un mio stato di alterazione mentale, gli italiani invece sono entusiasti di Nuvola Bianca e dei suoi moniti, si bevono come oro colato le sue prediche indispensabili e lo considerano un santo, un sapiente e un oracolo. Però, non capisco perché quella mia allucinazione presidenziale mi fa quell’effetto eversivo-lassativo…

Fonte: maurizioveneziani.it (qui), Articolo pubblicato su Il Tempo 9 novembre 2018

Centrodestra, Politica

Berlusconi: “Clima illiberale, anticamera della dittatura”. Salvini: “Sciocchezze da burocrati Ue e frustrati di sinistra”

Scontro a distanza tra Silvio Berlusconie Matteo Salvini. Il primo colpo è arrivato dall’ex Cavaliere che, parlando davanti ai giovani di Forza Italia, ha detto: “C’è un’aria di illibertà, siamo in una democrazia illiberale, anticamera della dittatura, se continua così”. Ha pure detto che “il governo cadrà” e che “gli alleati della Lega non deluderanno gli elettori”. Ma l’alleato vicepremier Salvini, a margine del salone delle due ruote di Milano, ha gelato Berlusconi: “Io certe sciocchezze le lascerei dire ai burocrati di Bruxelles e ai frustrati di sinistra. Chi parla di rischio dittatura in Italia non ha ben presente che l’Italia sta bene. Mi dispiace che Berlusconi usi le parole che di solito usano i Renzi, le Boldrini e gli Juncker”.

Intanto continuano le polemiche per gli attacchi ai giornalisti del Movimento 5 stelle dopo l’assoluzione di Virginia Raggi. Il candidato alla segreteria Pd Nicola Zingaretti ha chiesto ai 5 stelle di scusarsi: “Sono contento che Virginia Raggi sia stata assolta”, ha scritto su Facebook. “Lo sono dal punto di vista personale e umano. E lo sono politicamente perché ho sempre sostenuto nella mia vita il rifiuto totale di scorciatoie giudiziarie per affrontare nodi e battaglie che sono politiche. Ora tutti si aspettano che, comunque, a Roma si volti pagina perché così non si può andare avanti. Noi siamo pronti a dare una mano. Ma, per cortesia, vergognatevi per la vostra aggressività questa volta verso i giornalisti”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)

Democrazia, Economia, Politica, Stati vs Europa

Previsioni Ue, Tria all’attacco: “Analisi non attenta e parziale della manovra. Dispiaciuto della loro défaillance”

“Le previsioni della Commissione europea relative al deficit italiano sono in netto contrasto con quelle del Governo italiano e derivano da un’analisi non attenta e parziale del Documento Programmatico di Bilancio, della legge di bilancio e dell’andamento dei conti pubblici italiani, nonostante le informazioni e i chiarimenti forniti dall’Italia”. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria va all’attacco di Bruxelles dopo la pubblicazione delle stime d’autunno secondo cui il deficit/pil l’anno prossimo toccherà il 2,9% e nel 2020 sfonderà il tetto del 3 per cento. Il titolare del Tesoro in una nota ufficiale si dice “dispiaciuto” della “défaillance tecnica della Commissione”. “Rimane il fatto”, aggiunge, “che il Parlamento italiano ha autorizzato un deficit massimo del 2,4% per il 2019 che il Governo, quindi, è impegnato a rispettare”.

Il commissario europeo agli Affari Economici Pierre Moscovici poco prima, durante la conferenza stampa sulle previsioni d’autunno, aveva ammonito sul fatto che “la qualità del lavoro della Commissione Ue e la sua imparzialitànon possono essere messe in causa” per cui le stime di Bruxelles, diverse da quelle del governo italiano, “non devono prestarsi alla minima polemica“. “L’Italia non è stata oggetto di un trattamento particolare ma ha avuto lo stesso di tutti gli altri Paesi”, con cui “sono abituali scarti tra le previsioni”, ha detto il commissario. “L’Italia non è sola in questa situazione”, c’è già stata anche “con i governi precedenti”.

