Credito, Innovazione, PMI

MyBank, un esempio di credito alle Pmi in tempo reale grazie al digitale.

La Disruption non è futurismo, è realtà e soprattutto può essere il più potente moltiplicatore economico per l’Italia dal baby boom a oggi, ma molto più formidabile. L’Italia deve la sua ricchezza al 78% alle piccole e medie imprese (Pmi), infatti ne abbiamo 3.940.000, contro le sole 1.822.000 della Germania e le 2.387.000 della Francia. In questi numeri sta una delle principali ragioni per cui la catastrofe bancaria del 2008 ha sproporzionatamente penalizzato l’Italia rispetto ai due paesi del nord. Con la precipitosa stretta creditizia delle banche in tutta Europa, chi c’è andato di mezzo più di chiunque sono le Pmi, assai più delle grandi imprese alle quali le banche hanno di fatto continuato a prestare almeno il minimo. Per cui la nazione col maggior numero di Pmi è stata, per pura aritmetica, quella che ha subito maggiori sofferenze, cioè noi, e parliamo soprattutto di posti di lavoro svaniti o di assunzioni impossibili da fare, ma anche di fallimenti forzati. Aggiungo per onestà intellettuale che è verissimo che poi le agghiaccianti riforme del lavoro dei governi tecnici da Monti in poi e del Pd, ma anche la miopia di tantissimi imprenditori che hanno sfruttato all’osso quelle politiche ‘lavoricide’, hanno peggiorato le cose.

Purtroppo da allora l’essenziale flusso creditizio da banche a Pmi non si è più risollevato. Ecco la situazione all’anno scorso riassunta dai dati di Bankitalia elaborati dal centro studi Cgia: il 10% d’imprese che costituisce le grandi aziende italiane beneficia dell’80% dei crediti bancari totali. Alle Pmi, che sono oltre mille volte più numerose, va il rimanente 20%. Questo 10% di ‘grandi’ e meglio finanziate imprese non è affatto un esemplare di affidabilità creditizia, al contrario: sono le responsabili dell’81% delle insolvenze bancarie nazionali, cioè quell’oceano di cediti ‘marci’ che fanno delle banche italiane le più a rischio oggi al mondo. Eppure le banche continuano a negare crediti più alle Pmi che alle ‘grandi’. C’è stata una lieve ripresa della fiducia e quindi dell’erogazione di crediti da parte delle banche, che si è materializzata in un +0,3% in media in Italia dal 2016 al 2017. Ma anche qui l’ingiustizia è palese: all’interno di quella misera crescita, alle imprese medio-grandi va lo 0,6% mentre le piccole e micro imprese continuano a soffrire di sempre meno crediti.

Sbloccare questo disastro – che, ribadisco, si trasforma poi in fallimenti forzati (quanti hanno chiuso mentre aspettavano pagamenti solo perché le banche non gli hanno concesso un prestito a breve), licenziamenti o non assunzioni – non è semplice. Il motivo primario l’ho accennato sopra: le banche italiane sono le più sofferenti al mondo oggi, con in pancia quasi 300 miliardi di crediti inesigibili, cioè ‘marci’, chiamati Npls. I lettori devono immaginare che, al di là di tutte le porcherie che di certo ’ste banche fanno fra corruzione politica e favoritismi, i succitati esplosivi Npls sono il motivo per cui i loro dirigenti hanno oggi il terrore di prestare ad aziende la cui affidabilità creditizia possa andare in fumo dopo pochi mesi o anni. E qui sono cruciali i mezzi che una banca ha per determinare con accuratezza e senza grandi ingiustizie se l’imprenditore bisognoso sia affidabile o meno. E qui la Disruption delle nuove tecnologie come l’Artificial Intelligence (Ai) e Machine Learning può fare una differenza enorme. Cioè: da una parte scremare i falsi affidabili, e dall’altra recuperare tanti condannati che invece affidabili erano eccome, ma non solo, incoraggiare prestiti più sostanziosi a molti. Il tutto si traduce in semplificazione, tutela a 360 gradi, e sviluppo d’impresa con posti di lavoro.

