Politica, Storia

Pensate ancora sempre che la globalizzazione porterà la pace? Lo pensavano anche nel 1914. Tre ragioni di attualità per temere una nuova “Grande Guerra”

Il mese scorso sono andato a Vienna, che fu la sede dell’impero austro-ungarico ed è il luogo ideale per riflettere sul centesimo anniversario della fine della prima guerra mondiale.

Questo conflitto è iniziato con la dichiarazione di guerra dell’impero austro-ungarico alla Serbia nel luglio 1914, in seguito all’assassinio dell’arciduca austro-ungarico Francesco Ferdinando. Questo ha poi portato a più di 15 milioni di morti, alla distruzione di quattro imperi, alla nascita del Comunismo e del Fascismo in alcuni dei principali stati europei, all’emergere e all’ulteriore ritirarsi dell’America come potenza mondiale e ad altri sviluppi che hanno profondamente modificato il corso del ventesimo secolo.

La Prima Guerra Mondiale è stata “il diluvio… una convulsione della natura “, ha dichiarato il ministro britannico degli armamenti David Lloyd George, “un terremoto che rovescia le fondamenta della vita europea “. Questo conflitto si è concluso un secolo fa, ma ci propone tre lezioni cruciali, pertinenti a questo nostro mondo odierno sempre più caotico.

In primis, la pace è sempre più fragile di quanto non sembri. Nel 1914 l’Europa non aveva conosciuto un conflitto continentale globale dalla fine delle guerre napoleoniche un secolo prima.

Certi osservatori pensavano che il ritorno ad un eccidio del genere fosse diventato quasi impossibile. L’autore britannico Norman Angell si immortalava suggerendo, solo pochi anni prima della prima guerra mondiale, che ciò che noi ora chiameremmo “globalizzazione” aveva reso obsoleti i conflitti tra le grandi potenze. La guerra, affermava, era diventata inutile, dato che la pace e i crescenti legami economici e finanziari tra i principali stati europei producevano un grande benessere.
Angell era in buona compagnia con la moltitudine dei pensatori che credevano che il miglioramento delle comunicazioni legasse l’umanità ancora più strettamente, che l’arbitraggio internazionale rendesse la guerra inutile, e che il nazionalismo fosse eliminato dalle nuove ideologie più illuminate e da migliori forme di cooperazione internazionale.

Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale ha mostrato che queste tendenze non erano affatto una garanzia di pace, poiché furono molto facilmente travolte dalle forze più tenebrose del conflitto e della rivalità. Le variazioni destabilizzanti nell’equilibrio delle forze, le rigidità geopolitiche create da progetti militari minacciosi, la crescita di idee sociali darwiniste e militariste che esaltavano il ruolo della guerra nello sviluppo umano e nazionale e le tensioni che circondavano il crescente tentativo del pangermanismo di proporre il suo primato europeo ed il suo potere mondiale, avevano accumulato una grande quantità di materiali combustibili che sono stati incendiati dalla scintilla apparentemente minima venuta dall’assassinio di un arciduca.

Se oggi diamo per scontato che la guerra tra le grandi potenze non possa avere luogo, che l’interdipendenza economica si farà carico della crescita delle tensioni tra gli Stati Uniti e la Cina, che i progressi dell’umanità nello spirito dei lumi relegheranno il nazionalismo e l’aggressione nei libri di storia, allora rischiamo di scoprire che la nostra attuale pace è molto più precaria di quello che pensiamo.

Come secondo punto, la Prima Guerra Mondiale ci ricorda che, quando la pace si eclissa per fare posto alla distruzione dell’ordine internazionale, le conseguenze possono essere ben peggiori di quello che si può immaginare. Anche dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, numerosi osservatori stimavano che sarebbe stata di breve durata e con conseguenze limitate. Nel settembre 1914, “The Economist” rassicurava i suoi lettori circa “l’impossibilità economica e finanziaria di sostenere per ancora molti mesi delle ostilità al ritmo attuale”. Invece questa predizione, come tante altre, era del tutto sbagliata, dato che proprio le risorse del Progresso, che avevano indotto tanto ottimismo negli anni precedenti la guerra, hanno poi reso il suo impatto altrettanto catastrofico.