Moscovici ha spiegato che la differenza di stima sulla crescita 2019 (1,2% della Ue contro 1,5% del Governo) è dovuta al fatto che “le nostre stime sono più prudenti, come quelle delle altre organizzazioni internazionali”, e si basano sul deterioramento della situazione nel terzo trimestre e inizio del quarto. Sul deficit invece (2,9% della Ue contro 2,4% del Governo) “se togliamo gli arrotondamenti la differenza è solo 0,4%”, perché ci saranno meno entrate fiscali a causa della crescita più bassa e questo pesa per uno 0,2%. Inoltre, ci sono le spese maggiori per il servizio del debito, che aumentano dell’1% del Pil. “Questi scarti sono abituali tra le previsioni della Commissione e degli Stati, ed era già successo anche con il precedente Governo italiano”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)

Legge di Bilancio, Politica

Flat tax, Borghi a SkyTG24: serve tempo, più facile partire da imprese

Il deputato leghista ha ammesso che estendere alle famiglie l’aliquota fissa “è una questione piuttosto complicata”. Si è poi concentrato sui vantaggi: “Necessaria a semplificare di molto il sistema fiscale”

“Io spero e farò di tutto perché tutto il pacchetto della flat tax venga fatto quest’anno”. Lo ha detto a SKY TG24 Economia il deputato della Lega Claudio Borghi in merito ai tempi di applicazione dell’aliquota fissa (COS’È LA FLAT TAX). “La parte più facile di gestione della flat tax è quella di riduzione delle aliquote per le imprese, e in parte di estensione alle partite iva che non beneficiano dell’Ires. Dall’altra parte, per estenderla alle famiglie c’è una questione piuttosto complicata. Nel caso non si riuscisse a fere tutto, si farà quello che si può fare”, ha aggiunto. Proprio i tempi per l’introduzione del nuovo sistema fiscale hanno diviso il Carroccio, non trovando d’accordo i due senatori Alberto Bagnai e Armando Siri. Il primo ha detto che si partirà nel 2019 per le imprese e nel 2020 per le famiglie. Il secondo ha precisato che per le imprese esiste già e che dal 2019 si comincerà a estenderla.

“Flat tax, vantaggi maggiori per la classe media”

Daremo priorità alle imprese “perché è più facile. Cambiare totalmente il sistema fiscale – ha spiegato Borghi – non è una passeggiata. E per motivi che non erano dipendenti dalla nostra volontà, rispetto alla data delle elezioni, siamo andati un po’ avanti. Ci vogliono dei tempi per partire. E non siamo ancora partiti perché non c’è ancora la fiducia al governo”. Borghi si è poi concentrato sui vantaggi della “tassa piatta”, “necessaria a semplificare di molto il sistema fiscale”. “Ma soprattutto succede che, se facciamo la proporzione tra numero di persone e sgravio, la maggior pare del ritorno è sui lavoratori dipendenti. Il lavoratore dipendente di classe media, il funzionario, il quadro, saranno quelli che avranno il maggior beneficio. La grande maggioranza di quelli che avranno uno sgravio sono quelli della famosa classe media che stava sparendo”, ha continuato l’esponente leghista.

“L’aumento dell’Iva deve essere congelato”

“È evidente che nel contratto di governo c’è scritto chiaramente che l’aumento dell’Iva deve essere congelato”. Borghi ha così smentito qualsiasi ipotesi di alzare l’imposta sul valore aggiunto per finanziare altre misure fiscali, come la flat tax. Un’ipotesi sostenuta prima della formazione del governo dal neo ministro dell’Economia Giovanni Tria, che si era dichiarato favorevole a far scattare le clausole di salvaguardia per garantire l’entrata in vigore dell’aliquota fissa. Il deputato milanese si è poi scagliato contro la narrazione che ruota intorno alle misure economiche che il nuovo governo vuole intraprendere. “Se continuiamo a dire che una cosa ci costa, suona male”, mentre “quello che costa dal punto di vista del bilancio, è un guadagno dal punto di vista del cittadino”. “Abbiamo la necessità di mettere in circolo denaro”, ha concluso.

