America, Economia

Economia Usa, fiducia consumatori: indice Conference Board (in crescita) a 137,9. Effetto Trump.

 A ottobre, gli statunitensi si sono dimostrati più ottimisti sull’economia, sorprendendo gli analisti, anche se va detto che molti di costoro ”gravitano” nell’area politica del Partito Democratico, avendo molti gruppi finanziari di Wall Street finanziato la campagna elettorale della sconfitta Hillary Clinton, e quindi propensi a valutare negativamente, a ridosso delle elezioni di midterm, i dati economici per non valorizzare l’operato del presidente Trump e del Partito Repubblicano. L’indice sulla fiducia redatto mensilmente dal Conference Board, gruppo di ricerca privato, è salito dai 135,3 punti di settembre a 137,9 punti, mantenendosi a livelli visti l’ultima volta nel 2000, al colmo del boom economico Usa. I suddetti analisti attendevano un dato a 136,5 punti. La componente che misura le aspettative per il futuro è salita da 112,5 a 114,6 punti; quella sulla situazione attuale è salita da 169,4 a 172,8 punti. Risultato, il record da 18 anni a questa parte.

Fonte: SoldiOnline.it (qui)

America, Immigrazione

Usa, Ius soli: ecco perché la cittadinanza americana per nascita sarà automatica solo per figli nati da genitori americani.

Ogni anno, sono circa 400.000 i bambini nati negli Stati Uniti da immigrati clandestini. Questo costituisce all’incirca il 10% del totale delle nascite. Il governo considera questi bambini come cittadini americani, con gli stessi identici diritti dei figli di cittadini americani. Lo stesso vale per i bambini nati da turisti e altri stranieri che sono presenti negli Stati Uniti in uno status immigratorio legale ma temporaneo.

Poiché il turismo su larga scala e l’immigrazione clandestina di massa sono fenomeni relativamente recenti, non è chiaro per quanto tempo il governo americano abbia seguito questo principio dello ius soli, ovvero di “diritto alla cittadinanza per nascita”, senza tener conto della durata o legalità della presenza della madre o il padre.

Ius Sanguinis e Ius Soli

I paesi generalmente adottano uno dei due sistemi per concedere la cittadinanza ai bambini: ius sanguinis o ius soli. La maggior parte dei paesi pratica lo ius sanguinis, noto anche come cittadinanza per discendenza, o cittadinanza per “diritto di sangue”. Secondo questo sistema, un bambino acquisisce la cittadinanza dei genitori alla nascita. Alcuni paesi determinano la cittadinanza del bambino in base alla cittadinanza del padre, mentre altri secondo quella della madre.

I paesi che adottano lo ius sanguinis non concedono automaticamente la cittadinanza a un bambino nato all’interno dei loro confini se quel bambino è nato da genitori stranieri. Questo vale sia per gli immigrati legali sia quelli clandestini. Il bambino mantiene la cittadinanza straniera del genitore.

Un limitato numero di paesi adotta lo ius soli, o cittadinanza per “diritto di suolo”. Secondo questo sistema, un bambino acquisisce automaticamente la cittadinanza del paese in cui ha luogo la nascita. Questa cittadinanza è generalmente concessa senza condizioni, e la cittadinanza e lo status d’immigrazione dei genitori sono irrilevanti.

Alcuni eminenti giuristi e professori universitari, tra cui il giudice della Corte d’appello federale Richard Posner, si sono chiesti se il quattordicesimo emendamento della costituzione americana debba essere interpretato a favore di una politica di cittadinanza così permissiva.

I sostenitori del mantenimento dello ius soli sostengono che il significato letterale della clausola di cittadinanza del quattordicesimo emendamento preveda il diritto automatico alla cittadinanza per nascita sul suolo americano per tutti i bambini, inclusi sia quelli nati da stranieri illegali e temporanei. Tuttavia, diversi giuristi che hanno approfondito la storia del quattordicesimo emendamento, hanno concluso che la frase “soggetto alla giurisdizione” non ha un chiaro significato, e che l’attuale applicazione dello ius soli è ingiustificato.

Solo 30 dei 194 paesi del mondo garantiscono la cittadinanza automatica ai bambini nati da stranieri clandestini. Delle economie avanzate, il Canada e gli Stati Uniti sono gli unici paesi che concedono la cittadinanza automatica ai bambini nati da immigrati clandestini. Nessun paese europeo garantisce la cittadinanza automatica ai bambini di stranieri clandestini. La tendenza globale è quella della dissociazione dal concetto dello dello ius soli, e non la sua adozione, come vorrebbero farci credere alcuni politici italiani.

Negli ultimi anni, la tendenza internazionale è stata quella di abolire lo is soli. Tra i paesi che lo hanno abolito ci sono il, Regno Unito (1983), Australia (1986), India (1987), Malta (1989), Irlanda (2004), la Nuova Zelanda (2006), e la Repubblica Dominicana (2010).

I motivi per cui questi paesi hanno abolito lo ius soli erano essenzialmente l’aumento dell’immigrazione clandestina. Il turismo di cittadinanza è stato uno dei motivi per cui l’Irlanda ha abolito lo ius soli nel 2004. Se gli Stati Uniti non dovessero più concedere la cittadinanza americana ai figli d’immigrati clandestini, non farebbero altro che seguire la tendenza internazionale.

ius soli
Mappa dei paesi che adottano lo ius soli

 

La verità è che il quattordicesimo emendamento della costituzione americana non era stato promulgato al fine di favorire l’immigrazione clandestina, o per conferire diritti a bambini nati da immigrati clandestini.

I due benefici di cittadinanza che hanno attirato la maggiore attenzione nel dibattito su una possibile abolizione dello ius soli negli Stati Uniti sono:

  • L’assistenza governativa e altri benefici a cui una famiglia di immigrati clandestini non avrebbe altrimenti accesso;
  • Il diritto del bambino, al raggiungimento della maggiore età, di fare ottenere il permesso di soggiorno ai suoi genitori, i fratelli nati all’estero, e un eventuale coniuge nato all’estero. Questi potranno, a loro volta, sponsorizzare i propri genitori e fratelli nati all’estero, che a loro volta potranno sponsorizzare i propri coniugi stranieri (e così via), generando una catena migratoria virtualmente inesauribile.

Questi benefici hanno contribuito alla crescita di un’industria del “turismo delle nascite”.

Il giudice della Corte federale d’appello Richard Posner ha dichiarato in una recente sentenza che la politica di concessione della cittadinanza per nascita ai figli d’immigrati illegali e temporanei dovrebbe essere cambiata, e che gli Stati Uniti non dovrebbero incoraggiare gli stranieri a venire negli Stati Uniti solo per consentire ai loro figli di acquisire la cittadinanza americana.

Il Dipartimento di Stato americano non è autorizzato a negare il visto da turista a una donna solo perché incinta. Di conseguenza, lo ius soli consente di trasformare un’apparente visita di piacere in un aumento dell’immigrazione e concessione di cittadinanza che non erano necessariamente contemplate o accolte dai cittadini americani. Un recente sondaggio ha rilevato che solo il 33% degli americani appoggia la pratica di concedere la cittadinanza automatica ai bambini nati da immigrati clandestini.

Quale legge giustifica la concessione automatica della cittadinanza americana per nascita? Deve essere concessa ai figli d’immigrati clandestini secondo la costituzione? La risposta sembrerebbe essere “no”. Nessun articolo o emendamento della Costituzione americana affronta specificamente come devono essere trattati i figli degli immigrati in merito alla cittadinanza.

Il quattordicesimo emendamento conferisce la cittadinanza attraverso “naturalizzazione” o per nascita, a persone “soggette alla giurisdizione” degli Stati Uniti, mentre non c’è alcuna indicazione su quando uno straniero debba essere considerato soggetto alla giurisdizione degli Stati Uniti.

La clausola di cittadinanza del quattordicesimo emendamento

Secondo il primo paragrafo del quattordicesimo emendamento della Costituzione americana, noto anche come Clausola di cittadinanza:

“Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti e soggette alla loro giurisdizione, sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono”.

Questa clausola contiene due requisiti per ottenere la cittadinanza americana per nascita:

  1. La nascita deve essere avvenuta negli Stati Uniti; e
  2. La persona nata deve essere soggetta alla giurisdizione degli Stati Uniti.

I sostenitori della concessione della cittadinanza automatica ai bambini di immigrati clandestini si concentrano sul primo requisito, sostenendo che la nascita sul suolo statunitense, da sola, garantisce la cittadinanza americana. Secondo questa teoria, “soggetto alla giurisdizione” significa semplicemente essere suscettibili all’autorità di polizia (cioè essere obbligati a seguire le leggi e pagare multe per eventuali violazioni).

Tuttavia, una tale interpretazione crea una ridondanza nel quattordicesimo emendamento, poiché tutte le persone nate negli Stati Uniti sono soggette alle leggi americane. Accettando la premessa che “soggetto alla giurisdizione” significa, semplicemente, essere “soggetto al potere di polizia” trasforma una parte cruciale e attentamente scritta della Clausola di cittadinanza in una mera ridondanza.

L’indagine, quindi, si concentra sull’intento di chi ha scritto la clausola, e se un bambino nato negli Stati Uniti da un immigrato clandestino è una persona che è “soggetta alla giurisdizione” degli Stati Uniti, e di conseguenza un cittadino del paese.

Nessuno dubita che lo scopo principale del quattordicesimo emendamento fosse di garantire che gli schiavi liberati fossero riconosciuti come cittadini americani. Quindi, molti sostengono che i bambini di immigrati clandestini dovrebbero avere stesso privilegio.

Ma quando fu emanato il quattordicesimo emendamento, il processo d’immigrazione era estremamente semplice, e solo in pochissimi non avevano modo di ottenere il permesso di soggiorno. Inoltre, dati i costi e i rischi di un viaggio intercontinentale, i turisti e gli altri visitatori temporanei erano veramente pochi.

In sostanza, non c’è alcuna prova diretta che il Congresso americano abbia mai voluto conferire la cittadinanza ai figli di visitatori temporanei o illegali. Il trend internazionale è quello di abolire lo ius soli, e non di introdurlo.

Fonte: simonebertollini.com (qui)

America, Immigrazione

Donald Trump contro lo ius soli: “È ridicolo, pronto a firmare un ordine esecutivo per bloccarlo”

The Donald contro il 14° emendamento che assegna la cittadinanza ai bimbi nati sul suolo americano. Ma secondo molti costituzionalisti non basta un atto del presidente.

“Siamo l’unico Paese al mondo dove una persona viene, ha un figlio e questo bambino diventa cittadino degli Stati Uniti per 85 anni con tutti i benefici”. Donald Trump attacca lo ius soli, garantito dal 14° emendamento alla Costituzione americana, che sancisce che è cittadino americano chiunque nasca nel Paese, e che è stato l’architrave della costruzione nazionale degli Stati Uniti come terra di immigrati.

