Svizzera

La Svizzera chiude il 2018 con 2,9 miliardi di utile, mentre la pressione fiscale sui salari è al 21,8%

Il gettito fiscale è stato di 2,2 miliardi superiore alle attese, merito soprattutto degli utili delle imprese. Ma la pressione fiscale della Confederazione è tra le più basse dell’Ocse.

La casse dello stato svizzero hanno chiuso il 2018 con un «utile» di 2,9 miliardi di franchi, pari a circa 2,6 miliardi di euro. Il surplus del bilancio pubblico superano nettamente le previsioni formulate dodici mesi fa, che parlavano di un avanzo di appena 300 milioni di franchi. Una cifra che consente al governo di Berna di guardare con tranquillità al futuro almeno fino al 2022 e che sembra appartenere a un altro mondo rispetto all’Italia alle prese con deficit, debito pubblico in crescita e voci sempre più insistenti di una manovra correttiva entro la fine dell’anno.

L’avanzo del 2018 è stato comunicato da una nota ufficiale del governo elvetico diffusa pochi giorni fa. Il risultato, dice la comunicazione giunta da Berna «è dovuta all’evoluzione positiva delle entrate e alla grande disciplina mantenuta sul fronte delle uscite». In particolare il gettito fiscale è stato di 2,2 miliardi superiori al preventivo, con un forte contributo arrivato dall’aumento degli utili delle imprese. Le spese invece hanno registrato un «risparmio» di 500 milioni e una diminuzione rispetto all’anno precedente dell’1,8%. Tra le minori uscite vengono citate quelle per il persone (-150 milioni) per beni e servizi (-390 milioni) per le richieste di asilo politico (-160 milioni). Per il 2020 viene messo in conto un «bonus» di 400 milioni mentre sei mesi fa si prevedeva il medesimo importo ma con il segno meno.

La Svizzera, per abitudine, imposta il bilancio statale con molta prudenza (specie sul fronte delle spese) in modo da avere più probabilità di ritrovarsi a fine anno con una avanzo di bilancio. Il risultato del 2018 è però macroscopico avendo superato di quasi 10 volte le previsioni. Ma cosa può aver contribuito al surplus di 2,9 miliardi? L’economia elvetica, che non è arretrata nemmeno negli ani peggiori della crisi mondiale, ha continuato a marciare e l’ultimo dato disponibile parla di una crescita dell’1,6% del pil. Sul gettito ha continuato a far sentire i suoi effetti l’amnistia fiscale che nell’arco di più anni ha portato nelle casse di Berna oltre 31 miliardi di franchi (principalmente rientrati dal Liechtenstein). Da notare che secondo i dati dell’Ocse la pressione fiscale sui salari in Svizzera è del 21,8%.

Fonte: corriere.it

Politica, Sovranità monetaria, Svizzera

La Svizzera nell’UE? Juncker: “non mi faccio più illusioni: gli svizzeri non rinunceranno alla loro sovranità”. Scoprite perchè.

Juncker: “gli svizzeri non rinunceranno alla loro sovranità”.

Il presidente della Commissione UE alla TSR: “Berna si sbrighi a trattare con l’Europa” – E sul nostro cantone: “Continuerò a voler bene ai ticinesi anche se non mi è piaciuto quando hanno votato a destra”

Jean-Claude Juncker, reduce dalla plenaria di Strasburgo, giovedì, intervistato dalla televisione romanda RTS, ha affermato che la Svizzera deve trovare presto “un’intesa d’insieme” con l’Unione europea perché “il tempo stringe”. “Negoziate e concludete con me: entro un anno – ha specificato – non ci sarò più e vedrete”. C’è di mezzo anche la Brexit e la difficile trattativa con la Gran Bretagna: “Non vogliamo che i negoziati si accavallino”. Ma la Svizzera un giorno potrebbe ancora entrare nell’Unione Europea? “Un tempo – ha proseguito Juncker – credevo di sì, ma non mi faccio più illusioni: gli svizzeri non rinunceranno alla loro sovranità”. In conclusione un accenno al Ticino, dove l’alto funzionario europeo è stato spesso in passato: “Continuerò a voler bene ai ticinesi – ha chiosato – anche se non mi è piaciuto quando hanno votato a destra”.

La sovranità monetaria spiegata dagli svizzeri (del 23 febbraio 2015)

Aspettavo con una certa curiosità di rileggere Thomas Jordan, chairman del board della banca centrale svizzera, dopo la decisione del 15 gennaio con la quale l’autorità monetaria ha annunciato che non avrebbe più difeso il regime di cambio con l’euro, fissato anni fa a 1,20 franchi. Decisione che, lo ricorderete, ha alimentato diverse discussioni per alcuni giorni, conducendo peraltro la valuta elvetica a una sostanziale parità con l’euro.