Fonte: skytg24 (qui)

Economia, Politica, Stati vs Europa

Savona risponde a Draghi: «Fare scendere lo spread è compito della Bce»

“Ognuno si assuma le sue responsabilità”. Così il ministro per  gli Affari europei Paolo Savona, commenta, a margine del Consiglio dei ministri, le parole del presidente della Bce Mario Draghi, che ha ricordato come l’Eurotower non possa per mandato finanziare i deficit. Nessuno, per la verità, ha mai sostenuto una cosa simile. Ma, se la Bce non deve finanziarie i deficit, di cosa, alla fine, si deve occupare oltre che tenere sotto controllo il tasso di inflazione? Savona non ha dubbi: “Calmierare lo spread è compito della Banca centrale europea”.

“Sul condono fiscale Savona si dice poi convinto della buone ragioni del governo. “Perché non dovremmo farlo? È  una redistribuzione del reddito dai ricchi ai poveri”, azzarda il ministro.

“La vera scommessa – dice in conclusione Savona – ‘è che l’Italia, dopo aver fatto una serie di leggi che vincolano gli investimenti, deve uscire da questa situazione, la manovra presentata contiene un impegno politico in questo senso. Noi stiamo vivendo al di sotto delle risorse e per gli investimenti ci sono più risorse di quanto scritto nella manovra”.

Fonte: secoloditalia.it (qui)

Politica, Referendum, Territorio bresciano

Il 18 novembre si vota. Referendum provinciale sull’acqua pubblica. Le ragioni del Sì.

 

Il 18 novembre 2018 i cittadini della provincia lombarda saranno chiamati a esprimersi sulla gestione del servizio idrico integrato e sulla possibilità che entrino in campo anche soggetti privati, come la multiutility lombarda quotata in Borsa. Una partita decisiva anche a livello nazionale “Volete voi che il gestore unico del servizio idrico integrato per il territorio provinciale di Brescia rimanga integralmente in mano pubblica, senza mai concedere la possibilità di partecipazione da parte di soggetti privati?”.

Il 18 novembre 2018 i cittadini della provincia di Brescia saranno chiamati a esprimersi sulla gestione di un bene fondamentale: l’acqua. Il quesito del referendum consultivo provinciale relativo al servizio idrico integrato (SII), però, ha un valore che oltrepassa i confini della provincia lombarda e rappresenta una sfida decisiva in casa di una delle principali multiutility italiane quotate in Borsa: A2a. Il Comune di Brescia, così come Milano, detiene il 25% delle azioni del colosso (articolato in 121 società partecipate, comprese quelle in dismissione, tra Italia, Serbia, Grecia, Regno Unito, Montenegro).

L’azionariato di A2a

Mariano Mazzacani, responsabile del Comitato referendario “Acqua pubblica Brescia”, ha tra le mani la “cronistoria” del lungo e inedito percorso che a fine agosto di quest’anno ha finalmente visto la firma del decreto di indizione del referendum da parte del presidente della Provincia, Pier Luigi Mottinelli.

Scorre indietro fino ai primi mesi del 2015. “Sulle pagine della stampa locale -ricorda Mazzacani- si infittivano gli articoli secondo i quali sarebbe stata oramai cosa fatta la creazione di un soggetto ‘tricipite’ al quale l’Ente di governo dell’Ambito della provincia di Brescia si sarebbe apprestato ad affidare la gestione del servizio idrico”. Due multiutility locali di proprietà dei Comuni (“Aob2” e “Garda Uno”) e la società “A2a Ciclo idrico”, interamente in capo ad “A2a”. Secondo la disciplina comunitaria, come ricostruisce Mazzacani, proprio perché quotata in Borsa, quest’ultima non avrebbe potuto però ricevere la gestione di servizi con affidamento diretto senza passare per una gara ad evidenza pubblica.

A metà settembre 2015, il consiglio di amministrazione dell’Ufficio d’Ambito di Brescia individua nella partecipazione mista pubblico-privata il futuro gestore unico del servizio idrico (“Fatte salve le gestioni in salvaguardia, ossia quelle affidate ad “A2A ciclo idrico” e ad “Azienda Servizi Valle Trompia”, oggi controllata al 75% da A2A, chiarisce Mazzacani).

