Giovani, Povertà, Società

Giovani, Oxfam: “la generazione di cui fanno parte avrà un futuro, un lavoro e una retribuzione peggiore di quella precedente”. Ecco il conto delle disuguaglianze.

I giovani, secondo un’indagine condotta da Demopolis, è ben conscia che la generazione di cui fanno parte avrà un futuro, un lavoro e una retribuzione peggiore di quella precedente. E al governo fannno una domanda: cosa state facendo per cambiare questa situazione?

ROMA – Disorientali da una scuola che non orienta, sfruttati sul lavoro e con un futuro incerto anche sulla loro vecchiaia (detto in parole povere chissà se mai vedranno una pensione), i giovani italiani vivono sulla loro pelle e respirano nell’aria tutta la diseguaglianza generazionale che li accompagna nella vita. Non ci vuole molto: basta un confronto con i loro genitori e i loro nonni (spesso fonti di reddito per i nipoti con le loro pensioni). E’ l’età della diseguaglianza. Così è stata definita quella che va da 18 ai 35 anni da una ricerca Demopolis per Oxfam.

Macigni pesano da tempo sulle spalle di una generazione che ha contratti intermittenti, a chiamata, sempre e comunque a tempo, come se il futuro non gli appartenesse. Sfiduciati? Sì tant’è che molti si trasformano in neet (non lavorano non studiano) e soprattutto non mettono su famiglia. Perdenti se si confrontano con le generazioni che li hanno preceduti e con i coetanei di altri Paesi europei, dove la giovinezza non è una colpa, ma una risorsa. Sfiduciati dunque, ma scemi no, tant’è che la domanda che due giovani su tre si pongono è netta e precisa: cosa fai il governo per ridurre il livello abnorme di queste diseguaglianze? Perché non applica delle misure mirate a ridurle? Perché non si impegna a combattere la corruzione e a migliorare la scuola e l’accesso al lavoro? Domanda retorica, ma neanche, tanto perché finora di concreto hanno visto poco.

La diseguaglianza tra generazioni. Il pessimismo delle nuove generazioni è altissimo e riguarda 8 su 10 giovani. Ben il 66% degli intervistati prospetta per sé un tenore di vita e una posizione sociale ed economica peggiore rispetto alla generazione precedente. Solo un quarto immagina una permanenza di status e opportunità simili a quella dei propri genitori e appena il 9% ipotizza che vivrà in condizioni migliori. L’ascensore sociale (quello che garantiva dopo una vita di lavoro, di pensare a un futuro migliore per i propri figli) è inceppata e da tempo. “Sono diversi gli ambiti nei quali i giovani si ritengono penalizzati – spiega il direttore di Demopolis Pietro Vento – il 78% indica, al primo posto, la precarietà del lavoro e le minori tutele contrattuali. Il 75% l’incertezza sul futuro, la convinzione di non poter contare sulle stesse certezze delle quali ha goduto la generazione dei propri genitori. E 7 su 10 lamentano la dimensione penalizzante di retribuzioni basse o inadeguate, mentre il 67% individua inique prospettive previdenziali e di accesso alla pensione.”

Un esempio? Chi va in pensione oggi spesso ha un assegno più elevato di chi oggi lo sostituirà nello stesso lavoro.

Giovani sinonimo di discriminante. Sono 3 milioni in Italia i giovani neet tra i 18 e i 34 anni. “A questi si aggiungono i milioni di giovani che un lavoro ce l’hanno, ma con retribuzioni ridotte, disciplinato da formule contrattuali lontane dal lavoro standard – dice Elisa Bacciotti, direttrice del dipartimento Campagne di Oxfam Italia – siamo di fronte a un’intera generazione costretta a vivere al presente, su posizioni di difesa o di adattamento. L’azione istituzionale deve fare in modo che nel “conflitto distributivo” essere giovani cessi di essere una discriminante a sé”. Non una risorsa, un problema.

Le dinamiche ostili dell’attuale mercato occupazionale e il fallimento della scuola. Sono i regni del disorientamento. Quattro giovani su dieci ritengono di non possedere le informazioni sul mercato del lavoro necessarie per le scelte professionali o lavorative. La famosa domanda: “che faccio da grande? E il 61% dichiara che nei momenti fondamentali del proprio percorso formativo non è riuscito a ottenere un orientamento chiaro e informazioni sufficienti per compiere una scelta consapevole tra studio e lavoro. Insomma si arriva all’età adulta senza aver capito cosa conviene fare. Per il 58% dei giovani la scuola pubblica garantisce solo in parte e con livelli di qualità differenti l’uguaglianza di opportunità. Per 3 intervistati su 10 non vi riesce affatto. Un fallimento per chi l’ha frequentata.

Diseguaglianze in crescita negli ultimi 5 anni. I giovani sono anche consapevoli che si sia creato un un forte squilibrio nella distribuzione dei redditi in Italia, tant’è che il 72% si dice convinto che negli ultimi 5 anni le disuguaglianze nel nostro Paese siano aumentate. Dove? Nella distribuzione del reddito (82%) nelle opportunità di accesso al mercato del lavoro (70%), nelle differenti opportunità tra le aree del Paese (65%). E’ in questo scenario, che 2 giovani su 3 vorrebbero che le politiche mirate a ridurre le disuguaglianze fossero materie prioritarie nell’agenda di governo. E fanno anche alcuni esempi: oltre il 70% dei giovani italiani chiede maggiore attenzione nella lotta all’evasione fiscale e nel contrasto alla corruzione. La maggioranza assoluta auspica inoltre politiche attive del lavoro e di orientamento più efficienti in seno al mondo scolastico, ma anche il salario minimo orario e maggiori tutele contrattuali.

