Shoah

Ricordare ci rende migliori

Oltre la memoria: il ricordo dell’Olocausto ha avuto in città e provincia echi imprevisti, per quantità e qualità.

Non è solo una impressione personale. Tutte le cronache di queste giornate della memoria testimoniano di una alta partecipazione, di una corale mobilitazione. Il ricordo dell’Olocausto ha avuto in città e provincia echi imprevisti, per quantità e qualità. Mai tante letture, mai tante serate di incontro, tante pietre di inciampo. A Provaglio in una affollata S.Pietro in Lamosa, decine di cittadini si sono alternati nella lettura di brani a tema. La scuola primaria di Ghedi ha scritto storie di deportati. A Calvagese folla alla posa di due pietre della memoria. In città decine le iniziative. Quasi tutti i comuni della provincia hanno ospitato eventi, concerti, racconti, ricordi. Se ne può trarre una sintesi, è lecito cercarvi un insegnamento? Forse no. Eppure ci deve essere un senso. Quantomeno è lecito leggervi una occasione positiva in un tempo che è un concentrato di notizie deprimenti. Forse l’opportunità che il ricordo di una storia così tragica ha dato a molti di testimoniare il bisogno di resistenza contro la rabbia, (il Censis la definisce cattiveria), che sarebbe il substrato della nostra identità definita dai social. La società vista nei giorni della memoria è di gran lunga migliore di quella che la difficile convivenza politica e sociale dei tempi che attraversiamo ci fa vedere. Forse, inconscia, abbiamo la necessità di ritrovare, magari solo per un giorno, sentimenti forti, radici che non mollano, idee che resistono sopra la superficie della liquidità civile. Chissà, la memoria ci aiuta a capire che il futuro ha bisogno anche, forse soprattutto, di etica.

Fonte: Corriere Brescia Editoriale di Tino Bino.

Shoah

Sapersi ribellare, dire no. La lezione di Gino Bartali, il campione Giusto

Non dimenticare. Mai. Sapersi ribellare. Dire no. Anche di questi tempi: ogni volta che viene a mancare la pietà, l’umanità, la tolleranza. Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria, l’immane tragedia della Shoah. In quell’epoca regnava l’orrore, le leggi razziali rappresentarono una vergogna per l’Italia, gli ebrei non avevano più passato, presente e futuro. I campi di concentramento nazisti funzionavano giorno dopo giorno, donna dopo donna, uomo dopo uomo, bambino dopo bambino. Ma qualcuno non si è voltato dall’altra parte, c’è chi si è battuto, con coraggio e determinazione, per salvare più persone possibili, nel pieno della Paura e della Tragedia: come Gino Bartali.

Un fuoriclasse del ciclismo, il rivale di Fausto Coppi, il “Ginetaccio” che conquistò per tre volte il Giro d’Italia e per due volte il Tour de France. E la sua vittoria in Francia, nel 1948, dopo il tentato omicidio di Palmiro Togliatti, leader del PCI, colpito del neofascista Antonio Pallante con tre proiettili, impedì al nostro Paese di ricadere nel baratro di una nuova guerra civile.

Ma Bartali fu anche l’eroe che salvò da morte sicura più di ottocento ebrei. Con la scusa degli allenamenti, portava ai rifugiati (grazie alle Reti Clandestine), in convento o in case private, documenti, soprattutto passaporti falsi, per poter sfuggire all’arresto durante i continui rastrellamenti. Sapeva di rischiare la vita, ma non si tirò mai indietro. Venne anche arrestato, dai fascisti di Salò guidati dall’ufficiale Mario Carità, rinchiuso a Villa Triste, minacciato di venir fucilato: non parlò, non abbasso la testa, così come non salutò mai il Duce, con il braccio alzato, dopo le sue vittorie. Riuscì a salvarsi, anche grazie alle sue imprese in bici. Era pur sempre un eroe nazionale, alla faccia del fascismo. Un cattolico fervente che aveva abbracciato “ama il prossimo tuo come te stesso”.

Questa storia potete trovarla in un libro bellissimo, di Alberto Toscano, giornalista, saggista e politologo, pubblicato in Francia lo scorso anno con il titolo “Un vélo contro la barbarie nazi” e, ora, finalmente anche in Italia, edito da Baldini+Castoldi: “Gino Bartali, una bici contro il fascismo”, prefazione (splendida) di Gianni Mura, postfazione di Marek Halter, traduzione di Giovanni Zucca.

Bartali non parlò mai, o quasi mai, in vita dei suoi atti di coraggio. Al figlio Andrea disse, semplicemente: “Io voglio essere ricordato per le mie imprese sportive e non come un eroe di guerra. Gli eroi sono altri. Quelli che hanno patito nelle membra, nelle menti, negli affetti. Io mi sono limitato a fare ciò che sapevo meglio fare. Andare in bicicletta. Il bene va fatto, ma non bisogna dirlo. Se viene detto non ha più valore perché è segno che uno vuol trarre della pubblicità dalle sofferenze altrui. Queste sono medaglie che si appuntano sull’anima e varranno nel Regno dei Cieli, non su questa terra”. Ora il nome del nostro campione è sul Muro dei Giusti al Memoriale di Yad Vashem a Gerusalemme. E noi vogliamo ricordare le sue imprese, nello sport e nella vita, in questi giorni, in questo tempo, per una Memoria che va sempre difesa e mai smarrita.

ASSOCIATED PRESSItalian Andrea Bartali son of champion cyclist Gino Bartali, points at the name of his father at the Hall of Names at the Yad Vashem Holocaust memorial in Jerusalem, Thursday, Oct. 10, 2013, after a ceremony to induct Bartali into the prestigious Garden of the Righteous Among the Nations for his help rescuing Jews during World War II. During the German occupation of Italy, the champion cyclist aided the Jewish-Christian rescue network in his hometown of Florence and the surrounding area by shuffling forged documents and papers hidden in the tubes and seat of his bike. (AP Photo/Sebastian Scheiner)

Fonte: huffintonpost.it (qui)