Il programma immaginato dagli amministratori prevede due fasi: 1) l’affidamento in house per 30 anni entro fine 2015 ad una società costituita da quelle a totale partecipazione pubblica e che allora già operavano nel settore all’interno del territorio provinciale; 2) entro fine 2018 questa nuova società avrebbe dovuto scegliere tramite gara il proprio socio privato al quale attribuire una partecipazione societaria superiore al 40%.

Nonostante le contro deduzioni del comitato, nel giugno 2016 nasce “Acque Bresciane Srl” (proprietà interamente pubblica), alla quale pochi mesi più tardi viene affidata per 30 anni la gestione del SII. Il passo successivo dovrebbe essere la gara, con A2a alla finestra.

Nel gennaio 2017 viene steso e sottoscritto l’atto costitutivo del “Comitato promotore del referendum consultivo provinciale per l’acqua pubblica”. Tutti i passaggi formali vengono rispettati e nell’arco di dodici mesi scarsi il quesito referendario depositato il 22 giugno dello scorso anno viene giudicato ammissibile. Nel frattempo aderiscono anche 54 Consigli comunali del bresciano. Dopo rallentamenti e rinvii, fino al 27 agosto 2018 e alla firma in calce al decreto di indizione. “Finalmente il referendum”, ha gioito il comitato, che di fronte al paventato ingresso del socio privato ha da subito intravisto il rischio di un nuovo “caso LGH”, multiutility che opera nei territori di Cremona, Pavia, Lodi, Rovato e Crema e che ha visto A2a “salire” al 51% del capitale. Operazione bocciata a più riprese dall’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone.

La posta in gioco è nazionale. E non è un caso che il prossimo 14 settembre, in occasione dell’avvio della campagna di informazione e comunicazione del comitato, Remo Valsecchi commercialista lecchese del Forum Nazionale dei Movimenti per l’acqua, presenterà un piano di investimenti per l’Ambito Territoriale di Brescia per una gestione totalmente pubblica. “Dimostreremo, conti alla mano, come sia assolutamente sostenibile una gestione totalmente pubblica per la nostra provincia”, spiega Mazzacani. In netta discontinuità rispetto alla temuta finanziarizzazione del servizio.

Valsecchi conosce bene A2a e il suo “modello” di gestione del SII. Ne ha studiato i bilanci a partire dall’anno della quotazione in Borsa, il 2008, segnalando come in dieci anni il patrimonio netto della società sia passato da 3,5 miliardi di euro circa a 2,3 miliardi, il valore medio dell’azione da 2,16 a 1,48 euro e il valore di capitalizzazione di Borsa da 6,7 a 4,4 miliardi di euro. Il tutto mentre i soci (Milano e Brescia in testa) vedevano distribuire qualcosa come 1,7 miliardi di euro in dividendi.

Il referendum ha un valore politico. La decisione finale, però, spetterà all’assemblea dei 205 sindaci della provincia di Brescia. Lo ricorda anche A2a nella sua ultima relazione semestrale analizzando l’”Evoluzione della regolazione ed impatti sulle Business Units del Gruppo”. “L’assemblea dei sindaci dovrà, comunque, approvare la decisione finale sul modello di gestione (misto o in house providing) del SII da implementare nella provincia di Brescia”, si legge. Ecco perché il comitato sta chiedendo a tutti i sindaci di impegnarsi pubblicamente a rispettare il voto dei cittadini del 18 novembre.

Fonte: altraeconomia.it (qui)

Europa vs Stati, Politica

Mario Draghi a Giovanni Tria: “L’Italia riduca il debito. Serve responsabilità nei confronti dell’Eurozona”. Ecco chi comanda.

