massimogelmini.it

Economia, Gran Bretagna, Lavoro, Occupazione

Economia britannica, Disoccupazione al 4%, minimo da febbraio 1975. C’è piena occupazione fuori dall’euro.

Il mercato del lavoro britannico si è teso ulteriormente all’inizio del 2019, malgrado le prove di un diffuso rallentamento di un’economia sotto pressione per le incertezze della Brexit e i timori per i commerci globali.

Il tasso di disoccupazione britannico è rimasto stabile al minimo pluridecennale, mentre l’inflazione dei compensi, compresi i bonus, è rimasta invariata, secondo i dati ufficiali di questo martedì.

Il tasso di disoccupazione è rimasto invariato al 4,0% nel trimestre terminato a dicembre, in linea con le aspettative. Si tratta del minimo dal febbraio 1975.

Il numero di persone occupate nel Regno Unito è salito di 167.000 unità, più delle 152.000 previste.

Il numero delle richieste di sussidio, ossia della variazione nel numero delle persone che chiedono un sussidio di disoccupazione, è salito di 14.200 unità a gennaio dalle 20.800 di dicembre.

Gli economisti si aspettavano un incremento di 12.300 unità.

I compensi medi, esclusi i bonus, continuano a salire al tasso più rapido dalla crisi finanziaria di oltre 10 anni fa, schizzando del 3,4% nel trimestre terminato a dicembre. Il dato è in linea con le previsioni e col tasso rivisto di novembre.

Compresi i bonus, la crescita dei compensi è salita al tasso annuo del 3,4%, meno delle aspettative di un aumento del 3,5%. A novembre aveva registrato +3,4%.

La Banca d’Inghilterra ha parlato dell’aumento dei compensi e della sua pressione rialzista sull’inflazione dei prezzi al consumo per giustificare la necessità di alzare i tassi di interesse gradualmente, ma l’incremento dell’incertezza per quanto riguarda l’esito delle trattative sulla Brexit con l’Unione Europea ha convinto la banca centrale a non intervenire.

Nell’ultimo aggiornamento delle sue previsioni, la banca ha tagliato le stime di crescita britannica per via della Brexit e del rallentamento dell’economia globale. Gli analisti affermano che le ultime previsioni implicano due aumenti di un quarto di punto nei prossimi due anni, uno in meno rispetto a quanto stimato a novembre.

Nell’eventualità di una Brexit senza accordo, l’economista della BoE Gertjan Vlieghe ha affermato di aspettarsi che la BoE lasci i tassi invariati per un periodo più lungo o che possa persino tagliarli per supportare l’economia.

Fonte: Investing.it

Montichiari, Velodromo

Ciclismo, Velodromo di Montichiari tempi lunghi, le manifestazioni pubbliche potranno tornare non prima del 2021.

Prove di carico ok: bando Coni per la copertura con un nuovo telo, lavori pure sul legno della pista. Treviso apre tra un anno.

Vediamo la fine del tunnel. E le otto ore in auto, nella bufera di neve del passo Gottardo in Svizzera, del c.t. Marco Villa con Ganna e Consonni per andare ad allenarsi sul velodromo di Grenchen, resteranno un ricordo. La pista bresciana di Montichiari (di proprietà del Comune) sarà salvata grazie a un intervento rapidissimo dei tecnici di Coni Servizi, che hanno accelerato l’iter per poter utilizzare l’impianto, chiuso dal 24 luglio dalla Commissione di Vigilanza di Brescia per le infiltrazioni di acqua dal tetto. Positive le prove di carico, la struttura metallica è solida: solo in caso di nevicata, con accumulo, ne verrebbe vietato l’ingresso.

I tecnici Coni stanno redigendo il bando con procedura d’urgenza: il tetto del velodromo, intriso d’acqua nell’intercapedine di lana di roccia, verrà coperto e ingabbiato completamente con uno speciale telo plastico. Tempi: 60 giorni. «E saranno fatti lavori di pulizia, stuccatura e levigatura della pista, rovinata dalle infiltrazioni d’acqua, e installate lampade per il riscaldamento — spiega Renato Di Rocco, presidente Fci —. Così entro giugno potremo usare di nuovo la pista per allenarci. Senza pubblico e senza eventi, ma a noi interessa salvare l’avvicinamento all’Olimpiade di Tokyo 2020. Sui costi, siamo tra 400 e 600 mila euro, e con lo stanziamento di 1,8 milioni grazie all’impegno del sottosegretario Giorgetti sul capitolo Sport e Periferie, e alla Regione Lombardia, copriremo sia questo intervento sia il completo rifacimento del tetto che effettueremo non appena aprirà il nuovo velodromo di Spresiano (Treviso): previsioni febbraio 2020. Potremmo così avere due piste per finalizzare la preparazione per i Giochi. Solo dopo, verrà chiuso Montichiari: per rifare completamente il tetto servirà almeno un anno».

Fonte: gazzetta.it (qui)

Governo, Politica

Giancarlo Giorgetti: “Il governo durerà se si rispetta il contratto o si torna a votare”

Per il sottosegretario: “Il rischio è che il reddito di cittadinanza aumenti il lavoro nero”, ma al Sud, spiega, i 5 stelle hanno vinto per quella promessa. Di Maio: “A noi piace tutta l’Italia”.

Sul reddito di cittadinanza il governo non può tornare indietro ma, secondo il sottosegretario Giorgetti, c’è il rischio che la misura alimenti il lavoro irregolare. Lo ha spiegato nel corso del convegno “sovranismo vs populismo”: “Piaccia o non piaccia questo governo risponde ad una volontà degli italiani e il M5s al Sud ha vinto perché gli elettori vogliono il reddito di cittadinanza. Una misura che nel contratto di governo è finalizzata ad incentivare i posti di lavoro ma il pericolo che vedo è che possa alimentare il lavoro nero”. “Può piacere o no, ma purtroppo il Programma elettorale dei 5 stelle al Sud ha registrato larghi consensi probabilmente anche perché era previsto il reddito di cittadinanza; credo che abbia orientato pochissimi elettori della mie zone. Magari è l’italia che non ci piace ma con cui dobbiamo confrontarci e governare”.

L’alleanza gialloverde durerà solo a patto che il contratto sottoscritto sia rispettato: “Il nostro impegno dura nella misura in cui sarà possibile realizzare il contratto di governo: quando non sarà possibile finirà ma allora la parola torni al popolo perché senza il suo consenso un governo non può esistere”, ha spiegato Giorgetti.

Quanto ai tagli alle misure per le pensioni volute dalla Lega il sottosegretario ha continuato: “È quello che chiede Bruxelles ma non lo chiedono gli italiani”. Lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti arrivando ad un convegno al Senato.

A rispondere alle parole di Giorgetti ci pensa il vicepremier Luigi Di Maio: “Non è tra i rischi che stiamo contemplando nel senso che l’ispettorato del lavoro e la Guardia di Finanza saranno a lavoro ogni giorno. Ho anche letto di una sua dichiarazione per cui il reddito di cittadinanza piace ad un’Italia che non piace a Giorgetti. A me l’Italia piace tutta, dalla Sicilia alla Valle d’Aosta, e sono orgoglioso di questo Paese”.

Fonte: huffingtonpost.it (qui), Youtube.com

Elites vs Popoli

Come l’élite mette a tacere il dissenso

Bocciatura UE e spread? Armi delle élite. Bifarini: Creare occupazione. Ecco come la bocciatura Ue è uno spauracchio. L’Italia non cresce e le élites al potere vogliono tenerla nell’austerity. Il perché lo spiega l’economista Ilaria Bifarini.

Dopo che la commissione Ue ha bocciato la manovra del governo italiano (M5S-Lega) abbiamo intervistato l’economista Ilaria Bifarini, fresca del suo nuovo lavoro editoriale “I coloni dell’austerity”: “Le élites europee ed italiane vogliono mantenere lo status quo. Lo fanno per propagandare con il controllo dei media questo modello economico che risulta perdente, sminuendo e ridicolizzando ogni piano alternativo e anche chi la pensa in modo differente. Lo fanno fin nel dettaglio con un macchina del fango sistematica”, spiega ad Affaritaliani.

Il piano del nuovo governo non mi sembra così radicale da…

“Infatti non lo è ma occorre comunque ridicolizzarlo. E’ un primo passo e una manovra che va in un’altra direzione rispetto alle precedenti ma la ridicolizzazione è architettata fin nei minimi particolari, cosa che fanno anche nei confronti delle persone, è stato fatto anche a me, anche se chi la esercita è minoritario nel Paese. La maggioranza degli italiani non crede in queste ricette”.

L’abbiamo vista di recente ad Otto e mezzo su La 7. Ci sono stati degli strascichi?

“Pensi che dopo la serata sono stata bersagliata, intimidita, derisa da importanti giornalisti e potenti economisti, una sorta di bullismo mediatico, in modo così volgare da lasciarmi senza parole. Le faccio un esempio su un comportamento che ritengo significativo. Il vicepresidente del Parlamento europeo, David Sassoli (ex conduttore del Tg1 ed esponente del Pd, ndr) si è scomodato per me, bloccandomi su twitter e taggando il contenuto di un suo tweet al Parlamento Europeo, dove dice che se mi invitano in tv gli italiani potrebbero precipitarsi a ritirare i loro soldi dalle banca. Non pensavo di essere così potente. Si vede che la verità non si può dire in tv”.

Il tweet di David Sassoli.

E cosa ha detto?

“Ho detto che mettere in discussione l’Europa è necessario. Che l’austerity è una ricetta che non ha funzionato e non funziona. E’ un modollo adottato su scala universale in modo acritico e l’Europa ne è in questo momento la portatrice più avanzata. Tutti addossano alle politiche del governo l’aumento dello spread ma accade principalmente perchè il quantitative easing di Draghi e della Bce è agli sgoccioli. Però questo nessuno lo spiega”.

Secondo lei, perché questi attacchi?

“Perché viviamo in una delle società più inique di sempre. Un ristrettissimo numero di persone detiene la maggioranza del potere nel mondo e in questo Paese. La loro ricetta di gestione è questo fondamentalismo economico che è il neoliberismo e anche se non funziona non lo si può mettere in discussione con delle critiche. Chi ha in mano il potere detiene il controllo dei media che sembrano fare di tutto per mantenere lo status quo”.

Ma non bastava leggere il premio nobel Stiglitz del 2002 per sapere che le ricette di Banca Mondiale, Fondo monetario interneazionale o WTO (e vari altri organismi sovrannazionali) producono spesso effetti devastanti nei Paesi in cui vengono applicate?

“Ho moltissimi punti in comune con le teorie di Joseph Stiglitz ma nel contesto maistream la comprensione di questi temi non è passata. Con un martellamento a tappetto hanno convinto gli italiani che l’economia è sapere ogni giorno quali siano le oscillazioni dello spread e le dinamiche del debito. Ma questa non è economia. L’economia ha il compito di far star meglio le persone. I veri problemi dell’economia sono la mancanza di crescita e la disoccupazione. In Italia si dovrebbe anche iniziare a rivedere il meccanismo d’asta usato per il collocamento dei BTP. Il sistema di gestione del debito pubblico italiano va rivisto. La modalità del ‘prezzo marginale d’asta’ comporta che i titoli vengano assegnati al prezzo più basso offerto e quindi al tasso più alto. Ciò comporta un costo del debito pubblico elevatissimo. Basterebbe fare come in Germania dove esiste un importante sistema di banche pubbliche che intervengono nelle aste dei titoli pubblici”.

Come si esce da questa fase critica per i mercati?

“E’ questo continuo stato di tensione che ha effetti deleteri sui mercati. Dovrebbe cambiare l’approccio europeo. I mercati speculano sulle aspettative. La Bce dovrebbe preservare la stabilità dei mercati con politiche monetarie ad hoc”.

E in Italia cosa occorrerebbe fare?

“La classe politica ha tradito gli italiani con privatizzazioni che non vi dovevano essere o entrando nell’unione monetaria UE senza che vi fossero le condizioni. Pensi che in Francia si scende in strada per rivendicare istanze popolari che qui ogni giorno si disprezzano come populismo. Ma è normale, parliamo dei sistemi di privilegi che una casta vuole continuare a mantenere. Il vero problema è questa ideologia delle élites che costringe ampie masse europee all’austerity e alla povertà. Ora con arronganza aristrocratica chi detiene le redini di questo tipo di società vuole ancora preservare i propri privilegi”.

Come si crea la crescita?

“Con investimenti pubblici produttivi. Grandi investimenti e opere che creino lavoro. Con questi interventi ci occuperemmo dello stato di salute del nostro territorio che abbiamo visto in che condizione è, vedi il ponte di Genova e tutti i disastri che sono capitati anche ultimamente, e metteremmo in moto un circolo viruoso che procura crescita e benessere. Resta questo lo scopo dell’economia, non l’informazione giornaliera sullo spread. Lo Stato non può continuare a chiedere al cittadino più di quanto dà”.

Perché il suo ultimo libro “I coloni dell’austerity” è autoprodotto in self publishing e non ha una casa editrice?

Ho preferito così per avere una totale indipendenza su quanto è scritto e una gestione totale dei contenuti con tempi e modi che decido io. E’ importante per ottenere un lavoro ben fatto e poter anche pensare di fare altri libri in futuro.

Fonte: ilariabifadini.com (qui) – Intervista del giornalista e scrittore Antonio Amorosi per Affaritaliani, 21 novembre 2018

Austerity, Europa vs Stati

L’Unione Europea minaccia il diritto al cibo dei greci

La Grecia doveva essere l’esempio del successo del programma di “aiuti” dell’Unione Europea per salvare un Paese dalla bancarotta con l’austerità sociale. I risultati sono stati devastanti e perfino l’ex capo dell’Eurogruppo Dijsselbloem ha ammesso lo scorso settembre che il programma è fallito, per via delle condizioni troppo dure imposte.

Un centro di studi non-profit, “Dianeosis”, ha pubblicato un rapporto che dimostra che il reddito disponibile medio delle famiglie greche è crollato del 42%, ovvero di € 513,00, tra il 2009 e il 2014. I lavoratori salariati hanno perso il 38,6% del reddito, gli autonomi il 40,3% e i pensionati il 32,5%. I più colpiti sono i giovani tra i 18 e i 29 anni, con un crollo del reddito del 44,8%. I laureati hanno perso il 45,1% del reddito medio, il che spiega per quale motivo molti greci istruiti lascino il Paese e cerchino impiego altrove.