“È ridicolo e deve finire, è stato avviato il processo e lo faremo con un ordine esecutivo”, ha detto Trump intervistato da Axios per un documentario in quattro puntate che andrà in onda, a partire da domenica prossima su Hbo. “Mi è sempre stato detto che c’è bisogno di un emendamento costituzionale, ma sapete cosa? Non c’è bisogno”, ha aggiunto Trump, sfidando le critiche e le obiezioni che arriveranno dai costituzionalisti. “Si può definitivamente fare con un atto del Congresso, ma ora mi dicono che si può fare anche con un decreto esecutivo”.

Donald Trump cavalca il tema immigrazione in vista delle elezioni di midterm del 6 novembre. Il presidente non precisa quando intende procedere ma sottolineando che il piano “è in corso di svolgimento e accadrà”. Trump aveva duramente criticato questo diritto anche in campagna elettorale. Diversi altri Paesi, incluso il Canada, hanno una politica di cittadinanza legata alla nascita.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

Economia, Politica

Economia stagnante. Istat stima Pil invariato nel terzo trimestre. Salvini: “Rallenta perché quelli di prima obbedivano a Bruxelles, è motivo in più per tirare avanti”.

La crescita tendenziale è pari allo 0,8%. La variazione acquisita per il 2018 è pari a +1%. Si complica così il target del +1,2% nel 2018 fissato dal Governo.

Nel terzo trimestre del 2018 l’Istat stima che il Pil sia rimasto invariato rispetto al trimestre precedente, nei dati preliminari corretti per gli effetti di calendario e destagionalizzati. Un dato che delude le attese degli analisti, che si attendevano un +0,2%. Il tasso tendenziale di crescita è pari allo 0,8%. Il terzo trimestre del 2018 ha avuto due giornate lavorative in più rispetto al trimestre precedente e lo stesso numero rispetto al terzo trimestre del 2017.

La variazione acquisita per il 2018, che si otterrebbe in presenza di una variazione congiunturale nulla nell’ultimo trimestre dell’anno, è pari all’1%. Si complica quindi il target del +1,2% nel 2018 fissato dal Governo nella Nadef.

“Nel terzo trimestre del 2018 la dinamica dell’economia italiana è risultata stagnante, segnando una pausa nella tendenza espansiva in atto da oltre tre anni” commenta l’Istat. “Giunto dopo una fase di progressiva decelerazione della crescita, – continua l’istituto – tale risultato implica un abbassamento del tasso di crescita tendenziale del Pil, che passa allo 0,8%, dall’1,2% del secondo trimestre”.

Dopo la diffusione dei dati sul Pil lo spread tra Btp e Bund tedeschi risale deciso e recupera quota 310.

Le reazioni:

Conte: “L’avevamo previsto”.

“Vedrete che con la ‘manovra del popolo’ non solo il Pil ma anche la felicità dei cittadini si riprenderà”, con queste parole Luigi Di Maio ha commentato i dati Istat sul prodotto interno lordo dell’Italia. Si tratta di numeri non proprio confortanti: i dati, infatti, attestano lo stallo dell’economia italiana, contrariamente alle previsioni degli analisti che si aspettavano +0,2%. Ma il vicepremier è sicuro che con la manovra pensata dal governo gialloverde cambierà tutto. E l’evoluzione sarà tale che anche la gente sarà più felice.

Non è proprio della stessa idea Matteo Renzi che si è detto preoccupato per i dati Istat: “Dopo quattro anni di crescita, l’Italia si è bloccata. Per la prima volta dopo quattro anni il Pil torna a zero. Salvini e Di Maio stanno sfasciando l’Italia. Fermatevi! Paga il Popolo”. Per Di Maio, però, la colpa della mancata crescita sarebbe proprio del Pd: “A chi ci attacca, come il bugiardo seriale Renzi, ricordiamo che il risultato del 2018 dipende dalla Manovra approvata a dicembre 2017, che è targata Partito Democratico”, ha scritto sul blog delle Stelle. “Se il Pil rallenta perché quelli di prima obbedivano a Bruxelles è motivo in più per tirare avanti”, ha sostenuto Matteo Salvini.

Pessimista Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici della Cattolica: ha osservato che l’economia italiana non solo non raggiungerà la stima di crescita dell’1,2% nel 2018, indicata dal governo nella nota di aggiornamento al Def, ma difficilmente riuscirà a registrare nel 2019 una performance dell’1,5%.

Per Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, il risultato diffuso dall’Istat era prevedibile: “L’abbiamo detto da tempo, l’economia globale comincia a rallentare c’è una questione interna di un’Italia che deve reagire – ha sostenuto – (..) è colpa esclusiva di questo governo e della politica economica che realizza, non di altre. Noi siamo a disposizione del paese e del governo per fare proposte intelligenti e di buon senso che non antepongano questioni ideologiche alle spiegazioni economiche di un grande paese come l’Italia”.

Per il premier Conte i dati sul Pil non sono una sorpresa. Il governo, ha sostenuto a margine dei lavori del Tech Summit, aveva previsto un arresto della crescita e per questo ha messo a punto la manovra ‘del popolo’: “È uno stop congiunturale, l’avevamo previsto. Per questo abbiamo deciso una manovra espansiva. La manovra mira a invertire questo trend”.

Fonte: huffingtonpost.it (qui) e (qui)

Emergenza, Maltempo

Black out, allagamenti e viabilità segnata: i danni del maltempo

Il maltempo si è placato, ma i danni restano. Oggi i Vigili del fuoco, conclusa la fase acuta, stanno dedicando molti sforzi alle situazioni che la notte scorsa sono state tralasciate per casi gravi ed urgenti.

E oggi la giornata sarà dedicata da tutti coloro che sidedicano alla sicurezza, a sistemare i danni. E per questo molti sindaci hanno deciso di chiudere le scuole, per permettere agli operatori di mettere in sicurezza strade e fare tutte le verifiche.

In castello, albero cade su un'auto
In castello, albero cade su un’auto

Ecco che via Tommaseo, in città, è stata transennata e liberata dagli alberi caduti.

Via Tommaseo chiusa per alberi caduti © www.giornaledibrescia.it
Via Tommaseo chiusa per alberi caduti © http://www.giornaledibrescia.it

Un po’ tutti i ponti sul Mella verranno controllati in giornata per controllare stabilità e soprattutto la presenza di detriti che ostruiscono il deflusso e lesionano i piloni. Durante le verifiche le strade verranno chiuse.

Capriano del Colle, ponte chiuso
Capriano del Colle, ponte chiuso

La mattinata si è aperta con diverse strade chiuse. Situazioni che vanno verso la soluzione mano a mano che passano le ore.

Tra Azzano e Capriano si rinforzano gli argini Foto Gabriele Strada /Neg © www.giornaledibrescia.it
Tra Azzano e Capriano si rinforzano gli argini Foto Gabriele Strada /Neg © http://www.giornaledibrescia.it

Difficoltà per quanto riguarda la circolazione ferroviaria: molti pendolari hanno scelto infatti di viaggiare con le Frecce.

Le zone più colpite dal maltempo sembrano per ora essere la Valcamonica e la Bassa. A Seniga, Pralboino e Pavone del Mella si registrano zone allagate, ma il livello dei fiumi Mella e Oglio si sta abbassando.

A Manerbio i quartieri vicino allo stadio sono rimasti parecchie ore, circa 10, senza elettricità e molti seminterrati sono stati invasi dall’acqua del Mella. In via Dante, di fronte alla parrocchiale, si è anche aperta una voragine.

Il Mella in piena a Manerbio

A Castel Mella uno dei danni più ingenti: la palestra si è scoperchiata. Impressionante il video registrato da un lettore.

Brozzo di Marcheno senza corrente elettrica. In tutta la frazione di Villa Pedergnano di Erbusco elettricità a singhiozzo.

Il maltempo delle scorse ore non ha risparmiato nemmeno la Valle Sabbia, seppur con danni limitati. Sorvegliati speciali i corsi d’acqua: a preoccupare è stato il torrente Nozza, che a Malpaga di Casto ha rischiato di esondare, su tutti però il Chiese, che da Vestone fino al fondo valle si è pericolosamente ingrossato, creando disagi negli abitati di Nozza, Barghe, Sabbio Chiese e Vobarno.

Capitolo frane: numerose su tutto il territorio, in particolare a Mura, dove quelle sulla strada dei Dossi e quella che collega il centro del savallese con Auro di Casto, sono state ripristinate, mentre quella che interessa la strada che porta al lago di Bongi e di conseguenza alle Periche, è ancora chiusa: anche un metro di detriti, oltre alle numerose piante divelte.

Fonte: giornaledibrescia.it (qui)

Meteo, Territorio bresciano

Brescia, vento record. Sul Cidneo raffiche a 124 km orari

Pioggia a catinelle, fiumi in piena, violenti temporali e un vento da record.

Purtroppo ieri le previsioni meteorologiche sono state rispettate, con la nostra provincia sferzata da un’ondata di maltempo di rara intensità. Da notare anche l’attività elettrica che ha accompagnato le precipitazioni, soprattutto nel tardo pomeriggio, quando un forte temporale si è abbattuto sul Bresciano.

Non solo: il vento ha soffiato con forza inaudita, come dimostra la raffica rilevata sul colle Cidneo, pari a 124 chilometri orari. Una velocità da record, seguita dai 114 chilometri orari misurati a San Giovanni di Polaveno.

Numeri che rimarranno negli annali delle stazioni meteorologiche bresciane.

E così, dopo il caldo record delle scorse settimane, ecco un altro evento estremo, a conferma di un clima ormai capace di tutto. In meno di una settimana siamo passati da massime superiori ai 30°C, senza precedenti per il mese di ottobre, a raffiche di vento eccezionalmente intense.

Fonte: giornaledibrescia.it (qui)

Centrodestra, Politica

Europee, Salvini fa ripartire la destra ma (per ora) senza Forza Italia. Berlusconi: “Molli il M5s o stop a elezioni insieme”

Il segretario leghista invita la Meloni per un faccia a faccia su Europee e Roma. Ma ignora gli azzurri. E l’ex Cavaliere lo avverte: “Dateci una data per la fine di questo governo che tradisce il programma”. La leader di Fratelli d’Italia, che flirta con il governo da mesi, sogna un posto di rilievo a fianco del vicepremier del Carroccio e mette in guardia il mondo che ancora gravita intorno ad Arcore: “Molto spesso le posizioni di FI, ora che si parla di Ue, ho fatica a condividerle”.