Mai sentito parlare di Mybank? Sono cinesi, ed è il primo istituto di credito al mondo che lavora interamente sulla Cloud, senza filiali, e che con soli 400 impiegati serve milioni di Pmi cinesi. A Mybank si sono letti il rapporto della Banca Mondiale “Toward Universal Financial Inclusion, 2017-2018”, dove fra le altre cose sono citate proprio le lungaggini e le complessità delle indagini bancarie per stabilire se un’azienda ha affidabilità creditizia come uno dei problemi più distruttivi. Infatti da una parte la banca oggi non riesce ad avere accesso a un numero sufficiente di dati sul cliente per davvero capire se è affidabile, oppure analizza dati che potrebbero non essere poi così significativi sul grado di solvibilità come essa crede; dall’altra le lungaggini cartacee, gli sfinenti colloqui d’ufficio, e tempi d’attesa si assommano in ritardi che spesso sono fatali all’imprenditore piccolo-medio. La soluzione cinese di Mybank si articola su tre fronti: A) Poggiare su una società dove la digitalizzazione rende la maggior quantità possibile di dati raggiungibili all’istante da chi legalmente li richiede (Big Data); B) Usare una Artificial Intelligence specifica per il risk management al fine di determinare con la maggior sicurezza possibile l’affidabilità creditizia dell’imprenditore sulla base dei dati di cui al punto precedente; C) Rendere disponibili alle Pmi i sevizi di credito sulla Cloud, quindi accessibili dagli smart-phones senza muoversi dal lavoro.

Sono già sette milioni i piccoli-medi imprenditori cinesi che, iniziando da C), hanno fatto richiesta di un prestito presso Mybank da una App sul cellulare in un tempo massimo di 3 minuti. L’istituto di credito ha, ad oggi, erogato in questo modo 110 miliardi di dollari di finanziamenti. L’Ai di Mybank prende in esame la richiesta e in media la risposta richiede 1 secondo, senza alcun intervento umano. Il tasso di Npls finora accumulato da Mybank è sotto all’1%. E’ facile anche per i non addetti ai lavori immaginare quale espansione di Pil italiano – in termini di occupazione, di ampliamento di milioni di micro-piccole-medie aziende, di nuove “ventures” nelle startup, di salvataggio d’imprese solide ma soffocate da ritardi nei pagamenti, ecc. – un rilassamento delle ansie bancarie nella concessione di crediti può portare grazie a queste tecnologie, col superamento dopo dieci anni della disastrosa stretta creditizia.

Il mio realismo ora m’impone di specificare che la Cina è, rispetto all’Italia, su un altro pianeta per ciò che riguarda il cosiddetto Inclusive Digital Financial System, cioè il sistema finanziario mirato all’inclusione delle micro-piccole-medie aziende e che corre sul digitale della maggior mole di dati disponibili (Big Data). Ma questo è precisamente spunto per una delle riforme urgenti che il ministro del lavoro Di Maio deve fare, e che mi permetto di sollecitagli. L’altra nota fondamentale riguarda le regolamentazioni bancarie: chiaramente una Disruption di questo livello richiede quello che proprio i cinesi chiamano “un ruolo di generoso sostegno” da parte dei regolamentatori. Qui purtroppo l’Italia non più sovrana, e incapsulata nei meandri dei regolamenti bancari Ue, ha le mani legate. Ma quando si parla di Disruption l’oppressiva Bruxelles ha già dato segni di rilassamento (a partire dalla sua Europe 2020 Strategy – The Digital Agenda), per cui, ministro, per il bene del paese si metta al lavoro. Questa è innovazione, cioè Disruption nella sua migliore essenza, cioè: nessun futurismo, concretezza nel tessuto produttivo e d’impiego più forte che l’Italia possiede e con cui ha primeggiato nel mondo.

(Paolo Barnard, “Disruption e credito alle piccole-medie imprese: creare lavoro – ministro, per lei”, dal blog di Barnard del 14 luglio 2018).