Lo sviluppo di stati più moderni e più efficienti nel corso dei decenni che hanno preceduto la prima guerra mondiale dava ormai ai dirigenti europei la possibilità di tassare e di reclutare più efficacemente le loro popolazioni e di sostenere un conflitto terribile ben più a lungo di quanto previsto. Le conquiste industriali e tecnologiche dell’epoca permettevano allora di uccidere su scala industriale. Come ha osservato il rettore di una chiesa britannica, “tutte le risorse della Scienza erano state utilizzate per perfezionare le armi di distruzione dell’umanità “.

Mentre il conflitto si espandeva, le remore morali venivano erose e alcune innovazioni terribili come i bombardamenti aerei, i gas tossici e la guerra sottomarina senza limiti erano messi in opera. La guerra ha accelerato il genocidio degli Armeni e innumerevoli altri crimini contro civili inermi. Anche le sue conseguenze a lungo termine sono state egualmente traumatiche, poiché la prima guerra mondiale ha rimodellato la carta politica dei continenti, scatenato delle rivoluzioni dal cuore dell’Europa fino all’Estremo Oriente e messo in incubazione alcune ideologie politiche tra le più venefiche nella storia dell’umanità.

La Prima Guerra Mondiale non era così diversa sotto questo profilo, dalle numerose guerre tra grandi potenze che hanno periodicamente lacerato il sistema internazionale. Una volta che l’ordine esistente sia collassato, non si sa più fino a dove arriveranno la distruzione , le trasgressioni morali accettate e lo sconvolgimento geopolitico. Ora che gli Americani si chiedono con quanta forza difendere l’ordine internazionale che il loro paese ha creato, contro le pressioni crescenti esercitate da potenze revisioniste autoritarie come la Cina e la Russia – o anche (si chiedono) se farlo- vale la pena di tenere presente questa lezione.
Da qui la terza lezione: quando gli Stati Uniti si isolano dal mondo, è molto facile che più tardi debbano poi impegnarsi di nuovo, con un costo molto più elevato L’America ha giocato un ruolo chiave nel rilancio economico dell’Europa post-bellica durante gli anni ‘90. Ma allora aveva rifiutato il tipo di impegno strategico e militare a lungo termine che ha finalmente adottato dopo la Seconda Guerra Mondiale

Gli americani si comportarono così per delle ragioni che all’epoca sembravano totalmente comprensibili. C’era una generale riluttanza ad abolire la tradizione di non intervento in Europa, ed anche la paura che l’adesione alla Società delle Nazioni potesse attentare alla sovranità americana ed usurpare le prerogative costituzionali del Congresso in materia di dichiarazioni di guerra. Soprattutto, c’era un compiacimento strategico provocato dalla disfatta della Germania e dei suoi alleati, che sembrava aver allontanato dall’orizzonte grossi rischi geopolitici.

La storia degli anni 1930-1940 tuttavia ha presto mostrato che nuovi ed ancora più gravi pericoli potevano sopravvenire nell’assenza, in tempo opportuno, di sforzi risoluti delle democrazie per impedirlo. Anche se gli Stati Uniti e i loro alleati durante la Seconda Guerra Mondiale hanno ottenuto il risultato di sconfiggere le potenze dell’Asse, ci sono arrivati soltanto con un costo in vite umane, ricchezza, e devastazione generale che ha eclissato il pedaggio pagato alla prima guerra mondiale.