Aspettavo, quindi, curioso di conoscere la versione di Jordan, dopo essermi sciroppata quella di mezzo mondo. E finalmente ho pescato uno speech che il governatore ha tenuto a Bruxelles il 17 gennaio, quindi a caldo: appena due giorni dopo l’annuncio della fine del cambio fisso. Il titolo poi era estremamente suggestivo: “Switzerland at the heart of Europe – between independence and interdependence”.

Già. La Svizzera è il paese più citato dai sovranisti per la sua capacità di vivere, e pure bene, in un contesto globalizzato. La sua indipendenza, che tante invidie le provoca, coesiste con una profonda interdipendenza con il sistema finanziario globale, essendo la Svizzera una economia aperta – pensate solo alle sue banche – e inserita a pieno titolo, con la sua moneta, nel grande gioco valutario.

Il franco svizzero, come tutte le le monete, rappresenta l’interfaccia finanziaria e commerciale della Svizzera col resto del mondo. Il suo stato di salute, perciò, e le modalità con le quali la banca centrale lo gestisce, può dirci molto sulle modalità in cui uno stato sovrano possa sopravvivere (e pure bene) in un contesto globale.

Decido perciò di ascoltare con tutta l’umiltà di cui dispongo l’allocuzione di Jordan, che mi sembra un’utile lezione di politica monetaria a uso mio e dei sovranisti, che magari ne faranno tesoro.

La prima cosa che mi salta all’occhio è la considerazione che, proprio in virtù del suo essere un’economia aperta, la Svizzera a volte “è stata soggetta a grandi shock valutari”. “Non essendo parte di un largo mercato interno – sottolinea – la Svizzera è particolarmente dipendente dai mercati internazionali”. Piccolo è bello, insomma, salvo ricordarsi questo caveat.

E anche un altro: “La Svizzera è conosciuta come un paese con uno dei più alti tenori di vita al mondo, ma ciò non va considerato come acquisito: è una sfida costante raggiungere e mantenere il progresso sociale”.

Quindi, piccolo è bello, a patto di essere capaci di conquistarsi ogni giorno questo privilegio.

A tal proposito, Jordan ci ricorda che la Svizzera dispone di una valuta che gioca, nel sistema globale, un ruolo assai più rilevante del peso specifico espresso dalla taglia economica del paese. Ciò deriva dallo stato di safe haven di cui gode il paradiso elevetico, indice, sottolinea Jordan “della stabilità di cui gode il Paese”.

La stabilità, quindi, è il secondo caveat.

Poi certo, a volte si può esser vittime del proprio successo. E infatti la Svizzera, dopo l’agosto 2007, quando i sub prime americani iniziavano già a scuotere il mondo, ha visto il franco apprezzarsi, e mano  a mano crescere la pressione sul cambio dopo il crack Lehman e, peggio ancora, dopo la crisi dell’euro del 2010-11. “Come conseguenza enormi flussi finanziaria in cerca di rifugio si sono riversati sul franco”. Dall’agosto del 2007 a quello del 2011, la moneta svizzera si è apprezzata del 40% in termini reali. I rendimenti sul debito svizzero a breve termine sono diventati negativi e tale è rimasto sin da allora.

Ciò spiega perché “di fronte a tali drammatici sviluppi” la SNB ha introdotto la soglia minima di 1,20 franchi per un euro il 6 settembre 2011 tenuta fino al 15 gennaio scorso, pure al prezzo di una notevole espansione el bilancio della banca centrale. E anche perché la SNB ha deciso di recedere da questa politica.

“La ragione di questa scelta va ricercata nel contesto internazionale – spiega Jordan – essendo divenuto evidente la divergenza di politica monetaria fra la Bce e la Fed”, espansionaria la prima e probabilmente contrazionaria la seconda.

In queste condizioni “le pressioni sul tasso minimo di cambio si sono intensificate enormemente, in particolare all’inizio del 2015, divenendo perciò insostenibile. La Snb non ha potuto far altro che disconoscere la propria policy”.

Quindi piccolo è bello, a parte di saperselo guadagnare e di non scommettere contro i grandi. Il rischio per la SNB era quello di “perdere il controllo del proprio bilancio”, già enorme, che “avrebbe potuto raddoppiarsi in pochi mesi” se i  banchieri centrali non avesero agito”.