Economia, Rivoluzione digitale

Occupazione & Disruption: Cosa devono sapere i tuoi figli.

di Paolo Barnard (qui)

PRIMA PARTE

Definizione di Technological Disruption: un cambiamento in tecnologia così potente da trasformare in breve la vita umana sul Pianeta Terra. Nella Storia: il fuoco, l’agricoltura, la matematica, la stampa, le macchine a vapore, l’elettricità. Oggi per Technological Disruption s’intende l’arrivo delle nuove tecnologie digitali potenziate dall’Artificial Intelligence, che stanno cambiando davvero tutto.

INQUADRARE IL PROBLEMA. COSA STA ACCADENDO ALLE NOSTRE VITE.

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Quando nel 1775 lo scozzese James Watt diede vita alla più dirompente Disruption della Storia con l’invenzione della macchina a vapore, ecco cosa accadde alle nostre vite:

La cosa mozzafiato di questo grafico (Brynjolfsson-McAfee, 2014) è il dato sul grado di sviluppo sociale umano, che significa benessere e quindi possibilità democratiche. Per 9.700 anni filati le condizioni di vita del popolo comune rimasero sostanzialmente identiche, a un livello abominevole, spesso peggio degli animali selvatici. Poi arrivò la Disruption di Watt – e delle scienze post Galileo con l’elettromagnetismo di Faraday e di Maxwell – e in Occidente tutto cambiò di colpo, perché cambiò il lavoro, aumentarono i redditi e con essi la rivendicazione dei diritti. E’ vero che la Disruption di allora si portò dietro una buona dose di lacrime e sangue prima di darci la modernità del benessere, che tuttavia furono nulla confronto a 9.700 anni di standard di vita abietti oltre l’immaginabile. Ma l’altra faccia, gloriosa, di quell’esplosione tecnologica fu di fornire alle lotte sociali mezzi tecnologici di diffusione, e quindi di successo, impensabili prima, fino appunto alla moderna civiltà.

Oggi la Disruption delle nuove tecnologie digitali potenziate dall’Artificial Intelligence (AI) sta scatenando un’altra storica impennata dell’umanità, che è però di molto superiore a quella di Watt per l’enorme potere tecnologico odierno. E di nuovo tutto si gioca su come cambierà il lavoro. Entro il 2035, quindi parliamo soprattutto del destino dei nostri figli ma anche dei trentenni di oggi, avremo questo:

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Il grafico c’illustra il grado di penetrazione delle più dirompenti tecnologie della Disruption nel mondo di tutti i giorni, cioè nel lavoro. Davvero tutto sta cambiando, esattamente come tutto cambiò dopo macchina a vapore ed elettromagnetismo, ma mi rendo conto che voi, come i contemporanei di Watt e Maxwell, fate una grande fatica a rendervene conto. Tuttavia il rischio fatale e, non esagero, tragico per l’Italia del lavoro è di rimanere indietro. Significherebbe un prossimo secolo di arretratezza e bassa economia per tutti i nostri giovani e per i loro figli. Nel 2016 Il World Economic Forum lo disse senza mezzi termini:

Con cambiamenti così veloci, la capacità di anticipare la futura richiesta di competenze, di nuovi lavori e i loro effetti sull’occupazione è sempre più cruciale per i governi e per il business… Chi non si prepara affronterà costi sociali ed economici enormi“. Scrollare le spalle da scettici e illudersi che “…dai, c’è tempo, oggi abbiamo ben altro a cui pensare“, equivale ad iscriversi come Paese alla classe dei perdenti, e di nuovo: chi piangerà saranno i nostri giovani e giovanissimi.

L’articolo che precede questo vi ha spiegato l’AI e per un buon motivo: essa cambierà il mondo del lavoro esattamente come la scoperta del linguaggio ha cambiato la storia della specie umana. Perché intelligenza è tutto, muove tutto, interpreta tutto, serve in tutto. Demis Hassabis, CEO di Google DeepMind cioè l’azienda che sta al centro della galassia AI, ha detto:

Il nostro goal è di conquistare l’intelligenza. Poi di usarla per risolvere tutti gli altri problemi”.