Stando a una dichiarazione della Federazione Ellenica dei Lavoratori degli Ospedali Pubblici, v’è stato un aumento del 30% della domanda di cure, mentre il 60% delle attrezzature mediche deve essere sostituito e gli specifici fondi non sono aumentati.

Gli effetti dell’austerità sulla popolazione in termini di sicu- rezza alimentare sono stati studiati dal Transnational Institute (TNI) di Amsterdam, che ha pubblicato un rapporto dal titolo La democrazia non è in vendita: la battaglia per la sicurezza alimentare nell’era dell’austerità in Grecia. Il rapporto rivela che nel 2017 nelle aree rurali quasi il 38,9% degli abitanti era a rischio di povertà, mentre la disoccupazione è salita dal 7% del 2008 al 25% del 2013 e il reddito pro capitale è crollato del 23,5% negli anni della crisi (2008-2013). Il numero di famiglie con bambini che non possono permettersi un pasto a base di proteine tutti i giorni è raddoppiato, passando dal 4.7% del 2009 all’8.9% del 2014.

Il rapporto accusa: “Le misure di austerità non solo hanno aumentato la povertà e l’insicurezza alimentare, ma hanno con- solidato un regime di business agro-alimentare che perpetua disuguaglianze nell’accesso al cibo”. Infatti le riforme strutturali hanno favorito i grossi distributori di cibo e i commercianti, a scapito dei piccoli produttori. Questo ha contribuito a far au- mentare i prezzi dei generi alimentari più velocemente che nel resto dell’Eurozona, nonostante il crollo del costo del lavoro.

Olivier de Schutter, ex rapporteur speciale dell’ONU sul diritto al cibo (2008-2014) e membro della Commissione dell’ONU sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, ha dichiarato al quotidia- no greco Kathimerini che l’Unione Europea potrebbe essere in violazione del diritto al cibo dei greci. In questo caso, le vittime potrebbero portare l’UE in tribunale. L’Articolo 340 del Tratta- to sul Funzionamento dell’UE “dichiara molto chiaramente che il danno causato dagli errori delle istituzioni europee dovrebbe essere risarcito. So che alcuni stanno pensando di usarlo e mi è stato chiesto di dare consigli su questa possibilità” ha detto.

Fonte: http://www.eir.de – Anno 27 n. 48, 29 Novembre 2018 edizione italiana

Immigrazione, Politica, Sicurezza

Decreto sicurezza, cosa prevede: dalla stretta sui permessi per motivi umanitari alle limitazioni ai “negozietti etnici”

I punti principali della nuova legge, detta “decreto Salvini”, approvata alla Camera. Introdotti anche nuovi reati, come quello di “esercizio molesto dell’accattonaggio”.

Il “decreto Salvini“, approvato col voto di fiducia alla Camera con 336 sì e 249 no, diventa legge. Introduce una serie di novità in tema di immigrazione e sicurezza. Diversi i temi affrontati, dalla stretta sui permessi di soggiorno alla sperimentazione del taser per i vigili urbani. Ecco i punti principali del provvedimento.

Stretta sui permessi – È abolito il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Questo viene sostituito da dei ‘permessi speciali’ temporanei. Sei le tipologie previste: motivi di salute di particolare gravità, calamità nel paese d’origine, atti di valore civile, vittime di tratta, violenza domestica, grave sfruttamento.

Più tempo nei Cpr – Gli stranieri potranno essere trattenuti nei Centri di permanenza per il rimpatrio fino a 180 giorni, e non più solo tre mesi come previsto in precedenza. In mancanza di posto nei centri, è introdotta la possibilità trattenere i migranti in attesa di espulsione in altre strutture per la Pubblica sicurezza. Inoltre sarà possibile tenere i richiedenti asilo negli hotspot.

Diritto d’asilo revocato con più reati – Si amplia il numero di reati che comportano la negazione o la revoca della protezione internazionale. Questi sono violenza sessuale, lesioni gravi, rapina, violenza a pubblico ufficiale, mutilazioni sessuali, furto aggravato e traffico di droga. Al Senato si era aggiunto il reato di furto in abitazione, anche non aggravato.

Via la cittadinanza per terrorismo –La cittadinanza italiana viene revocata ai condannati per reati di terrorismo.

Stop al diritto di asilo dopo la decisione della Commissione – La domanda di protezione internazionale per i richiedenti che hanno in corso un procedimento penale per un reato sarà sottoposta ad un esameimmediato. In caso di condanna definitiva la protezione sarebbe negata. L’esame scatta per chi ha già una condanna anche non definitiva. In caso di negazione del diritto, il richiedente deve lasciare l’Italia.

Sistema dello Sprar – Solo i titolari di protezione internazionale e minori non accompagnati potranno accedere al sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Chi è già nel sistema vi rimarrà fino alla conclusione dei progetti.

Attesa fino a 4 anni per la cittadinanza – Si ampliano i termini (da 2 a 4 anni) per l’istruttoria della domanda di concessione della cittadinanza, che verrà data solo se si conosce l’italiano.

Lista dei ‘Paesi sicuri’ – Per chi proviene da paesi inseriti nella lista di sicurezza è previsto un esame accelerato delle domande di protezione.

Braccialetto elettronico per gli stalker – Gli imputati per maltrattamenti in famiglia e stalking saranno controllati con un braccialetto elettronico.

Contratti di noleggio auto-camion in mano alla polizia – La norma è stata voluta dall’antiterrorismo per prevenire attentati con auto e camion contro la folla e prevede che i dati di chi stipula contratti di noleggio debbano essere preventivamente comunicati alle forze dell’ordine.

Taser in mano ai Vigili urbani – In via sperimentale la pistola a impulsi elettrici sarà data anche ai corpi di polizia municipale di tutti i capoluoghi di provincia.

Daspo urbano – Agli indiziati di terrorismo si estende il Daspo per le manifestazioni sportive. Il Daspo urbano potrà essere applicato anche nei presidi sanitari e in aree destinate a mercati, fiere e spettacoli pubblici.

Stretta sugli sgomberi – Sono introdotte sanzioni più severe (da 2 a 4 anni) per chi promuove o organizza l’occupazione di immobili. Esteso anche l’uso delle intercettazioni nelle indagini nei confronti degli occupanti.

Accattonaggio molesto e parcheggiatori abusivi – Viene introdotto il reato di ‘esercizio molesto dell’accattonaggio‘ (punibile fino a 6 mesi aumentati a 3 anni nel caso si impieghino minori). Previste anche sanzioni più aspre per i parcheggiatori abusivi. In caso di utilizzo di minori o di recidiva scatta l’arresto e si rischia fino a un anno di carcere.

Sindaci decidono sui ‘negozietti etnici’ – Previste limitazioni agli orari di vendita degli esercizi commerciali interessati da “fenomeni di aggregazione notturna” anche in zone non centrali, ma solo su richiesta del primo cittadino che potrà utilizzarle fino a 30 giorni.

Dalle squadre più soldi per la sicurezza negli stadi – Le società sportive dovranno versare più soldi per garantire la sicurezza negli stadi. La percentuale della vendita dei biglietti che dovrà essere destinata a questo scopo passa dall’1-3% al 5-10%.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)

Sulla riva del fiume

La nuova vita “normale” di Formigoni. Senza vitalizi e con i mezzi pubblici.

Scaricato dai suoi, condannato in appello per corruzione, ecco la nuova vita dell’ex Presidente della Regione Lombardia. Certamente non mi impietosisce, soprattutto se penso che tante persone oneste si trovano tutti i giorni a misurarsi con difficoltà personali ed economiche, ma con grande dignità vanno avanti. Ma tornare alla vita “normale”, per un ex politico, come ogni comune mortale non dovrebbe essere una notizia. Invece lo è, perchè sono ancora troppo pochi i politici che abbandonando l’impegno politico e tornando alla loro vita “normale” ritornato ad essere quelli di prima, senza collocazioni di favore, o in qualche consiglio di amministrazione di società pubbliche grazie al “partito”. Facile lasciare la politica con la pensione d’oro, magari senza aver mai lavorato un giorno.

Roberto Formigoni è stato presidente della Regione Lombardia per 18 anni, dominus assoluto di una delle regioni più importanti d’Europa. A settembre è stato condannato in appello per corruzione a 7 anni e mezzo nel processo San Raffaele-Maugeri, per aver favorito, secondo l’accusa, i due enti attraverso delibere di giunta. In cambio avrebbe avuto utilità per più di sei milioni di euro, attaverso l’uso di barche e vacanze pagate. Per Formigoni l’unica colpa sarebbe stata quella di accettare gli inviti in barca dal un suo amico storico. A maggio gli è stata invece sequestrata l’intera pensione. Oggi vive facendo consulenza per alcune società, prende i mezzi pubblici e continua a fare sport. Fanpage è andata a casa sua per incontrare l’ex presidente della Regione Lombardia e farsi raccontare questa nuova fase della sua vita, lontana dal 30mo piano del palazzo della Regione, simbolo degli anni d’oro del formigonismo.

Fonte: fanpage.it (qui)

Economia, Legge di Bilancio, Politica

Salvini rifletti: l’economia sta entrando in recessione e c’è il rischio che la manovra si riveli inadeguata. (di Becchi e Zibordi)

Ogni giorno che passa – bisogna pur dirlo – diminuisce la fiducia di imprenditori e dirigenti, operatori finanziari, artigiani, professionisti e investitori nel M5S. I sondaggi continuano a essere favorevoli più per la Lega che per il M5S, ma comunque – anche questo va detto – danno a entrambi sempre più del 60% del consenso, un consenso di cui pochi governi negli ultimi decenni hanno mai goduto.

Esiste però un altro tipo di consenso, quello del mondo economico, finanziario e imprenditoriale: questo è sempre più debole. Lo si vede dalla frana della Borsa e dei Btp (complessivamente da inizio anno chi avesse avuto 100milain Btp e azioni italiane avrebbe perso 17mila euro), dagli indici di fiducia delle imprese, in caduta brusca.

Dal punto di vista macroeconomico il dato drammatico è il taglio del credito, il bollettino di Bankitalia mostra che il «credito a residenti» (cioè imprese e famiglie) si è ridotto di 80 miliardi, da 2.400 a 2.320 miliardi da marzo. Le stime sulla crescita del Pil nel 2019 vengono riviste in basso quasi ogni settimana e mentre il governo parla di crescita intorno al 1,5% questa settimana la più importante banca americana, JP Morgan, ha drasticamente rivisto la previsione per l’Italia da 1,50% a 0,5%. Possono ovviamente sbagliare

Passando a dati più qualitativi, anche la manifestazione di Torino pro-Tav è il sintomo dell’opposizione crescente dei ceti professionali e imprenditoriali al M5S. Molta di questa gente al Nord votala nuova Lega di Salvini, ma ogni settimana che passa è sempre più sfiduciata riguardo la gestione della nostra economia. In termini economici in sei mesi il governo ha fatto pochino. La riduzione di tasse, «flat» o meno, è in pratica limitata alle «partite Iva» e le pensioni a 62 anni (revisione della “Fornero”) e il reddito di cittadinanza sono tuttora avvolte nel mistero su come e quando arriveranno.

Il deficit previsto dalla manovra è in realtà modesto, un 2,4% del Pil esattamente come accadeva sotto Renzi, ma nelle mani di Di Maio, Salvini, Conte e Tria è diventato un casus belli con la Ue e ha mosso i mercati (in basso). Le gaffe nei discorsi e dichiarazioni sono irrilevanti, se si guarda alle decisioni prese però non si può non constatare il caos della gestione del crollo del Ponte Morandi a Genova, il tentativo di cancellare la prescrizione, che Salvini ha cercato intelligentemente di parare, una finanziaria del 2,4% di deficit, rivolto però in prevalenza a pensioni e reddito per chi non lavora. Tutte cose che sono importanti, ma di poco aiuto per imprenditori, artigiani, professionisti.

Da parte degli avversari del governo, l’opinione che comincia a farsi strada è che conviene lasciare cucinare il governo nel suo brodo: l’economia andrà in recessione e il 60% e rotti di consenso di cui gode svanirà sotto il peso di una nuova crisi economica. Questo rischio è concreto perché, come abbiamo scritto su questo giornale, la congiuntura globale sta rallentando bruscamente, la Bce finisce (salvo ripensamenti) da dicembre di stampare moneta per comprare debito e i sintomi di recessione in Italia aumentano di giorno in giorno, anche a causa del calo della fiducia delle imprese.

Salvini dovrebbe riflettere sul fatto che il problema non è il deficit in sé, ma lo diventa se viene usato solo per pensionare dipendenti pubblici, pagare redditi a chi non lavora, lasciando poi cheilM5S renda più complicatala vita alle imprese e faccia, grazie a Toninelli, un gran casino nei lavori pubblici. Se la congiuntura economica fosse ancora favorevole Salvini potrebbe aspettare aumentando ancora i consensi per la Lega. Ma stiamo andando in recessione e gli italiani che fanno buste paga, producono fatturati e investono sono sempre più pessimisti. La Lega dovrebbe allora differenziarsi proponendo per il futuro qualcosa che vada oltre la legge di bilancio e che inverta il trend del pessimismo dei ceti produttivi. Che cosa si può fare lo scriveremo nel prossimo articolo.

Fonte: liberoquotidiano.it (qui) – Articolo di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi

Europa vs Stati, Politica

“Mercanti di tappeti”, “Non siamo accattoni”. È scontro tra Moscovici e Salvini. E poi “spegne” il dialogo: “Bruxelles ha rotto le scatole”

Conte prova a mediare ma il Commissario Ue insite: “Non sono Babbo Natale”. Il ministro: “Basta insulti: pazienza finita”.

Continua lo scontro a distanza tra Pierre Moscovici e Matteo Salvini. Uno scontro fatto di accuse e dichiarazioni al vetriolo, con la manovra italiana sullo sfondo.

E se Conte, Tria e Di Maio sembrano essere pronti ad aprire una finestra di dialogo con l’Europa dopo la bocciatura della manovra, il ministro dell’Interno pare continuare a tenere alto lo scontro.

Da Uno Mattina il segretario del Carroccio aveva già replicato a Moscovici, mantenendo tuttavia toni abbastanza pacati. “Mi dicono dall’Europa che non posso smontare la Fornero? Io porto rispetto ma viene prima il diritto al lavoro e alla pensione degli italiani – aveva spiegato – L’unica cosa che l’Europa non può chiedermi è di lasciare immutata la legge Fornero, ho visto quanta sofferenza ha causato agli italiani”. Davanti alle telecamere il ministro dell’Interno aveva assicurato di non voler “litigare con nessuno”, ma se deve scegliere “tra Bruxelles e gli italiani la scelta è facile”. “Chiedo rispetto per il popolo italiano, che dà ogni anno 5 miliardi a Bruxelles – aveva chiosato il leghista – Sulle manovre del passato non hanno avuto nulla da eccepire e il debito è aumentato di 300 miliardi”.