Matteo Salvini riorganizza il campo del centrodestra. E il punto di partenza è Giorgia Meloni che invita a un faccia a faccia per parlare di elezioni Europee e di Roma. E a sua volta la Meloni allarga la squadra ai presidenti di Liguria e Sicilia Giovanni Toti e Nello Musumeci, protagonisti di vittorie e esperienze amministrative ben salde a destra, ma in allontanamento progressivo da Arcore. Ma a mancare in questa foto di gruppo per il momento è proprio lui, l’ex leader della coalizione, il fondatore e ideatore del centrodestra: Silvio Berlusconi. E il presidente degli azzurri, che ha cominciato a vedere l’isolamento suo e del suo partito, ha provato un avvertimento: “Ci saranno tra poco elezioni regionali e cittadine e non so come potremo andare ancora a queste elezioni”. Certamente la posizione di Berlusconi non è più quella di forza e le elezioni in Trentino e in Alto Adige hanno aggravato la situazione. Ma in molti Comuni del Nord Forza Italia è fondamentale per governare. Una situazione che in qualche modo c’entra anche con la tenuta del governo, almeno di riflesso. Tutto questo avviene a sette mesi dalle elezioni europee e a otto dalle elezioni amministrative in città importanti (da Bergamo a Bari, da Livorno a ReggioEmilia e Perugia) e in 5 Regioni (Abruzzo, Sardegna, Piemonte, Calabria più l’Emilia Romagna in autunno). Sulla scena c’è pure l’incognita Roma e le eventuali dimissioni di Virginia Raggi per le vicende giudiziarie in cui è coinvolta: se così fosse, un centrodestra unito potrebbe giocarsi più di una chance su più tavoli.

Salvini non appare spaventato e tira dritto cercando di dare forma al fronte dei sovranisti: quel progetto di cui si sente già uno dei leader in Europa, a fianco di Marine Le Pen, e che invece in patria fatica a decollare. Il punto di partenza è l’asse con Fratelli d’Italia, che anche in Parlamento – pure dall’opposizione – è il partito più “collaborativo” con l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte e sostenuto dalla maggioranza formata da Lega e M5s. Una cooperazione che viene da lontano, già dalle ore successive alla formazione del governo e al presunto strappo con gli azzurri. Fdi addirittura non avrebbe disdegnato di entrare nell’esecutivo giallo-verde, salvo poi essere sacrificato sull’altare dallo stesso Salvini: Luigi Di Maio poteva convincere i suoi a fare alleanze con il Carroccio, ma non con l’estrema destra di Giorgia Meloni. Ora però che le carte si rimescolano in vista delle prossime corse elettorali, è un po’ come ricominciare da zero e vale tutto. “Sono contento di aver fatto con Giorgia Meloni la corsa alle comunali di Roma”, è stato il segnale di distensione del vicepremier della Lega in un’intervista a Night Tabloid, “l’altra volta eravamo soli contro il mondo e soprattutto per merito di Giorgia siamo arrivati a tanto così dal vincere. Col senno di poi anche i romani avrebbero preferito che andasse in maniera diversa: troviamoci per ragionare di Europa, visto che arriva, e anche di Roma”. E ha concluso: “Dobbiamo vederci presto“. L’interessata intanto scalpita e, per quanto la riguarda, lancia avvertimenti neanche troppo velati a Forza Italia: “Federatrice del centrodestra? Ho perso un po’ la pazienza. Io se devo dire che credo ancora che il futuro del centrodestra sia nei tre partiti come li abbiamo visti fino ad ora, dico no. E io stessa sto lavorando per allargare il fronte di Fratelli d’Italia perché possa arrivare a condividere il proprio percorso con tutti quelli che sono del campo del centrodestra. Un progetto più ampio con quelli che ci vogliono essere. Ho fatto un appello anche al governatore Toti, uno al governatore Musumeci, ci sono tanti sindaci e consiglieri regionali”. Berlusconi? “Io guardo a quello che dobbiamo fare noi. Molto spesso oggi le posizioni di Forza Italia, soprattutto ora che si parla di Europa, ho difficoltà a condividerle”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)

Centrodestra, Politica

L’ultimatum di Silvio a Salvini: “Lasci il M5S o a rischio le alleanze alle amministrative”. Ma è già probabile la retromarcia sulla candidatura alle europee di Berlusconi.

Il leader di Forza Italia Berlusconi: “Dateci una data entro la quale porrete fine al patto di governo”

“Ci saranno tra poco elezioni regionali e cittadine e non so come potremo andare ancora a queste elezioni con una Lega che continua a ignorare il programma con cui si è presentata agli elettori e che tradisce gli stessi elettori, con un programma in contrasto con quello che abbiamo condiviso”. Lo ha detto Silvio Berlusconi a Milano. “Non oso fare previsioni sulla durata del governo ma ai nostri alleati della Lega, con cui governiamo bene molti territori voglio dire: ‘dateci una data entro la quale metterete fine a questa innaturale alleanza’”, ha aggiunto.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

Facce da funerale, occhio pesto alla Rocky Balboa al quindicesimo round e sguardo basso che neanche Donnarumma dopo un derby. La Caporetto in Trentino Alto Adige era ampiamente prevista da quel che resta di Forza Italia, ma ovviamente brucia lo stesso. «Se siamo bravi, ma tanto bravi, in primavera arriviamo al sette per cento», commenta qualche dirigente. Neppure il ritorno in prima linea di Berlusconi, diviso tra il Monza Calcio e la politica, è bastato a resuscitare il partito moribondo. E ora tocca provare a risvegliarlo dal coma e trascinarlo fino alle europee.

Probabilmente nelle liste non ci sarà il nome del Cavaliere, la cui candidatura dopo quest’ ultimo colpo dovrebbe essere archiviata. «Con questi numeri non ha senso correre», avrebbe detto ai suoi. Difficile dargli torto, anche se alla corte di Arcore il pressing continua.

Ciò che pesa è ovviamente il confronto con Matteo Salvini, che proprio nel duello per la Ue conta di stravincere. Il leader leghista punta alla presidenza della commissione (parola del ministro Lorenzo Fontana). Silvio dovrebbe accontentarsi di occupare uno dei due seggi che Fi conta di centrare nel Meridione. E se sono vere le percentuali che circolano – col partito praticamente cancellato nel Nord-Est, in difficoltà nel Nord-Ovest e vivo solo al centro-Sud – si rischia una figuraccia. L’ aspetto inquietante è che tanti forzisti sperano che finisca così: se Silvio va a sbattere – racconta qualche maligno – potrebbe diventare possibile compiere il “parricidio”, cambiare leadership e provare a diventare un movimento normale. Mettere da parte Berlusconi, però, non è un’ impresa di poco conto. E soprattutto è ancora da dimostrare che la sua creatura politica abbia qualche chance di sopravvivergli.

LA KERMESSE
In attesa del responso, il partito si esercita in una delle sue grandi tradizioni: dividersi. La dimostrazione plastica doveva arrivare questo fine settimana. A Ischia si sarebbero dovuti riunire gli “Stati Generali” azzurri, organizzati da Mara Carfagna e altri forzisti campani. Qui si dovevano trovare i vertici al completo, dalle coordinatrici nazionali in giù. Sabato Tajani. Domenica invece era previsto il momento del Cavaliere, in teoria. Già perché nelle più tragiche delle metafore del disastro azzurro tutta la kermesse è stata rinviata causa maltempo.

«Non potevamo – spiega il Coordinatore campano Domenico De Siano – mettere a rischio le migliaia di partecipanti che avevano già assicurato la presenza». C’ era il pericolo di far affondare il Cavaliere, meglio rinviare tutto.

I DISSIDENTI
Tifone o no, quel che è certo che Giovanni Toti non si sarebbe presentato sull’ isola al largo di Napoli neanche se l’ avessero trasportato lì sullo yacht di Abramovich.

Il governatore ligure aveva già disertato l’ ultimo grande raduno. E anche questo weekend aveva previsto di andare a Milano con Guido Crosetto per partecipare a “Italiavanti”, contro-manifestazione azzurra organizzata da Stefano Maullu. Una due giorni per discutere di ricette diametralmente opposte a quelle di Tajani. In sintesi: meno Europa, più Salvini. Il tutto nel solco del progetto lanciato ad Atreju da Giorgia Meloni: una lista che raccolga tutti i movimenti nati dalle costole di Forza Italia, quelli di Parisi, Musumeci e ovviamente dello stesso Toti.

Come sempre nella vita di Silvio, anche in questo passaggio ci saranno di mezzo delle toghe. In questo caso sono quelle della Corte costituzionale, la quale nelle prossime ore si pronuncerà sul ricorso presentato da Fdi contro lo sbarramento al 4% per le elezioni europee. Una soglia letale per Fratelli d’ Italia. Se la Consulta dovesse rimuoverla, l’ idea di Fdi di creare una lista unica diventerebbe molto più praticabile.

Dopo il voto, poi, si potrebbe convocare un congresso, delle primarie. In poche parole, formare un nuovo partito, per un nuovo centrodestra.

Fonte: liberoquotidiano.it (qui) Articolo di L. Mottola.

Elezioni, Esteri, Europa, Germania

Assia tragica per la Merkel

Le elezioni in Assia confermano la parcellizzazione del consenso politico, una tendenza che in Germania si è consolidata da oltre un anno. Anche nella regione di Francoforte continua l’emorragia di voti per i cristiano democratici (27,8 per cento) e per i socialdemocratici (19,5); i due principali partiti tedeschi perdono rispettivamente oltre dieci punti percentuali. Continuano la loro ascesa i Verdi (19,5) che anche qui hanno raggiunto un altro record. Sebbene in Assia fossero tradizionalmente forti (in questa regione giurò come primo Ministro verde nella storia della Repubblica Federale Joschka Fischer) mai avevano raggiunto queste percentuali. I Verdi sono indiscutibilmente i vincitori di queste elezioni perché senza di loro non è possibile, realisticamente, alcuna coalizione. Triplica i voti anche la destra nazionalista di AfD (12,5) che proprio in Assia si presentò per la priva volta in un’elezione regionale e conferma sostanzialmente il consenso ottenuto in questa regione alle elezioni nazionali di poco più di un anno fa. Dopo queste elezioni AfD è presente in tutti i Parlamenti regionali della Repubblica Federale. Aumentano i propri consensi anche i liberali che con il 7,9 diventano ora decisivi per la formazione del governo regionale. Discreto anche il risultato (6 per cento) della sinistra tedesca (Die Linke) che migliora il risultato di un punto percentuale ma non beneficia delle gravi perdite della SPD, a conferma che oramai i due elettorati sono molto distanti.