INQUADRARE IL PERICOLO: DISRUPTION & DISEGUAGLIANZA DEI REDDITI PER CHI RIMANE INDIETRO.

Il pessimismo delle prossime righe è realismo necessario a capire quale sfida affrontiamo come nazione, ma su di esso è nostro dovere cercare poi i rimedi possibili, ed esistono per fortuna.

Quando si parla di Disruption e AI in relazione al mondo del lavoro, tutti subito corrono a pensare ai robot e agli operai licenziati. Di certo questo sarà un problema, ma non tanto quanto s’immagina. Più avanti ne parlerò. In realtà il vero grande pericolo nella Disruption è che essa, ad oggi, sempre più è sinonimo di questo: un vertiginoso aumento della disparità dei redditi, più che perdita incontrollabile del lavoro.

Il primo campanello d’allarme che deve suonare nelle orecchie dei genitori italiani viene da una serie di dati americani, che come sempre da 60 anni anticipano quelli europei. Nei primi 15 anni di digitalizzazione dell’economia USA, le disparità di redditi fra colletti blu (licenza liceale) e colletti bianchi (lauree) schizzò in alto, perché i secondi grazie alla formazione digitale universitaria poterono approfittare dei nuovi lavori ben pagati, gli altri no e subirono in pieno l’impatto devastante del crash bancario del 2008. Addirittura il fenomeno ha raggiunto un livello di gravità tale che fra i colletti blu in America c’è un’epidemia di suicidi per disperazione, descritti in uno studio del Premio Nobel Angus Deaton e di Anne Case nel 2014.

Vero è che gli Stati Uniti sono un incubo d’abbandono sociale dei deboli, dove il Welfare quasi non esiste, ma l’Europa delle Austerità sta demolendo il suo Welfare ogni giorno di più, e i criminosi limiti di spesa pubblica che impone agli Stati membri escludono in via categorica che i vari schemi di Reddito di Cittadinanza abbiano un potere di fuoco sufficiente a evitare al nostro Paese un’Apartheid fra inclusi ed esclusi nella Disruption. Paradossalmente invece ha senso che negli Stati Uniti, detentori di moneta sovrana e sovrani nel Parlamento, molti economisti dell’era digitale stiano parlando di Universal Basic Income (un tipo di Redd. di Citt.) proprio per salvare gli esclusi: loro se lo potrebbero permettere, noi no.

Per i gravi motivi detti sopra, assolutamente non fatevi ingannare da chi, come questo governo, rassicura milioni di giovani con queste soluzioni. No: finché Eurozona sarà, il realismo mi costringe a dirvi che l’unica arma che rimane ai vostri figli per difendersi dal destino denunciato da Angus Deaton e Anne Case è una formazione solidissima ai nuovi lavori della Disruption (che non sono solo tecnologia, come spiegherò successivamente).

Dunque è chiarissimo il messaggio per genitori e ragazzi, che riassumo:

La seconda ondata di digitalizzazione in corso oggi con la Disruption porta soprattutto con sé il pericolo di un enorme divario nei redditi, oltre a una sostanziale dose di lavori perduti. Questo non solo fra colletti blu e colletti bianchi, ma anche fra i nostri presenti e futuri colletti bianchi, dove chi all’università ha studiato gli skills (competenze) avanzati per la digitalizzazione (non solo tecnici ma anche umani) avrà i lavori migliori, chi ha comunque un laurea ma priva di quel sapere sarà lasciato indietro con forti rischi economici.

Allora diventa prioritario per tutti, genitori e ragazzi, sapere quali sono quegli skills e se le scuole superiori e università italiane sono davvero attrezzate per insegnarli. Dei primi parlerò in altro momento, ma la risposta alla seconda domanda è no.

Il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca (MIUR) ammette oggi a denti stretti, nel rapporto Scuola Digitale, una situazione formativa italiana desolante a fronte della Disruption. Ecco alcuni fatti pubblicati dal MIUR:

– I dati OCSE dicono che ogni quindicenne italiano usa il computer in classe molto al di sotto della media europea, molto meno dei greci, e quasi un terzo del tempo di un australiano.