Ma i toni tutto sommato “pacati” della mattina si sono trasformati in scontro a viso aperto nel primo pomeriggio. A far scattare la reazione del ministro dell’Interno è la frase pronunciata da Moscovici e riportata dal Corriere della Sera. Mentre Conte continuava a ripetere che “siamo responsabili” e che non c’è alcuna “ribellione” dell’Italia a Bruxelles, da Moscovici (che però continua a parlare di “dialogo”) arrivava una netta chiusura a “trattative” con Roma: “Con l’Italia possiamo avere un accordo sulle regole, avvicinarci a queste regole, ma non può esserci una trattativa da mercanti di tappeti”, ha affermato al Parlamento francese. “Ho evocato il rischio italiano come un rischio per la crescita, per la coesione della zona euro, per il paese stesso. Con una volontà politica assoluta della Commissione, a partire da me stesso, di non provocare, di non accettare una crisi tra Roma e Bruxelles. Abbiamo bisogno dell’Italia per quello che è, un paese fondatore della comunità europea e cuore della zona euro”.

Dura la replica di Salvini: “Il popolo italiano non è un popolo di mercanti di tappeti o di accattoni. Moscovici continua a insultare l’Italia, ma il suo stipendio è pagato anche dagli italiani. Ora basta: la pazienza è finita”.

Fonte: ilgiornale.it (qui)

Altaitalia, Economia, Imprese, Microimprese, Politica

Lega, occhio al Nord.

Nel tessuto produttivo del polmone elettorale leghista, inizia a serpeggiare qualcosa di più del malumore per il governo del “non cambiamento”.

Milano, 18 ottobre 2018. Teatro alla scala. È nel tempio della lirica che quello che sembrava un’opera impeccabile improvvisamente si spezza. In platea ascoltano un tenore molto particolare. Si chiama Carlo Bonomi, di mestiere, tra le altre cose, fa il presidente di Assolombarda. Suona uno spartito per qualcuno a Roma cacofonico: “Il governo del cambiamento non ha prodotto una manovra di vero cambiamento. Tutti comprendiamo che il dividendo che si ricerca è quello elettorale, non quello della crescita”. Crack.

Nella capitale drizzano le orecchie. Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti che si accorgono che è un momento di cesura. L’associazione che raccoglie le imprese di Milano, Lodi e Monza Brianza è considerata una sorta di polmone verde del consenso della Lega nel profondo Nord. Un polmone che sembra ora avviluppato dall’asma.

C’è una narrazione che vede il governo gialloverde come un ente indissolubile, che tra scontri, armistizi e sprazzi di serenità muove le proprie pedine all’unisono nel grande risiko d’Italia. Ma c’è un secondo livello di lettura, nel quale il Carroccio è pur sempre un prodotto del centrodestra italiano, con una propria specificità territoriale nonostante il dilagare verso il sud del paese, che malgrado il vento in poppa dei sondaggi sta vedendo crescere un blocco coeso di opposizione interna, composto da quegli stessi tessuti produttivi che sono stati il volano del boom elettorale.

“Il ministero dello Sviluppo economico il grosso del lavoro continua a farlo con Confindustria e le grandi imprese. Qui serve un ministero per le piccole e medie imprese, gliel’ho detto a Salvini”. A parlare è Paolo Agnelli. Non proprio uno qualunque. Guida Confimi, la Confederazione dell’Industria Manifatturiera Italiana e dell’Impresa Privata. Non vi dice niente? Mettetela così: Rappresenta circa 34 mila imprese per 440 mila dipendenti con un fatturato aggregato di 71 miliardi di euro, il valore di due leggi di bilancio. Il leader della Lega coccola quello che sa essere un rapporto fondamentale. Lo scorso 15 ottobre è volato all’assemblea generale dell’associazione, delegando a Giorgetti la presenza a un fondamentale vertice a Palazzo Chigi. Ha incassato le critiche, ha sdrammatizzato: “Io quest’uomo lo amo”. Perché sa che c’è qualcosa che non va.

“Il 99,5% del mondo produttivo italiano è rappresentato dalle Pmi – spiega Agnelli – fatturano 2mila miliardi all’anno. Non c’è attenzione a tutto quello che le circonda”. Il grande elefante nel salotto è l’alleanza con il Movimento 5 stelle. Tra i corridoi di Confindustria lombarda i dirigenti guardavano sbigottiti i flash delle agenzie che battevano la notizia di Luigi Di Maio alla guida del Mise. “Quando vengono a parlare con noi, i 5 stelle ci guardano come marziani – spiega ad Huffpost uno di loro – noi li consideriamo incompetenti. Con la Lega invece si parla lo stesso linguaggio”. Raccontano che il presidente degli industriali lombardi, Marco Bonometti, si senta tradito: “È furibondo. E dire che lui è sì un uomo di destra, ma è anche molto pragmatico. Matteo Renzi è andato da lui quando gli serviva. Eppure la deriva di politiche economiche e del lavoro che sta mettendo in campo il governo li ha completamente bypassati”.

Il primo scricchiolio è arrivato in autunno, con la lettera dei 600 imprenditori veneti contro il decreto dignità. Ne abbiamo raggiunto uno, è tranchant: “Per due barconi in meno Salvini ci abbandona. Noi da anni facciamo fatica a investire, a innovare, ad andare all’estero. E non arriva nessun investimento per le imprese in difficoltà, mentre i soldi vanno ai disoccupati meridionali”.

Gianluca Tacchella è l’amministratore delegato di Carrera jeans, piedi e radici piantate dagli anni ’60 nella pancia del Veneto. “L’economia la fanno le aziende, la mettono in moto le aziende, non lo stato. Se mi dici che crei pil facendo debito pubblico, facendo il reddito cittadinanza è una scemenza. I soldi che dai ai milioni di cittadini che prenderanno il reddito poco c’entra con il pil”. Risponde dalla macchina, mentre solca la nebbiolina serale della padana. Il suo tono è un misto di combattività e rassegnazione: “Non vedo nulla per le aziende. Cosa penso della legge di bilancio? Prendo solo atto che abbiamo perso ulteriore occasione per fare qualcosa per le pmi. Sono molto deluso, ogni volta si fa una manovra e ci trascurano. E ogni anno è tempo che si perde, quindi va sempre peggio”. Poi mette giù in chiaro una cosa che tanti come lui pensano ma non hanno il coraggio di mettere nero su bianco: “Non voglio dare giudizi politici specifici. Ma come sempre abbiamo chi elettoralmente promette di fare grandi cose e poi non fa niente”.

Quando Giorgetti e il viceministro dell’Economia Massimo Garavaglia tornano nella provincia verde si sentono sempre più spesso dire la stessa cosa: “Vi abbiamo dato fiducia, basta seguire i 5 stelle”. Antonio Calabrò, vicepresidente di Assolombarda, ha tirato una bordata alla compagine di Luigi Di Maio non più di qualche giorno fa. “Le piccole imprese italiane contro le grandi… Le strutture produttive diffuse sui territori contro i “poteri forti” e i “salotti buoni”… Le fabbrichette contro le multinazionali… – ha scritto su Huffpost – Chi non conosce affatto il tessuto industriale italiano usa questi schemi fuori dalla realtà per provare a riscrivere politiche industriali, come si pensa in ambienti di governo a proposito dei contenuti della manovra a sostegno delle imprese”.

Un imprenditore lombardo spiega la reazione tipo dei vertici leghisti a queste critiche: “Ti allargano le braccia e ti dicono il quadro politico è questo, che possono farci poco. Quando gli dici che ci si augura che duri il meno possibile sorridono”. La perplessità delle prime settimane si sta trasformando in rabbia e sconcerto. Perché la Lega sta velocemente dilapidando il patrimonio di stima che quel mondo aveva nei suoi riguardi. “La parte larga tessuto imprenditoriale in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna ha votato Carroccio – ci spiega un dirigente confindustriale veneto – Forte della considerazione che amministrando sono stati bravi, di una straordinaria concretezza. Della Lega ci si fida, si parlano linguaggi analoghi”. Da qui nasce l’irritazione: “Ora li vediamo comportarsi diversamente. Devono tornare a fare la Lega dei territori”.

Il patrimonio di credito acquisito si sta erodendo ma non è ancora del tutto evaporato. Spiega uno dei vertici di Confindustria Lombardia: “Con i 5 stelle è diverso. Li riempiamo di carte e documenti, ma numeri e fatti non li riguardano”. In tanti citano come unica eccezione Stefano Buffagni, sottosegretario lombardo in quota M5s al ministero degli Affari Regionali, un passato al Pirellone. Troppo poco. Per capire qual è la cifra leghista che fa presa da quelle parti basta citare un episodio. Quando Agnelli ha incontrato Salvini gli ha chiesto di poter approfondire il tema in un colloquio a Roma. Bene, la settimana dopo era in agenda, ha preso un aereo e ha incontrato il vicepremier. È questo che ha reso la Lega benvoluta nel profondo Nord. Questo, insieme al fatto che dgli incontri seguiva un’immediata operatività. Che ora sta venendo a mancare.

Luca Scordamaglia non è solo il presidente di Ferderalimentare, ma anche l’amministratore delegato del gruppo Cremonini, colosso nel campo delle carni, un impero che tra i suoi marchi comprende Manzotin, Chef Express e Roadhouse. “Non penso che il decreto dignità abbia portato alla creazione di posti di lavoro, ma nemmeno alla loro scomparsa – spiega – Il vero rimprovero è non aver sburocratizzato un sistema in cui vige l’assenza di flessibilità e politiche attive. Le faccio un esempio: il 33% di tecnici specializzati cercati nel nord non si riescono a coprire”. Il Ceo è tra i pochi a non vedere nero sul reddito di cittadinanza. Ma con dei caveat dirimenti: “Se non si parlerà di limite geografico per l’accettazione delle offerte di lavoro, che francamente non ha senso, se si parlerà di detrazione per chi assume, allora avrà una valenza diversa, avvicinandosi agli strumenti inclusivi che esistono in Germania e nelle socialdemocrazie”. Il punto cruciale è sugli investimenti: “Quelli pubblici sono fondamentali, 3 miliardi l’anno mi sembrano un po’ pochini. Ben venga per esempio lo sblocco del Tap, fondamentale per la diversificazione nel nostro paese”.

Le grandi opere e le infrastrutture sono un altro nodo dolente. La piazza dei sì-Tav stracolma di gente a Torino è un segnale chiarissimo. Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi Consulenti del lavoro, spiega: “Un imprenditore veneto ha bisogno di una rete viaria funzionante e che lo leghi all’Europa. Così rendiamo paese competitivo e creiamo lavoro. Penso a Tav e alla Pedemontana, per esempio. Se si fermano investimenti e infrastrutture siamo un paese bloccato”.

Un tema che si lega a quello del lavoro. Perché il già citato decreto dignità, tanto voluto da Di Maio, è un vero e proprio nodo dolente per la Lega e la sua ricerca di consenso in quel mondo. Agnelli su questo ci va giù durissimo: “Non è la legge che ci fa assumere a tempo indeterminato, ma le commesse che riceviamo. Se non ho lavoro prendo uno per un anno e vediamo come si muovono le cose. A me non interessano i contributi e gli sgravi, chi se ne frega, io voglio il lavoro”. Flavia Frittelloni, area Politiche del Lavoro e Welfare della Confcommercio di Roma, su questo è stata drammaticamente chiara in un incontro pubblico di qualche giorno fa: “In questo caos normativo e soprattutto dopo il reinserimento delle causali il mio consiglio agli imprenditori che ci chiedono lumi purtroppo è uno solo: fate contratti di soli 12 mesi”. Due suoi colleghi di due grandi città del nord non vogliono essere citati, ma la risposta è sostanzialmente la stessa: “È la stessa cosa che stiamo facendo noi, non c’è altra soluzione”.

I dirigenti leghisti girano il nord a spiegare che una risposta sarà la riforma della legge Fornero, che ai tanti pensionati corrisponderanno migliaia di nuovi assunti. Tacchella, che a breve farà i conti con il ricaduto empirico dell’enunciato, è scettico: “Tanti non saranno sostituiti. C’è sicuramente bisogno di ricambio. Ma non sarei sicuro che a un pensionato corrisponderà un giovane. Se oggi avessi bisogno di un modellista non potrei assumerlo, perché in Italia la professione non esiste più. Stiamo sbalinando. Non trovo uno nel tessile, sono sparite le scuole”.

L’ad di Carrera jeans fa un esempio che più chiaro non si può delle risposte che non stanno arrivando dal partito del “prima gli italiani”: “Zalando sta per aprire a Verona 100mila metri quadri magazzino perché vuole conquistare il mercato. Darà lavoro a magazzinieri e autisti. E il comune lo glorifica”. Per lui è una prospettiva distopica: “Per trecento magazzinieri e altrettanti autisti, manodopera di basso livello e di basso costo, non si sa quanti professionisti del settore chiuderanno. Mi dica lei se è un modello di sviluppo”.

La città di Romeo e Giulietta è un paradigma. Lì il centrodestra ufficiale ha sconfitto al ballottaggio il centrodestra alternativo di Flavio Tosi. Nonostante ciò anche su quei lidi lo scontento sta iniziando ad aver presa. Perché in manovra per quella galassia ci sono le briciole, mentre servivano soldi veri. Agnelli, bergamasco, mette in fila un po’ di dati: “Per noi il costo energia rispetto a quello europeo è dell’87% in più. Questo ti mette fuori gioco. Il costo del lavoro si attesta sull’11% in più di media, ma mette in mezzo paesi come Romania e Polonia, dove il rapporto è uno a quattro. Così noi non possiamo competere”.

Tanti non si vogliono esporre apertamente, ma il mood che inizia a girare con sempre più insistenza negli ambienti industriali e produttivi dal Rubicone in su si fa sempre più insistente. E recita più o meno così: Salvini scarichi Di Maio, perché l’unica speranza per noi è che ritorni un governo di centrodestra. Ma un centrodestra vero.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

Politica, Verso le elezioni europee

La sfida della Lega al Ppe. Fontana(Lega): “Uniremo Conservatori e Sovranisti”.

Il piano per le europee, per i leghisti l’alleanza con Marine Le Pen non si tocca: “Non entreremo mai nel gruppo dei Conservatori e riformisti”.

