Lavoro, Tecnologia

In attesa dei robot, ecco dove la tecnologia ha cambiato il lavoro

Non saranno solo i robot a cambiare il mondo del lavoro. I numeri dicono che il lavoro sta già cambiando oggi. E che queste modifiche sono legate a tecnologie decisamente più “semplici”. Basta l’introduzione di un nuovo software o di un nuovo device in azienda e le mansioni dei dipendenti cambiano. Lo scorso anno, in Europa, è successo ad un lavoratore su sei.

Lo afferma Eurostat, secondo la quale nel 2018 il 16% dei lavoratori dipendenti che utilizzano una connessione ad Internet hanno visto modificarsi il proprio mansionario grazie all’introduzione di un nuovo software o di una nuova apparecchiatura.

Come si nota dalla mappa, questa tendenza è più marcata nei Paesi del nord Europa e si riduce via via che ci si sposta verso sud est. La nazione in cui sono meno i lavoratori che hanno visto il proprio lavoro cambiare è Cipro, dove solo il 3% dei dipendenti che utilizzano la rete professionalmente ha svolto la propria attività in maniera diversa rispetto al passato. Mentre in Norvegia questo cambiamento lo ha vissuto il 29% dei lavoratori connessi, quasi uno su tre.

E l’Italia? Il nostro Paese si trova leggermente al di sotto della media europea. Qui infatti il 12% dei dipendenti che utilizzano Internet hanno visto cambiare la propria attività lavorativa dopo l’introduzione in azienda di un nuovo programma o di un nuovo apparecchio. La stessa percentuale si è registrata anche in Belgio, Repubblica Ceca, Lituania e Slovacchia. Tutte realtà che per molti altri aspetti sono diverse tra loro. Ad esempio, sono diverse per la percentuale di lavoratori dipendenti che utilizzano computer o apparecchi computerizzati. Ecco cosa succede tenendo conto anche di questo parametro:

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In estrema sintesi, i dati sembrano suggerire che l’impatto sia stato più significativo in Slovacchia, dove è minore la quota di dipendenti che utilizzano strumentazioni digitali. E minore in Belgio, dove l’80% dei lavoratori ne fa uso. Ma, in entrambi i casi, solo il 12% ha vissuto delle modifiche al proprio mansionario. L’Italia, con un 73% di dipendenti che utilizza computer, è decisamente più vicina al caso belga che a quello slovacco.

Per capire meglio, si guardi ai casi di Portogallo e Irlanda, che hanno un 72% di dipendenti che utilizzano il digitale. Qui rispettivamente il 21 ed il 20% ha dichiarato che lo scorso anno il proprio mansionario è cambiato grazie ad un nuovo software o ad un nuovo device. Da sottolineare, infine, il caso del Kosovo: qui appena il 28% dei lavoratori utilizza il digitale, ma il 14% ha affermato di aver vissuto un cambiamento nella propria professione. Perché anche se i robot non sono ancora arrivati, il mondo del lavoro ha già iniziato la metamorfosi.

 

Fonte: ilsole24ore.com (qui)

Elites vs Popoli, Regimi totalitari, Tecnologia

Social Credit System: i big-data per controllare i cittadini in Cina. Come la tecnologia può aiutare i sistemi totalitari.

Il Social Credit System (SCS) dovrebbe essere uno strumento indipendente, organizzato in modo distribuito sul modello della blockchain, ma come ogni opportunità che le nuove tecnologie presentano, vi sono sempre delle elite che colgono l’occasione per garantirsi la soppravivenza. L’SCS, annunciato nel 2014 dal Consiglio di Stato cinese e prossimo all’utilizzo nel 2020, sarà uno strumento di controllo dei cittadini della Repubblica popolare cinese. Uno strumento al servizio dello Stato e del Partito comunista che senza abbandonare la propria dottrina sarà in grado di attuare il Comunismo 4.0. Una nuova dimensione della rivoluzione ubbidienza al Partito in cambio di benefici ed agevolazioni economiche. Un voto di scambio permanente, da un lato l’elite che vuole conservare se stessa e dall’altra i cittadini sottomessi che privandosi della propria identità libera accettano in cambio di una valutazione di affidabilità di comportarsi come vuole il Partito. In tale modo il Partito assicura al cittadino-compagno l’accesso agevolato ai servizi che il sistema economico “capitalista” offre. Uno strumento formidabile per ammaestrare questi cittadini-consumatori. Meno ci scandalizza se tale pratica è adottata da Amazon, o Google o altra multinazionale. Abituati a questo marketing, anche se lentamente ci rendono mansueti al Social Credit System. Uno strumento più utile alle dittature che alle democrazie funzionanti perchè semplicemente. Dimenticavo non siamo in una democrazia funzionante. E allora buon Social Credit System.