– Sempre media OCSE: i docenti italiani son in assoluto i meno preparati all’era digitale.

– Nel Digital Economy Index l’Italia languisce al 25mo posto su 28 Paesi, ha lacune dappertutto, e nella velocità di connessione alla Rete è in fondo alla classifica europea con un umiliante 9.2 Mbps, davanti solo a Grecia e Cipro. Nelle aule si soffre moltissimo di questo.

– Il MIUR scrive di suo pugno: “… il processo di diffusione della scuola digitale negli ultimi anni è stato piuttosto lento… azioni spesso non incisive e non complessive”. (si consideri che un Ministero sempre abbellisce la realtà, quindi…)

Sapere è lavoro, ma un buon lavoro oggi, nella Disruption, significa sapere molto. Con una situazione del genere c’è da mettersi le mani nei capelli e di certo le misurette post Job Act tipiche di questo governo, almeno per ora, sono inadeguate alla realtà. E la realtà è questa:

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Questa mappa ci racconta tutto. L’Italia non solo sprofonda nell’economia tradizionale (a causa soprattutto dell’Eurozona), ma colpevolmente i suoi governi degli ultimi 15 anni l’hanno tenuta fuori dalla realtà, cioè dalla Disruption, e infatti siamo gialli, cioè quasi ultimi nell’innovazione, e dunque fra gli ultimi nelle prospettive di lavoro dei nostri figli. Questo è quanto, purtroppo. Le più estensive ricerche sull’impatto delle nuove tecnologie sul lavoro (Deloitte,Accenture, McKinsey&Co., MIT et al.) includono il seguente dato: globalmente da 1 miliardo a 2 miliardi di lavoratori perderanno il lavoro entro il 2030, la maggioranza in Occidente, e molti dovranno essere ri-formati. Con limiti di spesa pubblica drammatici, chi si farà carico di questo? Inoltre viene posto un altro problema: la scuola deve avere una conoscenza avanzatissima della Disruption in continuo aggiornamento, perché è molto probabile che una parte degli skills insegnati oggi saranno obsoleti per il mondo del lavoro nel giro di 5-8 anni in media. Con un ritardo nelle scuole e università italiane di questo genere cosa farà l’Italia? Il presente governo ha piani adeguati nei programmi? Io non li ho trovati.

INQUADRARE QUALI LAVORI SONO A RISCHIO, QUALI MUTERANNO RADICALMENTE.

Il campo qui è vastissimo, perché sappiamo che generalmente un Paese moderno ospita oltre 900 mestieri, e siccome una buona parte delle nuove tecnologie della Disruption stanno sbocciando in queste ore o sbocceranno appena domani, è impossibile davvero essere precisi. Ma una cosa è più che evidente: la tecnologia su cui già ora si possono fare previsioni certe è proprio l’AI di Machine Learning che vi ho appena spiegato qui. Questo perché è una tecnologia perfetta per sostituire i lavori ripetitivi d’ufficio, per far funzionare la logistica aziendale, per far ‘pensare’ i robot nelle industrie, ma anche per sostituirsi all’umano in compiti complessi all’interno di molti mestieri sofisticati.

La MIT Initiative on the Digital Economy per dare al pubblico un’idea del grado di penetrazione praticamente ovunque di Machine Learning, cioè del fatto che davvero saranno pochissimi i lavori di domani che non avranno almeno in qualche segmento una AI a sostituire qualcosa o qualcuno, afferma che il mestiere in assoluto più ‘blidato’ contro la Disruption è il… massaggiatore. All’altro estremo invece le mansioni che sembrano davvero destinate a essere falcidiate sono gli impiegati, i contabili, gli amministrativi in generale. Ma andiamo più nello specifico, perché mentre è scontato che fra i colletti blu tanto dovrà cambiare, molti genitori e studenti ancora non comprendono purtroppo cosa accadrà alle professioni dei colletti bianchi, degli specializzati, che siano medici, avvocati, commercialisti, o persino ingegneri informatici (esempio estremo, ma anche fra loro cadranno teste con l’AI).

Fine prima parte.