“Non entreremo mai nel gruppo dei Conservatori e riformisti. Piuttosto, dopo il voto di maggio, puntiamo a unire questo gruppo con quello sovranista, dove ci siamo noi della Lega, ci sono gli eletti del Front National e tanti altri”. Parola di Lorenzo Fontana, ministro leghista alla famiglia e disabilità, ex eurodeputato del Carroccio. Conversando con Huffpost, Fontana chiarisce così quali sono i piani di Matteo Salvini in vista dell’importante appuntamento con le europee di maggio 2019: l’alleanza con Marine Le Pen non si tocca.

Il ragionamento di Fontana smonta i desiderata di Forza Italia, almeno per ora. La parte italiana del Ppe infatti sta lavorando affinché anche gli eletti della Lega a Strasburgo entrino nei Conservatori e Riformisti (Ecr), gruppo che a gennaio 2017 – insieme ai Liberali – ha sostenuto la corsa di Antonio Tajani alla presidenza del Parlamento Europeo. Al prossimo giro l’Ecr rischia. Attualmente conta 73 deputati, ma nel 2019 perderà la sua rappresentanza più folta: i britannici, che non si ripresenteranno alle europee causa Brexit. Con chi rimpiazzarli?

Giorgia Meloni ha già deciso: i suoi eletti entreranno nell’Ecr, ma – sondaggi alla mano – è poca roba. Inoltre, con lo sbarramento al 4 per cento previsto per le europee, i partiti piccoli come Fratelli d’Italia rischiano di non entrare a Strasburgo. Il bottino invece sta dalle parti della Lega: se gli eletti di Salvini entrassero nell’Ecr, il Ppe farebbe bingo. Soprattutto gli italiani, determinati a riconfermare Tajani alla presidenza dell’Europarlamento. Ma Salvini non ci sta. Se per Forza Italia l’ingresso di Meloni nell’Ecr è buon auspicio per aprire la porta anche ai leghisti, per il vicepremier del Carroccio invece l’arrivo di Giorgia tra i Conservatori prepara solo il terreno per un futura fusione con i sovranisti. Del resto, è stato lui – qualche settimana fa – a lanciare Meloni come candidata sindaco a Roma, se Virginia Raggi fosse inciampata nei guai giudiziari. Così non è stato, ma l’interesse politico resta.

La Lega punta a unire i Conservatori (o quel che rimane dopo l’uscita dei britannici) con l’Enf, l’attuale gruppo dei leghisti, degli eletti del Front National e altri. Ce lo spiega Fontana, mente del nuovo volto sovranista della Lega, ideatore con Matteo Salvini della svolta che 5 anni fa ha riportato in auge un partito finito. Sostanzialmente si tenta di fare massa comune. Un ultimo sondaggio assegna il 7,7 per cento all’Ecr e l’8,9 per cento all’Enf: è quasi il 15 per cento, non tantissimo ma quanto basta per condizionare il Ppe, ancora primo partito nelle rilevazioni ma in calo dal 32 al 25,4 per cento.

Di certo, i Popolari avranno bisogno di una mano per formare una maggioranza a Strasburgo. Ed escluderanno le ricerche a sinistra, tra i socialisti (anche loro al minimo storico, al 19 per cento), come ha deciso il congresso di Helsinki che la scorsa settimana ha eletto Manfred Weber spitztenkandidat del Ppe per il dopo Juncker alla presidenza della Commissione. Guarderanno invece a destra, con l’auspicio di tenere testa ai nazionalisti ed epurarli dalle frange più dure, tipo Le Pen o tipo Salvini. Per il leader della Lega però Forza Italia sta cercando di farsi garante presso i Popolari stranieri, usando l’argomento che i tanti eurodeputati della Lega saranno necessari per la maggioranza in Parlamento, utile all’elezione del presidente (Tajani) ma anche per l’ok finale di Strasburgo alla nuova Commissione Ue decisa dai capi di Stato e governo.

Salvini si ritrae e non si stacca da Le Pen. Del resto, in questi giorni sta prendendo le distanze anche da Silvio Berlusconi che, sull’onda della manifestazione pro-Tav di Torino, affonda contro l’asse di governo della Lega insieme al M5s parlando di rischio “dittature”. Il Carroccio punta le sue fiches sui sovranisti per sfidare al voto delle europee sia i Popolari che gli alleati pentastellati. I quali non hanno ancora una ‘casa’ europea dove approdare l’anno prossimo. Quella attuale, il variegato gruppo dell’Efdd, potrebbe non esistere più. E non è escluso che una parte confluisca con i sovranisti, a ingrossare le ambizioni di Salvini.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

Democrazia, Sovranità, Stati vs Europa

Scontro Ue/Governo italiano, Sapir: “non è un dibattito su cifre o percentuali. Riguarda la società in cui vogliamo vivere”.

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Dopo lo straordinario successo dell’edizione 2018 del convegno annuale organizzato dall’associazioneAsimmetrie– quest’anno intitolato “Euro, mercati, democrazia – Sovrano sarà lei!” – tenuta a Montesilvano (Pescara) il 10 e 11 novembre scorsi, presentiamo la traduzionedell’intervento di Jacques Sapir, giàdirettore degli studi all’École des hautes études en science sociales di Parigi, direttore del Centre d’études des modes d’industrialisation e membro straniero dell’Accademia Russa delle Scienze. Il discorso ha aperto due intense giornate di conferenze e dibattiti, che hanno coinvolto ottocento spettatori in attento e partecipato ascolto di venti relatori tra economisti, giornalisti, politici e scrittori, italiani ed europei. E dimostra come la sovranità sia un elemento necessario, anche se non sufficiente, alla stessa democrazia.

L’attuale crisi che oppone l’Italia e la Commissione europea sulla manovra di bilancio italiana, dopo la sua pubblicazione[1], apparentemente verte su alcune percentuali[2]. In realtà, si tratta della questione essenziale di sapere chi è legittimato a decidere del bilancio italiano: il governo, costituito dopo elezioni democratiche, o la Commissione e le sue varie appendici, che pretendono di imporre regole provenienti dai trattati?

Una questione che oggi è fondamentale: si governa in nome del popolo o in nome delle regole? Essa ha implicazioni evidenti: chi ha il potere di governare, il legislatore la cui legittimità deriva dalla sovranità democratica, o il giudice che governa nel nome di un diritto?

 

Dietro la questione della percentuale di deficit consentito o rifiutato al governo italiano non c’è solo la questione della fondatezza della decisione italiana[3], ma anche quella di sapere se l’Italia è ancora una nazione sovrana. Questo spiega perché il sostegno al governo italiano sia giunto da tutti i partiti per i quali la sovranità è uno dei fondamenti della politica, e in particolare da France Insoumise[4]. La questione della sovranità è quindi di centrale importanza in questo conflitto.

L’aspirazione alla sovranità dei popoli si esprime oggi in molti Paesi e in forme diverse. Eppure questa sovranità è messa in discussione dal comportamento delle istituzioni dell’Unione Europea. Ne sono una prova le dichiarazioni fatte da Jean-Claude Juncker in occasione delle elezioni greche del gennaio 2015[5].

 

Sovranità fondamentale

Il conflitto tra la sovranità delle nazioni, e quindi dei popoli, e la logica della governance dell’Unione europea non è nuovo.

Ciò che il comportamento dell’ Unione Europea e delle istituzioni dell’Eurozona mette in discussione è fondamentalmente quella garanzia di democrazia e libertà che è la sovranità[6]. Se le nostre decisioni di cittadini dovessero essere fin dall’inizio limitate da un potere  superiore, a cosa servirebbe fare causa comune? E se non c’è più utilità né necessità per i cittadini di fare causa comune, di unirsi intorno a questa “Res publica”, così cara agli antichi Romani[7], quali saranno le barriere di fronte all’ascesa del comunitarismo, nonché di fronte all’ anomia che distruggerà le nostre società?

Mantenere questo passaggio dall’individuale al collettivo è in realtà una necessità imperiosa di fronte alle crisi – sia economiche e sociali, sia politiche e culturali – che attraversiamo. E la democrazia, nell’esercizio delle scelte, implica che possano essere prese decisioni e che queste ultime non possano essere limitate a priori da regole o trattati. La Commissione ricorda regolarmente che i trattati sono stati firmati, da Maastricht a Lisbona. Bisogna ricordarsi che nessuna generazione ha il diritto di incatenare le seguenti alle proprie scelte, come ha scritto uno dei padri della costituzione americana[8].

 

Ma la sovranità è anche fondamentale per la distinzione tra ciò che è giusto e legale, tra lalegittimitàe lalegalità, come mostra Carl Schmitt nella sua opera del 1932[9]. Fondamentalmente, essere sovrani è avere la capacità di decidere[10], come lo stesso Carl Schmitt ha espresso anche nella forma “È sovrano colui che decide in una situazione eccezionale”[11]. Poiché la costrizione intrinseca in ogni atto giuridico non può essere giustificata solo dal punto di vista dellalegalità, che, per definizione, è sempre formale. Il presunto primato che il positivismo giuridico[12]intende conferire allalegalitàporta in realtà a un sistema totale, impermeabile a qualsiasi contestazione. Questo ha storicamente permesso la giustificazione di regimi iniqui, come quello dell’Apartheidin Sudafrica, come viene illustrato nell’opera di David Dyzenhaus[13]. Ma questo positivismo giuridico ha un vantaggio decisivo nell’attuale mondo politico. È esso che consente – o che dovrebbe consentire – a un politico “liberale” di rivendicare la purezza originale e non alle mani sporche del Principe di una volta, come mostra bene Bellamy[14].

Sovranità e Democrazia

 

Vediamo dunque che la questione della sovranità è fondamentale. È questa sovranità che permette la libertà della comunità politica, di ciò che viene chiamato il popolo, ossia l’insieme dei cittadini, di quegli individui che si riconoscono nelle istituzioni politiche, legato che abbiamo ereditato dai Romani[15]. La nozione di “popolo” è quindi principalmente politica, e questo si estende naturalmente alla cultura che proviene dalle istituzioni, e non etnica[16]. Dobbiamo quindi capire che cosa costituisce un “popolo”. Quando parliamo di un “popolo” non parliamo di una comunità etnica o religiosa, ma di quella comunità politica di individui riuniti che prendono in mano il proprio futuro[17], almeno, dalle origini della Repubblica.

Questa libertà politica passa allora dalla libertà dell’insieme territoriale su cui vive questo popolo e del suo governo. Non si può pensare “popolo” senza pensare, nello stesso movimento, “Nazione”. Quest’ultima si è sostituita alla “Città” degli antichi. È illuminante una citazione di Cicerone: « Ogni popolo che su tale raduno di una moltitudine (…) ogni città che è l’organizzazione del popolo; ogni Res Publica che è, come ho detto, la cosa del popolo, deve essere guidata da un consiglio per poter durare »[18]. Ciò che è importante qui è il modo in cui Cicerone classifica gerarchicamente il passaggio dalla “moltitudine” al popolo, con l’esistenza di interessi comuni, e poi presenta la Città, che egli concepisce come un insieme di istituzioni e non come un luogo di abitazione (la città non è l’oppidum), come quadro organizzativo di questo “popolo”. La nozione di sovranità è quindi fondamentale, ma anche centrale, per l’esistenza dellaRes Publica. Questa “cosa pubblica”, decisiva per le rappresentazioni politiche dei Romani, può essere costituita solo attraverso l’uguaglianza giuridica dei cittadini che assicura loro (o deve assicurare) un pari diritto alla partecipazione politica, alle scelte nella vita della “Città”[19].

 

Questo, il Presidente Emmanuel Macron non sembra averlo capito. Infatti, insiste a parlare di “sovranità europea”[20]. Ma dov’è il popolo europeo? Dov’è la cultura politica comune, frutto dell’accumulo di centinaia di anni di lotte, compromessi, istituzioni ? La sovranità implica un “popolo”, dobbiamo ricordarlo, e non esiste un popolo europeo, come era stato stabilito dalla Corte Costituzionale di Karlsruhe. La sentenza del 30 giugno 2009 sancisce effettivamente che, dati i limiti del processo democratico in Europa, solo gli Stati-Nazioni sono i depositari della legittimità democratica[21]. Dire che ne sono i custodi non è in alcun modo contraddittorio con la sovranità popolare.

 

Allo stesso modo, a Roma, l’imperatore era delegato della sovranità popolare, ma non l’aveva né abolita né sostituita[22]. Gli imperatori romani sono spesso rappresentati come sovrani onnipotenti. Questo equivale a  dimenticare troppo in fretta da dove proviene la loro sovranità. Nella legge di investitura dell’imperatore Vespasiano (69-79 D.C.), laLex de imperio Vespasiani, la ratifica degli atti dell’imperatore compiutaprimadella sua investitura formale era definita Come se tutto fosse stato compiuto in nome del popolo»[23]. Si coglie che l’origine della sovranità risiede nel popolo, anche se quest’ultimo ne ha delegato l’esercizio all’imperatore. Il concetto di “sovranità popolare”, che alcuni ritengono sia stato “inventato” dalla Rivoluzione Francese, esisteva già a Roma, e consisteva nel controllo popolare sui magistrati[24]. Quindi c’era realmente un sistema che stabiliva il primato del “popolo”, come nei casi in cui era il  “popolo“ a decidere se un uomo poteva venire eletto a esercitare delle funzioni più alte rispetto alle sue precedenti competenze.

 

E dunque la libertà del “popolo” nel contesto della “Nazione” si chiama appunto sovranità. La Nazione è dunque il quadro in cui si organizza il corpo politico che è il popolo. Questa sovranità è la capacità di decidere. Ecco perché la sovranità è essenziale all’esistenza della democrazia ; è la sua condizione necessaria, anche se non sufficiente. La sovranità è una e non va divisa, ma i suoi usi sono molteplici. Dunque, parlare di sovranità di “sinistra” o di “destra” non ha senso. Ci sono state, certamente, nazioni sovrane nelle quali il popolo non era libero. Ma non si è mai visto un popolo libero in una nazione schiava. La formazione dello Stato come principio indipendente dalla proprietà del principe è avvenuta in un doppio movimento di formazione della Nazione come entità politica e del popolo come attore collettivo. Le forme che questa costituzione assume possono variare in funzione dei fattori storici e culturali, ma rispondono agli stessi principi fissi: quelli del doppio movimento di costituzione sia della Nazione sia del Popolo. Ed è per questo che la sovranità è ormai un concetto fondamentale e decisivo nelle lotte politiche attuali. Difendere la sovranità di un paese, ieri la Grecia e oggi l’Italia, è dunque oggi un imperativo assoluto per chi difende la democrazia e la libertà.

 

Un “momento sovranista”?