È questa la ragione per cui gli Stati Uniti hanno scelto di restare così profondamente impegnati negli affari dell’Europa, dell’Asia del Pacifico e di altre regioni chiave dopo il 1945: le autorità americane avevano imparato che, in geopolitica come in medicina, la prevenzione è spesso molto meno costosa della cura per guarire. In questo momento, in cui l’impegno futuro degli Stati Uniti per la leadership internazionale viene di nuovo messa in discussione, può darsi che questa sia l’informazione più importante da trasmettere. E ci sono dei mezzi ben peggiori di ricordare questa nozione che quello di attraversare Vienna, città ricca di monumenti che appartenevano a un impero e ad un ordinamento internazionale che la prima guerra mondiale ha distrutto.

Hal Brands è un cronista di Bloomberg Opinion, Henry Kissinger Distinguished Professor alla Scuola di Studi Internazionali Avanzati dell’Università John Hopkins, membro ordinario del Centro per le valutazioni strategiche e di bilancio. Recentemente è stato autore del libro “Le lezioni della tragedia: Arte di governo e ordine mondiale “.

Fonte: http://www.bloomberg.com, di Hal Brand

Link: https://www.bloomberg.com/opinion/articles/2018-11-11/100-years-after-world-war-i-there-s-reason-to-fear

Tradotto dal francese per  http://www.comedonchisciotte.org a cura di GIAKKI49

Nota del Saker Francophone:

Questo testo è un esempio caricaturale della cecità e del disorientamento delle élite davanti al disordine del mondo. È un appello disperato contro la tendenza attuale degli Stati Uniti all’isolazionismo.
L’autore ha capito bene che la globalizzazione è stata la causa delle atrocità della prima guerra mondiale e che oggi siamo nella stessa situazione del 1914. Ma questo non gli impedisce di parlare in favore di un interventismo più radicale degli Stati Uniti nel momento in cui questo paese è senza risorse su tutti i fronti.

Anniversari, Cultura, Storia

8 settembre 1943: L’armistizio che divise il Paese in due.

I fatti dell’8 settembre del 1943, l’armistizio, fecero dell’Italia un Paese allo sbando: con l’illusione della pace, gli italiani si avviavano a un lungo periodo di stenti, bombardamenti, rappresaglie e guerra civile.

Badoglio in Abissinia in uno scatto del 1936.|WIKIMEDIA

Beppe Fenoglio in Primavera di bellezza (1959) raccontò l’8 settembre del 1943 dal punto di vista di un soldato: “E poi nemmeno l’ordine hanno saputo darci. Di ordini ne è arrivato un fottio, ma uno diverso dall’altro, o contrario. Resistere ai tedeschi – non sparare sui tedeschi – non lasciarsi disarmare dai tedeschi – uccidere i tedeschi – autodisarmarsi – non cedere le armi”.

Poche righe che rappresentano esattamente i momenti drammatici in cui il nostro Paese, stremato dalla guerra, fu consegnato in mani straniere, americane al Sud, tedesche al Nord.

Il generale Giuseppe Castellano firma l’armistizio a Cassibile per conto di Badoglio. Il giorno dopo la sua proclamazione il re abbandona Roma e si rifugia a Brindisi.

IL PAESE ALLO SBANDO. Mussolini era stato deposto da poco, dalla seduta del Gran consiglio del Fascismo, il 25 luglio 1943. Quel giorno il re Vittorio Emanuele III aveva nominato capo del Governo il maresciallo Pietro Badoglio, ex capo di Stato maggiore: fu lui ad autorizzare la resa.

Il 3 settembre 1943 fu siglato segretamente l’armistizio di Cassibile tra il generale Castellano, incaricato da Badoglio, e il suo pari grado americano Eisenhower (che nel 1953 sarebbe diventato il 34° presidente degli Stati Uniti).

«L’armistizio fu reso pubblico 5 giorni dopo», racconta la storica Elena Aga Rossi, autrice di Una nazione allo sbando (Il Mulino) su Focus Storia 63: «La situazione militare era disastrosa. Dopo lo sbarco in Sicilia, il 10 luglio, il governo italiano aveva perso tempo prezioso nel tentativo di evitare una resa senza condizioni. Ma non ci riuscì.»