Fonte: laRepubblica.it (qui)

Economia, Povertà

Italiani sempre più poveri dopo i governi filo-UE

Non è che prima del 2010 gli italiani stessero benissimo: quel che è certo, comunque, è che dal 2011 in avanti la povertà e l’esclusione sociale sono aumentate nel nostro Paese in quantità nettamente maggiore rispetto al resto dell’Europa.

A certificarlo non è un blog di complottisti grillini o falsi sovranisti leghisti, ma uno dei più autorevoli istituti di ricerca a livello continentale, l’Eurostat. Secondo uno studio effettuato da quest’ultimo, che misura il raggiungimento degli Obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, nei campi della povertà, del mondo del lavoro, delle disuguaglianze sociali e della salute della popolazione l’Italia esce con le ossa rotte.

Italia, come combattere la povertà?

Il rischio di povertà ed emarginazione è largamente maggiore rispetto alla media europea (30% contro 23,5%). Otto anni fa era a rischio povertà un italiano su 4, mentre oggi lo è uno su 3. Evidentemente, cresce anche la percentuale di popolazione che vive in condizioni di grave deprivazione materiale: il 12,1% nel Belpaese (si fa per dire) contro il 7% della media UE. Per esempio, nel 2010 era il 7,4% degli italiani a vivere in queste condizioni. I dati sono sconfortanti: il 16% dei cittadini non riesce a riscaldare adeguatamente la propria abitazione, ed è una percentuale in aumento, quando nel resto d’Europa si è riusciti a ridurre questo numero. D’altra parte, nel 2010 la fetta di popolazione non abbiente deteneva il 20% del reddito complessivo, mentre pochi anni dopo questa è scesa al 19%, dimostrando l’inefficacia delle politiche attivate dai governi che si sono succeduti. Non sarà quindi un caso che in Italia si riscontra una percentuale di popolazione che ha rinunciato alle cure per ragioni economiche pari al doppio rispetto al resto d’Europa: il 5,5%, in crescita dal 2010 a oggi.

Italia, i giovani fuori dai giochi

Continua poi ad aumentare anche la percentuale dei neet, cioè delle persone che non studiano né lavorano. La più alta in Europa, nonostante il governo Letta avesse ottenuto e investito una vera fortuna con la Garanzia Giovani. E il numero dei laureati è da Terzo Mondo: si laurea solo il 26%, contro il 39% della media comunitaria. È un dato scoraggiante, perché in una società che punta con forza alla rivoluzione industriale 4.0 — tanto da varare anche un programma di successo da parte del ministro Calenda durante il governo Gentiloni — proprio sulla partita della formazione del capitale umano si gioca il futuro di intere generazioni di giovani, i quali se non istruiti adeguatamente e dotati di alte specializzazioni andranno a ingrossare le file dei nuovi poveri.

Media e social tra censura e fake, ma chi controlla i controllori?

Considerando questi dati, c’è da domandarsi come possa la stampa mainstream continuare a etichettare sbrigativamente come ignoranti tutti quei cittadini che hanno scelto di affidare la guida del Paese ad altre forze politiche, optando per partiti diversi da quelli che hanno occupato i posti di comando negli ultimi dieci anni. Si fa un gran parlare di fake news, ma sarebbe opportuno analizzare anche gli articoli nei quali i giornali a tiratura nazionale insultano coloro che dissentono dalla narrazione ufficiale della politica, dalla visione “comunemente accettata” di come stiano le cose in Italia e nel mondo. Nell’anno del Signore 2018, infatti, per il pensiero “democratico” non c’è spazio per il dissenso: chiunque non si allinea è un barbaro da screditare e abbattere. Eppure, quelli appena descritti sono i risultati degli illuminati governi che si sono succeduti dal 2011 ad oggi, quegli esecutivi costruiti a immagine e somiglianza dei vertici della Troika. I governi che avrebbero dovuto condurre l’Italia fuori dal guado, quelli di Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, pare invece abbiano impantanato ancora di più la fragile vettura chiamata Italia. Ed è bene ripetere che a certificare il fallimento è un istituto europeo, non un hacker del Cremlino o un sito di estremisti antieuropei.

Disoccupazione, gli effetti psicologici (sottovalutati)

Esemplificativa di come gli italiani siano stati fatti cornuti e mazziati è la cronaca recente: un disoccupato di 53 anni ha ricevuto dall’Inps un “bonus povertà” pari a 1 euro e 22 centesimi. Ora, di fronte a una beffa del genere, i cittadini di fede democratico-europeista si chiederanno se dietro agli italiani arrabbiati si cela sempre un complotto social o se invece molte decisioni politiche spacciate per buone si sono rivelate tragicamente sbagliate? Il problema è che molti non vogliono comprendere che con la scusa della crisi economica internazionale e della speculazione finanziaria a suon di spread, migliaia di italiani si sono impoveriti per ingrassare le tasche di altri soggetti sia italiani che internazionali. D’altronde, se i ricchi sono divenuti sempre più ricchi, da qualche parte i soldi li avranno pure presi! Non ci resta che augurarci che il risultato di questi 10 anni di cura-Troika mascherata da governo democratico non finisca per mettere gli italiani gli uni contro gli altri, scatenando una guerra tra poveri di oggi e poveri di domani.

Fonte: sputiniknews.com (qui)