Stiamo vivendo da ormai più di tre anni un “momento sovranista”. Questa parola, ieri maledetta, è oggi sulla bocca di tutti, compresi coloro che non capiscono cosa questo comporti, come il presidente Emmanuel Macron. Questo “momento sovranista” si inscrive nel grande ritorno delle nazioni, conseguente al fallimento degli Stati Uniti nel costruire un’egemonia duratura, come da me sottolineato nel 2008[25]. Questo movimento assume tuttavia un senso particolare in Europa. Questo è dovuto al fatto che le istituzioni dell’Unione Europea, che troppo spesso vengono confuse con il concetto di Europa, hanno gradualmente violato sia la democrazia che la sovranità.

Più di dieci anni fa, per la precisione nel 2005, il popolo francese e quello dei Paesi Bassi hanno respinto con i loro voti il progetto di trattato costituzionale, redatto con grande dispendio dalle élite politiche. Non hanno respinto questo progetto per motivi contingenti, assolutamente. Il rifiuto è stato il rifiuto di un progetto; rifletteva un movimento di fondo[26]. Da allora, passo dopo passo, abbiamo invaso la libertà politica dei popoli, fino ad arrivare allo scandalo inaudito costituito dal confronto tra un governo democraticamente eletto, quello della Grecia, e le istituzioni europee.

 

Dobbiamo ricordare che cosa fu questo scandalo. Non fu più un semplice voto che venne poi violato, perché la posizione del popolo greco, espressa il 25 gennaio, elezione che portò SYRIZA al potere, fu rinforzata dal risultato del referendum del 5 luglio che diede al “No” al memorandum quasi il 62% dei voti.

Quello che venne violato, con l’impudenza cinica di un Jean-Claude Juncker o di un Dijsselbloem, fu in realtà la sovranità di un Paese. Eppure, quando avevamo visto, dopo le elezioni del 25 gennaio 2015 in Grecia, il partito della sinistra radicale SYRIZA scegliere di allearsi con un partito di destra, certo, ma sovranista, e non con il centro-sinistra (To Potami) né con i socialisti del PASOK, si sarebbe potuto pensare che la questione della sovranità fosse stata completamente integrata dalla direzione di SYRIZA. Il corso della crisi ha dimostrato che anche all’interno di questo partito vi erano importanti divergenze e una mancanza significativa di chiarezza. È l’esistenza di queste divergenze che ha permesso alle istituzioni europee di trovare la leva sulla quale premere per costringere Alexis Tsipras, primo ministro, a rinnegare se stesso[27].  Questa è una lezione che tutti coloro che vogliono vivere liberi dovrebbero imparare a memoria e che ancora oggi ossessiona gli spiriti di coloro che aspirano a riconquistare questa sovranità.

 

Ricordiamo allora questa citazione di Jean-Claude Juncker, il successore dell’ineffabile Barroso, a capo della commissione europea: ” Non vi può essere alcuna scelta democratica contro i trattati europei ». Questa dichiarazione rivelatrice risale alle elezioni greche del 25 gennaio 2015, che vide appunto la vittoria di SYRIZA. In poche parole, venne detto tutto. È stata l’affermazione tranquilla e soddisfatta della superiorità di istituzioni non elette sul voto degli elettori, della superiorità del principio tecnocratico sul principio democratico. Riprendono, che lo sappiano o no, il discorso dell’Unione Sovietica riguardo ai Paesi dell’Est nel 1968, in occasione dell’intervento del Patto di Varsavia a Praga: è la famosa teoria della sovranità limitata. Ostentano di considerare i Paesi membri dell’Unione Europea come colonie, o più precisamente dei “domini”, la cui sovranità era soggetta a quella della metropoli (Gran Bretagna). Solo che in questo caso non ci sono metropoli. L’Unione Europea sarebbe quindi un sistema coloniale senza metropoli. Questo ci porta a pensare che la sovranità è, fra tutti i beni, quello più prezioso, e a trarne le conseguenze che la logica impone. Qualcuno lo ha fatto, come Stefano Fassina In Italia[28]. Ma bisognerà trarne le conseguenze, tutte le conseguenze[29].

 

La sovranità non è sufficiente

Ma la sovranità non è sufficiente. Definirsi un popolo sovrano significa porre immediatamente la questione di cosa fare e di quali decisioni prendere. La sovranità è valida solo attraverso il suo esercizio[30]. Essa non può quindi sostituire il dibattito politico naturale sulle scelte da adottare, sulle condizioni stesse di tali decisioni. E si vede chiaramente che su questo punto le polemiche saranno aspre e numerose. Come è logico che siano. Le istituzioni in cui viviamo, istituzioni che sono del resto cambiate molte volte, sono il prodotto di questi conflitti, a volte messi da parte, ma mai estinti[31].

 

La democrazia implica conflitto, implica lotta politica e implica, dopo il momento della lotta e del conflitto, il compromesso, creatore esso stesso di istituzioni[32]. Perché questi conflitti si manifestino, perché le opinioni si affrontino e perché possa emergere un compromesso temporaneo, bisogna essere liberi di farlo. Liberi, naturalmente, nel senso di libertà di espressione e di manifestazione. Ma, più fondamentalmente, non ci devono essere limiti all’espressione e allo svolgimento del conflitto politico. Qualsiasi tentativo di limitare preventivamente il conflitto politico, di assegnargli un corso programmato in anticipo, come se si volesse incanalare un corso d’acqua, porta, alla fin fine, a limitare le scelte e ad uccidere la democrazia[33]. È questo il problema che pongono le norme europee sul deficit di bilancio e altro. Sì, la democrazia è fragile, come ha dichiarato recentemente Pierre Moscovici[34]. Ma non nel senso che crede lui. Perché la democrazia non si limita al dibattito, per quanto importante esso possa essere. La democrazia implica che vengano prese delle decisioni e che quest’ultime non possano essere limitate preventivamente. È questo che implica l’esistenza preliminare della sovranità. Ecco perché essa è un principio necessario, anche se non sufficiente. Essere sovrani, va ricordato, è avere la capacità di decidere; Carl Schmitt l’ha ripetuto più volte nella sua opera. Ecco perché non dobbiamo esitare a confrontarci su questa questione della sovranità e a leggere Carl Schmitt[35].

 

La questione del rapporto tra la decisione e le regole e norme è un fattore sostanziale del dibattito sulla sovranità. Dire che viviamo oggi un momento sovranista equivale a dire che il sistema di regole e norme stabilite in passato viene considerato ormai come una costrizione insopportabile. Così fu in un altro famoso dibattito, quello che negli Stati Uniti oppose i sostenitori della schiavitù agli abolizionisti. I fautori dell’”istituzione speciale” sostennero che erano state stabilite delle regole, le quali costringevano la decisione politica. Arrivarono ad invocare il principio di proprietà per difendere l’indifendibile. Ma questo non fece altro che infiammare il dibattito, rendendolo ancora più inconciliabile. Voler imporre ciò che un autore americano ha definito con grande precisione delle regole-bavaglio, o “gag-rules”, divieti di discussione, regole delle quali possiamo capire l’utilità in rapporto ai limiti cognitivi di ciascun individuo, porta solamente alla guerra civile[36]. Regole e norme sono necessarie, naturalmente, anche solo per il fatto che non si può allo stesso tempo discutere di tutto. La nozione di saturazione delle capacità cognitive degli individui deve essere ben compresa, se non si vuole parlare di democrazia in modo ingenuo[37]. Tuttavia, questa stessa nozione implica che non si possano far durare all’infinito queste norme e queste regole e che esse possano essere rimesse in discussione.

 

Il legale e il legittimo

Questo rimetterle in discussione pone allora la questione della distinzione tra legalitàelegittimità. Va inteso che ogni regola non vale solo per le condizioni di stabilità che essa  consente, ma anche per le condizioni in cui è stata emanata. Oltre a ciò, la regola è valida proprio perché può essere contestata. Ciò impone di distinguere la legalità, in altre parole le condizioni nelle quali questa regola viene rispettata, dalla legittimità, in altre parole le condizioni in cui è stata emanata e da chi. Che cosa spinge gli individui a piegarsi a delle regole e rispettare delle norme? Non è mai la funzionalità di queste regole e norme, benché essa sia ovvia. Il rispetto delle regole implica un’istanza di forza che rende costosa la rottura con questa stessa regola[38], che sia su un piano monetario, materiale o anche simbolico. Il rispetto delle regole richiede pertanto un’autorità, cioè, la combinazione di unpoteredi punire e sanzionare, e unalegittimitàa farlo. Porre la questione della legittimità ci riporta immediatamente alla questione della sovranità, perché senza la sovranità non c’è e non ci può essere legittimità.

 

Tuttavia, l’ossessione per il rispetto delle regole, un’ossessione che vediamo oggi nel discorso della Commissione europea, rimanda a due logiche, distinte ma convergenti. La prima si basa sulla sostituzione della tecnica alla politica. Questo tema è antico. Carl Schmitt, ancora lui, ma anche Max Weber, hanno scritto pagine ammirevoli su questo argomento. Ma il cosiddetto “argomento tecnico” lo è spesso soltanto in apparenza. Questo argomento di solito è presentato nei panni di un tecnicismo reale, in economia quello che si chiama econometria[39], il cui scopo reale, però, è quello di mascherare la volontà profondamente politica di questo argomento[40]sotto gli orpelli di metodi matematici complessi[41].

 

Quello che questi economisti presentano come considerazioni tecniche, e che spesso non sono altro che una pallida imitazione della fisica del XIX secolo[42], in particolare le considerazioni monetarie, sono in realtà tentativi di limitare le forme di governo degli uomini. Gli argomenti di alcuni economisti, ci riferiamo particolarmente ai cosiddetti “neoclassici”, sono fondamentalmente politici. Ma solo raramente si dichiarano come tali. Questo discorso mira ad eliminare il principio di sovranità, come appare chiaramente in Robert Lucas[43]. Questo autore è arrivato ad affermare che l’economia ha cessato di esistere non appena è comparsa l’incertezza[44], che è come ammettere la pretesa probabilistica di una certa economia.

 

È un pensiero fondamentalmente ostile a tutto ciò che può rappresentare l’irruzione della politica, ma questa ostilità deriva da motivazioni che sono – queste sì – fondamentalmente politiche. Questo è visibile chiaramente nelle riflessioni tardive di Hayek[45]. Il filosofo italiano Diego Fusaro lo dice riguardo all’Euro[46]. Non è solo una moneta, ma una forma di governo, o più precisamente, di pressione sui governi, per ottenere da essi una conformità politica. Non possiamo far altro che essere d’accordo con lui. Ma questa pressione è ancora più pericolosa in quanto si cela sotto la pretesa di una cosiddetta razionalità economica.

 

Ma l’ossessione per le regole riguarda anche un’altra patologia. Gli studi di casi proposti nell’opera di David Dyzenhaus, La costituzione del diritto,giungono, in ultima analisi, a mettere in evidenza una critica del positivismo. Questa è fondamentale. Aiuta a capire come l’ossessione per la Rule of Law (ossia la legalità formale) e la fedeltà al testo vada spesso a vantaggio delle politiche governative, nonché sovra-governative. Più volte, questo autore evoca la propria analisi delle perversioni del sistema giuridico dell’ Apartheid[47], ricordando come questa giurisprudenza umiliante fosse meno legata alle convinzioni razziste dei giudici sud-africani che al loro “positivismo»[48]. In linea di  principio, questo positivismo rappresenta un tentativo di superare il dualismo di cui parla Schmitt tra la norma e l’eccezione. Ma possiamo ben vedere che è un tentativo insufficiente e superficiale.

 

Si ferma a metà strada e arriva, in questo senso, ad esiti che sono di gran lunga peggiori delle posizioni apertamente schmittiane (come quelle di Carl J. Friedrich[49]). In quantovia di mezzo, il positivismo fallisce perché non prende abbastanza sul serio l’eccezione. Continua a concepire le detenzioni e le deroghe come atti perfettamente “legali”, concretizzando norme più generali e prendendo da esse l’autorizzazione. È quindi possibile, sulle orme di David Dyzenhaus, considerare che il potere di eccezione risiede nel potere di cui dispongono tutti i cittadini, e il governo in primo luogo, di adottare misure che consentano il ritorno più veloce possibile alla normalità. Benché diffuso, questo potere non sfugge alla Rule of Law, perché una volta che il segnale d’allarme sarà spento, le autorità e gli individui dovranno essere in grado di dimostrare che hanno agito secondo la stretta necessità.

 

Il tema della sovranità quindi innerva in profondità il dibattito che oppone attualmente il governo italiano e la Commissione europea. Questo dibattito non è un dibattito su cifre o percentuali. È un dibattito fondamentale per determinare in che società vogliamo vivere. Il tema della sovranità conduce logicamente alla questione della democrazia, ma anche al rapporto che può esistere tra la legalitàe la legittimità. Per questo motivo è assolutamente fondamentale per il futuro delle nostre società.

Fonte: vocidallestero.it (qui) di Jacques Sapir, 10 novembre 2018 Traduzione di Etienne Ruzic.

Note

[1] Vedi Sul progetto di bilancio Italia piano 2019, pubblicato lunedì 15 ottobre sul sito ufficiale www.MEF.gov.it

[2] https://www.NewEurope.eu/article/will-Italy-Destroy-The-Eurozone-2/

[3] Vedi il recente articolo A. Mode, l’ex vicedirettore del dipartimento di ricerca del FMI. https://www.Bloomberg.com/opinion/Articles/2018-10-26/Italy-s-budget-isn-t-As-Crazy-As-It-Seems

[4]https://www.valeursactuelles.com/politique/Budget-italien-melenchon-prend-le-parti-de-Salvini-100250

[5] John MEVEL Pollici in Le Figaro, 29 gennaio 2015, Jean-Claude Juncker: “La Grecia deve rispettare l’Europa”. http://www.lefigaro.fr/international/2015/01/28/01003-20150128ARTFIG00490-jean-claude-juncker-la-grece-doit-respecter-l-europe.php Le sue dichiarazioni sono ampiamente riprese nel settimanale Politis, disponibile online: http://www.politis.fr/Juncker-dit-non-a-la-Grece-et,29890.html

[6] Evans-Pritchards A., “L’Alleanza europea dei fronti della liberazione nazionale emerge per vendicare la sconfitta greca”, Le Telegraph, 29 luglio 2015, http://www.telegraph.co.uk/finance/economics/11768134/European-allince-of-national-liberation-fronts-emerges-to-avenge-Greek-defeat. html

[7] Moatti C. Res publica-Storia romana della cosa pubblica, Parigi, Fathi, coll. Ouvertures, 2018.