Il presidente della Bce, secondo fonti europee, nel corso dell’Eurogruppo ha insistito sulla responsabilità dell’Italia “al di là delle regole europee”

Mario Draghi, a margine della riunione dell’Eurogruppo del 5 novembre, ha insistito con Giovanni Tria sulla necessità che l’Italia riduca il suo debito elevato. Lo si apprende si apprende da fonti europee. Prendendo la parola nella riunione dei ministri dell’Economia dell’Eurozona dedicata all’Italia, il presidente della Bce ha sottolineato che ridurre il debito sia una responsabilità che va al di là di quanto richiesto dalle regole europee. Da Francoforte – spiega Reuters – non commentano le indiscrezioni.

Draghi si riferiva alla sua scelta di presentare un progetto di bilancio per il 2019 con obiettivi che violano il patto di stabilità. Il vertice della Bce ha sottolineato che uno stato membro dell’Unione monetaria deve assumersi singolarmente una responsabilità che deriva direttamente dalla scelta di aver adottato la stessa moneta.

Con la diffusione delle dichiarazioni di Draghi viene così confermato – spiega Radiocor – che non solo i 18 ministri finanziari dell’Unione monetaria hanno dato man forte alla Commissione europea sul caso Italia, ma che l’esecutivo Ue ha anche il pieno sostegno della Bce.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

Politica

Finestre fotoniche

Glass to Power ha sviluppato una tecnologia per trasformare le finestre in pannelli solari semitrasparenti con cui soddisfare il fabbisogno energetico di un edificio.

pongono: guardare oltre, immaginarsi gli svilup- pi futuri. Sergio Brovelli e Francesco Meinardi ci sono riusciti. Quando si sono rincontrati nel 2012 – entrambi si erano specializzati in scienza dei materiali all’Uni- versità degli Studi di Milano-Bicocca – le loro strade scientifiche avevano preso direzioni diverse, ma i due ricercatori hanno sapu- to cogliere l’occasione, capendo che quelle strade si potevano in- crociare, e con successo. Brovelli ha lavorato all’estero allo stu- dio di nanoparticelle semiconduttrici con cui realizzare materiali che si possono controllare a livello atomico e che hanno applica- zioni in fotonica. Meinardi si è occupato a lungo dello studio del- la tecnologia a concentrazione solare, che mira alla produzione di energia sfruttando i raggi solari che colpiscono superfici rifletten- ti. Una tecnologia che, dopo un primo momento di sviluppo, si era arenata: i dispositivi a concentrazione solare hanno bisogno di emettitori che assorbano la luce in maniera efficiente e che la rie- mettano a una lunghezza d’onda diversa da quella assorbita. Co- sa che la natura non ama fare perché ama la simmetria: luce rossa darà prevalentemente luce rossa; la verde, verde e così via.

«Con i materiali usati fino a quel momento, queste difficoltà non riuscivano a essere aggirate e di conseguenza non era pos- sibile creare un dispositivo di grandi dimensioni», spiega Brovel- li. «Ma quando io e Francesco ci siamo messi a parlare abbiamo subito capito che i miei studi erano la soluzione ai suoi proble- mi. E così abbiamo cominciato a lavorare al nostro progetto co- mune: creare finestre in grado di trasformare gran parte della luce solare che le colpisce in energia da usare per rendere energetica- mente autonomi gli edifici». Nasce così l’idea di Glass to Power, azienda che nei prossimi mesi aprirà uno stabilimento di produ- zione a Rovereto, in provincia di Trento, dando così una accelera- ta sostanziale verso l’industrializzazione dei suoi prodotti.

Dal laboratorio al mercato

Ma facciamo un passo indietro, perché dal laboratorio al mer- cato la strada è fatta di studio, ricerca e confronto. La teoria è chiara: bisogna creare lastre trasparenti al cui interno ci siano so- stanze in grado di assorbire e di riemettere la luce, che così rima- ne intrappolata e si propaga, riflettendosi, fino ad arrivare ai bor- di delle lastre, dove trova piccole celle solari che la convertono in elettricità. La pratica un po’ meno: affinché funzioni l’oggetto non deve assorbire la sua stessa luce altrimenti si abbassa la sua effi- cienza; un obiettivo difficile soprattutto con dispositivi di grandi dimensioni. Ma le particelle su cui ha lavorato Brovelli sono pro- prio capaci di assorbire luce visibile e trasformarla in infrarossa senza assorbirla. La dimostrazione è arrivata nel 2014 con la pri- ma pubblicazione degli studi effettuati dai due ricercatori su «Na-