“Come conseguenza adesso l’economia svizzera deve fare i conti con un tasso di cambio molto difficile e in un mondo interdipendente, dove i capitali circolano liberamente, la forza della Svizzera può facilmente diventare un fattore maggiormente sfidante”.

La storia della Svizzera, dove al rifiuto di cedere sovranità, in qualunque forma, si è sempre associato una notevole apertura nei commerci e nelle finanze, rende questa sfida particolarmente complicata, osserva Jordan. Finora il Paese ha retto l’urto della crisi grazie alla sua domanda interna e agli sviluppi positivi del suo mercato immobiliare, che in qualche modo hanno compensato il trauma subito dai suoi scambi internazionali. L’export si è dimostrato resiliente, grazie anche alle scelte di politica monetaria che hanno impedito un apprezzamento del franco superiore a quello già eccessivo registrato. Un quadro che ora diventa più complicato dagli attuali sviluppi, potendo però la Svizzera contare su un quadro d’insieme che espone alcuni punti forti.

Jordan ne elenca alcuni: la struttura innovativa e diversificata del settore produttivo che esporta, per cominciare: l’ammontare dei beni che la Svizzera esporta all’estero equivale a circa la metà del prodotto domestico lordo. Di questo, circa un terzo sono servizi. Per mantenere questa quota di export, il settore tradable è stato interessato da notevoli cambiamenti strutturali. Il farmaceutico, ad esempio, è cresciuto di importanza a scapito del manifatturiero.

Inoltre i settori sono stati riorganizzati al loro interno, sia nei prodotti che nei processi. E poi sono cambiati anche i mercati di riferimento. “Gli esportatori svizzeri si sono concentrati su Cina e Stati Uniti e altre economia emergenti, mentre hanno fatto meno affidamento sui mercati tradizionali come Germania, Francia e Italia”. E tuttavia “gli esportatori svizzeri rimangono fortemente dipendenti dal mercato europeo, che assorbe tuttora più della metà della produzione svizzera”. Ciò spiega perché la crisi dei debiti sovrani abbia messo a dura prova la tenuta dell’economia elvetica.

Un altro supporto della tenuta dell’economia, spiega ancora, è stato il mercato del lavoro flessibile che combina una “scarsa protezione contro il licenziamento con un generoso un sistema di assicurazione contro la disoccupazione”. A ciò si aggiunga una legislazione favorevole al lavoro short-time, quindi una sorta di mini job, che, sottolinea “è un vantaggio cruciale”, così come anche le buone relazioni fra datori di lavoro e lavoratori, orientate verso negoziazioni di tipo consensuale.

Non finisce qui. La Svizzera ha sempre potuto contare anche una politica fiscale robusta, quindi con poco deficit e debito pubblico. “Durante la crisi lo stato salubre delle finanze pubbliche ha permesso di attivare gli stabilizzatori automatici, che hanno supportato l’economia senza minare la stabilità fiscale di medio termine”. Quindi non sono state necessarie misura di austerità né aumenti di tasse per contrastare l’effetto depressionario della crisi. Ciò ha avuto effetti positivi sulla ricchezza delle famiglie e quindi sul consumo interno e la sulla fiducia.

Da ciò ne consegue che le scelte di politica monetaria continueranno ad essere fatte – la SNB ha annunciato che rimarrà attiva nel mercato dei cambi – ogni qual volta si riterrà necessario. Ma con una premessa: “Oggi più che mai l’economia deve concentrarsi sui suoi elementi strutturali di forza e di flessibilità per assicurare la sua competitività internazionale e la sua prosperità”. Insomma: da sola la politica monetaria indipendente non basta: serve un’economia robusta alle spalle.

I sovranisti, perciò, dovrebbero far tesoro di quel che serva per giocare da vincitori la partita della globalizzazione conservando la propria indipendenza monetaria: una struttura produttiva di qualità e flessibile, mercato del lavoro compreso, che favorisce positivi scambi commerciali con l’estero, spesa governativa sotto controllo e settore bancario robusto, o quantomeno scaltro. Aiuta, certo, avere alle spalle anche un lunga tradizione di stabilità politica ed economica, garanzie di credibilità e generatrici di fiducia.

Insomma: bisogna essere svizzeri. O almeno somigliar loro un pochetto. Ma non è detto che basti.

E gli svizzeri, come abbiamo visto, sono i primi a saperlo.

 

Fonte: Corriere del Ticino (qui) e thewalkingdebt.org (qui)