[8] Jefferson T., “Note sullo stato della Virginia,” in, Writtings-a cura di Mr. Peterson, Biblioteca d’America, New York, 1984.

[9] Schmitt C., Legalità, Legittimità, tradotto dal tedesco da W. Gueydan De Roussel, Bookstore generale di legge e giurisprudenza, Parigi, 1936; Edizione tedesca, 1932.

[10] Schmitt C., Legalità, legittimità, Op. cit.

[11] Schmitt C., Teologia politica, Parigi, Gallimard, 1988, p. 16.

[12] Il cui rappresentante più eminente è stato Hans Kelsen, Kelsen H., Teoria generale delle norme, Parigi, PUF, 1996.

[13] Dyzenhaus D, Casi difficili in cattivi sistemi giuridici. Diritto sudafricano nella prospettiva della filosofia giuridica, Oxford, Clarendon Press, 1991.

[14] Signora R., « Mani sporche e guanti puliti: ideali liberali e politica reale “, Giornale europeo di pensiero politico, vol. 9, no. 4, pp. 412 – 430, 2010,

[15] Moatti C., Res Pubblica, op. cit., p. 35

[16]  È ciò che ho sottolineato in Sovranità, Democrazia, Laicità, Parigi, Michalon, 2016.

[17] Ammettiamo qui più che un’influenza di Lukacs G., Storia e coscienza di classe. Saggi di dialettica marxista. Parigi, Les Éditions de Minuit, 1960, 383 pagine. CollezioneArguments

[18] Cicerone La Repubblica [De re publica], T-1, trad. Esther Breguet, Parigi, Les Belles Lettres, 1980, I. 26,41.

[19]  Signora M., Politica nell’antica Roma-cultura e prassi, Roma, Feltrinelli, 1997.

[20]http://www.Slate.fr/Story/163862/souverainete-EUROPEENNE-Emmanuel-macron-probleme-legitimite-elitaire E https://www.la-croix.com/France/Politique/Macron-lEurope-instaurer-souverainete-europeenne-2018-05-03-1200936391

[21] Veda H. Haenel, “Rapporto di informazione”, no. 119, Senato, sessione ordinaria 2009-2010, Parigi, 2009.

[22]  Moatti C., Res Publica, op. cit., p. 254.

[23] Vedi Breton M. Storia del diritto romano, Parigi, edizioni Delga, 2016, p. 215.

[24] Wiseman T.P, “Lo stato a due teste”. “Come Romans ha spiegato le guerre civili” in Breed M.C., Damon C. e Rossi A. (ED), I cittadini della discordia: Roma e le sue guerre civili, Oxford-New York, Oxford University Press, 2010, p. 25-44

[25] Sapir J., Il nuovo ventunesimo Secolo, Le Seuil, Parigi, 2008.

[26] Sapir J., La fine dell’euroliberalismo, Parigi, Le Seuil, 2006.

[27] Sapir J., “Capitolazione”, nota pubblicata nella rubrica RussEurope, il 13 luglio 2015,  http://russeurope.HYPOTHESES.org/?p=4102

[28] Vedi “Il testo di Fassina” Nota pubblicata nella rubrica Russeurope Il 24 agosto 2015, http://russeurope.HYPOTHESES.org/4235

[29] Sapir J., “Sulla logica dei Fronti”, nota pubblicata nella rubrica RussEurope, il 23 agosto 2015, http://russeurope.HYPOTHESES.org/4232

[30] Schmitt C., Teologia politica, Parigi, Gallimard, 1988.

[31] Vedi la presentazione scritta di Pierre Rosenvallon a François Guizot, Storia della civiltà in Europa, reediz. del testo del 1828, Parigi, Hachette, coll. “Pluriel”, 1985.

[32] A. Bentley, Il processo governativo (1908), Evanston, Principia Press, 1949.

[33] Elster J. e R. Slagstad, Costituzionalismo e democrazia, Cambridge University Press, Cambridge, 1993

[34] Vedi la sua dichiarazione: https://www.BFMTV.com/politique/Pierre-Moscovici-traite-de-fasciste-l-EURODEPUTE-italien-qui-a-pietine-ses-notes-1552571.html

[35] Barry G., Il nemico: un ritratto intellettuale di Carl Schmitt, Verso, 2002. Vedi anche Kervégan J-F, Cosa fare con Carl Schmitt, Parigi, Gallimard, coll. Tel che, 2011.

[36] Holmes S., “Gag-rules o la politica dell’omissione”, in J. Elster & R. Slagstad, Costituzionalismo e democrazia, op. cit., p. 19-58.

[37] Sapir J., Quale economia per il XXI Secolo?, Odile Jacob, Parigi, 2005

[38] Spinoza B., Trattato Teologico-politico, Traduzione P-F. Moreau e F. Lagrée, PUF, Parigi, coll. Epithémée, 1999, XVI, 7.

[39] Haavelmo T. L’approccio di probabilità in economia, Econometrica, 12, 1944, pp. 1-118.

[40] Myrdal G., L’elemento politico nello sviluppo della teoria economica,  Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1954

[41] Guerrien B. L’illusione economica, Omniprésence, 2007.

[42] MIROWSKI P., Più calore che luce, Cambridge University Press, Cambridge, 1990

[43] Lucas R.E. Jr., “Le aspettative e la neutralità del denaro”, Giornale di teoria economica, vol. 4, 1972, p 103-124.

[44] Lucas R.E. Jr., Studi in teoria del ciclo di affari, Cambridge, pressa del MIT, 1981, p. 224.

[45] Bellamy R., (1994). “Politica detronizzare”: liberalismo, costituzionalismo e democrazia nel pensiero di F. A. Hayek. Rivista di scienza politica britannica, 24, pp 419-441.

[46] Fusaro D., Il futuro è nostro. Filosofia d’azione, Bompiani, Milano 2014.

[47] Dyzenhaus D, Casi difficili in cattivi sistemi giuridici. Diritto sudafricano nella prospettiva della filosofia giuridica, op. cit.

[48] Dyze Dyzenhaus D., La costituzione della legge. Legalità in tempo di emergenza, Cambridge University Press, Londres-New York, 2006, p. 22.

[49] Il presidente della Corte Suprema Friedrich, L’uomo e il suo governo: una teoria empirica della politica, New York, McGraw-Hill, 1963

Democrazia, Politica

Mattarella, Veneziani: “Lo vedo in tv e sento lui come il commissario, il proconsole inviato dalla Ue nel protettorato dell’Italistan per sedare le popolazioni ribelli”.

Non so di quali gravi problemi psicologici io soffra ma ogni volta che vedo in tv il presidente Mattarella mi sento uno straniero in patria. Anzi peggio, sento lui come il commissario, il proconsole inviato dalla Ue nel protettorato dell’Italistan per sedare le popolazioni ribelli. Nel mio stato allucinatorio lo vedo come un regnante assiro-babilonese, frutto di altre epoche e di altri mondi e il suo stile, il suo linguaggio, il suo incedere, il suo sontuoso copricapo bianco mi sembrano confermarlo. Sarà sicuramente una mia debolezza mentale, un trauma infantile o prenatale, ma non riesco mai a riconoscermi in quello che dice. Anzi penso quasi sempre il contrario di quel che dice, a parte il fondo inevitabile di ovvietà atmosferica e istituzionale con cui incarta il tutto e che è retaggio del suo ruolo protocollare.

Ma è possibile, mi chiedo preoccupato, che tutto quel che dice e persino il tono con cui lo dice, mi sembra sempre negare quel che mi sembra la realtà dei fatti, la storia vissuta, la vita reale dei popoli, il sentire comune, il disagio diffuso, la memoria storica, la percezione comune della realtà, oltre che le mie convinzioni ideali? Possibile che anche quando affronta temi che dovrebbero essere condivisi, come l’amor patrio o la celebrazione delle feste nazionali, lui riesca a dire il contrario di quel che mi aspetto da un Capo dello Stato e dal presidente degli italiani? L’Italia per lui non è la nostra patria ma il luogo d’accoglienza universale, una specie di gigantesca tenda da campo predisposta dalle autorità europee. Le identità dei popoli, per lui, sono un cancro da sradicare, un muro da abbattere. Vanno bene le identità individuali o di genere, ma non quelle nazionali, popolari, civili. Le migrazioni per lui vanno accolte e benedette; le diversità culturali e religiose vanno ammesse se riguardano gli stranieri, vanno invece rimosse se ricordano le nostre radici, altrimenti siamo intolleranti. Le nazioni per lui sono solo il preambolo funesto ai nazionalismi che sono la vera piaga del mondo; quando a me pare invece che i mali della nostra epoca siano piuttosto legati al suo contrario, allo sradicamento universale, alla cancellazione forzata delle identità, dei popoli e dei territori, al dominio cinico e apolide del capitale finanziario che non ha patria ma solo profitti; e ai flussi migratori incontrollati che in generale impoveriscono i paesi che lasciano e inguaiano quelli che invadono. Se un gruppo di migranti stupra una ragazza lui tace, se gli italiani dicono una sciocchezza contro i migranti o le donne, lui interviene per condannare. Non si perde mezza celebrazione che riguardi l’antifascismo e l’antirazzismo, è sempre lì a commemorare coi suoi discorsi, mentre salta vagoni di ricorrenze cruciali, di anniversari patriottici, di caduti per l’Italia, di vittime del comunismo, dei bombardamenti alleati, delle dominazioni altrui.

Se gli capita un IV novembre tra i piedi lui non ricorda la Vittoria ma solo la fine della guerra e non commemora l’Italia e i suoi soldati ma l’Europa. E se proprio deve celebrare un patriota, celebra l’eroe nazionale degli albanesi o di chivoletevoi, non un patriota dell’Italia. E sostiene come l’ultimo militante dell’Anpi che il fascismo è il male assoluto e non ha fatto neanche una cosa buona, negando l’evidenza storica: una cosa del genere non riuscirei a dirla neanche di Mao e Stalin che sono i recordman mondiali di sterminio, per giunta dei propri connazionali e per colmo in tempo di pace; notizie che al Quirinale non risultano mai pervenute.

E non c’è giorno che non ci sia una sua dichiarazione ecumenica e curiale nella forma ma velenosa e ostile nella sostanza contro il Demonio Assoluto: il populismo e il sovranismo, ossia il governo in carica, e tutto sommato, il voto maggioritario degli italiani. È una continua allusione polemica a ogni cosa che dice, fa e pensa Salvini. Poco manca che non insignisca la Isoardi di un cavalierato al merito per aver scacciato il drago da casa sua.

Ma possibile che il Capo dello Stato debba essere così opposto al comune sentire? Non mi aspetterei certo che dicesse il contrario di quel che pensa e del materiale bio-storico di cui è composto; non chiedo che si metta a gareggiare in demagogia tribunizia, ma è possibile che il presidente degli italiani la pensa solo come quelli che votano Pd, e sempre dalla parte opposta dei restanti italiani? Non è stato informato che quel Renzi che lo volle al Quirinale nel frattempo è caduto e non lo vogliono neanche nel Pd? Non sa che in Italia, in Europa, nel Mondo, quella visione politica che lui depreca ogni giorno, conquista maggioranze di consensi popolari in libere elezioni democratiche ed esprime i maggiori governi e capi dello stato? Mai uno sforzo, lui che dovrebbe essere l’arbitro super partes, garante di tutti, per capire e riconoscere quell’altra Italia, quell’altro mondo, che non la pensa come lui. Sta lì, nel cuore di Roma, come se il Quirinale fosse uno Stato Vaticano ai tempi del non expedit, rispetto all’Italia che lo circonda.

Naturalmente nei momenti di lucidità capisco che tutto questo è frutto di un mio stato di alterazione mentale, gli italiani invece sono entusiasti di Nuvola Bianca e dei suoi moniti, si bevono come oro colato le sue prediche indispensabili e lo considerano un santo, un sapiente e un oracolo. Però, non capisco perché quella mia allucinazione presidenziale mi fa quell’effetto eversivo-lassativo…

Fonte: maurizioveneziani.it (qui), Articolo pubblicato su Il Tempo 9 novembre 2018

Democrazia, Economia, Politica, Stati vs Europa

Previsioni Ue, Tria all’attacco: “Analisi non attenta e parziale della manovra. Dispiaciuto della loro défaillance”

“Le previsioni della Commissione europea relative al deficit italiano sono in netto contrasto con quelle del Governo italiano e derivano da un’analisi non attenta e parziale del Documento Programmatico di Bilancio, della legge di bilancio e dell’andamento dei conti pubblici italiani, nonostante le informazioni e i chiarimenti forniti dall’Italia”. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria va all’attacco di Bruxelles dopo la pubblicazione delle stime d’autunno secondo cui il deficit/pil l’anno prossimo toccherà il 2,9% e nel 2020 sfonderà il tetto del 3 per cento. Il titolare del Tesoro in una nota ufficiale si dice “dispiaciuto” della “défaillance tecnica della Commissione”. “Rimane il fatto”, aggiunge, “che il Parlamento italiano ha autorizzato un deficit massimo del 2,4% per il 2019 che il Governo, quindi, è impegnato a rispettare”.

Il commissario europeo agli Affari Economici Pierre Moscovici poco prima, durante la conferenza stampa sulle previsioni d’autunno, aveva ammonito sul fatto che “la qualità del lavoro della Commissione Ue e la sua imparzialitànon possono essere messe in causa” per cui le stime di Bruxelles, diverse da quelle del governo italiano, “non devono prestarsi alla minima polemica“. “L’Italia non è stata oggetto di un trattamento particolare ma ha avuto lo stesso di tutti gli altri Paesi”, con cui “sono abituali scarti tra le previsioni”, ha detto il commissario. “L’Italia non è sola in questa situazione”, c’è già stata anche “con i governi precedenti”.

Moscovici ha spiegato che la differenza di stima sulla crescita 2019 (1,2% della Ue contro 1,5% del Governo) è dovuta al fatto che “le nostre stime sono più prudenti, come quelle delle altre organizzazioni internazionali”, e si basano sul deterioramento della situazione nel terzo trimestre e inizio del quarto. Sul deficit invece (2,9% della Ue contro 2,4% del Governo) “se togliamo gli arrotondamenti la differenza è solo 0,4%”, perché ci saranno meno entrate fiscali a causa della crescita più bassa e questo pesa per uno 0,2%. Inoltre, ci sono le spese maggiori per il servizio del debito, che aumentano dell’1% del Pil. “Questi scarti sono abituali tra le previsioni della Commissione e degli Stati, ed era già successo anche con il precedente Governo italiano”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it (qui)

Austerity, Europa vs Stati

Il Consiglio d’Europa: “Picchi di Hiv, boom di disturbi mentali, sanità pubblica sull’orlo del collasso. L’austerità in Grecia viola i diritti umani”. Ed i criminali sono ancora a Bruxelles

Un allarmante report del Consiglio d’Europa svela gli effetti delle misure di austerity sulla popolazione greca.