La distribuzione dei seggi permetterebbe forse al governo uscente nero-verde (CDU-Verdi) di continuare a governare ma con maggioranza limitata a un solo seggio. Probabilmente troppo poco per garantire un governo di cinque anni. Esclusa l’opzione della Grande Coalizione (CDU-SPD), in considerazione della scarsissima popolarità di cui gode attualmente in Germania, l’unica reale possibilità resta una coalizione Giamaica (CDU, Verdi e liberali) che improvvisamente torna centrale nella politica tedesca dopo il fallimento delle trattative per il governo nazionale di un anno fa. Il leader dei liberali Christian Lindner ha manifestato la disponibilità dei liberali ad una trattativa con conservatori e Verdi in Assia, ma ha, al contempo, attaccato ancora una volta la cancelliera Merkel. Qualunque trattativa deve essere in discontinuità con la politica di Angela Merkel (ha invece elogiato l’altra coalizione Giamaica nel Land dello Schleswig-Holstein). Proprio Lindner ha letto il risultato in Assia come un chiaro messaggio di sfiducia alla cancelliera (e alla Grande Coalizione). Una dichiarazione che non deve essere piaciuta al Presidente uscente del Land e leader della CDU in Assia, Volker Bouffier, un fedelissimo della Cancelliera.

Il risultato delle elezioni in Assia, nell’immediato, non metterà in discussione il governo di Berlino ma la posizione di Merkel e della SPD è sempre più debole. Per il destino della Cancelliera bisognerà aspettare il 7-8 dicembre quando si svolgerà il congresso della CDU ad Amburgo. Diversa la posizione della SPD che si trova in una delle più difficili crisi della sua storia e ha ormai perso la dimensione di partito di massa che nella storia della repubblica tedesca le ha garantito un ruolo e una funzione centrale. La leader Andrea Nahles non ha lasciato intendere che la Spd intende concludere l’esperienza della Große Koalition a Berlino ma ha annunciato che domani presenterà un piano per rilanciare l’attività di governo. La Grande Coalizione tedesca continua a non trovare pace.

Fonte: huffingtonpost.it (qui) Articolo di U. Villani-Lubelli

Crisi dei partiti, Forza Italia, Politica

Toti: ‘Forza Italia? Continuiamo così, facciamoci del male’ come diceva Moretti’

Nuove critiche del governatore della Liguria al gruppo dirigente azzurro.

“Se io, da appassionato di documentari, ne immagino uno sulla sparizione di Forza Italia? Rischiamo di vederlo nei mesi prossimi, è in corso di produzione se qualcuno non inverte la sceneggiatura”. A Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, il governatore della Liguria Giovanni Toti risponde così ad una domanda dei conduttori Giorgio Lauro e Geppi Cucciari. Chi potrebbe cambiare questa ‘sceneggiatura’? “Tutti possono cambiarla, gli attori protagonisti e non e anche le comparse: ognuno puo’ fare il suo pezzettino di storia. Come diceva De Gregori ‘La Storia siamo noi, nessuno si senta escluso’. Io mi auguro che il c.destra sappia ristrutturarsi nel suo complesso, non voglio dividere né spaccare nulla, anche perché saremmo alla scissione dell’atomo…”.

Berlusconi si candiderà alle europee? “Non ne ho idea, io gli consiglierei di mandare avanti il partito, la cui classe dirigente del partito deve dimostrare di essere diventata grande. Fi è stato un partito che ha vissuto come quei figli che vivono con un padre importante che tutti i giorni gli consente di vivere. Oggi è il momento di uscire di casa, di diventare grandi”. Quindi senza Berlusconi? “Berlusconi non è mai stato in discussione, ci ha sempre messo la faccia e il coraggio anche più di quanto non avrebbe dovuto”. Avrebbe dovuto risparmiarsi di fare la campagna elettorale in Trentino? “Magari avrebbe potuto risparmiarsela diciamo. Se Berlusconi pecca, lo fa di generosità”. Lei ha detto che con questa classe dirigente non si vincerà più. Una cosa simile a quella che disse Nanni Moretti per la sinistra, molti anni fa. “E allora citando Moretti dico ‘continuiamo così, facciamoci del male...”.

Fonte: ansa.it (qui)

Economia, Legge di Bilancio, Politica

S&P conferma rating Italia, Di Maio : ‘andiamo avanti’

“Il piano economico del governo – sostiene l’agenzia – rischia di indebolire la performance di crescita dell’Italia”, rappresenta una “inversione” rispetto al consolidamento di bilancio e “in parte torna indietro sulla precedente riforma delle pensioni”.

“Io non ho litigato con Draghi. Ho solo espresso un parere, come lui esprime i suoi. E credo che questo sia un Paese libero in cui tutti possiamo esprimere la nostra opinione”. Lo ha detto Luigi Di Maio a margine di un sopralluogo a Paternò, col capo dipartimento della Protezione civile, Angelo Borelli, prima tappa di incontri in paesi del Catanese, dell’Ennese e del Siracusano colpiti dal terremoto e dall’alluvione delle settimane scorse.

“Standard and Poor’s non ci ha declassati. Siccome bisogna leggere il negativo anche dove non c’e, stamattina tutti dicono che ci ha ‘mazzolati’. Invece deve essere ben chiara una cosa: questo Governo non arretra, si farà il reddito di cittadinanza, si farà la pensione di cittadinanza, si farà la quota 100 per mandare in pensione le persone” ribadisce il ministro dello Sviluppo economico.

La parola d’ordine dunque è tranquillizzare i mercati. Come? “Dicendo che non usciamo dall’euro. Perché tutti si sono convinti, a causa di una narrazione sbagliata che qualcuno ha voluto fare, e non noi del governo, che l’Italia voglia uscire dall’euro e dall’Europa. Noi non soltanto ci stiamo bene, ma tra alcuni mesi si vota per le europee e quindi l’Europa diventa di nuovo quella dei cittadini”. “Io sono sicuro che a livello europeo – ha aggiunto Di Maio – tutti i cittadini provocheranno una scossa forte, politica, per mandare a casa questa classe dirigente che in questi anni ha tagliato la nostra sanità, le nostre pensioni, il welfare ed i servizi ai Comuni, con il debito pubblico che è perfino aumentato”.

Rating confermato ma outlook negativo. Il verdetto dell’ agenzia Standard & Poor’s sulla sostenibilità finanziaria del sistema italiano arriva alle dieci di sera e suona come un campanello di allarme, materializzando i timori di un percorso sempre più a ostacoli per il governo italiano alle prese con la presentazione della legge di bilancio.

“Il piano economico del governo – fa sapere S&P – rischia di indebolire la performance di crescita dell’Italia”. Nel mirino anche la riforma delle pensioni, che rappresenta “una minaccia ai conti pubblici”. Per ora però il declassamento non c’è, mantenendo l’Italia a due lunghezze di distanza dal livello ‘spazzatura’ (BBB).

Il nuovo test è atteso per lunedì, alla riapertura dei mercati, quando gli occhi saranno di nuovo sullo spread e la tenuta dei bancari. “S&P lascia invariato il suo rating. Riteniamo che questo giudizio sia corretto alla luce della solidità economica del Paese: l’Italia è la 7/a potenza industriale al mondo e la 2/a manifattura Ue. La competitività delle imprese ci permette di avere un surplus commerciale consistente e il risparmio delle famiglie è solido. Sulla decisione di portare in negativo l’outlook e su alcuni giudizi negativi sulla manovra economica, siamo fiduciosi che mercati e istituzioni internazionali comprenderanno la bontà delle nostre misure”.

Tutto un “film già visto”, commenta Matteo Salvini che assicura che in Italia non salteranno “né banche né imprese”.

E poco dopo, su Twitter, Luigi Di Maio assicura che il governo è pronto ad andare avanti: “chi aspettava Standard&Poor’s per continuare a remare contro il governo oggi ha avuto una brutta sorpresa”.

 

Fatto sta che per l’agenzia di rating Usa le stime del governo non tornano: la crescita, sostengono gli analisti americani, viene rivista al ribasso (1,1%) e il deficit è più alto di quello messo nero su bianco da Roma e pari al 2,7%. Dopo giorni in cui i due vicepremier hanno sostenuto ripetutamente di non essere disponibili a cambiare manovra e strategia in politica economia, non è però detto che non diventi più forte la posizione di chi sostiene la necessità di qualche ritocco, con un occhio in particolare alle banche che potrebbero subire più di altri il peso del differenziale fra i Btp e i Bund. La partita certo resta complicata, anche per i toni accesi scelti dagli alleati. Solo poche ore prima della valutazione negativa di S&P, Luigi DI Maio aveva infatti assicurato di non temere le agenzie di rating. Ma non solo. Il leader pentastellato sceglie anche di andare allo scontro con il governatore della Banca centrale europea Mario Draghi, che ha messo in guardia dalle ricadute dell’innalzamento dello spread proprio sugli istituti di credito. “Siamo in un momento in cui bisogna tifare Italia – osserva – e mi meraviglio che un italiano si metta in questo modo ad avvelenare il clima ulteriormente”. Riescono a mostrare “molto più rispetto” addirittura i ministri tedeschi, è la chiosa.

Vero è che gli istituti bancari sono da giorni al centro di riflessioni da parte del governo, dove si registrano spesso anche approcci diversi fra gli alleati. L’Italia è pronta a tirare su un muro difensivo, “costi quel che costi”, è la tesi di Matteo Salvini. “Nessuna banca salterà. Se qualcuno pensa – prosegue il leader della Lega – di speculare sulla pelle dei risparmiatori e degli italiani, sappia che c’è un governo e c’è un paese pronto a difendere le sue imprese, le sue banche e la sua economia”. Ma questo, aveva puntualizzato un paio di ore prima l’altro vicepremier (Di Maio), “non significa prendere soldi dagli italiani”. Qualsiasi intervento che ricadesse in qualche modo sui risparmiatori sarebbe d’altro canto difficile da giustificare per il governo giallo-verde che della loro difesa ha fatto una bandiera. Una strada possibile, secondo Salvini, potrebbe essere allora proprio quella delle fusioni: “se ci sono le condizioni economiche, perché no?”, osserva il leader della Lega. Intanto Roma continua a essere alle prese anche con Bruxelles, che in settimana ha bocciato la manovra: anche su questo fronte non si registra al momento alcuna volontà di cambiare rotta ma il confronto resta aperto, fa sapere il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker.

Fonte: ansa.it (qui)

Economia, Esteri, Lavoro, Tecnocrazia, Tecnologia

Se il lavoro arriva dall’algoritmo

In Austria un software calcolerà la probabilità di un disoccupato di trovare un impiego e stabilirà quali oferte proporgli. Molti temono discriminazioni verso le donne e gli stranieri.