ture Photonics» a cui ne seguono altre in cui la tecnologia vie- ne via via migliorata. «A quel punto abbiamo deciso di depositare un brevetto», continua Brovelli, presidente del comitato scientifico dell’azienda. «Avevamo in mente lo sviluppo industriale, anche se non ci era chiaro come avremmo dovuto procedere». A quel pun- to è arrivato un altro incontro virtuoso, quello con Emilio Sassone Corsi, oggi amministratore delegato dell’azienda, esperto di open innovation, che propone ai due di dare vita a uno spin-off.

«Da lì siamo partiti, con un capitale sociale di 300.000 euro raccolto da fondi privati», racconta ancora Brovelli. «L’anno do- po abbiamo ricapitalizzato a 1,5 milioni di euro sempre grazie a fondi privati e crowdfounding, fino ad arrivare all’ultima capita- lizzazione, di quest’anno, con cui abbiamo portato il valore socie- tario a 12 milioni di euro». Nel frattempo Glass to Power ha vinto numerosi premi per l’innovazione, in Italia e all’estero, e si è fatta notare per il suo approccio innovativo a un problema scientifico – rendere fruibile la tecnologia a concentrazione solare – che rima- neva senza soluzione ormai da trent’anni.

Il prodotto principale di Glass to Power sono vetrocamere, la porzione in vetro che viene infilata nell’infisso, che contengono il dispositivo fotovoltaico già cablato con l’uscita elettrica che vie-ne agganciata al sistema dell’edificio o a batterie in loco. Il cuore pulsante della tecnologia sono le particelle prodotte direttamen- te dall’azienda – e che presto saranno prodotte in grande quantità nello stabilimento di Rovereto – all’interno di compositi in plexi- glass, lastre che a loro volta vengono incapsulate nella vetroca- mera. «La produzione del composito che contiene le nanoparti- celle avviene per via chimica, non si tratta di un assemblaggio», spiega Brovelli. «Ed è proprio questa la difficoltà e la nostra forza. Nessuno al mondo riesce a fare quello che facciamo noi».

L’obiettivo a cui Glass to Power vuole arrivare è un’efficienza di 50 watt a metro quadro su una finestra trasparente al 50 per cen- to, cioè sfruttando solo metà della luce che incide sulla finestra: raggiungere questo obiettivo vorrebbe dire rendere una finestra di 1 metro quadro capace di produrre un terzo dell’energia che at- tualmente è prodotta da un pannello fotovoltaico delle stesse di- mensioni, che però è completamente opaco. «Con il vantaggio che le finestre, lasciando passare in parte la luce, possono essere usa- te lungo tutte le facciate degli edifici mentre per i pannelli si può sfruttare solo il tetto», sottolinea Brovelli.

«Il sogno è usare superfici energeticamente morte, come sono ora le facciate continue a vetri, e convertirle in spazi attivi, con cui soddisfare i bisogni energetici degli edifici». Un sogno ambi- zioso che fino a sei anni fa era chiuso in un laboratorio e che og- gi sembra concreto, pronto ad affacciarsi sul mercato. «La nostra storia è un esempio chiaro di quanto sia importante la ricerca di base. L’idea che ha portato al nostro prodotto è innanzitutto un’a- strazione a partire da dati di laboratorio. Senza questo lavoro nes- suna innovazione è possibile», conclude Brovelli. Poi ci vogliono intuito e capacità di cogliere le occasioni.

Fonte: lescienze.it N. 602 Ottobre 2018 Articolo di L. Gabaglio

Economia, Politica

Economia stagnante. Istat stima Pil invariato nel terzo trimestre. Salvini: “Rallenta perché quelli di prima obbedivano a Bruxelles, è motivo in più per tirare avanti”.

La crescita tendenziale è pari allo 0,8%. La variazione acquisita per il 2018 è pari a +1%. Si complica così il target del +1,2% nel 2018 fissato dal Governo.