Il 4 luglio scorso il Commissario Ue Pierre Moscovici annunciava senza nascondere un leggero autocompiacimento: “Alla fine dei tre programmi di salvataggio la Grecia è di nuovo un Paese normale dell’Eurozona”. Solo pochi giorni prima, il 29 giugno, la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović aveva concluso la sua missione in Grecia. Tre giorni fa è stato diffuso il report del suo viaggio e il responso è spietato: le misure di austerità attuate da Atene su ”richiesta” della Troika hanno integrato una violazione dei diritti umani. Dal 2010 al 2018 lo Stato ellenico ha beneficiato (si fa per dire) di 288,7 miliardi di aiuti da parte di Commissione Ue, Fmi e Bce, vincolati all’approvazione di quindici pacchetti di austerità approvati dal Governo greco. Secondo Moscovici, “le vaste riforme condotte hanno gettato le basi per una ripresa sostenibile”, consentendo alla Grecia di essere “di nuovo un Paese normale”.

Per capire quanto sia “normale” la vita dei cittadini greci dopo l’iniezione violenta di austerità, in particolare nelle fasce più deboli della popolazione, bastano alcuni dati ben riassunti dall’indagine svolta dalla Commissaria Mijatović del Consiglio d’Europa, la principale organizzazione (estranea alle istituzioni di Bruxelles) in difesa dei diritti umani, democrazia e Stato di diritto.

Proviamo a metterli in fila: in sei anni il numero dei senzatetto è quadruplicato, passando da 11mila a 40mila; i furti di elettricità da parte di cittadini impossibilitati a pagare le bollette sono aumentati di quasi il 1000% dal 2008 al 2016; il sistema sanitario greco è gravemente sottofinanziato, con una spesa sanitaria pubblica di circa il 5,2% del PIL, molto inferiore alla media UE del 7,5%; più della metà dei greci nel 2017 soffriva di problemi di salute mentale, con stress, insicurezza e delusione tra le cause più citate; i suicidi sono aumentati del 40% tra il 2010 e il 2015, con la mortalità per suicidio arrivata al tasso medio annuo del 7,8%, rispetto all’1,6% prima della crisi; il finanziamento degli ospedali pubblici è diminuito più della metà dal 2009 al 2015.

In pratica, uno scenario apocalittico. Secondo Mijatović, in Grecia l’austerità ha messo a rischio in particolare il diritto alla salute e il diritto all’istruzione. Quanto al primo, è stata paralizzata “la capacità del sistema sanitario di rispondere ai bisogni della popolazione, aumentando allo stesso tempo le necessità di cure”. E aggiunge: “Come ha rilevato la Panhellenic Medical Association, il sistema sanitario è sull’orlo del collasso”.

L’impatto delle misure economiche restrittive ha avuto effetti devastanti anche sulla salute mentale dei cittadini greci, “notevolmente deteriorata, con la depressione particolarmente diffusa a causa della crisi economica”. Non solo: “Di conseguenza, la maggior parte degli ospedali psichiatrici è sovraffollata, il che contribuisce al deterioramento delle condizioni all’interno di queste strutture”. I rapporti studiati dalla commissaria per i diritti umani indicano anche che dal 2010, anno dell’inizio del periodo di austerity, il numero di ricoveri forzati è “aumentato drammaticamente”: la maggior parte di questi pazienti è fatta da persone disoccupate, ex uomini d’affari poi finiti in bancarotta o genitori che non sanno più come sfamare i propri figli, scrive Mijatović. Pazienti che, beninteso, in precedenza non hanno mai mostrato segni di insanità mentale.

Il Commissario ha poi rilevato come nel corso degli anni più difficili siano stati segnalati “picchi nei tassi di HIV e di tubercolosi tra i consumatori di droghe” dopo il taglio di un terzo dei finanziamenti ai programmi di assistenza per i giovani a rischio. In sintesi, conclude Mijatović, le misure d’austerità e le loro conseguenze concrete sulla popolazione “minano il diritto alla salute sancito dall’articolo 11 della Carta sociale europea, di cui la Grecia è parte”.

Un capitolo a parte è poi dedicato all’istruzione, altro diritto che i tagli al bilancio pubblico hanno messo a rischio. Le risorse destinate al Ministero dell’Istruzione greco sono state ridotte da 5.645 milioni di euro nel 2005 a 4.518 milioni di euro nel 2017. “Pertanto, i tagli al bilancio hanno gravemente colpito il personale docente, che è stato significativamente ridotto, così come la retribuzione degli insegnanti pur vedendo esteso il loro orario di lavoro”. La crisi economica ha avuto un impatto negativo, secondo il Consiglio d’Europa, sulla qualità dell’istruzione e sull’apprendimento. La commissaria, in più parti del suo report, si dice “particolarmente preoccupata” per le condizioni della popolazione greca. Per fortuna, a Bruxelles c’è chi ritiene ad Atene e dintorni la vita sia tornata alla normalità.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

America

Trump vincerebbe ancora le elezioni. I Dem senza leader, mentre il Gop più compatto e trumpiano.

I Democratici hanno conquistato la Camera. Trump ha conquistato il Senato. In termini assoluti, se si fosse trattato delle presidenziali, Donald avrebbe vinto di nuovo, ma come tappa intermedia di valutazione dei rapporti di forza, le Midterm danno un verdetto di equilibrio, una quasi cartesiana divisione di spazi. Nelle cui pieghe si nasconde una serie di effetti il cui impatto appare oggi lieve, ma la cui capacità di innescare cambiamenti è molto alta. Primo fra tutti: il ruolo del voto delle donne, che si conferma il pivot intorno a cui ruota il sistema elettorale; e la sconfitta di ogni previsione apocalittica sul futuro della democrazia.

La democrazia funziona. I Democratici sono ritornati a contare, nonostante Trump sia sempre più forte. Hanno rimesso un piede nel potere, senza essere aiutati da nessun evento deflagrante, nessuna rivelazione sui rapporti con Putin, o una richiesta di impeachment. Sono rientrati in gioco semplicemente organizzando una buona campagna elettorale e scegliendo candidati migliori. Il che smentisce ogni catastrofismo, provando che la democrazia è ancora ottimamente funzionante, in Usa (e forse altrove?), a patto che venga nutrita da giuste decisioni politiche. Forse è la più importante prova uscita dalle urne.

Le donne decisive. Le candidature femminili e il loro successo hanno segnato stavolta un numero record. Diventando il motore della vittoria dei democratici. È l’effetto di due anni di mobilitazione iniziata fin dalla inaugurazione di Trump con marce in tutte le città. Ma è anche l’onda lunga della sconfitta di Hillary e dei modi con cui è avvenuta – la rappresentazione della umiliazione delle donne messa in atto dai modi con cui l’attuale Presidente ha condotto la battaglia contro di lei. Inoltre, Hillary, la cui condotta e i cui valori politici sono sempre stati avvertiti in molti settori del mondo femminile come estranei (troppo elitismo, troppo denaro, troppi compromessi di potere) pure è diventata un simbolo per tutte le donne della classe media, con alto livello di istruzione, e ancora spesso umiliate o limitate nella vita professionale e nei ruoli privati.

Archiviata Hillary non è stata archiviata la politica. Le numerose candidature di donne hanno portato a vari successi: in Pennsylvania dove non c’era nessuna donna nella delegazione al Congresso, ne sono entrate stavolta quattro. E molte donne sono state elette in Stati che pure hanno dato la vittoria ai Repubblicani. La prima donna di colore al Congresso eletta in Massachusetts, la prima donna musulmana in Michigan e la prima donna nativa Americana in New Mexico.

Non di successo è invece stata la presenza femminile nella corsa a Governatore nei vari Stati. Provando forse che per ruoli di gestione diretta la fiducia nelle donne non è ancora alta?

Un partito Repubblicano più Trumpiano. Un partito Dem più articolato. Dalle urne esce, come si vede già solo da questi primi dati un rivelante aggiustamento del profilo dei due partiti.

Trump ha fatto fuori, aiutato anche dall’età dei senatori, quasi tutto il gruppo originario dei repubblicani che lo avevano combattuto. E i suoi nuovi candidati sono riusciti a consolidare nel Senato la vittoria che il Presidente aveva ottenuto nel 2016. Un grande ruolo ha giocato in questo rafforzamento la battaglia sui valori – il più simbolico dei quali è quello antiaborto. Molti dei nuovi senatori sono antiabortisti, come ad esempio i repubblicani che hanno strappato la elezione in Stati democratici, quali Indiana, North Dakota, Missouri. E così è successo nella corsa al ruolo di Governatore in Iowa, Florida, Georgia e Ohio. Il partito repubblicano è oggi dunque non solo più conservatore, ma anche più coerente, e dunque più compatto intorno al Presidente.

I democratici anche sono cambiati. Decisamente spezzato il filo del legame con i Clinton, e in parte resosi molto labile anche quello con Obama, che non è riuscito a far eleggere nemmeno la governatrice nera che era andato a visitare ad alcune ore dal voto.

L’identità dei dem attuali non è necessariamente più di sinistra (anche se Sanders ha avuto un solido successo), è nella varietà e novità delle candidature. Un mix razziale e di gender molto forte – uomini bianchi, donne tantissime come si diceva, multirazzialità accentuata – unito alla mobilitazione al voto di una classe media ricca e cittadina. Che ha fatto convergere il suo voto accanto a quello delle minoranze. La affermazione dem dentro le classi sociali medio alte nei luoghi del Paese a maggiore concentrazione di sviluppo economico proietta nel futuro una crescita del voto, perché queste sono aree molto dinamiche.

Non si tratta ancora di una rinascita per i dem. La loro debolezza in rapporto ai Repubblicani è ancora evidente. I Democratici si sono rafforzati alla Camera ma hanno perso Stati in cui erano forti, e mancato la conquista di Stati decisive, come Florida e Ohio. Male è andata la scalata all’incarico di Governatori. Il risultato finale per i Dem è dunque di segno misto: al successo alla Camera corrisponde, ad esempio, il fatto che, non a caso, da questo voto non esce nessuna nuova star, non emerge nessuna potenziale nuova leadership. Ma il movimento e l’articolazione trovata nelle candidature sono una sorta di ripartenza. Un processo di rinnovamento solo iniziato, aiutato dal fatto che le candidature in Usa vengono scelte con le primarie e non decise dai boss dei voti nelle stanze chiuse del comitato elettorale.

Un rischio paralisi, e perché non ci sarà. Una tale simmetrica divisione di potere fra Dem e Repubblicani, può produrre la paralisi di Washington. Non che la Capitale Usa non abbia già sperimentato alla grande questa condizione – la distonia fra Casa Bianca e Congresso è stata una costante nella vita di molti Presidenti, non ultimo Barack Obama. In questo caso, però, è possibile che l’equilibrio di forze porti piuttosto alla possibilità di una Guerra di posizioni, utile a entrambi i lati.

Alla Camera cui tocca il primo passaggio dell’attività legislativa, i Democratici potranno bloccare le proposte di Trump. È facile così immaginare che il Presidente non porterà a termine una serie di progetti che gli sono cari e che sono il simbolo della sua Presidenza – il definitivo smantellamento della riforma sanitaria, la legalizzazione del Muro, ulteriori tax break. Così come è facile immaginare che ci sarà un fiorire di inchieste, commissioni ad hoc, proposte di azioni legali contro Trump. Non da poco come potere democratico.

D’altra parte a Donald, entrato ora nel suo terzo anno, serve relativamente poco la compiutezza dei suoi progetti sul piano legislativo perché nei primi due anni ha già “spremuto” tutti gli effetti che voleva dai suoi interventi.

Il controllo del Senato basta e avanza per agire sul terreno che più ha impatto sul futuro del suo lavoro: la nomina dei giudici. Quelli costituzionali, di cui oggi può nominare un terzo, e a cascata i giudici su tutto il territorio. Un investimento di lungo periodo che mette al sicuro, questo sì, la parte “valoriale” dei suoi elettori conservatori. Temi cari, in posizione inversa, anche ai democratici che però potranno fare poco.

Più che una paralisi si profila una Guerra irregolare combattute da due fortezze, in cui ogni parte ha il potere solo di bloccare l’avversario; ma in cui ognuna delle parti ha un territorio proprio in cui ha mani libere. Per essere lo scenario che prepara le elezioni fra due anni non è male. Per nessuno dei lati.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

Europa vs Stati, Politica

Mario Draghi a Giovanni Tria: “L’Italia riduca il debito. Serve responsabilità nei confronti dell’Eurozona”. Ecco chi comanda.

Il presidente della Bce, secondo fonti europee, nel corso dell’Eurogruppo ha insistito sulla responsabilità dell’Italia “al di là delle regole europee”

Mario Draghi, a margine della riunione dell’Eurogruppo del 5 novembre, ha insistito con Giovanni Tria sulla necessità che l’Italia riduca il suo debito elevato. Lo si apprende si apprende da fonti europee. Prendendo la parola nella riunione dei ministri dell’Economia dell’Eurozona dedicata all’Italia, il presidente della Bce ha sottolineato che ridurre il debito sia una responsabilità che va al di là di quanto richiesto dalle regole europee. Da Francoforte – spiega Reuters – non commentano le indiscrezioni.

Draghi si riferiva alla sua scelta di presentare un progetto di bilancio per il 2019 con obiettivi che violano il patto di stabilità. Il vertice della Bce ha sottolineato che uno stato membro dell’Unione monetaria deve assumersi singolarmente una responsabilità che deriva direttamente dalla scelta di aver adottato la stessa moneta.

Con la diffusione delle dichiarazioni di Draghi viene così confermato – spiega Radiocor – che non solo i 18 ministri finanziari dell’Unione monetaria hanno dato man forte alla Commissione europea sul caso Italia, ma che l’esecutivo Ue ha anche il pieno sostegno della Bce.

Fonte: huffingtonpost.it (qui)

America, Elezioni

Midterm,Trump meglio di Obama. Mantenuto il controllo del Senato. Nel 2014 Obama perse Camera e Senato.

Il clima per Trump potrebbe essere più ostile, ma le cosiddette stelle dem messe in campo per abbatterlo non hanno affatto sfondato.