In Austria farà presto parte della quoti- dianità un sistema che valuta i disoccupati e li divide in gruppi. L’Arbeits- marktservice (Ams), l’agenzia governativa del lavoro, userà un algoritmo per calcolare la probabilità che un disoccupato trovi un lavoro. Molti, però, temono che il software possa discriminare le donne, gli anziani e gli stranieri. Il programma funzio- na grazie alla combinazione di diversi dati personali, tra cui informazioni sul livello d’istruzione e sulle esperienze lavorative, ma contano anche l’età, il genere e la citta- dinanza. Quando qualcuno cerca un lavoro, l’algoritmo calcola la sua probabilità di suc- cesso, fornendo una percentuale. In seguito, sulla base di questo valore, il programma divide le persone in tre gruppi: chi ottiene dal 66 per cento in su è inserito in una fascia “alta”, che ha buone opportunità; chi ha un valore inferiore al 25 per cento inisce nella fascia “bassa”; tutti gli altri entrano nella fascia “media”. In un documento dell’Ams si possono leggere le caratteristiche che l’algoritmo giudica negative o positive. Le donne e le persone più anziane, per esempio, hanno un indice negativo. Su questo punto sono scoppiate le critiche più accese. L’obiettivo principale del programma è aumentare l’eicienza dell’Ams. Ma valutare un genere, una certa età o la provenienza come potenziali svantaggi per la ricerca di un lavoro non signiica discriminare?

Secondo Johannes Kopf, presidente dell’Ams, il sistema mostra solo le discriminazioni che esistono già nel mercato del lavoro. Se si ignorassero queste realtà, sarebbe, per esempio, impossibile assicurare alle donne il sostegno necessario. L’Ams è obbligato a spendere il 50 per cento delle sue risorse in misure di sostegno alle donne, anche se nel 2017 erano donne solo il 43,3 per cento delle persone in cerca di lavoro. “Un fedele quadro della realtà non può essere discriminatorio”, conclude Kopf.

Carla Hustedt, che dirige il progetto Eti- ca degli algoritmi per la fondazione Bertelsmann, non la pensa così. Partire da alcuni dati per arrivare a precise conclusioni può essere un problema, “perché così non si fa che riprodurre i pregiudizi esistenti”. Amazon ha eliminato un algoritmo per la selezione delle candidature perché pena- lizzava sistematicamente le donne: dai dati usati come base di calcolo, in parte vecchi di dieci anni, emergeva che i candidati con più probabilità di successo erano gli uomi- ni. Un fenomeno difuso nel settore tecno- logico, che “bisogna riconoscere e combat- tere con misure adeguate”, dice Hustedt.

Fattore vincolante

Kopf è convinto che l’Ams sia pronto ad af- frontare questo tipo di problemi. I suoi dipendenti cominceranno a usare il program- ma dal 15 novembre. Disporranno della percentuale di successo di ogni disoccupato e conosceranno i fattori che l’hanno in- luenzata, ma inizialmente la useranno solo per discutere con chi cerca lavoro. Dal 2020, invece, la probabilità di successo sarà un fattore vincolante e determinante nella va- lutazione dei disoccupati, anche se la scelta delle misure adatte sarà sempre presa da un consulente in carne e ossa, assicurano all’Ams.

Dal 2020, inoltre, a chi fa parte della fa- scia bassa saranno oferti corsi di formazio- ne meno complessi e intensivi. In pratica, chi ha meno opportunità riceverà di meno: tutto nel nome dell’eicienza. La spiegazio- ne di Kopf è che i corsi di formazione spe- cialistici sono cari e spesso i partecipanti abbandonano prima della ine, quindi quei soldi potrebbero essere usati meglio. Pro- prio tra le persone di fascia bassa i corsi base hanno più successo e, dato che costano me- no, possono essere frequentati da più candidati, dice Kopf.

Il problema non è il software in sé, os- serva Hustedt: “La responsabilità è scari- cata tutta sull’algoritmo, ma la questione di chi debba ricevere più aiuto in una società solidale e politica”. Invece il dibattito è sostituito dall’algoritmo, “visto da alcuni come il male assoluto e da altri come una benedizione”. Bisognerebbe parlare delle sfumature. Kopf promette proprio di fare questo: il software dovrà essere controllato e migliorato costantemente. Saranno valUtati i posti di lavoro assegnati e il successo delle misure adottate, ma anche come si comportano i dipendenti dell’Ams con l’al- goritmo. “Faremo in modo che i nostri consulenti non attribuiscano un valore ec- cessivo alla probabilità di successo”, conclude.

Fonte: Valentin Dornis, Süddeutsche Zeitung, Germania

Politica

Pfas, Parlamento Ue allarga le maglie per inquinanti nell’acqua potabile. Mamme del Veneto: “Se ne fregano della salute”

“E’ una vergogna, gli eurodeputati non sanno niente, votano su argomenti che non conoscono. E su una questione importante come l’acqua, dimostrano di non stare dalla parte dei cittadini, ma di guardare a questa risorsa soltanto come una merce. Fregandosene dei rischi ambientali e per la salute”. Michela Piccoli, infermiera domiciliare è una delle mamme No-Pfas di Lonigo, in provincia di Vicenza, che da due anni sta combattendo contro l’inquinamento delle falde causato dalle sostanze perfluoroalchiliche, che interessa un territorio comprendente le province di Vicenza, Verona e Padova. È andata a Strasburgo sostenendo la tolleranza zero contro questi inquinanti, ma il Parlamento europeo ha votato una direttiva riguardante i controlli sull’acqua potabile perfino peggiorativadei limiti posti in Veneto dalla giunta di Luca Zaia. E lo ha fatto con un voto sponsorizzato dal Partito popolare europeo, mentre nel voto finale anche parte del Partito Democratico e della stessa Lega hanno dato il loro assenso, mentre i Cinquestelle hanno votato contro.

“L’Europa ci ha girato le spalle”, è il commento di Patrizia Zuccato, del Comitato Mamme No-Pfas di Montagnana. “La Commissione ambiente aveva licenziato una proposta che metteva come vincoli i 300 nanogrammi al litro, poi in aula il Ppe ha proposto un emendamento che tollera fino a 500 nanogrammi”. Ed è questo il testo approvato, che ora dovrà essere sottoposto a un vaglio complesso dalla commissione e dai ministri competenti.

Gli eurodeputati Cinquestelle, Marco Zullo ed Eleonora Evi, spiegano cosa è accaduto fino all’approvazione avvenuta con 300 voti a favore, 98 contrari e 274 astensioni e commentano: “Non possiamo dimenticare la sofferenza di 85mila veneti sottoposti a sorveglianza sanitaria poiché il loro sangue è stato contaminato dai Pfas, che hanno inquinato la seconda falda acquifera più grande d’Europa”.

La Commissione Europea aveva inizialmente proposto un testo che fissava a 0,50 microgrammi al litro di acqua la tollerabilità dei Pfas totali e a 0,10 microgrammi/litro la tollerabilità per un Pfas singolo. Poi però il lavoro della Commissione ambiente del Parlamento europeo aveva licenziato un testo più restrittivo che portava appunto a 0,30 microgrammi/litro la soglia totale consentita. “Ci avevano assicurato che in aula la norma non sarebbe stata modificata in peggio”, dice Michela Piccoli. Spiegano gli eurodeputati Zullo ed Evi di M5s: “Non è andata così, purtroppo. Noi avevamo chiesto addirittura la tolleranza vicina allo zero, il cosiddetto zero tecnico, ma l’emendamento non è passato. È spuntato invece un vergognoso emendamento dei Popolari che ha riportato il livello allo 0,50”.

Anche la Lega aveva presentato un emendamento per la tolleranza assoluta. Al riguardo l’eurodeputata Mara Bizzotto dichiara: “L’Europa delle lobby, con la complicità dei gruppi politici afferenti ai Popolari e ai Socialisti(Forza Italia e Pd), ha votato no al nostro emendamento Pfas zero per la tutela dell’acqua e della salute pubblica. Una grande occasione persa per colpa di quei partiti che in Veneto dicono una cosa e al Parlamento Europeo fanno esattamente il contrario”.

Le votazioni sugli emendamenti sono state quattro. La prima sullo “zero assoluto” (un punto irraggiungibile), presentata dalla Lega, ha avuto anche il voto a favore di M5S. La seconda votazione è stata quella dello “zero tecnico” presentata dai Cinquestelle e in questo caso quasi tutti gli eurodeputati italiani si sono espressi a favore, ma l’emendamento non è passato. La stessa sorte ha subito quello della soluzione di compromesso “0,30 microgrammi”. Approvato, invece quello degli “0,50 microgrammi”, tirato fuori dal Ppe, che contiene una grave apertura agli inquinanti. “Questo emendamento ha introdotto la differenziazione tra i cosiddetti Pfas a catena lunga e Pfas a catena corta” spiegano Zullo ed Evi. La catena si riferisce alle caratteristiche chimiche dei prodotti. “Il limite tollerabile dello 0,50 è indicato solo per i Pfas a catena lunga, ma gli altri, che sono più pericolosi, restano esclusi dalla direttiva”.

Il che significa libertà di immetterli nell’acqua. Lo spiega sempre Michela Piccoli. “Ai parlamentari che erano riuniti al bar del Parlamento ho gridato che dovrebbero vergognarsi e pensare per davvero alla salute dei cittadini. I Pfas a catena lunga sono composti di 8 atomi e non vengono neppure più prodotti industrialmente. Quelli a catena corta sono composti da molecole più piccole, si tratta di sostanze nuove, che passano più facilmente attraverso i filtrie finiscono negli acquedotti. Per questo sono più pericolose”. Ma all’Europa evidentemente, non interessa tenerle sotto controllo.