Nel terzo trimestre del 2018 l’Istat stima che il Pil sia rimasto invariato rispetto al trimestre precedente, nei dati preliminari corretti per gli effetti di calendario e destagionalizzati. Un dato che delude le attese degli analisti, che si attendevano un +0,2%. Il tasso tendenziale di crescita è pari allo 0,8%. Il terzo trimestre del 2018 ha avuto due giornate lavorative in più rispetto al trimestre precedente e lo stesso numero rispetto al terzo trimestre del 2017.

La variazione acquisita per il 2018, che si otterrebbe in presenza di una variazione congiunturale nulla nell’ultimo trimestre dell’anno, è pari all’1%. Si complica quindi il target del +1,2% nel 2018 fissato dal Governo nella Nadef.

“Nel terzo trimestre del 2018 la dinamica dell’economia italiana è risultata stagnante, segnando una pausa nella tendenza espansiva in atto da oltre tre anni” commenta l’Istat. “Giunto dopo una fase di progressiva decelerazione della crescita, – continua l’istituto – tale risultato implica un abbassamento del tasso di crescita tendenziale del Pil, che passa allo 0,8%, dall’1,2% del secondo trimestre”.

Dopo la diffusione dei dati sul Pil lo spread tra Btp e Bund tedeschi risale deciso e recupera quota 310.

Le reazioni:

Conte: “L’avevamo previsto”.

“Vedrete che con la ‘manovra del popolo’ non solo il Pil ma anche la felicità dei cittadini si riprenderà”, con queste parole Luigi Di Maio ha commentato i dati Istat sul prodotto interno lordo dell’Italia. Si tratta di numeri non proprio confortanti: i dati, infatti, attestano lo stallo dell’economia italiana, contrariamente alle previsioni degli analisti che si aspettavano +0,2%. Ma il vicepremier è sicuro che con la manovra pensata dal governo gialloverde cambierà tutto. E l’evoluzione sarà tale che anche la gente sarà più felice.

Non è proprio della stessa idea Matteo Renzi che si è detto preoccupato per i dati Istat: “Dopo quattro anni di crescita, l’Italia si è bloccata. Per la prima volta dopo quattro anni il Pil torna a zero. Salvini e Di Maio stanno sfasciando l’Italia. Fermatevi! Paga il Popolo”. Per Di Maio, però, la colpa della mancata crescita sarebbe proprio del Pd: “A chi ci attacca, come il bugiardo seriale Renzi, ricordiamo che il risultato del 2018 dipende dalla Manovra approvata a dicembre 2017, che è targata Partito Democratico”, ha scritto sul blog delle Stelle. “Se il Pil rallenta perché quelli di prima obbedivano a Bruxelles è motivo in più per tirare avanti”, ha sostenuto Matteo Salvini.

Pessimista Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici della Cattolica: ha osservato che l’economia italiana non solo non raggiungerà la stima di crescita dell’1,2% nel 2018, indicata dal governo nella nota di aggiornamento al Def, ma difficilmente riuscirà a registrare nel 2019 una performance dell’1,5%.

Per Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, il risultato diffuso dall’Istat era prevedibile: “L’abbiamo detto da tempo, l’economia globale comincia a rallentare c’è una questione interna di un’Italia che deve reagire – ha sostenuto – (..) è colpa esclusiva di questo governo e della politica economica che realizza, non di altre. Noi siamo a disposizione del paese e del governo per fare proposte intelligenti e di buon senso che non antepongano questioni ideologiche alle spiegazioni economiche di un grande paese come l’Italia”.

Per il premier Conte i dati sul Pil non sono una sorpresa. Il governo, ha sostenuto a margine dei lavori del Tech Summit, aveva previsto un arresto della crescita e per questo ha messo a punto la manovra ‘del popolo’: “È uno stop congiunturale, l’avevamo previsto. Per questo abbiamo deciso una manovra espansiva. La manovra mira a invertire questo trend”.

Fonte: huffingtonpost.it (qui) e (qui)