Il voto di midterm consegna agli Usa un Congresso profondamente diviso. Trump ha affrontato la campagna di midterm con un referendum sul suo operato ed è riuscito a mantenere il forte sostegno della base conservatrice negli stati «rossi», rafforzando la presa del suo partito sul Senato ed estendendo il dominio su stati storicamente incerti, cruciali per la sua rielezione nel 2020, come Florida, Iowa e Ohio, dove il Gop ha mantenuto i governatori. I democratici, sull’onda della rabbia verso di lui, riconquistano la Camera dopo otto anni e ottengono poltrone chiave da governatore, con liberali e moderati uniti contro il presidente, ma i repubblicani rafforzano la loro maggioranza al Senato, conquistando una serie di seggi in Stati di orientamento conservatore.

Dem alla Camera e Gop al Senato
Entrambi i partiti possono vantare grandi successi a livello statale. Governatori repubblicani sono stati eletti in Ohio e Florida, due importanti campi di battaglia per le presidenziali del 2020. Ma i democratici hanno battuto il governatore Scott Walker, repubblicano del Wisconsin e bersaglio di prima grandezza, e conquistato la poltrona di governatore in Michigan, due stati vinti da Trump nella presidenziali del 2016. Spinti da un’affluenza insolitamente elevata per il voto di midterm, che testimonia l’intensità del movimento anti-Trump, i democratici hanno strappato ai rivali almeno 26 seggi della Camera grazie al forte sostegno di cui godono nelle aree suburbane e cittadine, un tempo roccaforti del potere repubblicano. Dai sobborghi di Richmond e Chicago e addirittura da Oklahoma City, un gran numero di candidati all’insegna della diversità, moltissime donne, molti alle prime armi, ha vinto contro i repubblicani.

Chi vince e chi perde
Ma le divisioni politiche e culturali interne agli Usa sono sottolineate dal risultato del Senato, dove molti dei seggi in palio erano in stati rurali. Qui i repubblicani hanno rafforzato la loro maggioranza vincendo in Indiana, North Dakota e Missouri e respingendo la sfida di alto profilo di Beto O’Rourke al senatore Ted Cruz in Texas. In due sfide chiave nel Sud, i candidati progressisti afroamericani a governatori, che hanno fatto sognare i liberali in tutto il Paese, hanno perso ad opera di fedelissimi di Trump, un segnale che il cambiamento demografico è ancora troppo lento per portare i democratici alla vittoria. Il segretario di Stato Brian Kemp in Georgia è davanti a Stacey Abrams, che puntava a diventare le prima donna nera governatrice, e l’ex deputato Ron DeSantis ha battuto di un soffio Andrew Gillum, sindaco di Tallahassee, nel campo di battaglia presidenziale della Florida.

Russiagate e il resto per fermare Trump
Festeggiando a Washington, Nancy Pelosi, capogruppo democratica che potrebbe presto tornare a presiedere al Camera, ha sottolineato quanto è importante per il successo del partito tenere a freno Trump e sotto sorveglianza il governo. «Quando vincono i democratici, e stasera vinceremo, abbiamo un Congresso aperto, trasparente e responsabile per il popolo americano». Ma in un incontro con finanziatori democratici ha detto che un tentativo di impeachment di Trump non è in agenda, scrive il New York Times. Una Camera democratica però è un segno chiaro che la maggioranza degli americani vuole porre limiti a Trump nei prossimi due anni di mandato. L’opposizione ha ora il potere di convocare i testimoni nelle indagini parlamentari e il procuratore speciale Robert Mueller si prepara a chiudere alcuni filoni della sua inchiesta sul cosiddetto Russiagate in un contesto politico nettamente più ostile al presidente, il quale si prepara a farsi rieleggere nel 2020. Trump subito ha taciuto, ma poi in nottata ha twittato vantando il «tremendo successo» repubblicano.

La piccola base che ha finanziato i dem
Per i repubblicani la perdita della Camera rivela che anche Trump non può sfidare per sempre la gravità politica. Ma non solo: segnala che molti moderati, i quali hanno votato Trump nel 2016 come alternativa possibile a Hillary Clinton, si sono allontanati dalla retorica e dal nazionalismo di estrema destra del presidente. Senza volerlo il presidente potrebbe aver galvanizzato un nuovo attivismo democratico, ispirando centinaia di migliaia di persone infuriate e disorientate dalla sua vittoria elettorale a sorpresa a scendere nell’agone politico per la prima volta nelle loro vite. Ma non solo, ha fatto sì che gli eletti democratici rispecchino più da vicino la composizione della base dei partito. La stessa base che ha inondato di dollari in piccole donazioni le casse dei candidati democratici, oscurando i finanziamenti tradizionali dei grandi donatori.

Donne, afro e minoranze, ma…
La cosiddetta resistenza liberale sostenuta da donne, afroamericani e minoranze è ben rappresentata nella nuova Camera. Secondo le proiezioni saranno cento le donne a sedere sui suoi scranni, un record che straccia quello precedente di 84. Ma ora toccherà al partito riunire correnti molto diverse accomunate dall’opposizione a Trump per farne una base elettorale per un possibile candidato presidenziale nel 2020. E le nuove star progressiste del partito non sono riuscite a far cadere le roccaforti repubblicane, come testimoniano le sconfitte di Beto O’Rourke al Senato in Texas e di Andrew Gillum al voto per governatore della Florida. Mentre il crollo democratico nelle aree rurali, iniziato con Obama, non si è fermato.

Fonte: diariodelweb.it (qui)

Debito pubblico, Europa, Germania

La Germania bara, il suo debito vero è il 287% del Pil.

Stando ai conti pubblici, il grande malato dell’Eurozona non è l’Italia o un altro dei paesi oggi considerati periferici, addirittura ribattezzati “Pigs”, maiali, nel pieno della crisi del debito sovrano. La pietra dello scandalo è proprio la Germania di Angela Merkel, che continua a fare la voce grossa con la Bce e gli altri condòmini del Vecchio Continente. A raccontare al “Giornale” il lato oscuro di Berlino è Fabio Zoffi, veneziano, che da vent’anni vive con la famiglia a Monaco di Baviera. Zoffi conduce attività che spaziano dall’alimentare al Big Data: tra i suoi clienti Luxottica, Pirelli, Bnl, Banco Popolare e Benetton. «ll debito pubblico complessivo tedesco non è pari all’80% del Pil, come certificano i documenti ufficiali, ma al 287%», assicura il “venture capitalist” italiano, dopo essersi preso la briga di rielaborare tabelle e proiezioni statistiche. La colpa è del debito «implicito», che con approssimazione possiamo definire «nascosto», prodotto dalle costose riforme concesse dai governi che si sono succeduti negli ultimi decenni. Tutto questo, nel 2020 comporterà pesanti aggravi alla spesa per le pensioni, le assicurazioni sanitarie e l’assistenza ai malati cronici.

«Berlino è finora stata molto brava a nascondere la polvere sotto il tappeto, ma ormai è impossibile non vedere le gobbe. E anche in Germania gli economisti più capaci hanno iniziato a lanciare l’allarme», spiega Zoffi, citando tra i primi profeti di Fabio Zoffisventura proprio i presidenti dei due maggiori think-tanks economici del paese: Hans-Werner Sinn, temutissima voce dell’Ifo (per la verità più noto a sud della catena alpina per i giudizi tranchant che ci ha riservato) e Marcel Fratzscher, capo del Diw e autore del libro “Die Deutschland-Illusion” (l’illusione tedesca). A titolo di raffronto, scrive Massimo Restelli sul “Giornale”, il debito complessivo (implicito ed esplicito) italiano si attesterebbe invece al 160% del prodotto interno lordo. In sostanza, negli ultimi anni Palazzo Chigi e Parlamento italiano fatto “i compiti a casa”, mentre Frau Merkel e il Bundestag no. A contribuire al disastro annunciato della Germania, insiste Zoffi, è poi il suo quadro demografico squilibrato: è lo Stato con meno nascite al mondo.

L’altra falla aperta è rappresentata da un mercato del lavoro ormai composto per un quarto da precari (tra part-time, stagisti e mini-job). Ne consegue una distribuzione dei redditi sempre più squilibrata: nel 2011 il 10% della popolazione deteneva il 66% della ricchezza contro il 44% del 1970. Per non parlare delle grane del sistema del credito: le banche tedesche, sebbene tutte promosse ai recenti esami patrimoniali della Bce (ma Berlino ha ottenuto di esentare le problematiche casse di risparmio e le “landesbank”) da un lato «contano debiti complessivi per 8.000 miliardi di euro» (raccolta alla clientela, prestiti di varia natura e obbligazioni), e dall’altro – e questo sembra il problema principe – ci sono «impieghi in asset di qualità sovente discutibile: Abs, derivati, prestiti alle banche greche e spagnole». In pratica, avrebbero investito male (e con una certa dose di pericolo) il denaro raccolto: «Deutsche Bank assomiglia a un grande hedge fund», dice Zoffi.

L’imprenditore italiano sottolinea di essere tornato a investire sulle imprese dello Stivale all’apice della crisi, sfruttando i saldi provocati dallo sferzare dello spread. «Insomma – scrive Restelli – da uomo d’affari è convinto di aver fatto bene a credere nell’Italia: stima che le sue attività (il gruppo Ors, specializzato nel Big Data, la tenuta vitivinicola in Monferrato Noceto Marcel FratzscherMichelotti e l’azienda friulana di insaccati di selvaggina Bertolini Wild, insieme alle potenzialità di sviluppo del portale Gourmitaly) abbiano oggi un valore potenziale di 50 milioni. «La Germania – chiosa Zoffi – resta però un esempio per la penisola sotto molti altri aspetti fondamentali, sia per la qualità di vita dei cittadini, sia per la buona riuscita di un’impresa: a partire da un apparato pubblico-burocratico e da un sistema della giustizia che funzionano a dovere».

Lo stesso Zoffi è anche esponente del Movimento Roosevelt, fondato da Gioele Magaldi. Dalla sua analisi, scrive il vicepresidente Marco Moiso sul blog del movimento, emerge come, dal punto di vista del debito, la Germania sia “messa peggio” del Bel Paese. «Eppure – scrive Moiso – questa non deve assolutamente essere l’occasione per puntarle il dito contro», chiedendo anche ai tedeschi di «sottomettersi alla cura venefica dell’austerità, in nome di un miope e mal riposto senso di riscatto». Al contrario: meglio se anche in Germania si aprissero gli occhi, scoprendo cosa significano le ricette del neoliberismo. «La sconfitta della democrazia tedesca – in un contesto internazionale in cui la sovranità delle democrazie stesse viene progressivamente rimpiazzata dall’econocrazia neoliberista – significherebbe la vittoria di quei poteri apolidi che supportano il neoliberismo e hanno interesse nello svuotare le istituzioni pubbliche di democrazia sostanziale, in nome del mantenimento del valore assoluto del denaro da loro accumulato». Lo choc dei conti truccati? Ottima cura, se serve a tornare alla sovranità popolare, in ogni paese Ue. Missione impossibile? Si domanda Moiso: «È pronto, il popolo tedesco, a lottare insieme agli altri popoli europei contro l’econocrazia neoliberista e a favore di democrazia e politiche monetarie ed economiche sviluppate nell’interesse del popolo europeo sovrano?».

Fonte: libreidee.org (qui)

Stati vs Europa

Jakobsdóttir: “La BCE è forte e non democratica, con strategie economiche lontane dai cittadini. Nessuna ragione per entrare nell’Ue”

Bruxelles – L’Islanda nell’Unione europea? “Nessuna ragione plausibile per aderire”. A dirlo è Katrin Jakobsdottir, prima ministra islandese dal novembre 2017 e leader del partito dei Verdi, in un’intervista rilasciata a Euobserver in occasione del suo anniversario alla guida del governo.

Nel 2009, travolta dalla crisi economica e finanziaria, con le banche in ginocchio, l’Islanda aveva presentato domanda di adesione all’Ue, prendendo però la decisione (unilaterale) di interrompere il processo nel 2015, quando oramai, anche grazie all’aiuto dell’Unione, era fuori dai pasticci. “Era un tema delicato e controverso allora, e lo è anche oggi”, sottolinea la verde, riportando i dati di un recente sondaggio da cui emerge che il 60 percento degli islandesi vuole rimanere fuori dall’Unione.

Le relazioni tra il Continente e la “Terra ghiacciata” (in inglese Iceland) sono al momento riconducibili allo Spazio Economico Europeo (See) e agli accordi di Schengen. Sembra riconoscerlo anche lei, la premier euroscettica, quando afferma con convinzione che “Il libero scambio con l’Ue è indubbiamente positivo per l’Islanda, portando benefici al Paese”. Benefici arrivati senza bisogno di prendere parte al progetto europeo. Stessa cosa vale, a suo avviso, per tutti gli altri indici: parità di genere, performance economiche, indicatori sociali “dove facciamo meglio rispetto a qualsiasi altro paese del nord Europa”.

Jakobsdottir però non solo sottolinea gli ottimi risultati dell’Islanda. Sembra quasi di intuire, dall’intervista, che è “meglio soli che mal accompagnati”. “Sono critica nei confronti delle politiche economiche dell’Ue”, dichiara riferendosi alla creazione dell’Eurozona “senza delle vere regole centralizzate su tassazione e politiche fiscali”. Non solo: “La Banca centrale europea è diventata davvero forte senza essere democratica, con strategie economiche lontane dai cittadini e che hanno avuto come risultato lo sviluppo di divisioni interne”.

Anche la Nato è nel mirino della donna (la seconda ad essere alla guida del paese). La più grande alleanza militare al mondo non rientra in effetti nelle grazie del suo partito, pur essendo appoggiata dal governo di coalizione di cui fanno parte, oltre quello di appartenenza della premier (dell’ala sinistra), il partito dell’Indipendenza (di centrodestra) e il partito Progressista (di centro).

“Noi Verdi siamo contrari alla permanenza dell’Islanda alla Nato”, dichiara, “pur sapendo che il resto del Governo l’appoggia. Siamo critici nei confronti di qualsiasi incremento della militarizzazione dell’alleanza”, aggiunge. L’Islanda, che fu salvata dai soldati Usa dall’invasione tedesca nella seconda guerra mondiale, fu tra i paesi fondatori dell’organizzazione nel 1949, ma adesso sono cambiate molte cose. “Il mio partito è in favore di soluzioni più pacifiche e non crediamo che la militarizzazione e il suo incremento possano portare a qualcosa di buono”, afferma la premier, che auspica invece “un rafforzamento delle relazioni diplomatiche e politiche con i paesi”.

Fonte: eunews.it (qui)