Emendamento a parte, quando si è trattato di votare il testo completo della risoluzione, quattro eurodeputati leghisti (Borghezio, Ciocca, Lancini e Zanni) hanno votato a favore, nonostante i Pfas siano tollerati. Si sono astenuti solo Bizzotto e Giancarlo Scottà. Sono rimasti sulla linea contraria gli M5S. A favore (nonostante i Pfas) ha votato non solo Forza Italia, ma anche parte del Pd(Chinnici, Cozzolino, Ferrandino, Gentile, Giuffrida, Paolucci e Picierno). Sei gli astenuti democratici, tra cui Sergio Cofferati, Damiano Zoffoli (che ha seguito la vicenda Pfas in Veneto) e Flavio Zanonato, ex ministro, ma soprattutto ex sindaco di Padova, una delle province interessate all’inquinamento da Pfas. Lo stesso eurodeputato Zoffoli commenta: “Mi sono impegnato per ottenere una riduzione dei limiti Pfas, incontrando diverse volte le mamme e i comitati. Grazie ad un mio compromesso votato in commissione Ambiente eravamo riusciti ad abbassare il limite. Nel voto in plenaria, l’elemento peggiorativo è passato con il voto contrario di quasi tutti gli italiani”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui) Articolo di G. Pietrobelli del 24 ottobre 2018

Austerity, Democrazia, Politica

L’Italia vera e quella (indecente) di Moody’s e Cottarelli — LIBRE

Ci sarebbe da ridere, non fosse per i brutti ceffi in circolazione e le loro cattive intenzioni verso il sistema-Italia, ancora solido nonostante l’impegno che gli eurocrati hanno profuso per azzopparlo. Prima comica: azzannano il timido governo gialloverde, che si è limitato al 2,4% di deficit (contro il 3% ammesso da Maastricht), neanche fosse un esecutivo rivoluzionario. Seconda comica: gli stregoni di Moody’s declassano l’Italia, regina del risparmio europeo, in combutta coi loro azionisti bancari, che speculeranno sul ribasso del rating. Terza comica: a strapparsi i capelli sono l’infimo Martina, candidato a guidare il Pd verso l’estinzione, e Antonio Tajani, «decadente e grottesco presidente del Parlamento Europeo, figura modestissima e nuovo frontman di Berlusconi per le prossime europee, anche lui impegnato a spiegarci che andiamo verso la rovina». A mettersi le mani nei capelli, semmai, è Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: costretto a vedere la televisione di Stato che strapaga l’oligarca Cottarelli perché ripeta, nel salotto di Fazio, che la visione economica del mondo è una sola: la sua. Il primo a denunciare «la presa per i fondelli a spese degli italiani» è stato Gianluigi Paragone: non è curioso che a spillare quattrini alla Rai sia proprio Cottarelli, cioè il massimo censore della spesa pubblica? «Quello sarebbe il primo spreco da tagliare», dice Magaldi, in web-streaming su YouTube.

Stiamo vivendo agitazioni surreali, esordisce l’autore del bestseller “Massoni”, in collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights”. La storia delle “manine” che secondo Di Maio avrebbero manipolato il decreto fiscale? «Fa un po’ ridere i polli», cosìGioele Magaldi come il proditorio declassamento di Moody’s. «Siamo alla farsa finale: il sistema è talmente in crisi, e anche tremebondo, che mette in atto meccanismi spudorati, e quindi anche facilmente smascherabili». Le agenzie di rating? Non sono imparziali: «Sono aziende che perseguono profitto in pieno conflitto d’interessi, perché i loro azionisti hanno interessi di tipo speculativo e possono trarre vantaggio proprio dai declassamenti delle agenzie di cui detengono i pacchetti azionari. Possono cioè trarre profitto da quello che le agenzie di rating promettono o minacciano, e dal panico che il giudizio di queste agenzie può indurre». Questo, aggiunge Magaldi, è un sistema malato, al quale Moody’s dà un ulteriore colpo. «Da un lato la Bce non fa il suo mestiere di banca centrale e non garantisce il debito in titoli di Stato dell’Italia, come dovrebbe, per mantenere basso il famigerato spread. Dall’altro, le sedicenti istituzioni europee mandano i “pizzini” e disapprovano la manovra del governo, mostrando il loro cipiglio».

Poi ci sono i pupazzi del teatrino italiano – i Martina, i Tajani – che suonano l’allarme. E quali sarebbero queste grandi e radicali manovre del governo Conte, che tanto preoccupano costoro? L’aver ipotizzato qualche spesa per lenire le condizioni di indigenza, senza neppure istituire un vero reddito di cittadinanza? Qualche spesa per migliorare la situazione fiscale? «Tutte cose che noi del Movimento Roosevelt salutiamo come un inizio, l’aurora di un possibile nuovo scenario, ma siamo sicuramente al di sotto delle proclamazioni solenni degli uni e degli altri», chiarisce Magaldi. «Dal punto di vista del governo c’è poco da strombazzare un New Deal, che non è ancora iniziato. Per contro, chi contesta il fatto che queste misure portino al 2,4% del rappoto deficit-Pil, ripete che, per questo motivo, il governo italiano andrebbe ricondotto alla ragione a forza di bastonate – attraverso le agenzie di rating, le dichiarazioni dei tecnocrati europei e le giaculatorie di questi personaggi decadenti del centrodestra e del centrosinistra. Mi sembra un teatro dell’assurdo, perché purtroppo non abbiamo ancora un Tajanigoverno che dichiari chiaramente di voler mettere in discussione, in quanto infondati scientificamente, i parametri di Maastricht, nei quali peraltro l’Italia rientra perfettamente».

Perché non si ragiona mai sulla vera natura del debito pubblico, come ha fatto recentemente Guido Grossi anche su “ByoBlu”? Ci sono economisti, intellettuali e politici che offrono soluzioni concrete, già oggi, per gestire il debito pubblico così com’è. Ma poi, bisognerebbe inquadrare il debito per quello che è, ovvero «un elemento di economia spiegato male e utilizzato in modo improprio». Ma il governo gialloverde non ha messo seriamente in discussione i parametri di Maastricht, sul piano economico. E su quello politico, continua a giurare che non è vero, che vorrebbe “uscire dall’Europa”. «Ma il problema non è questo: bisognerebbe dire, invece, che in Europa non ci siamo mai entrati», sottolinea Magaldi. «Il governo dovrebbe dire: vogliamo una Costituzione Europea, politica». Di Maio, Salvini, Savona e gli altri insistono nel dire di voler restare nell’Eurozona, non mettendo in discussione neppure la valuta euro? «Bene, ma come vogliamo starci? Vogliamo restare in quest’Europa così com’è? In questa strana struttura sovranazionale senza Costituzione, senza meccanismi democratici e senza una vera partecipazione popolare alle decisioni più importanti?».

Se finalmente il governo parlasse chiaro, pretendendo un’Europa democratica, allora sì che si potrebbe capire, «l’alzata di scudi da parte dei veri nemici del progetto dell’Europa unita, cioè quelli che oggi occupano indebitamente le maggiori poltrone delle istituzioni sedicenti europee». Se Lega e 5 Stelle dicessero che vogliono una Costituzione Europea, il loro «sarebbe un attacco al cuore del sistema, per renderlo più democratico». Vorrebbe dire «ridiscutere il concetto stesso di deficit, di debito pubblico, e “sforare” con percentuali ben più importanti, ma con spese in investimenti». Gli oppositori lo dicono in malafede, ma hanno ragione: nella manovra gialloverde non ci sono grandi spese in investimenti. «Ma lo si può capire: è solo l’inizio, al governo bisogna dare credito e fiducia, perché l’esecutivo Conte, quantomeno, sta cercando di fare qualcosina, laddove negli ultimi 25 anni non si è fatto nulla – o meglio, si è agito solo contro l’interesse del popolo italiano». Mancano investimenti adeguati, certo, come si è visto dopo il disastro di Genova. Ma il governo gialloverde è a metà strada fra il Paolo Savona che in Giovanni TriaSenato si appella al New Deal e il ministro Tria (scelta di ripiego, imposta dal Quirinale) che «non sa deve dar retta a Visco, a Draghi, a Mattarella, oppurre alla maggioranza che sostiene il governo di cui lui è parte».

Per Magaldi «siamo, di nuovo, alla commedia dell’assurdo: si parla del nulla, il discorso politico è surreale». Quello economico, invece, è aggravato dal clamoroso declassamento di Moody’s, totalmente infondato: «L’Italia ha un grandissimo risparmio privato e ha dei “fondamentali” di economia eccellenti. L’Italia è un paese ricco, sotto molti aspetti: in Nord Europa ci sono paesi con i conti pubblici in apparenza migliori dei nostri, ma con un indebitamento privato molto più grave, quindi sono in una situazione più fragile». Perciò non si capisce (o meglio, si capisce anche troppo bene) perché Moody’s vada a declassare l’Italia. L’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, suggerisce di creare un’agenzia di rating di respiro europeo, che – partendo dall’Italia – guardi le cose con occhi diversi, e valuti quindi la solidità di entità pubbliche e private con altri parametri. Mossa indispensabile, conferma Magaldi, «per evitare di essere ricattati da masnadieri in costante conflitto d’interessi». E dall’altro, aggiunge, bisogna creare un’agenzia che si preoccupi di valutare il sistema economico-sociale in base all’effettiva qualità della vita, oltre il semplice Pil.

Lo disse Bob Kennedy già nel 1968, «pagando con la vita il suo tentativo di rappresentare la speranza di un’evoluzione diversa dell’Occidente e del mondo». Il Pil non può essere l’unico metro di misura delle nostre vite. Anche dal punto di vista meramente economico, aggiunge Magaldi, il solo Pil non funziona: «Questi numeri non raccontano davvero la prosperità e la ricchezza dell’Italia, pur con tutti i suoi limiti e tutta la decadenza che in questi anni è stata rovesciata sul nostro sistema. Si è tentato di deindustrializzarlo e impoverirlo, ma non ci si è riusciti: perché l’Italia è un grande paese, con capacità industriali e commerciali, grande attitudine al risparmio privato». L’Italia non può essere impunemente declassata, come giustamente rilevato dalla stessa magistratura di Trani, intervenuta in passato contro alcune agenzie di rating, in occasione del famigerato Casalino“golpe bianco” attuato con l’avvento del governo Monti: «Forse, oggi – ipotizza Magaldi – proprio la magistratura dovrebbe rimettersi in moto, analizzando le molte opacità di questo giudizio di Moody’s».

Quanto al presunto sabotaggio del documento fiscale indicato da Di Maio, secondo Magaldi si può parlare anche di “manine” «ascrivibili a filiere massoniche neo-aristocratiche, e perciò contro-iniziatiche, come quelle che hanno demonizzato Rocco Casalino», scelto dai 5 Stelle come portavoce del premier. Volevano incastrarlo con il celebre fuori-onda nel quale prometteva sfracelli contro i sabotatori nascosti nei ministeri? «Intanto è riuscito nell’intento di denunciare i tecnici del ministero dell’economia che “remano contro”, e il fenomeno non riguarda certo solo quel dicastero». Se in Italia ci fossero ancora veri giornalisti, dice Magaldi, una bella inchiesta svelerebbe che nei ministeri e negli apparati burocratici circolano da decenni sempre le stesse persone: si ritiene abbiano competenze imprescindibili, galleggiano da un governo all’altro (centrodestra o centrosinistra non importa) e si sono riciclati anche con questo governo gialloverde. «Credo sia giunto il momento di un bel cambio: non è vero che questi siano professionisti insostituibili, credo occorra puntare su una rigenerazione della scuola della pubblica amministrazione, anche nell’individuazione di nuovi parametri».