Immaginiamo una realtà in cui ogni nostra attività quotidiana è costantemente monitorata e valutata: dove siamo, cosa facciamo, con chi siamo, cosa copriamo, quante ore passiamo davanti al computer o alla tv, quando e quanto paghiamo le bollette, cosa facciamo sui social.

Se non ci risulta molto difficile da immaginare, è perché questo, in parte, sta già accadendo ogni volta che cediamo volontariamente e gratuitamente i nostri dati ai giganti del web come Google, Amazon, Facebook, Instagram, Twitter, Snapchat. Infatti, utilizzando social network, telefono, pagamenti online e carte di credito forniamo una grandissima quantità di informazioni che vanno dai dati personali (nome, cognome, indirizzo, mail, numero di telefono) alle preferenze di acquisto, interessi, hobby e gusti. Queste informazioni vengono analizzate e rielaborate in algoritmi per poi divenire quei fastidiosi banner pubblicitari personalizzati che vediamo sulla nostra home di Facebook.

Ma non solo. Gli algoritmi potrebbero rivelare molto più di quello che vogliamo.

Immaginiamo che sia lo Stato ad utilizzare questi algoritmi al fine di valutare i cittadini in positivo o in negativo, raggruppando le valutazioni in un unico numero, un punteggio o “trust score” utile a valutare se un cittadino è degno o no di fiducia. Un punteggio pubblico che sarà utilizzato per decidere in che misura un cittadino è adatto per un lavoro, può permettersi una casa, ha possibilità di trovare un partner…

Di questo tratta il “Progetto di pianificazione per la costruzione di un sistema di credito sociale”, un documento politico che conteneva un’idea tanto innovativa quanto distopica, reso pubblico dal Consiglio di Stato Cinese nel giugno 2014.

Il Progetto, dal nome “Social Credit System” consiste nel monitorare tutti i cittadini sul territorio, circa 1,3 miliardi di persone, in base alle loro attività online. Il Sistema è già funzionante, sebbene per ora la partecipazione dei cittadini sia volontaria, sarà resa obbligatoria a tutti a partire dal 2020.

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Postare opinioni politiche dissenzienti o parlare dei fatti di piazza Tiananmen, si sa, non è mai stata una buona idea in Cina, ma presto compiere un’azione del genere potrebbe danneggiare i cittadini abbassando i loro trust scores, con la conseguente limitazione dei diritti: ai cittadini con punteggi bassi non sarà permesso ottenere alcuni lavori, chiedere prestiti in banca o semplicemente noleggiare un auto o entrare in un locale.

Un mix tra 1984 e un episodio di Black Mirror, così è stato definito questo folle progetto dai media internazionali. Per il Governo Cinese, invece, è solo un altro dei tanti modi per influenzare il comportamento dei cittadini a vantaggio di una società che deve essere in linea con l’ideologia del Partito e che cerca costantemente l’instaurazione perfetta del regime totalitario.

Il “Social Credit System” non è, infatti, il primo tentativo del Governo cinese di controllare i suoi cittadini. Al contrario, la Cina vanta una lunga storia di sorveglianza sul suo territorio quando già più di mezzo secolo fa il Partito Comunista Cinese era in possesso dei “dang’an“, file segreti sui cittadini accusati di essere dissidenti.

La logica di base è la stessa del Social Credit System, ovvero il controllo totale, con la sola differenza che la sorveglianza è digitalizzata, più semplice, precisa e veloce.

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Riflettendo su quest’idea futuristica e agghiacciante, non può che venirmi in mente la riflessione che Bauman fa nel libro “Sesto potere”: gli individui della società moderna rinunciano alla privacy considerandola un prezzo ragionevole in cambio di ciò che viene offerto dalla società dei consumi. Accecati dalla promessa di poter essere visibili e notati da tutti, abbiamo dimenticato di essere sorvegliati, cadendo in uno stato di “servitù volontaria” in cui collaboriamo quasi entusiasticamente alla nostra sorveglianza elettronica/digitale.

Fonte: Compass Unibo Blog (qui)