LA GUERRA È FINITA? Alle 19:45 dell’8 settembre Badoglio lesse ai microfoni dell’Eiar (antesignana della Rai) il suo proclama, che includeva un passaggio decisamente ambiguo:

[…] Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza […]

A nessuno fu chiaro che cosa si dovesse fare: non sparare più agli americani? Iniziare a colpire i tedeschi? Il proclama era (volutamente) poco esplicito. I primi a pagarne le spese furono i soldati. Ordinando alle forze armate italiane di reagire solo se attaccate, il proclama sottintendeva la speranza – dimostratasi illusoria – che gli americani ci avrebbero tolto le castagne dal fuoco guidando loro un attacco contro i tedeschi al posto nostro nei punti nevralgici del Paese. Ma questo non avvenne.

ROMA CITTÀ APERTA. Come se non bastasse, i vertici politici del Paese abbandonarono le postazioni: all’alba del 9 settembre, con le prime notizie di un’avanzata di truppe tedesche verso Roma, il re, la regina,  Badoglio e altri pezzi grossi dello Stato maggiore fuggirono da Roma e si fermarono a Brindisi che divenne per qualche mese la sede degli Enti istituzionali.

Intanto, nessuna misura era stata prevista per difendere la capitale, e l’esercito, lasciato senza ordini, in molti casi si dissolse. La reazione tedesca non si fece attendere. «Il comando supremo delle forze armate del Reich diede via al Piano Achse, già pronto da tempo», spiega Elena Aga Rossi. «La notte stessa dell’8 settembre le forze tedesche presero possesso di aeroporti, stazioni ferroviarie e caserme, cogliendo di sorpresa le forze italiane».

Borsa nera a Roma: una “rivendita” di tabacchi, o comunque di qualcosa del genere. Nel novembre del ’43 entrò in vigore la tessera per il tabacco, che dava diritto a tre sigarette oppure a un sigaro al giorno. I negozi, però, erano raramente riforniti: gli italiani impararono a confezionarsi da sé le sigarette, riciclando il tabacco dei mozziconi o utilizzando i surrogati più fantasiosi. | WIKIMEDIA

L’ESERCITO NEL CAOS. I tedeschi emanarono poi le direttive da applicare per il disarmo dei militari italiani, che dovevano essere suddivisi in tre gruppi: chi accettava di continuare a combattere dalla loro parte poteva conservare le armi; chi non lo faceva era mandato nei campi di internamento in Germania come prigioniero di guerra, mentre chi opponeva resistenza o si schierava con le forze partigiane veniva fucilato, se era un ufficiale, oppure impiegato nei campi di lavoro sul posto o nell’Europa occupata.

LA BORSA NERA. Per i civili le cose non andarono meglio. L’Italia era già abituata al razionamento alimentare introdotto durante la guerra e il mercato nero era una realtà economicamente corposa anche prima dell’8 settembre.

Dopo l’armistizio però la situazione s’inasprì, perché gli occupanti nazisti fecero requisizioni di ogni genere e bloccarono la distribuzione di carburante (tutto di provenienza tedesca) al Sud. Risultato? C’erano tessere annonarie per quasi tutto, dal sapone al cibo all’abbigliamento.

GUERRA CIVILE? La popolazione, che si era illusa che la guerra fosse finalmente finita, prese atto che così non era. Il conflitto si trascinò ancora per più di un anno, fino alla primavera del 1945. Con l’aggravante di trasformarsi in una sorta di guerra civile.

Mussolini, il 23 settembre 1943, proclamò infatti la Repubblica di Salò, mentre i partigiani diedero il via alla guerra di liberazione: il Comitato di Liberazione Nazionale fu fondato a Roma il 9 settembre 1943, mentre lo Stato italiano era praticamente dissolto e con esso la credibilità dei suoi vertici istituzionali.

Fonte: focus.it (qui)