L’orizzonte è vasto: «Dobbiamo cambiare i termini di insegnamento dell’economia e della finanza, che in questi decenni hanno creato dei mostri», sostiene Magaldi. Spesso, «quelli che hanno studiato economia l’hanno fatto come asini, istruiti da altri asini, grazie a qualche “padrone degli asini” che, a monte, scientemente, ha voluto questa “asinità” diffusa». Seriamente: «L’economia dovrebbe essere un sapere critico, dialogico, scientifico e perciò aperto al confronto critico, e invece è stata insegnata come una sorta di catechismo, con dei principi di fede da seguire». Non mancano le ribellioni anche famose, contro il “lavaggio del cervello” subito in università anche prestigiose: lo conferma un caso come quello dell’economista Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta”, mostrando (dal di dentro) tutte le storture della narrazione economica neoliberista. «Discorso che vale anche per capi di gabinetto, dirigenti e consulenti: una casta di mandarini riciclati e inamovibili, che obbediscono a chi – come loro – abita stanze del potere non sottoposte al vaglio delle elezioni». Ha ragione Casalino: c’è da fare un bel Ilaria Bifarinirepulisti. «E a proposito: non scordiamo quello che abbiamo appreso su Carlo Cottarelli, personaggio appartenente ai peggiori circuiti della contro-iniziazione massonica neo-aristocratica».

Cottarelli viene dal Fmi, potente istituito che ha contribuito alla catastrofe della Grecia. Come giustamente fatto notare da Gianluigi Paragone, proprio Cottarelli incarna un madornale paradosso: «Un signore che da anni invoca “spending review”, revisione della spesa e grandi tagli, oggi per le sue comparsate televisive (dove sciorina le sue personalissime idee, intonate all’austerity montiana più becera) è strapagato con moltissimo denaro pubblico. Sono cose vergognose». Spreco di denaro pubblico, insiste Magaldi, è riempire di soldi il neoliberista Cottarelli per parlare per 40 minuti, senza un regolare contraddittorio con un economista post-keynesiano: giornalismo (e servizio pubblico) imporrebbero di ascoltare due voci distinte e contrapposte, peraltro non remunerate, ma presenti in televisione a titolo gratuito. «Ci sono personaggi italiani che avrebbero tante cose da dire, e che non vengono mai interpellati, dai media. E gli altri, che hanno tutto lo spazio per dire la loro, sono pure strapagati. Anche questo fa parte del teatro dell’assurdo che stiamo vivendo: il nostro è un paese che ha perso il senso del ridicolo. Ecco perché dobbiamo lavorare, tutti, per far ritrovare il senso della decenza».

La realtà, aggiunge Magaldi, è che va ripensato l’intero sistema, partendo proprio dall’economia. «Forse è arrivato il momento storico in cui si può immaginare l’emissione di una moneta non “a debito”, cioè non ottenuta attraverso l’offerta di titoli di Stato. Forse dobbiamo pensare anche a monete complementari. Soprattutto: come di tutte le cose, in una società aperta, democratica e pluralistica, dobbiamo immaginare di poter parlare laicamente anche della moneta e dell’economia». Non è possibile, aggiunge Magaldi, che l’economia sia diventata una fede, «con sacerdoti che comminano scomuniche, lanciano anatemi e condannano al rogo». E’ inaccettabile l’impossibilità di essere eretici: anche perché «il mondo contemporaneo, scientifico e progressista, liberale, che tanti accigliati difensori vorrebbero difendere dalla “barbarie” dei populisti, è un mondo libero, democratico e pluralista fondato proprio sul libero confronto tra le diverse posizioni». E invece oggi «abbiamo questa surreale situazione, per cui da un lato si denunciano le pulsioni autoritarie, xenofobe, razziste e fascistoidi dei populisti, dei Giorgettibarbari che assaltano l’Olimpo della democrazia italiana, della convivenza pacifica tra le nazioni garantita dalle isitituzioni europee, e dall’altro questi signori sono fideisti, devoti a visioni monolitiche e indiscutibili».

Non ammettono, gli oligarchi, che le loro convinzioni siano sottoposte alla discussione pubblica, «come non fu ammesso alla discussione il grande tema dell’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione», che ha consentito a Mattarella di “difendere” una Carta costituzionale gravemente lesionata, rispetto al dettato democratico del 1948. Sul fronte opposto, intanto, il leghista Giancarlo Giorgetti sostiene che il futuro sia del sovranismo populista? «Sbaglia, Giorgetti, se l’ha detto davvero, perché questo – replica Magaldi – consente agli avversari di spacciare per reale il presunto assalto alla democrazia, alle istituzioni liberali, all’equilibrio faticosamente raggiunto da una società avanzata». Molto meglio «stanare gli autori di questa immensa ipocrisia: qui non è questione di sovranismo o di populismo, qui è questione di sovranità del popolo, di democrazia sostanziale». Per il presidente del Movimento Roosevelt «bisogna che sia chiaro c’è una incongruenza grande come una casa, nell’atteggiamento dell’Europa che guarda all’Italia in modo arcigno: da un lato si rivendica la difesa della tenuta democratica di fronte all’assalto populista Cottarellixenofobo, e dall’altro al popolo bue (trattato in modo veramente demagogico e manipolatorio) si propinano delle fedi, cioè l’esatto contrario di ciò che ha costruito le democrazie».

I moderni regimi democratici, aggiunge Magaldi, con l’occhio dello storico, sono stati edificati «con metodo massonico, dunque progressista», basandosi cioè «sul dubbio critico e sulla messa in discussione dei dogmi». Uno su tutti: il dogma per il quale «il potere venisse da Dio e fosse amministrato da monarchi, da aristocrazie laiche per diritto di sangue e da aristocrazie ecclesiastiche per diritto d’ispirazione divina». Questi dogmi, sottolinea Magadi, hanno regnato per secoli: «E con questi dogmi, per secoli, i molti hanno asservito i pochi». Quello massonico, continua Magaldi, è stato un metodo di liberazione, di democrazia e di parlamentarizzazione della vita politica: «Ha creato quelle Costituzioni di cui avremmo bisogno in Europa, dove invece è stato istituito un sistema neo-feudale, non c’è Costituzione: ci sono altrettanti vassalli, valvassori, valvassini e cavalieri, che difendono una sorta di impero collegiale, oggi in mano a oligarchie apolidi e sovranazionali, le quali trattano il popolo come una massa di neo-sudditi». Queste cose bisogna pur iniziale a discuterle: «Io andrei volentieri a spiegarle in televisione, ovviamente gratis, insieme a tanti altri: non ho verità in tasca – precisa Magaldi – ma vorrei che ci fosse un confronto critico tra diverse visioni del mondo». Invece paghiamo, profumatamente, Cottarelli e soci: «Sacerdoti, che ci vengono a fare le loro prediche». E hanno a disposizione tutti i pulpiti, «offerti dai pennivendoli di regime, davvero spregevoli alla vista e all’udito, che infestano i media mainstream di questo paese».

Fonte: libreidee.org (qui)

Imprese, Innovazione, Intelligenza artificiale

Robot e lavoro in Italia: le aziende dicono sì all’intelligenza artificiale

Per l’89% delle aziende i robot e l’intelligenza artificiale non potranno mai sostituire del tutto il lavoro delle persone e hanno un impatto migliorativo del lavoro.

Il 61% delle aziende italiane è pronto ad introdurre sistemi di intelligenza artificiale e robot nelle proprie organizzazioni. Solo l’11% si dichiara totalmente contrario. Tra le ragioni principali che spingo le aziende favorevoli ad introdurre tali sistemi la convinzione che il loro utilizzo rende il lavoro delle persone meno faticoso e più sicuro (93%), fa aumentare l’efficienza e la produttività (90%) e ha portato a scoperte e risultati un tempo impensabili (85%). Questi alcuni dei dati di fondo emersi dal Primo Rapporto AIDP-LABLAW 2018 a cura di DOXA su Robot, Intelligenza artificiale e lavoro in Italia, che verrà presentato a Roma domani 23 ottobre 2018 presso il CNEL.

Le aziende e i manager sono convinti a stragrande maggioranza (89%) che i robot e l’IA non potranno mai sostituire del tutto il lavoro delle persone e che avranno un impatto positivo sul mondo del lavoro e delle aziende: permetterà, infatti, di creare ruoli, funzioni, e posizioni lavorative che prima non c’erano (77%); stimolerà lo sviluppo di nuove competenze e professionalità (77%); consentirà alle persone di lavorare meno e meglio (76%). Avrà un impatto molto forte nei lavori a più basso contenuto professionale: favorirà, infatti, la sostituzione dei lavori manuali con attività di concetto (per l’81% del campione). I manager e gli imprenditori ritengono, infatti, che al di là dei benefici in termini organizzativi, l’introduzione di queste tecnologie, potrà avere effetti negativi sull’occupazione e l’esclusione dal mercato del lavoro di chi è meno scolarizzato e qualificato. In quest’ottica va letto il dato negativo sulle conseguenze in termini di perdita di posti di lavoro indicata dal 75% dei rispondenti.

Un dato di grande interesse riguarda le modalità con cui i sistemi di intelligenza artificiale e robot si sono «integrati» in azienda. Per il 56% delle aziende l’impiego di queste tecnologie è stato a supporto delle persone, a riprova che queste sono da considerarsi principalmente un’estensione delle attività umane e non una loro sostituzione. Per il 33%, inoltre, tali sistemi sono stati impiegati per svolgere attività nuove mai realizzate in precedenza. Per il 42% delle aziende, invece, l’IA e i robot hanno sostituito mansioni prima svolte da dipendenti. Questi dati confermano la rivoluzione in atto nelle organizzazioni del lavoro e nelle attività di guida di tali processi che i direttori del personale saranno chiamati a svolgere ed è questa una delle ragioni principali che ha spinto l’AIDP ad investire nella realizzazione annuale di un rapporto che fornisca dati e informazione utili a capire meglio il futuro del lavoro nell’era dei robot e dell’intelligenza artificiale.

In generale l’intelligenza artificiale e i robot migliorano molti aspetti intrinseci del lavoro dipendente perché hanno favorito una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro in entrata e in uscita (38%); la riorganizzazione degli spazi di lavoro/uffici (35%); la promozione di servizi di benessere e welfare per i lavoratori (31%); il lavoro a distanza e smart working (26%); la riduzione dell’orario di lavoro (22%).

Le differenze tra percezione e realtà. Il Rapporto AIDP-LABLAW 2018, inoltre, ha messo a confronto l’opinione delle aziende che hanno già introdotto sistemi di Robot e intelligenza artificiale con quelle che non lo hanno ancora fatto. Le differenza principali che emergono riguarda l’atteggiamento verso queste tecnologie: molto positivo (75%) da parte delle aziende robotizzate, meno positivo (47%) per le aziende non robotizzate. In generale le aziende che non hanno introdotto sistemi di Robot e IA tendono a «sovrastimare» una serie di conseguenze negative che la pratica delle aziende robotizzate, invece, smentisce nei fatti. C’è quindi un tema di percezione delle criticità legate all’introduzione di queste tecnologie eccessivamente elevata rispetto alla condizione reale delle aziende chi le utilizza che al contrario, evidenzia soprattutto gli aspetti positivi.

«I risultati della ricerca, fanno capire che la digitalizzazione non è mai solo una questione tecnologica ma strategica – spiegaIsabella Covili Faggioli, Presidente AIDP -. C’è sempre più la consapevolezza che a nulla serviranno le tecnologie se non ci riappropriamo del pensiero che nulla succede se le persone no lo fano accadere e che sono le persone che fanno la differenza, sempre e comunque, ottimizzando le innovazioni e dando loro il ruolo che hanno, un ruolo di supporto e di miglioramento della qualità della vita. Sono tre secoli che il rapporto uomo macchina è complicato perché basato sulla paura. Paura che le macchine, in questo caso i robot, sostituiranno le persone mentre si è poi sempre verificato che è solo migliorata la qualità della vita e che si sono venute a creare nuove professionalità.» 

«A fronte dei risultati della ricerca AIDP-LABLAW emerge chiaramente un tema di nuove relazioni industriali, di nuovi rapporti tra imprese e lavoratori – spiega Francesco Rotondi, Giuslavorista e co-founder di LabLaw –. Ci troviamo di fronte la possibilità di un’integrazione tra processi fisici e tecnologia digitale mai vista in precedenza. Il processo in atto lascia presagire la nascita di un modello nel quale l’impresa tenderà a perdere la propria connotazione spazio-temporale, in favore di un sistema di relazioni fatto di continue interconnessioni tra soggetti (fornitori, dipendenti, clienti, chiamati ad agire in un ambito territoriale che superi la dimensione aziendale e prescinda dal rispetto di un precostituito orario di lavoro ».

Fonte: diariodelweb.it (qui) Articolo di V. Ferrero del 23 ottobre 2018.

Politica

Trentino, Forza Italia è già scomparsa.

Roma, 22 ott. (AdnKronos) – L’1% fa male, molto male. Forza Italia crolla a Bolzano città, mentre la Lega di Matteo Salvini continua a crescere e dopo l’exploit in Alto Adige conquista pure il governo del Trentino, piazzando il suo sottosegretario alla Salute, Maurizio Fugatti con oltre il 46% dei consensi. Ancora una volta Silvio Berlusconi non si è risparmiato, mettendoci la faccia per la volata finale, ma non è bastato: il partito va giù e porta con sé la coordinatrice regionale Michela Biancofiore, che rimette il mandato nelle mani dell’ex premier e ammette: “Quello di Bolzano è un dato assolutamente inspiegabile, estremamente deludente, che non trova giustificazione. Evidentemente, al momento del voto, la gente sembra aver preferito il trend leghista…”.

Tra gli azzurri si intona il de profundis, ora l’avanzata del Carroccio fa davvero paura e il rischio salvinizzazione diventa sempre più concreto. L’unica consolazione è il risultato regionale, come fa notare Biancofiore: “Siamo andati bene in Trentino, dove il centrodestra unito si conferma vincente e Fi fa il 4%, attestandosi saldamente secondo partito della coalizione”. La sostanza, però, fanno notare dalle parti di palazzo Grazioli, non cambia: “Il centro-destra resta a trazione leghista”. E ad Arcore torna a suonare il campanello d’allarme in vista delle europee. 

La delusione è grande, nessun big parla, nemmeno il vicepresidente del partito, Antonio Tajani: alle 19 di ieri sulle agenzie di stampa si registrava solo una battuta di Maurizio Gasparri a ‘Un Giorno da Pecora’ (“Fi a Bolzano? Siamo andati meglio a Trento, in Molise era andata ancora meglio, forse bisogna andare più verso Sud…”). Anche Berlusconi tace e il suo silenzio, fanno notare, vale più di ogni parola. Raccontano, infatti, di un leader fortemente amareggiato, pronto a rilanciare, ma preoccupato di un partito costretto a rincorrere il ‘Capitano’ leghista. Impegnato ad Arcore a fare il punto con i vertici aziendali e i figli come ogni inizio di settimana, il presidente di Fi ha chiesto alla Biancofiore una “relazione dettagliata” su quanto accaduto prima di fare le sue contromosse. Così non va, avrebbe detto l’ex presidente del Consiglio a chi lo ha sentito in queste ore. 

Il lunedì nero del Cav non finisce qui. Sul fronte calcistico, deluso dalle ultime prestazioni, il neo proprietario del Monza ha deciso di esonerare l’allenatore Marco Zaffaroni e affidare la squadra brianzola all’ex rossonero Cristian Brocchi. Intanto, il corpaccione di Fi continua a tormentarsi, le correnti interne si agitano, partono le accuse reciproche sulle cause dell’1%. Riemergono i vecchi malumori. C’è chi chiede a Berlusconi di “avviare un profondo rinnovamento del partito” e chi se la prende con i ‘filosalviniani azzurri’ che “continuano a fare il gioco di Salvini e hanno ridotto il partito al lumicino”. 

Nell’occhio del ciclone, Biancofiore non ha nessuna intenzione di fare la parte del capro espiatorio e annuncia battaglia: “Chiederò il riconteggio dei voti al seggio centrale, temo brogli elettorali. Quello che lascia sorpresi è che solo 5 mesi fa, alle politiche, il mio dato personale, solo per esempio nel collegio di Bolzano-Laives, sfiorava il 10% mentre ora… Anche il presidente Berlusconi ha visto che c’era tanta gente a tutti gli eventi organizzati in questo tour elettorale. Se poi quando si tratta di andare alle urne non ci votano, che possiamo farci…”.

Soddisfatta del voto in Trentino è Fratelli d’Italia che non teme il nuovo boom della Lega. “Siamo passati all’1,7%, di fronte all’avanzata della Lega noi non diminuiamo, anzi cresciamo, e questo non era affatto scontato, siamo l’unico partito che va meglio delle politiche, insieme alla Lega”, assicura Giorgia Meloni in una conferenza stampa al Senato per presentare gli emendamenti al decreto Salvini su sicurezza e immigrati. “M5S è crollato, anche il Pd e Fi sono crollati, noi, invece, siamo cresciuti e questo mi rende contenta del lavoro che stiamo facendo sul territorio”, rivendica l’ex ministro.

Fonte: liberoquotidiano.it (qui)

Economia, Globalizzazione

FCA tradisce l’Italia. Magneti Marelli ai giapponesi. Ceduto un altro pezzo di economia reale ad altissimo contenuto tecnologico.

Ci risiamo. Un’altra azienda italiana se ne va in mani straniere. Ma questa è la volta della Magneti Marelli, storica azienda italiana oggi multinazionale da 7,9 miliardi di fatturato e 43 mila dipendenti, di cui 10mila in Italia, azienda controllata da Fca. Ad andarsene quindi non è una qualsiasi azienda di abbigliamento, che al massimo si porta via il know how di come realizzare un bell’abitino, ma un’industria nel settore cruciale dell’auotomotive, altissimo tasso di tecnologia, fiore all’occhiello di vecchie e nuove innovazioni italiane.

La realtà (o la triste necessità) è che: Fca deve fare cassa (tecnicamente: molti debiti, bilanci incerti, patrimonio di fatto già inferiore all’indebitamento); gli azionisti sono poco orientati a tirare fuori soldi, anzi vorrebbero portare a casa altri dividendi; in giro si dice che i denari della vendita dovrebbero servire a investire per aumentare la produzione di Fca, ma l’impressione è che al massimo Fiat potrà farsi comprare da qualcun altro più grosso, non certo rilevare altre case automobilistiche. E poi Marchionne era contrario alla vendita di Magneti Marelli, ma l’aria è cambiata in Corso Torino.

Magneti Marelli è un gioiello dell’industria italiana che conta su 85 unità produttive e 15 centri di ricerca e sviluppo in tutto il mondo. Ha la sua sede centrale a Corbetta, nel milanese, produce anche ad Amaro, dalle parti di Udine, ad Atessa (Chieti), a Bologna e a Venaria Reale (Torino). Lavora per tutti i maggiori produttori automobilistici, in almeno otto rami: dai sistemi di illuminazione a quelli di controllo dei motori e ai cambi robotizzati; dai quadri di bordo, ai sistemi di sospensioni e a quelli di scarico; collabora ai massimi vertici con i settori della competizione motoristica e non da ultimo produce sensori per il controllo dell’automobile, essenziali per la realizzazione di auto a guida autonoma. Insomma, prima di venderla ai giapponesi o a chicchessia era meglio farci un pensierino, che so sentire il governo, far capire al Paese che per queste cose si potrebbe anche fare squadra (come invece fanno i tedeschi), non solo cassa.

Invece no. Sono stati sufficienti 6,2 miliardi dai giapponesi di Calsonic, un gruppo più piccolo di Magneti Marelli, tra l’altro controllato dal fondo Usa Kkr, con tutti i caveat che volete (la produzione dovrebbe restare in Italia, per alcuni anni il management sarà ancora quello attuale etc.), ma la sostanza non muta, il danno è fatto: tecnologia italiana di alto livello andrà a portare acqua al mulino di altri Paesi e di altri capitali (e solo Dio sa quanto invece avremmo bisogno di conservare e se possibile aumentare gli investimenti italiani in tecnologia).

Poi se pensiamo alle frasi (pro domo sua) pronunciate alcuni giorni fa dai vertici confindustriali che sollecitavano il governo a investire in tecnologia e innovazione anziché nel reddito di cittadinanza, ci viene da sorridere e da chiederci, ma perché non applicare (a se stessi) lo stesso metro anche per Magneti Marelli? Perché i grandi industriali fanno sentire la loro voce solo quando si tratta di chiedere e sono assenti quando invece si deve investire (e magari rischiare) in prima persona?

Sfortunatamente la sfida della trasformazione dell’industria automobilistica è ormai entrata nel pieno della competizione e forse Magneti Marelli poteva servire a questa battaglia. Ad esempio, anziché pensare alla sua cessione, perché non fare nuovi investimenti nella storica azienda italiana per trasformarla in uno dei produttori più importanti nel campo dei motori elettrici e delle batterie relative? Scelte strategiche e progetti che mancano, che in ogni caso invece avrebbero potuto dare una mano al paese, e anche a Fca, pesantemente indietro nella corsa per l’elettrificazione della proprio parco modelli. Magneti Marelli era un concorrente di Bosch, ma Bosch è in Germania, dove gli imprenditori (con l’aiuto dello stato) ragionano in un’altra maniera.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui) Articolo di S. Noto del 22 ottobre 2018.